Noi, senatori romani, udita la controversia fra il prete Angelo e la badessa di San Ciriaco a proposito della chiesa di S.Nicola ai piedi della Colonna Traiana e della Colonna stessa,decretiamo che la chiesa e la Colonna sono di proprietà della badessa,purchè sia salvo l’onore pubblico della città di Roma. Pertanto la Colonna non dovrà mai essere danneggiata nè abbattuta, ma dovrà restare così com’è in eterno, per l’onore del popolo romano, integra ed incorrotta finchè il mondo duri. Se qualcuno attenterà alla sua integrità, sia condannato a morte, e i suoi beni incamerati dal fisco”.

(deliberazione del Senato di Roma 25 marzo 1162)

 

L’Affaire Croppi è molto di più di quello che è stato scritto: a dimostrarlo il nuovo libro dell’ex assessore alle politiche culturali e alla comunicazione del Comune di Roma, dall’esemplificativo titolo “Romanzo Comunale” che non a caso riprende l’altro Romanzo, quello Criminale di De Cataldo. Una TAC al sistema politico e culturale romano che seziona e approfondisce ciò che la stampa ha solo parzialmente riportato.
Il volume, scritto con il saggista e scrittore Giuliano Compagno, ricorda un film neorealista che illustra, con metafore tra il romanaccio e il romanesco di protagonisti a volte imprevedibili, eventi spesso Kafkiani.
Un racconto dentro, ma anche “fuori dal Comune”, che indaga i meccanismi di alcune scelte in nome di quella ragion politica nella quale prevale non il momento dell’azione ma una congerie di tatticismi incomprensibili alla “gente” ma di sicuro pertinenti al sistema.
Ma la cultura Roma “funzionava” e funzionava bene, al punto tale che non si è badato al colore politico dell’amministratore bensì, come giusto, alla sua capacità creativa. Un nuovo corso, dunque, dai risultati concreti a cominciare da un visibile decoro civico. E perché allora togliere la spina ad un meccanismo che funziona? La produzione di cultura non è quel momento del fare che tutti e non solo gli addetti ai lavori auspicano? Romanzo comunale allora diviene una sorta di vademecum municipale. Non un libro di prescrizioni e norme, ma di prassi e consuetudini, spesso paradossali. Se nel termine “romanzo” è contenuta la parola Roma allora tutto si accende e diventa cinematografico, fino al punto di confondere la finzione con la realtà.
Umberto Croppi è molto di tutto. Un’ideale di buona amministrazione, perché chi governa una città come Roma ha il dovere morale di occuparsi del patrimonio culturale con una speciale coscienza civica. Ma in questo libro è l’assessore alla cultura che fu apprezzato da tutte le parti politiche e che racconta di come, improvvisamente, sia diventato di “troppo” .

Wittgenstein nel suo Tractatus logico – philosophicus affermava “ Tutto quello che si può dire, si può dire chiaramente”. Perché ha sentito l’esigenza di chiarire proprio ora quello che è accaduto durante il suo mandato politico come Assessore alla cultura e comunicazione del Comune di Roma?
Per tanti motivi. Perché è utile, ogni tanto, fare il punto, fissare pensieri e fatti che rischiano di perdersi nella cronaca; perché è doveroso, da parte di chi svolge funzioni pubbliche, condividere la propria esperienza, le proprie scelte e perfino i propri errori; perché queste sono cose che riguardano la collettività e quindi bisogna renderne pubblicamente conto.

Quale è stata l’intenzione del libro? Togliersi dei sassolini dalla scarpa, alla luce non solo del suo ruolo da assessore ma anche dei tagli fatti alla Fondazione Valore Italia da lei presieduta, oppure creare delle discontinuità rispetto agli assetti politici precedenti?
No, non c’è risentimento, non mi appaga fare dispetti. La Fondazione per cui lavoro, poi, non rientra nel campo del mio racconto.
È un’intenzione tutta politica, racconto una storia paradigmatica, per spiegare la genesi di un’esperienza, decodificare i meccanismi che regolano la politica italiana e certe sue degenerazioni, ma anche per dimostrare che le cose si possono fare.

Quali crede possano essere le conseguenze di questa sua pubblicazione, quali si auspica possano essere, e come pensa possano impattare sulle strategie culturali capitoline alla vigilia delle elezioni amministrative?
Non credo che vi siano conseguenze eclatanti, mi auguro che la sua diffusione e il dibattito che sta generando possano aiutare la comprensione e contribuire a determinare un cambiamento, la cui necessità è sempre più avvertita. I casi Fiorito, Maruccio, Lusi, Piccolo, non sono episodi isolati ma rappresentano manifestazioni di pratiche diffuse e condivise; la pressione che si sta sviluppando contro questi metodi va incoraggiata e il mio libro può rappresentare un utile strumento.
Il mio è una sorta di manuale, che può aiutare gli elettori romani (e non solo) nella scelta dei candidati, delle coalizioni e dei programmi alle prossime elezioni, ma anche a decifrare comportamenti che di solito sono incomprensibili per i cittadini.
Spero insomma di aver dato un piccolo contributo ad un cambiamento che non è più rinviabile.

Umberto Croppi ricordando Renato Nicolini ha affermato che “la libertà di pensiero, la curiosità, la capacità di approfondimento e un profondo senso di responsabilità nei confronti degli altri, sono le grandi doti che lo hanno sempre caratterizzato. Pur rimanendo coerentemente legato alla sua formazione politica, già durante il periodo in cui ricoprì il ruolo di assessore, Nicolini ruppe con una idea ferrea dell’appartenenza e della militanza, compiendo gesti di grande apertura e ricerca critica.”

Anche per Croppi possono ben valere queste parole. Se Nicolini è stato l’inventore dell’Estate Romana Croppi è stato l’inventore, oltre gli schieramenti, di una nuova e condivisa stagione culturale. Una stagione finita presto, ma che potrebbe ritornare con un diverso clima, dagli orizzonti più limpidi, attraverso un nuovo romanzo comunale scritto con le pagine della cultura, della chiarezza e del cambiamento vero. E, per dirla con Benedetto Croce “La conseguenza è invece il dovere di un atteggiamento, non certo impaziente, ma fermo e combattente”.