In piena campagna elettorale, sono stati numerosi i riferimenti a fondi europei e a programmi per un futuro che appare “bipartisanamente” incerto. Superato il confine italico, tuttavia, i disegni sembrano essere molto più chiari di quanto appaiano nello stivale, e tematiche come Digital Agenda, Social Innovation e Smart Cities perdono il mitico alone nostrano per trasformarsi in progetti ed iniziative molto strutturate su tempi, risorse ed obiettivi. Europe 2020, la Strategia comunitaria del decennio, ha categorizzato i propri obiettivi di crescita secondo tre direttrici: crescita smart, sostenibile ed inclusiva.

Queste direttrici sono finalizzate al raggiungimento di obiettivi concreti da perseguire entro il 2020: un tasso di occupazione tra le fasce di popolazione tra i 20 ed i 64 anni pari al 75%, il 3% del Pil investito in Ricerca e Sviluppo, il 20/20/20 delle energie ambientali (riduzione delle emissioni di gas serra, utilizzo di energie rinnovabili, aumento delle efficienza energetica), diminuzione dell’abbandono scolastico e aumento dei laureati (almeno il 40% della popolazione tra i 30 e i 34 anni), e riduzione dell’esclusione sociale e della povertà.

Per raggiungere tali risultati l’Unione Europea ha sviluppato una serie di strumenti tra i quali primeggiano le “iniziative faro”. Per la Crescita Smart sono tre le iniziative previste: la Digital Agenda for Europe, l’Innovation Union, e l’iniziativa Youth on the move.

Nel dettaglio, l’Agenda Digitale è costituita da 101 azioni programmatiche raccolte in 7 pilastri principali, ognuno dei quali è volto a limitare delle carenze che in fase di progettazione della Strategia Europa 2020 sono state evidenziate. Lo scopo dell’Agenda Digitale è quello di ottenere vantaggi socioeconomici sostenibili grazie ad un mercato unico basato su elevati livelli di connessione e su applicazioni interoperabili. Per raggiungere tali obiettivi è stata strutturata una timeline pianificata di azioni da realizzare con controlli a breve, medio e lungo termine. La prossima scadenza sarà il 2015 e l’Italia non mostra rosee prospettive in merito al raggiungimento degli obiettivi fissati. (vedi immagine).

L’immagine mette in evidenza alcune tematiche degne di riflessione: la prima è la mole di lavoro ancora da svolgere, in particolar modo nel rinnovamento della Piccola e Media Impresa (di fatto solo il 3% circa delle PMI allo stato attuale ha un servizio di vendita online); l’altra è che, gli scopi che l’Agenda Digitale persegue includono ma non si esauriscono con i servizi di e-government che tanta attenzione hanno richiamato presso la nostra stampa. In merito a questa specifica tematica, inoltre, è da dire che l’Italia fa parte degli unici 6 Stati Europei ad aver raggiunto l’obiettivo di fornire la totalità dei servizi di base (100%) attraverso l’e-government a cittadini ed imprese, mentre è al penultimo posto per quanto riguarda il loro utilizzo (con solo il 22,2% della popolazione), così come è tra gli ultimi posti nella graduatoria che misura l’utilizzo della rete.

Altro discorso è quello che riguarda le Smart Cities e la Social Innovation, che spesso vengono citati congiuntamente ma non sempre in maniera esatta. Nate a seguito di uno studio del 2007 che misurava le città di media dimensione su sei variabili (Smart Economy, Smart People, Smart Governance, Smart Mobility, Smart Environment e Smart Living), le Smart Cities si sono imposte nell’immaginario collettivo come il nuovo paradigma della città del futuro, in cui tutti gli elementi prioritari della Strategia Europa 2020 convergono. Questo paradigma, che ha dato vita a disparate proposte e ad altrettante classifiche, non trova immediata attuazione nel programma comunitario omonimo (Smart Cities and Communities).

Le Smart Cities and Communities costituiscono, infatti, una delle 5 European Innovation Partnership (EIP) che rientrano, a loro volta, tra le iniziative chiave della Innovation Union. Questa EIP, che vede uniti i settori Technology, Innovation e ICT, prevede a fronte di uno stanziamento di fondi pari a 365 milioni di euro, l’istituzione di azioni volte a “catalizzare i progressi in aree in cui Energia (produzione, distribuzione ed utilizzo), Sistemi di Mobilità e Trasporto, e ICT sono intimamente collegate e offrire nuove opportunità interdisciplinari per migliorare i servizi e, contemporaneamente, ridurre il consumo di risorse, energia, gas serra (GHG) ed altre emissioni inquinanti”  . Tali iniziative prevedono ovviamente anche l’installazione di prototipi che, se positivi,  andranno a costituire delle risorse disponibili per l’intera comunità europea.  Inoltre, le azioni promosse dovranno avvalersi di attività di Social Innovation mirate alla diffusione dei progetti realizzati, e non, di azioni di Social Innovation tout court.

Queste ultime saranno invece implementate attraverso l’Urbact, il programma Europeo di scambio e apprendimento che promuove lo sviluppo urbano sostenibile. In seno a questo programma è nato il progetto “Citizen Innovation in Smart Cities” che ha come obiettivo principale quello di sviluppare un nuovo modello di offerta di servizi pubblici progettati in accordo con i cittadini in un processo di open innovation. Sia le Smart Cities che la Social Innovation stanno subendo la sorte di identificare contemporaneamente lo strumento e l’obiettivo. Per riuscire a massimizzare i potenziali benefici dell’uno e dell’altro, è forse utile tenerne chiari i confini.