Esistono molte eccellenze nel nostro Paese che operano senza che venga riservata loro la dovuta attenzione: un esempio è l’attività portata avanti dal Ministero dei beni culturali in sinergia con i nuclei dei carabinieri subacquei, che collaborano per scoprire e tutelare il grande patrimonio presente sotto le nostre acque, nonostante la spending review metta a dura prova la loro importante missione. Abbiamo perciò voluto dare la parola alla Dott.ssa Annalisa Zarattini, responsabile MiBAC del Servizio di Archeologia Subacquea e al Comandante Renato Solustri del Nucleo Carabinieri Subacquei di Roma.

La Dott.ssa Zarattini ci spiega meglio in che modo il Ministero dei Beni culturali collabora con l’Arma e nello specifico con il Nucleo Carabinieri Subacquei di Roma, guidato dal Comandante Solustri.

 

Dott.ssa Zarattini, cosa si intende quando si parla di archeologia subacquea? Che posizione ricopre nel più ampio panorama dell’archeologia classica?

L’archeologia subacquea non è altro che l’archeologia che si svolge sott’acqua e per tale ragione gli archeologi devono utilizzare strumenti diversi, adatti ad un ambiente particolare.
Il patrimonio archeologico subacqueo comprende tutta la nostra storia, dalla preistoria ai nostri tempi, ed è quello che noi definiamo anche su base internazionale, visto che l’Italia ha ratificato nel 2009 la Convenzione Unesco per la protezione del patrimonio subacqueo. Il Ministero dei beni culturali è dunque impegnato a proteggere tutto il patrimonio che c’è anche nelle acque nazionali e internazionali.

Che ruolo svolgono i nuclei subacquei dei carabinieri per le vostre attività di studio? Che rilevanza ha la loro attività ai fini della ricerca e della tutela?

L’archeologo deve poter andare sott’acqua per analizzare il patrimonio e il MiBAC ha dunque costituito negli anni una sua struttura di archeologia subacquea con funzionari preposti a questo compito: sono stati quindi avviati dei corsi volti a formare il personale per abilitare le qualifiche ad andare sott’acqua secondo le normative di legge. Nei nostri decreti di immersione, sottoscritti qualche anno fa, è stato previsto che il Ministero sarebbe stato supportato dalle forze dell’ordine, e i funzionari che facevano delle immersioni sarebbero dunque stati seguiti dai nuclei istituzionali dell’arma. Questo perché, al di là dei cantieri di scavo programmati, le immersioni che noi facciamo sono per segnalazione, mentre per evitare che vengano rubati i reperti, gli interventi hanno bisogno di attivarsi nell’immediato: i carabinieri per noi sono allora degli “angeli custodi”; si lavora insieme, sebbene ciascuno per le proprie competenze. In tempo di spending review poi, il Mibac non disponendo di tutti gli strumenti necessari, ricorre all’arma per razionalizzare i propri servizi e servendosi dei mezzi a loro disposizione. Nel Ministero disponiamo di un nucleo tutela patrimonio culturale proprio nei carabinieri e utilizziamo i sommozzatori per interventi sott’acqua.
Attraverso il comando tutela patrimonio culturale dei carabinieri collaboriamo con l’arma in generale, mentre per quel che attiene nello specifico i carabinieri subacquei, essendoci formati insieme, essi sono in grado di agire anche in autonomia per i primi interventi: se nel corso di esercitazioni o altre operazioni trovano materiale archeologico, sanno perciò come procedere per metterlo in sicurezza; prediligono le esercitazioni su siti archeologici, così da controllare allo stesso tempo il patrimonio individuato; sanno come fare una scheda per segnalare l’eventuale presenza di reperti. Quando le soprintendenze fanno dei cantieri di scavo, la presenza di carabinieri è inoltre un deterrente per eventuali malintenzionati, interessati a rubare i beni. Negli anni i media in generale hanno dato molto rilievo alla scoperta del relitto o del tesoro rinvenuto nel mare, piuttosto che al nostro compito giornaliero di difendere il patrimonio, che è ben più impegnativo.
Il MiBAC attraverso il progetto Archeomar, sta poi realizzando un importante censimento di tutti i siti archeologici nelle acque italiane, intraprendendo un’indagine per controllare tutte le segnalazione dei nostri archivi, ma anche per rintracciare e trovare per primi reperti ad una profondità maggiore, ad una bachimetrica dai meno 100 in giù. Questi censimenti si fanno in maniera strumentale e i carabinieri partecipano con noi a tali ricerche che richiedono mezzi messi a disposizione dal Ministero tramite un bando di gara. Alla fine di questa mappatura si intende creare un database che raccolga le coordinate dei reperti, affidate poi alle forze dell’ordine che si occuperanno del controllo del patrimonio individuato.
Ottimizzando queste risorse nell’ambito dello Stato si può dunque giungere ad eccellenti risultati: questa piccola specializzazione che si fa insieme è diventato un piccolo fiore all’occhiello tutto italiano.

