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1942
Regia di Feng Xiaogang
Kolossal
Cina 2012
Il film è tratto da Remembering 1942, un romanzo di Liu Zhenyun.
Feng Xiaogang è un regista molto amato in Cina che, solo dopo aver sbancato il box office nazionale, è riuscito a realizzare il suo film sulla carestia del 1942. Nel cast ci sono soltanto due divi non-cinesi, ma americani: Adrien Brody e Tim Robbins, che interpretano un giornalista americano ed un prete cattolico negli anni della guerra contro il Giappone.
La tragica carestia del 1942 è stata una delle più gravi del XX secolo: si è abbattuta nella provincia cinese di Henan, causando la morte di 3 milioni di persone. Il governo non ha pietà del popolo e distoglie le forniture di grano a favore delle truppe cinesi impegnate nella guerra contro il Giappone. Questo costringe gli abitanti, ricchi e poveri, ad un duro e faticoso esodo verso lo Shaanxi, la terra promessa dove sperano di continuare a vivere.
Il film racconta questa epica e inutile marcia di milioni di persone, durante la quale nemmeno i facoltosi proprietari terrieri si salvano dalla fame, e anche i sacerdoti, di fronte a tanta sciagura, perdono la loro fede in Dio. La fame rende gli sfollati tutti uguali e vittime, l’eroe è l’uomo comune che cerca di sopravvivere senza vendere le proprie figlie per un pugno di farina. Tutto questo è fotografato da un giornalista del Time, Theodore White (Adrien Brody) che tenta di aiutare la popolazione usando i suoi contatti. I cinesi alla fine sembrano persino sollevati dell’arrivo degli invasori giapponesi nella provincia di Henan: cedendo questo territorio si disfano di 30 milioni di problemi, ovvero una popolazione stritolata dalla fame e dalla guerra. E’ una lezione di storia poco nota all’occidente, che condivide con l’Asia i milioni di morti della seconda guerra mondiale.
Il regista ha sottolineato, nell’intervista che, mentre il mondo conosce la tragedia degli ebrei nella seconda guerra mondiale, ignora quella cinese. Ma forse, possiamo aggiungere, gli stessi cinesi oggi conoscono poco la vicenda. Il film è denso di colpi di scena, battaglie, incursioni di banditi, bombardamenti aerei che rendono scorrevoli le oltre due ore di spettacolo. Feng Xiaogang non rinuncia a nessuno dei requisiti del kolossal: migliaia di comparse e scenografie imponenti. Una produzione grandiosa, una immensa tragedia umana ricostruita storicamente, un film epico-popolare che suscita forti emozioni senza essere retorico, ma che non convince completamente forse per qualche ripetizione o per l’inserimento di personaggi, come il sacerdote (Tim Robbins), che nulla sembrano aggiungere alla storia.
BULLET TO THE HEAD
Regia di Walter Hill
Azione – 92’
USA 2012
Un proiettile in testa, classico film d’azione ben fatto, divertente e con un ritmo incalzante. Brillante l’interpretazione di Sylvester Stallone di un sicario rude e attempato, Jimmy Bobo, ma con un cuore generoso. Jimmy Bobo lavorava insieme ad un socio che viene ucciso ed è proprio per vendicare l’amico, e cercarne l’assassino, che si rassegna a entrare in società con Taylor Kwon (il bravo Sung Kang) di Washington DC, detective coreano e tecnologico, difensore della legge che rimanda l’arresto di Bobo a dopo la cattura dei mandanti.
La vena di ironia che accompagna tutto il film scaturisce dal contrasto tra i due protagonisti, opposti in tutto: Bobo incarna il giustiziere vecchia maniera (“niente donne, niente bambini”), la legge della strada, il codice d’onore, assesta pugni e atterra nemici; il detective incarna la legalità, usa la tecnologia per scoprire i malfattori. Peccato che nel doppiaggio in italiano si perderà la voce roca ed il timbro con cui Stallone sferza con le sue battute chiunque gli capiti a tiro.
Un’inaspettata protagonista femminile (Sarah Shahi), che non è la solita amante sexy di uno dei due, movimenta la trama.
In fondo il vero pericolo non è il killer assoldato per uccidere un altro delinquente, ma la malavita dei grossi affari, dei palazzinari.
L’ispirazione è venuta al bravo sceneggiatore, Alessandro Camon, da una graphic novel dell’autore francese Alexis Nolent (Matz) e illustrata da Colin Wilson. La location scelta da Mr. Hill è un luogo che lui adora: New Orleans, dove ha girato altri due film.
Qualche sbavatura negli eccessi: la pendrive, in cui sono memorizzati i documenti della banda criminale, funziona perfettamente anche dopo una nuotata in acqua.
La frase indimenticabile di Jimmy Bobo (Sly): “non sono le pistole ad uccidere ma le pallottole, la prossima volta ricordati di caricare la tua pistola”.
