Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Combattere l’analfabetismo prima causa di povertà e disoccupazione. Contrastarlo sin dalla tenera età con strumenti dedicati e confezionati appositamente e con l’ausilio di esperti e pedagoghi che apportano il loro contributo volontariamente. Sono questi gli ingredienti del progetto di educazione ed istruzione per bambini e ragazzi, Plain Ink, la onlus creata dalla volontà e la dedizione di una giovane italiana, Selene Biffi, la quale ha deciso di lanciare questa start up sociale per diffondere il diritto primario dell’istruzione. L’esperienza nel mondo del volontariato per Selene si sposta dall’India all’Afghanistan, entrambi paesi in cui questo principio fondamentale non rappresenta una priorità per le istituzioni. L’obiettivo è far crescere giovani e bambini consapevoli della loro educazione e dotarli di un’adeguata preparazione per costruirsi un futuro lavorativo. Un progetto agli inizi ma molto ambizioso che ha ricevuto il Rolex Awards – Young Laureate di quest’anno, il premio conferito ai progetti visionari sostenibili e volti a cambiare migliorando disagi e problematiche sociali. Abbiamo parlato del futuro e obiettivi del progetto con Selene Biffi.
Partiamo dalla fine: cosa ha significato per te vincere i Rolex Awards, e qual è stato il percorso che ti ha portato sino a qui?
La vittoria dei Rolex Awards-Young Laureate, è stata un’emozione molto forte che ancora nello staff di Plain Ink non riusciamo a realizzare. È un sogno che si realizza, dal momento che è difficile ottenere un riconoscimento prestigioso da parte di un’istituzione disposta ad investire in un progetto considerato “visionario”. È sicuramente uno stimolo in più che ci spinge a portare avanti i nostri progetti che sono partiti quasi 10 anni fa. La prima start up che ho lanciato risale infatti al 2005: si tratta di Youth Action for Change, una piattaforma online gestita da giovani che forniscono online corsi gratuiti rivolti ad altri giovani. Un progetto nato con soli 150 euro, finanziamenti personali perché nessuna azienda o Ong ha voluto farsene carico.
I fondi raccolti grazie all’assegnazione del premio andranno al progetto della Qessa Academy a Kabul, una scuola dove i ragazzi afghani hanno l’opportunità di imparare la tradizione orale dei cantastorie. Perché hai scelto proprio l’Afghanistan per realizzarlo?
Plain Ink è la continuazione naturale di un impegno iniziato nel 2009 come consulente per le Nazioni Unite: l’incarico che mi era stato affidato era quello di realizzare un sussidiario per la sopravvivenza nei villaggi rurali, rivolto ai bambini afghani. Lo scopo era quello di spiegare in maniera pratica e concreta interventi che potessero aiutare a produrre sviluppo locale: argomenti quindi come salute pubblica, accesso all’acqua potabile, sicurezza alimentare. In un paese in cui il livello di alfabetizzazione è al 23% è stato subito chiaro che la struttura del sussidiario non era tuttavia quella più adeguata. Da questa considerazione è nata la mission di Plain Ink: quella di utilizzare le storie, servendosi del semplice layout del fumetto, per dare ai giovani e alle comunità tutte quelle conoscenze teorico-pratiche affrontando problemi legati alla povertà e all’esclusione sociale, in maniera flessibile a seconda di dove opera.
L’impronta innovativa del progetto è quella di portare istruzione di qualità con libri e materiali didattici creati appositamente per le zone dove sono destinati. Come vengono accolte le tue iniziative nei paesi in cui vengono realizzati?
Abbiamo scelto di operare in maniera differente rispetto alle altre associazioni, che in genere inviano i libri ormai in disuso da riutilizzare, innanzitutto perché in molti paesi l’inglese non è la lingua principale ed inoltre perché se si vuole realmente contribuire allo sviluppo dell’economia locale, bisogna produrre in loco, nella lingua autoctona e servirsi dell’ausilio di artisti e autori locali. Una sorta di editoria a kilometro zero. In India i nostri fumetti sono prodotti nelle Bidonville per i bambini che vivono in quel contesto e vengono distribuiti gratuitamente nelle scuole e nelle cliniche in quattro stati.
Diverso è il lavoro che faremo in Afghanistan con la Qessa Academy o Accademia delle storie (“qessa” in persiano vuol dire storie) che nasce con tre obiettivi: dare la possibilità ai cantastorie anziani di condividere la loro arte del sapere affinché questa possa essere preservata e tramandata alle generazioni più giovani; per le generazioni più giovani ( al momento abbiamo già una ventina di ragazzi disoccupati dai 18 ai 25 anni) offrire la possibilità di imparare lo storytelling tradizionale e di creare nuove storie nelle quali vengano contenuti messaggi di sviluppo; il terzo obiettivo è quello online. Oltre alla scuola vera e propria a Kabul esiste anche una piattaforma online sul sito di crowd sourcing in cui coinvolgere per la raccolta delle storie la diaspora afghana affinché possano raccontare e condividere le storie tradizionali che si sono portati dietro quando hanno lasciato il paese.
