A grandi linee quale fosse il problema fondamentale che prima o poi avrebbe portato alla rottura del sistema lo sapevano tutti: nonostante sia stata approvata una legge che lo vieti, come fa una fondazione a detenere ancora la maggioranza azionaria di una banca? E non si tratta di un caso limitato alla sola Fondazione Monte dei Paschi, la cui partecipazione alla Banca Monte dei Paschi sino allo scorso anno raggiungeva quota 45%, per scendere all’odierno 33 %, perché il sistema delle Fondazioni bancarie, sebbene ci sai stato un tentativo di blocco nel 1999, continua a proliferale in un contesto in cui l’unico ente adibito al controllo è il Ministero dell’Economia e non un’Authority dedicata di cui si auspica l’avvento da sempre.

Probabilmente se non fosse stato reso noto il buco di bilancio maturato dall’istituto bancario toscano nel lontano 2005/2006, quando il presidente era Giusepe Mussari, appena dimessosi dalla presidenza dell’Abi (Associazione Bancaria Italiana) e alla guida della Banca d’Italia c’era invece Mario Draghi, l’indissolubile e problematico intreccio tra banche e fondazioni non sarebbe mai tornato alla cronaca. I fatti piuttosto noti che stanno monopolizzando il dibattito elettorale in questi giorni sono noti:

1)Mps ha acquistato Antonveneta pagandola più del prezzo di mercato, per un ammontare di 9 miliardi, gravando in questo modo sul proprio bilancio e contribuendo così alla creazione del passivo (non era stata effettuata infatti una due diligence preventiva adeguata per accertare la possibilità effettiva del patrimonio bancario di poter fare questa acquisizione)
2)Per mascherare le perdite di 220 milioni di euro Mps si affida alla banca giapponese Nomura che acconsente a comprare la perdita, chiedendo i cambio però che l’istituto senese investisse in un operazione rischiosa, l’acquisto di Btp italiani a termine trentennale.

Nel pieno della bufera che sta investendo i vertici dell’istituto, la Fondazione non è rimasta illesa: il coinvolgimento del consiglio d’amministrazione dell’istituzione no profit nel deficit bancario difatti è piuttosto evidente, dal momento che la principale detentrice delle azioni bancarie era proprio la suddetta Fondazione, attraverso i componenti del suo consiglio d’amministrazione (come da statuto infatti questo è l’unico organo che può dirigerla, essendo l’assemblea di controllo non prevista).
Il rapporto reciproco do ut des tra istituto bancario e fondazione all’interno del territorio senese era piuttosto noto e mai tenuto nascosto. La fondazione Monte Paschi, infatti, oltre a detenere le azioni di uno degli istituti bancari più antichi al mondo e esserne imprescindibilmente legata da un rapporto di simbiosi dalla sua nascita, è tecnicamente una fondazione di erogazione: non solo gestisce la propria amministrazione, ma finanzia inoltre enti esterni che perseguono il suo stesso fine. L’elenco degli enti sovvenzionati dalla fondazione senese è piuttosto cospicuo e comprende enti, associazioni, biblioteche, circoli, tutti situati nel territorio di Siena a Provincia. Non solo: la Fondazione ha da sempre ricoperto un ruolo di primo piano, attraverso Mps, per il sovvenzionamento del celebre e tradizionale Palio della città (255 mila euro l’anno), confermando il suo radicamento molto forte per l’economia e l’organizzazione culturale del territorio circostante.

Non a caso, dunque, il crack bancario sta travolgendo l’intera città di Siena con tutte le strutture che dipendevano dal connubio banca- fondazione. Con il suo ferreo controllo inoltre nelle fila e nella gestione della banca, non cedendo in alcun caso il suo capitale azionario da poter rivendere ai privati, la Fondazione in questi anni ha praticamente impedito la ricapitalizzazione del patrimonio bancario, impedendone così il rientro del debito: mantenendo il 33% dell’azionariato infatti, questa ha mantenuto il controllo delle assemblee straordinarie. Eppure in questi giorni il consiglio d’amministrazione dell’ente no profit sembra intenzionato a tornare sui suoi passi e probabilmente non è un caso: ormai la ricapitalizzazione della banca è ritenuta una via d’uscita necessaria, alla luce dei gravi dissesti emersi dall’inchiesta in corso, e la Fondazione si è addirittura offerta a cedere il 10% delle proprie azioni. Probabilmente non solo per permettere l’aumento di capitale, ma evidentemente anche per allontanare il sospetto delle dirette responsabilità ricoperte in questa vicenda.

Quale sarà quindi il destino della Fondazione non è dato saperlo e chissà se questi ultimi avvenimenti abbiano definitivamente spianato la strada ad una riforma vera e propria che porti alla separazione dei rapporti tra fondazioni ed istituti bancari, come auspicato da tempo. Perduto il controllo nella gestione dell’istituto bancario, attraverso quali mezzi la fondazione continuerà a finanziare i suoi numerosi progetti e a concedere erogazioni? Intanto a risanare le casse della banca Monte dei Paschi ci sta pensando lo Stato italiano, attraverso l’emanazione di 3.9 miliardi di Monti Bond, fondi solo prestati come ha tenuto a precisare il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, che dovranno essere restituiti con un tasso d’interesse del 9% il primo anno sino ad aumentare dello 0,5% negli anni successivi, sino ad un massimo del 15%. Ma come potrà una banca così indebitata ripagare i suoi passivi con interessi così onerosi? La Fondazione si sta ritirando nel momento opportuno, per non finire forse la sua gloriosa storia insieme alla banca di cui ha mantenuto le redini, ma d’altra parte troppo in ritardo, perché uscendo prima di scena avrebbe attenuato la propria sfera d’influenza e consentito un futuro diverso all’istituto di credito, che non meno di due anni fa, prima di acquisire Antonveneta, stava per fondersi con Bnl.