Qualora venga scoperto un sito archeologico sottomarino, come operate? Come vengono analizzati e trattati i reperti rinvenuti?

I beni culturali sottomarini sono soggetti a regole molto precise, così come sancisce la convenzione sul patrimonio culturale subacqueo Unesco. E’ prevista la protezione di tutto i reperti, anche della seconda guerra mondiale, per cui è necessario garantirne la conservazione, possibilmente in situ: una nave che affonda è una “capsula del tempo” ed è importante che nulla venga alterato, così da analizzare il materiale nel suo ambiente, senza portarlo in superficie, rendendolo l’ennesimo pezzo da museo.
I reperti rinvenuti ad una profondità di oltre cento metri vengono lasciati lì. Altri oggetti sono stati recuperati negli anni passati, dato che la convenzione Unesco è stata ratificata solo due anni fa e in passato c’era bisogno di riempire i musei: il problema è che il carico delle antiche navi è ingente e il restauro dei reperti ha dei prezzi esosi. Recuperiamo perciò qualcosa solo se siamo sicuri di poter restaurare il reperto che altrimenti si deteriorerebbe: preleviamo dunque dei campioni, ma si tende a lasciare il patrimonio sott’acqua perché si conserva meglio. L’azione del mare è corrosiva a seconda delle profondità: se la profondità è poca il materiale è a rischio per la vicinanza delle attività umane e per il movimento delle onde, che ha un effetto deteriorante. Se il relitto è invece a profondità molto ampie, non subisce il movimento delle onde, ed è dunque stabile; se venisse portato in superficie i sali si gonfierebbero e romperebbero il materiale, ma essendo ricoperto dalla sabbia è svuotato dall’ossigeno e questo ne consente la conservazione, come ad esempio accade per i semi, i frammenti di cuoio o corde che sono rimasti perfettamente inalterati. Sott’acqua si scava come in superficie e se si acquisisce tale possibilità è possibile anche non portare in superficie quel che si trova.
Qualora si rilevasse un reperto, la prima cosa da fare è comunque valutare se è a rischio o meno: nel primo caso si preleva facendo uno scavo. La guardia costiere fa un’ordinanza per la protezione del sito che, come un vincolo archeologico, proibisce di immergersi, di ancorare, ecc. Vincolato lo spazio, si danno una serie di regole atte a proteggerlo.
Tale preservazione deve esser ovviamente supportata da un’educazione in tal senso dei cittadini, come tentiamo di fare attraverso lezioni nelle scuole, insieme all’arma, e con una pubblicità positiva del nostro patrimonio. Stiamo cercando di organizzare visite guidate anche in siti non profondi in modo da valorizzare i reperti subacquei in loco, senza bisogno di prelevarli.

A tal proposito le chiedo un commento riguardo i sempre più diffusi musei sottomarini. Ritiene che si giungerà a questo?

Sì, credo proprio di sì. Dobbiamo pensare al futuro e a tal proposito le faccio l’esempio dell’isola di Ventotene. Lì abbiamo individuato cinque relitti perfettamente conservati: uno di questi è visitabile con un diving locale autorizzato, che organizza immersioni tre volte l’anno, rispettando una serie di controlli. Tutti coloro che hanno fatto tale esperienza sono rimasti stupiti della bellezza di tali testimonianze passate. L’intenzione è poi di porre una telecamera fissa, così come hanno fatto in Sicilia, per mostrare a tutti questo straordinario patrimonio.
Sono tanti i progetti realizzabili: manca solo una spinta di finanziamenti, al momento difficili da reperire, ma gli elementi per promuovere tali bellezze ci sono tutti; la tecnologia ci permette davvero questo e molto altro ancora. Possiamo affermare che tale settore è una nostra avanguardia e dobbiamo farlo sapere agli italiani perché in tale ambito sono stati fatti grandi passi avanti, difficili da trovare in altri campi. Con un piccolo sforzo in più raggiungeremmo importanti obiettivi. Per quel che attiene l’attività quotidiana, riusciamo a portarla avanti proprio grazie alla sinergie di forze con i carabinieri e gli altri apparati statali.