Musica classica e pubblico italiano: un rapporto di amore e odio molto difficile, che vive di alti e bassi e che, senza dubbio, discrimina in misura maggiore i più giovani. Una constatazione che fa male per un Paese che ha dato i natali ad alcuni dei più grandi personaggi della storia della musica classica. Un problema che, a quanto pare, sembra difficile da risolvere.
Persino le politiche di prezzo lanciate da alcuni teatri storici, come il San Carlo di Napoli che propone forti sconti per gli “under 30”, sembrano non riuscire ad arginare il fenomeno continuo di disaffezione da parte delle nuove generazioni verso un tipo di musica che, per quanto possa non piacere, rappresenta la base fondamentale per tantissimi artisti e gruppi musicali di oggi.
Le ragioni di questa distanza sempre più grande e, sembra, incolmabile, sono tante, forse anche troppe per essere elencate nel breve spazio di un articolo. Senza dubbio, si tratta di un linguaggio artistico diverso da quello che i giovani di oggi sono abituati a sentire, tra pop, rock, dance e così via. E sicuramente gioca un ruolo pesante anche l’odore di “vecchiume” che emana la classica, ancora ovattata e rigida nei suoi costumi, quasi incapace di innovarsi e proporre qualcosa di nuovo e fresco.
Ma proprio in merito a quest’ultimo punto, va detto che qualche segnale, in realtà, si è intravisto: basti pensare alla scelta della Rai di aprire e chiudere il Festival di Sanremo (davanti a milioni di spettatori) con Verdi e Wagner, dei quali si festeggia il bicentenario della nascita, oppure ancora si può ricordare il grande successo di pubblico dello spettacolo “Red Bull Flying Bach”, dove ballerini di breakdance si sono esibiti sulle musiche di Bach.

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E qui bisogna fare una riflessione: il sold out delle due date italiane a Firenze e Torino dimostra che non è vero che gli italiani odiano la musica classica, anzi, la rispettano e sono ben felici di poterla conoscere da vicino qualora ne abbiano la possibilità. È una questione, ancora una volta, di linguaggi differenti: inutile far ascoltare ad un adolescente un’opera di Verdi, perché non riuscirà a capirla senza gli strumenti giusti e soprattutto non riuscirà ad apprezzarla perché troppo lontana dal suo modo di intendere la musica.
La soluzione al problema potrebbe allora essere questa mostrata dai Flying Steps (i ballerini impegnati nello spettacolo promosso dalla Red Bull): avvicinare i giovani alla classica con le tendenze musicali più moderne. Sembra una follia, ma in realtà è un processo in atto da quasi mezzo secolo…
Nel 1968, ad esempio, il compositore Walter Carlos (che cambiò sesso pochi anni dopo, diventando la più famosa Wendy Carlos) pubblicò il suo primo album, “Switched-On Bach”, destinato a entrare nella leggenda per diversi motivi. Si tratta, infatti, del primo album della storia composto interamente con un sintetizzatore. Erano gli anni in cui il leggendario Robert Moog aveva realizzato e messo sul mercato un nuovo strumento musicale, il synth appunto, capace di offrire al musicista possibilità di espressione infinite, grazie all’intervento diretto sul suono e sulle sue molteplici caratteristiche.

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Quell’album, che ha venduto mezzo milione di copie e si è aggiudicato tre premi Grammy, era non solo una prova del virtuosismo artistico di Carlos, ma anche una chiara dimostrazione della rivoluzione che quello strumento (in quel periodo molto ingombrante, oggi di meno) avrebbe portato nel mondo della musica.
Il titolo suggerisce tutto: Carlos non ha fatto altro che suonare musiche di Bach con un sintetizzatore, portando su un nuovo piano sonoro l’esperienza della musica classica.
Anche nella nostra epoca c’è chi ha scelto, con un coraggio che alla fine è stato premiato da critica e pubblico, di far parlare la classica con il linguaggio dell’elettronica. Un caso su tutti: il produttore inglese William Orbit.

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Un personaggio straordinario, con una carriera gloriosa alle spalle, costellata di premi, riconoscimenti e numerose collaborazioni (Madonna, giusto per fare un nome).
Nel corso dell’ultima decade, Orbit ha pubblicato due album intitolati “Pieces In A Modern Style”: anche in questo caso, il titolo tradisce l’ambizione del progetto discografico.

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I due lavori, infatti, raccolgono alcuni dei principali brani classici, tra cui “Adagio For Strings” di Barber, “Inverno” di Vivaldi, “Cavalleria Rusticana” di Mascagni, “Peer Gynt” di Grieg e “Nimrod” di Elgar (brano che è stato riadattato in chiave dance anche dall’artista inglese Chicane), reinterpretati in ottica moderna, con i linguaggi della musica elettronica più pura. Largo quindi ad arpeggi, batterie elettroniche, effetti sonori a volontà…

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I puristi della classica griderebbero allo scandalo, ma ascoltare queste tracce con una veste moderna è tutt’altro che deplorevole. Anzi, il risultato d’insieme è molto piacevole e, cosa più importante, ha il grande merito di avvicinare un pubblico giovane a un tipo di musica che, altrimenti, non ascolterebbe mai. Anche perché i ragazzi più intelligenti e curiosi, dopo aver ascoltato il pezzo in versione moderna, tentano di risalire alle origini e ascoltare il brano originale. Ed ecco, quindi, che si innesca un meccanismo automatico e a volte anche casuale di conoscenza della stessa musica classica. Perché non seguire con più tenacia questa strada?