Un Walter Hill, regista famoso per “I guerrieri della notte” e “48 ore” con un’altra coppia anomala di protagonisti, è tornato, smagliante e in ottima forma dopo dieci anni, a girare per il cinema un action movie stile anni ’80 ben confezionato e divertente.
Il film, distribuito dalla Buena Vista International, uscirà nelle sale cinematografiche italiane ad aprile 2013.
GOLTZIUS AND THE PELICAN COMPANY
Regia di Peter Greenaway
Storico artistico – 128′
Paesi Bassi 2012
Il film, presentato in anteprima a Roma al Festival Internazionale del cinema, è stato proiettato al Maxxi, la scelta di un museo piuttosto che di una sala cinematografica, nel caso di Greenaway, è particolarmente appropriata.
Fedele al principio della fusione di tutte le forme d’arte, Greenaway, che è soprattutto un artista, perché sarebbe riduttivo definirlo ‘regista’, ha fatto precedere la proiezione al Maxxi da un concerto, un modo per accompagnare il pubblico dentro l’atmosfera barocca del film.
Goltzius and the Pelican Company, dedicato al famoso incisore e pittore olandese Hendrik Goltzius (1558 – 1617), interpretato dal bravissimo Ramsey Nasr, è il secondo film di una trilogia dedicata a tre artisti: il primo è stato il mirabile Nightwatching (ispirato al famoso ed enigmatico quadro La ronda di notte di Rembrandt), film presentato a Venezia nel 2007 e purtroppo mai distribuito in Italia; e il terzo uscirà nel 2016 in occasione del cinquecentenario della morte del pittore Hieronimus Bosch.
Un film di Greenaway non si ‘vede’, è una partecipazione ad un’esperienza artistica, si entra nell’opera, è una fruizione plurisensoriale, a cui soltanto l’olfatto non partecipa, mentre persino il tatto sembra appagato dal realismo carnale delle immagini.
Goltzius vuole convincere il Margravio di Alsazia a finanziare un libro di incisioni sugli episodi più ambigui e scandalosi del Vecchio Testamento e un altro sulle Metamorfosi di Ovidio, a tal fine mette in scena con la sua compagnia i sei tabù sessuali (voyeurismo, incesto, adulterio, pedofilia, prostituzione e necrofilia) rintracciabili nelle storie del veterotestamentarie (Adamo ed Eva, Lot e le sue figlie, Davide e Betsabea, Giuseppe e la moglie di Putifarre, Sansone e Dalila, Salomè e Giovanni Battista). In realtà il sesso è il solo tabù, esorcizzato dalla religione ma perseguito ipocritamente dai religiosi. Il film è un manifesto contro i dogmi e i tabù religiosi di ogni confessione.
E’ così che si scatena la fantasia e la padronanza dei linguaggi artistici di Greenaway: musica, danza, parole, scrittura, teatro, quadri in sovrimpressione, il tutto ambientato in un luogo simbolo di archeologia industriale che ricorda l‘Arsenale di Venezia. L’artista Greenaway si pone lo stesso obiettivo dell’artista Goltzius, seppure gli strumenti sono diversi: cinema e incisioni, distillare la sensualità fino a renderla sublime. Innumerevoli le citazioni di raffinata cultura, soprattutto pittorica, e i nudi, figure danzanti, rappresentazioni erotiche, quasi personaggi di quadri, protagonisti di un happening che non è mai volgare perché solo l’ignoranza e il bigottismo religioso sono volgari. L’essenza è rivelata dal regista: “tutto, nella nostra vita, può essere messo in discussione, tranne due cose: il sesso, che è all’origine della nostra nascita, e la morte”. L’inizio e la fine, Eros e Thanatos, sono imprescindibili. Geniale è lo scambio continuo tra vita e teatro: la vita stessa diventa palcoscenico e il teatro prende vita. La finzione è dichiarata, la recita avviene davanti a noi, una Babele barocca, un vortice artistico e colto (arte, religione, morale, politica), da cui non si emerge e che non si domina ma che richiede allo spettatore di lasciarsi andare, di farsi trasportare in un universo simbolico.
Greenaway ci regala un’opera sontuosa e sperimentale, il suo è un linguaggio che fonde video-arte, cinema e pittura, un’opera multidimensionale, un palinsesto artistico, con più livelli di significato e di lettura (dall’arte e la sua mercificazione alla religione), ma con una predilezione per il linguaggio visivo. Proprio per questo l’unico eccesso è forse nel narratore onnisciente (Goltzius), racconto e romanzo di se stesso, che forse troppo distrae dal flusso delle immagini, ricche di citazioni iconografiche sacre. Ogni inquadratura è trattata dal regista come un’opera pittorica sfarzosa, in cui ogni dettaglio è scelto e curato, quadri barocchi a cui la musica di Marco Robino aggiunge una elegante espressione lirica.
