La recente sentenza della Corte di Cassazione (n.7155/2011) ha convalidato la possibilità di eseguire il sequestro di un “blog”. La vicenda, che si origina dalla denuncia di un “vip” che riteneva violata la sua reputazione nelle affermazioni “pubblicate” in rete, non rappresenta certo una novità assoluta nel comparto. A ben guardare, la questione concerne nientemeno che il sofferto tema dell’utilizzo di “norme vecchie” applicate a “fenomeni nuovi”, come la stampa (su carta) è rispetto alla diffusione o alla pubblicazione sul web.
I commentatori più avveduti avevano già individuato il tema discusso nella nota sentenza della Corte di Cassazione n. 10535 del 2009. In tale pronunciamento, infatti, la Corte afferma: “i messaggi lasciati su un forum di discussione, aperto a tutti o solo ai registrati, sono equiparabili ai messaggi che possono essere lasciati in una bacheca.  Pur essendo mezzi di comunicazione del proprio pensiero, non rientrano nel concetto di stampa, quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dalla costituzione”.
La Corte ha quindi osservato: “la norma costituzionale deve essere interpretata in senso evolutivo per adeguarla alle nuove tecnologie.  Ma dalla semplice esistenza di nuovi mezzi di espressione del libero pensiero non deriva che i nuovi mezzi di comunicazione (newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via) possano, tutti in blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai sensi di legge, prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi”.
Non trattandosi quindi strettamente di “Stampa”, a tali nuovi mezzi di comunicazione non sono applicabili i controlli e le corrispettive garanzie previste appunto per la stampa. Del resto, che una stampa libera sia elemento fondamentale del dialogo democratico, non lo dice certo solo l’articolo 21 della Costituzione Italiana, ma la stessa Legge sulla stampa del 1948 (in abrogazione alla CENSURA preventiva, che nel regime spesso si effettuava proprio con . . . SEQUESTRI preventivi). Anzi, proprio a pochi giorni dal Referendum tra Monarchia e Repubblica, due anni prima della nostra Costituzione quindi, il Regio Decreto Legislativo del 31 maggio 1946, n. 561 (norme sul sequestro dei giornali e delle altre pubblicazioni), stabilisce che non si può procedere al sequestro delle edizioni dei giornali, di pubblicazioni o stampati – contemplati nell’Editto della stampa 26/3/1848 n . 695 – che non in virtù di una sentenza irrevocabile.
Anzi, tale decreto consente il sequestro di non più di tre esemplari di giornali, pubblicazioni o stampati, ove si sospetti che la loro diffusione contribuisca ad una violazione della Legge penale.  Tre soli esemplari che, evidentemente, verranno sequestrati allo scopo di servire come fonte di prova nel successivo processo (da ricordare è che il primo fotocopiatore non sarà sul mercato che 25 anni dopo l’emanazione di questo Decreto).
Molti sanno, ma giova ricordarlo, che fu proprio la Corte di Cassazione, nel 1984 (Sezione I civ. del 18 ottobre 1984, n. 5259), ad emanare una importante sentenza, nota come “decalogo sui limiti al diritto di cronaca” in cui si dichiara molto succintamente che le notizie, anche quelle che ledono la reputazione di una persona, possono comunque essere diffuse quando:
• sia accertata la utilità sociale dell’informazione;
• rispondano a verità dei fatti esposti (verità “oggettiva” o anche soltanto “verità putativa”: frutto di un lavoro di ricerca serio e diligente del redattore);
• rispettino una “forma civile della esposizione dei fatti” e della loro valutazione (senza quindi esagerazioni o suggestioni).
E’ pur vero che il “decalogo” promulgato nel 1984, quindi circa dieci anni prima dell’era di internet, si rivolgeva ai soli giornalisti, ed alle notizie a mezzo stampa. Ma certamente attenendosi questi – ancora attuali, e ragionevoli principi, visti i validi principi di fondo e le valide logiche argomentative che li sostengono, non si sbaglia e, soprattutto, non si rischia di ricadere nel “dossieraggio” o, peggio,  in un decreto di sequestro.