Esistono molte eccellenze nel nostro Paese che operano senza che venga riservata loro la dovuta attenzione: un esempio è l’attività portata avanti dal Ministero dei beni culturali in sinergia con i nuclei dei carabinieri subacquei, che collaborano per scoprire e tutelare il grande patrimonio presente sotto le nostre acque, nonostante la spending review metta a dura prova la loro importante missione. Abbiamo perciò voluto dare la parola alla Dott.ssa Annalisa Zarattini, responsabile MiBAC del Servizio di Archeologia Subacquea e al Comandante Renato Solustri del Nucleo Carabinieri Subacquei di Roma.

Ecco come il Comandante Solustri ci ha parlato dell’attività svolta dal suo Nucleo. Nel prossimo articolo dedicato al tema sentiremo invece la voce della Dott.ssa Zarattini.

Comandante Solustri, quando nasce il nucleo subacquei dell’arma e quali sono le funzioni principali che svolge? Quanti nuclei come il vostro esistono oggi in Italia?

La nostra storia inizia nel 1953, quest’anno abbiamo il sessantenario. I subacquei nacquero con due nuclei: quello di Genova e di Napoli per espletare l’esigenza di portare l’attività di polizia giudiziaria anche in ambito subacqueo. Siamo stati i primi al mondo ad avere un organismo di polizia che si occupasse di ricerca di corpi di reato sott’acqua e per questo ci hanno chiamato anche all’estero. Siamo stati dei pionieri in tale ambito.
Il Nucleo di Roma è stato avviato nel 1960 con un barcone adibito ai carabinieri della polizia fluviale sotto il ponte Duca d’Aosta in occasione delle Olimpiadi: la gente che andava allo stadio Olimpico, passando sul ponte, doveva avere un presidio. Da lì il sistema si è evoluto e ora siamo una quarantina di ragazzi in tutta Italia: ci formiamo presso la scuola di istruttori di marina di La Spezia e dal Comsubin (comando subacqueo incursori); dopo sei mesi di scuola veniamo mandati al corso subacquei di Genova e veniamo specializzati in ricerche e refertazione di eventuali corpi di reato. Siamo pochi perché sia le visite mediche che il corso sono molto selettivi.
Eravamo a Roma fino a qualche anno fa in sei e poi siamo arrivati in otto grazie all’arrivo di un infermiere iperbarico, importante per soccorrere gli uomini in caso di incidenti.
A me piace definirci il “braccio bagnato del Maresciallo Rocca”: noi facciamo quello che fa il carabiniere per strada, ma in ambiente marino, lacustre e anche fognario, dato che spesso ci troviamo a fare ricerche anche in questi luoghi. Siamo un po’ dei RIS dell’acqua, che filmano, fotografo e raccolgono reperti per formare il fascicolo dell’indagine. Collaboriamo anche con il Ministero dell’Ambiente per combattere l’inquinamento, con il demanio per indagare su abusi edilizi, compiendo dunque operazioni di diverso tipo. C’è poi un reparto, il TPC (il nucleo Tutela patrimonio dei Carabinieri) che indaga sul trafugamento di opere archeologiche terrestri e noi ci occupiamo di tutela in ambito sottomarino, scandagliando 9.000 chilometri di costa e un mare ricco di reperti, considerato che la nostra penisola è stata la culla della cultura mondiale. Il nostro compito è quello di controllare i siti e di rinvenire anche altri reperti: i bronzi di Riace, del resto, sono stati scoperti proprio a seguito del pedinamento di una persona che si spostava in modo sospetto.

Ai vostri uomini è richiesta una grande specializzazione, ma nonostante l’attività peculiare che svolgete, state subendo tagli ingenti. Che tipo di difficoltà state riscontrando e in che modo le state ovviando?