THE MOTEL LIFE
Regia di Gabriel Polsky e Alan Polsky
Drammatico – 95’
Stati Uniti 2012
Premiato dal pubblico quale migliore film in concorso e vincitore del premio per la migliore sceneggiatura al Festival Internazionale del Film di Roma The Motel Life è stato uno dei lungometraggi più applauditi in sala.
La sceneggiatura ha un ritmo incalzante ed è ricca di colpi di scena, merito di Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue. Il film, tratto dal romanzo del cantante country Willy Vlautin, è la storia di due fratelli rimasti presto orfani, che a seguito di varie e sfortunate vicende si trovano in fuga da un motel all’altro. La madre, prima di morire, aveva raccomandato loro di restare sempre uniti a qualsiasi costo: questo legame sarà il filo conduttore della loro vita e anche della loro dannata sorte, perché ognuno dei due è cresciuto avendo come riferimento l’altro.
I registi, due fratelli che comunicano attraverso l’arte del cinema e con la fantasia, proprio come i protagonisti del film, indagano abilmente il confine tra legame affettivo e dipendenza reciproca.
Frank e Jerry Lee Flannigan, interpretati da Emile Hirsch (protagonista dello stupendo “Into the wild” di Sean Penn) e Stephen Dorff, bravissimo, esprimono i loro disagi anche attraverso i racconti di Frank, che hanno lo scopo di tranquillizzare il fratello, e i disegni di Jerry Lee, che sono inseriti in modo originale nello sviluppo del film; in fondo questo talento li riscatta. I disegni che si animano sullo schermo offrono incantevoli pause al pathos della storia, inserti fumettistici che danno un valore aggiunto all’opera. Una storia di perdenti su cui sembra abbattersi ineluttabile la sfortuna, ambientata nella fredda e anonima Reno. Ma non è un film sull’infausto destino che sembra precipitare le vite dei due protagonisti nel baratro: il fine non è commuovere lo spettatore, perché chi ha risorse e sentimenti alla fine riesce a dare una rotta alla propria vita. Un film on the road, un viaggio di iniziazione lungo le strade di provincia del Nevada.
L’esordio alla regia dei fratelli Polsky, già produttori indipendenti, è stato brillante e particolarmente apprezzato dal pubblico. Non si può parlare di un capolavoro ma è sicuramente un film ben confezionato, considerato anche il breve tempo in cui è stato girato, meno di un mese.
LE 5 LEGGENDE (Rise of the Guardians)
Regia di Peter Ramsey
Animazione 3D – 89′
USA 2012
Le 5 leggende è il nuovo cartoon della Dreamworks che dal 29 novembre sarà presente nelle sale cinematografiche. Ha ricevuto al Festival Internazionale del Film di Roma, dove è stato presentato in anteprima mondiale, il “Vanity Fair International Award for Cinematic Excellence” per il suo contributo innovativo e artistico. Prodotto da Guillermo del Toro, tratto dalla serie di libri illustrati “The Guardians of Childhood” di William Joyce sarà sicuramente il film di punta di Natale. Quello che lo differenza da altri cartoon 3D, oltre la tecnica innovativa e i colori sfavillanti, è il ritmo: è stato girato come un film d’azione, forse per conquistare anche un pubblico adulto.
E’ la storia epica di eroi costretti a lottare contro Pitch (l’Uomo Nero) che vuole portare le tenebre sulla terra e trasformare i sogni dei bambini in incubi. Contro Pitch (pitch black significa nero come la pece) si schierano i Guardiani dei sogni dei bambini, che solo uniti riusciranno a sconfiggere l’Uomo Nero. Questi supereroi, scelti dalla Luna, provengono prevalentemente dal mondo anglosassone. Jack Frost, è lo spirito della neve, controlla il clima e con un bastone magico è in grado di scatenare neve, tempeste, freddo e vento. Babbo Natale, che parla con accento russo, ha due grandi tatuaggi sulle braccia: su uno c’è scritto cattivo e sull’altro buono. Calmoniglio, il coniglio di Pasqua, sa usare il boomerang ed è esperto di arti marziali. La Fatina dei denti (the Tooth Fairy), sembra un colibrì, è bellissima e vivace, vestita con stupendi colori cangianti (blu e verde), vola nelle case dei bambini per lasciare un soldino per ogni dente caduto. Nei dentini dei bambini si conservano i loro ricordi e, imprigionando le fatine, Pitch fa sparire tutti i ricordi dei bambini. Sabbiolino (Sandman) è il guardiano dei sogni, non parla ma si fa capire attraverso le immagini di sabbia che lui stesso crea. Tutti sono magicamente potenti ed esistono solo perché c’è gente che crede in loro, solo così i sogni, la luce e i colori alla fine ritorneranno.