In che modo viene finanziato il tuo progetto? Il futuro del volontariato è il crowdfunding?
Il premio dei Rolex Award è finalizzato solo per la realizzazione della Qessa Academy e coprirà l’80% dei fondi necessari. Per quanto riguarda i finanziamenti, all’inizio siamo stati sostentati grazie all’aiuto della Only The Brave Foundation di Renzo Rosso, patron di Diesel. Tuttavia più che con il metodo del crowd funding (che rappresenta una delle tante modalità per reperire fondi, ma non deve essere considerata una panacea) per cercare di raccogliere fondi bisogna integrare la propria mission sfruttando molto la propria creatività per cercare tutti gli strumenti possibili, operando anche in partnership con altre associazioni.
Ci racconteresti qualche episodio in particolare che ti ha colpita durante la tua permanenza in India o in Afghanistan, che ti hanno confermato il valore e l’importanza di ciò che stai realizzando.
Ognuno dei progetti che si sono susseguiti in questi dieci anni mi ha riservato un episodio particolare: sapere ad esempio che grazie al lavoro che hai portato avanti dei ragazzi disabili in Ghana o in Nigeria sono riusciti ad aprire una cooperativa; oppure ritrovarti un villaggio in Afghanistan a tre giorni di macchina da Kabul, dove non ci sono insegnanti né libri ma delle ragazze intenzionate a studiare ingegneria o ostetricia per tornare un giorno in quello stesso villaggio e strapparlo alla povertà. Sono tanti gli episodi che ti fanno capire come l’istruzione può davvero aprire delle porte e dare la possibilità di creare qualcosa di meglio per se stessi e per gli altri. Penso sia questa la misura del successo.
L’istruzione e la formazione sono quindi perni fondamentali per far ripartire l’economia e lo sviluppo di un paese. Un concetto che forse l’Europa sta dimenticando?
In Occidente viene sottovalutata l’istruzione di base: è fondamentale non solo saper leggere e scrivere, che sono alla base dell’istruzione a livello primario, ma è necessario riuscire anche a diventare più attivi, capire che ognuno di noi ha un ruolo nel proprio villaggio e nelle proprie comunità di riferimento e che può esercitare nel suo microcosmo, al fine di contribuire al miglioramento del contesto in cui si vive. Il concetto fondamentale che fatica ad affermarsi è che l’istruzione è prima di tutto un diritto che spesso viene sacrificato per cause contingenti che ne impediscono la diffusione. L’istruzione (anche quella non formale) invece aiuta ad esprimere il proprio potenziale professionale. Le stime dell’indice di sviluppo umano redatto dalle Nazioni Unite, in cui sono riuniti vari indicatori di natura economica e sociale, affermano chiaramente che se l’alfabetizzazione di una paese è intorno al 23% se non addirittura più bassa, questa è correlata al livello di produzione e di possibilità economica del paese stesso. Più è bassa la correlazione, più il paese avrà difficoltà a svilupparsi a livello economico. È fondamentale avere delle capacità e delle conoscenze di istruzione base per poter partecipare attivamente nella società. Non si tratta solo di sapere leggere e scrivere, ma come il leggere e lo scrivere possono dare la possibilità di firmare contratti o capire la posologia dei farmaci. Attraverso l’acquisizione di abilità che sembrano banali, arrivano delle libertà professionali che forse si danno troppo per scontate. Noi di Plain Ink lavoriamo in dei paesi molto particolari, come l’India annoverato tra i Bric, la cui economia emergente ha avuto un boom ineguagliato negli ultimi anni, ma che è anche la patria in cui vive il 51% di analfabeti del pianeta, quasi 400 milioni di persone. O l’Afghanistan che, pur avendo il 23% di alfabetizzazione del pianeta, è considerata una delle cinque economie che crescono più rapidamente grazie agli investimenti stranieri.
Quale futuro avrà il progetto Plain Ink? Come ti auguri si evolverà e verso quali frontiere?
A me piace pensare che tra cinque o dieci anni ci venga chiesto di lasciare i posti dove lavoriamo perché non c’è più bisogno di noi. È importante non creare alcun tipo di dipendenza che sia economica, di conoscenza o di abilità. Vorrei che la scuola di Kabul venisse gestita in futuro dal Ministero dell’Istruzione e questo obiettivo cerchiamo di raggiungerlo, coinvolgendo le comunità locali e creando un senso di appartenenza: il progetto non deve essere costruito per loro ma con loro. Per questo noi formiamo insegnanti in loco. Per quanto riguarda la Qessa Academy questo obiettivo deve essere ancora più centrale perché nel dicembre 2014 le truppe Isaf e Nato lasceranno il paese, perciò la scuola dovrà avere almeno le basi per continuare ad operare in modo indipendente. L’accademia ufficialmente aprirà a marzo ma abbiamo già ricevuto molte domande di adesione.