Alessandro Barra, giovane designer torinese, ci racconta la sua “versione dei fatti”: il ruolo del design nella stretta attualità e la complessa situazione lavorativa nel suo ambito di ricerca

Ciao Alessandro, per iniziare…quali sono gli studi che hai portato avanti prima di diventare un designer?
Il mio percorso formativo è stato un pò movimentato, ma sempre caratterizzato da una vena creativa. Nel 2003 all’istituto tecnico ”La Salle” di Torino ho conseguito il diploma di geometra e nello steso anno mi sono iscritto al corso di studi in D.A.M.S. (discipline delle arti della musica e dello spettacolo) della facoltà di Torino frequentando un anno di corso. Il corso di studio non soddisfaceva la mia indole irrequieta, quindi decisi di abbandonarlo ed iscrivermi al Politecnico della mia città; ero indeciso su quale ”disciplina” indirizzarmi: se ad Architettura o Design. La scelta fu in parte influenzata dai miei genitori, entrambi architetti, quindi frequentai due anni del corso di laurea ”Architettura per il progetto”, ma mi si ripropose quell’irrequietezza ed insoddisfazione passata; ma nel 2009 ci fu la svolta. Ricordo ancora quel momento ero seduto su una panchina ed aspettavo il pullman per tornare a casa quando mi resi conto di una pubblicità dello IED (istituto europeo di design) non era sfarzosa ma mi rimase impressa il nome della scuola, ma soprattutto della parola design; decisi quindi di visitare l’istituto. Qui rimasi affascinato nel rendermi conto che le persone della scuola erano giovani ragazze e ragazzi creativi e finalmente mi sentii a casa.

Cos’è per te il design e, soprattutto…a cosa “serve”?
Il termine design al giorno d’oggi è usato in maniera avvolte impropria e discriminatoria; per indicare oggetti, creazioni per lo più appariscenti e costosi; per rendersi conto di quello che sto affermando basterebbe citare il personaggio di Fuffas interpretato da Maurizio Crozza, il quale durante uno sketch osserva una sedia affermando che non può trattarsi di un’oggetto di design perchè un vero oggetto di design per essere considerato tale non si deve comprendere.
Per me il design è un progetto, una soluzione creativa che fonde l’estetica e la funzionalità ma dove entrambi hanno un ruolo non subordinato l’uno all’altra, ma congiunto, indissolubile senza sfociare in manierismi o tecnicismi; dove la forma dell’oggetto e dettata anche dalla sua funzione ed il suo utilizzo risulta essere intuitivo, naturale dal fruitore; tutto ciò deve inoltre ”sposarsi” alle esigenze industriali: ripetibilità all’infinito del prodotto e produzione per la maggior possibilità d’utenza; inoltre per me il designer è un uomo che crea per l’uomo tenendo conto dell’uomo.

Quanto conta lo studio della storia del design nel tuo lavoro?
Per il mio lavoro lo studio della storia del design conta abbastanza ma non costituisce un punto d’arrivo bensì di partenza: prendo spunto nel mio lavoro,  nei designer che hanno fatto l’innovazione del prodotto o che la stanno facendo come Steve Jobs o Tokujin Yoshioka; a me interessa la loro visione progettuale, la loro sensibilità creativa ed il perchè siano arrivati ad una soluzione anzichè ad un’altra.

Qual è il ruolo del designer nella contemporaneità e quali le reali prospettive occupazionali?
Il ruolo del designer è quello di immedesimarsi, interpretare, estrapolare le problematiche o i desideri del committente; farle proprie e tradurle in soluzioni ed infine concretizzarle.
Per questo motivo il designer deve studiare la realtà circostante, la società e le sue esigenze e contaminazioni; infatti la produzione di un designer è quasi sempre contemporanea a ciò che vive ma con un occhio al futuro.
Le prospettive lavorative di questo mestiere possono essere suddivise in due situazioni principali: come dipendente, il designer mette la sua capacità e la sua creatività al servizio di un’unica azienda; oppure come libero professionista /free lance; qui la mente creativa potrà liberare la sua influenza creativa e mettersi in gioco affacciandosi al mondo del mercato com e individuo singolo o come gruppo collettivo tramite studi, studi associati, start up.
Uno dei suoi progetti a mio avviso più interessante è la seduta Pretaporter (nella foto), che fa emergere anche un senso di consistente precarietà.

Com’è nato questo lavoro?
Il lavoro è nato da un’osservazione: come può un oggetto testimoniare la presenza e l’esperienza del suo utente senza perdere o cambiare la sua identità?
Ho creato così una sedia (Pretaporter) che mantiene i ”valori solidi”, immutabili; la sua struttura in contrapposizione ai ”valori liquidi” di una ”società liquida” quali mode, passioni, rappresentati dai quotidiani, magazine; che il fruitore potrà conservare all’interno.
La grafica della seduta è variabile, mutabile in quanto è intrinseco nella natura stessa della rivista mutare nel corso del tempo; la seduta sarà testimone irreprensibile del continuo cambiamento della società.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il sogno di ogni designer è: sposarsi, mettere su casa, avere dei figli e possibilmente un cane… a parte gli scherzi quello che desidererei è di poter partecipare al salone di Milano; far conoscere al pubblico i miei lavori esponendo in negozi, gallerie e, perchè no, vincere il Compasso d’oro!!