Nuclei come il nostro ne sono rimasti pochi: fino a due anni fa ce n’erano a Roma, Genova, Napoli, Bari, Trieste, Messina e Cagliari. Poi i tagli della spending review hanno tolto il nucleo di Trieste, lasciando a quello di Genova l’intero Nord-Italia, ma si parla di chiudere anche quello di Napoli, Bari e Messina: noi 13 di Roma dovremo in tal caso gestire tutta l’Italia centro-meridionale con grande disagio per le nostre attività. In tal modo non potremo mai intervenire in modo immediato; ci sono i vigili del fuoco, ma non hanno la possibilità di svolgere compiti di polizia giudiziaria.
Dovremo dunque centellinare i lavori in cui intervenire, con nostro grande dispiacere. I ragazzi dei nuclei chiusi sono stati inoltre reindirizzati nelle centrali territoriali, che non rispondono certo alla loro propensione e preparazione, dopo anni di addestramento e attività subacquea. Il cittadino avrà perciò un disservizio e non un utilità, con perdita inoltre di capitale umano, costato all’amministrazione in formazione, davvero importante: pensare che anche l’Fbi chiede a noi come intervenire nelle ricerche subacquee.
Purtroppo allo Stato italiano non sembra interessare la nostra attività nel campo archeologico: la scoperta dei cinque relitti di Ventotene l’anno scorso, non è stata accolta come ci saremmo aspettati. Con la Dott.ssa Zarattini abbiamo stabilito una sorta di rotta ipotetica dei tempi antichi, quando Giulia, la figlia di Cesare, era stata confinata sull’isola: in tal modo abbiamo intercettato queste navi perfettamente conservate. Con una fondazione americana, disposta ad investire, abbiamo scoperto tali beni. Nella conferenza stampa di presentazione dei rinvenimenti, il MiBAC non c’era, mentre dall’estero chiamavano per poter visitare questi splendidi esemplari di navi romane.

Che tipo di sinergie ci sono con il MiBAC e le Soprintendenze per quel che concerne le attività di archeologia subacquea? Qual è l’ultima operazione di tal genere cui state lavorando?

Il Ministreo dei beni culturali aveva tempo fa un gruppo, lo STAS, il servizio tecnico di archeologia subacquea: visto che per queste attività si appoggiavano sempre a noi, hanno deciso di formare in ogni singola soprintendenza un subacqueo archeologo. Ai corsi tenuti a Giulianova, in Abruzzo, quindici anni fa, abbiamo formato il personale ministeriale per le immersioni, mentre loro ci hanno insegnato come riconoscere i reperti. Poi la cosa è stata interrotta, dopo un incidente sul fiume Velino subito da uno di questi archeologi e da allora si sono avvalsi completamente della nostra collaborazione. Il fatto che la capillarità della nostra presenza andrà a finire per la chiusura dei nuclei di Napoli, Bari e Messina, verrà meno una fetta importante di lavoro culturale, nonostante ci sia questa richiesta da parte delle soprintendenze, che non potranno mai andare a chiedere ad un privato di sopperire a tale attività per costi e autorizzazioni mancanti, come l’iscrizione ad un apposito albo, che noi invece abbiamo.
Per quanto mi riguarda, al fine di colmare queste lacune, stiamo facendo un’opera di sensibilizzazione con i diving, affinché venga rispettato il patrimonio subacqueo: abbiamo perciò coinvolto questi privati dando loro la possibilità di portare gruppi nei siti, ma responsabilizzandoli circa la tutela dei beni stessi, così da avere delle sentinelle private sul territorio, lì dove non possiamo intervenire noi; nel Lazio e in Sicilia, per lo meno, si sta procedendo così. Tali deleghe vengono concesse dalle soprintendenze, ma è uno dei modi attraverso cui poter fronteggiare le nostre mancanze.
L’ultima attività archeologica in cui siamo stati coinvolti riguarda le grotte di Tiberio a Sperlonga dove c’è un museo stupendo. Nelle acque antistanti è stato segnalato un grosso manufatto, talmente imponente che la soprintendente del luogo ci ha chiamato per sondarlo, proprio fuori dalle grotte di Tiberio. D’altronde non possiamo fare ricerche qualora non vi fosse la certezza di trovare qualcosa, per i già citati motivi di spese e costi.
Ritengo comunque che bisogna motivare le persone ad amare il patrimonio: a tal fine andiamo ad incontrare i bambini della scuole e li trovo davvero più attenti degli adulti. Speriamo dunque nelle nuove generazioni affinché si giunga ad una maggiore considerazione delle attività che ruotano attorno ai nostri beni culturali.