Chi ha detto che con la cultura non si mangia, si sbaglia. Lo dimostra il food raising -si scrive così, in assonanza con il fund raising-, un sistema di finanziamento dal basso che raccoglie fondi per sostenere progetti culturali attraverso l’organizzazione di pranzi e cene.
L’idea nasce nel 2007 a Chicago, dal collettivo Incubate, che lanciò le Sunday Soup, pranzi domenicali nei quali un gruppo libero di partecipanti si raduna per condividere il pasto e per votare una serie di progetti culturali e artistici. Chi raccoglie il maggior numero di consensi ottiene il ricavato del pranzo, al netto delle spese per le materie prime, e può realizzare la propria proposta.
Il format ha subito riscosso un notevole successo ed è stato esportato in tutto il mondo, tanto che oggi gode di un network globale.
Nel nostro Paese si è diffuso grazie a Katia Meneghini, coordinatrice dello studio milanese di design Cntrlzak, che ha dato vita, per l’occasione, a Tavola Periodica. La piattaforma ha sviluppato, in location e città sempre diverse -da Milano a Siracusa-, brunch domenicali ad ingresso libero. In ciascun luogo si è guardato alle esigenze locali, raccogliendo e selezionando quei progetti di artisti o di creativi che proponessero una ricaduta positiva sul territorio.
I potenziali fruitori possono partecipare al pranzo come commensali con una quota minima di 20 euro e assegnare il proprio voto al progetto che preferiscono. Il numero ridotto di partecipanti, tra le 50 e le 90 persone, non favorisce un ricavato in grado di coprire tutte le spese per la realizzazione dei progetti, ma garantisce comunque una fonte di finanziamento, oltre a creare una rete di contatti e a inaugurare spazi in cui la discussione e il confronto si uniscono alla convivialità.
Un simile esperimento si è verificato anche a Bologna con Cosa bolle in pentola?, una rete locale nata in seno all’organizzazione culturale Ossigeno, che ha fatto della sostenibilità la chiave di volta della propria attività. Le iniziative, temporaneamente sospese nell’attesa che nuove forze si uniscano al collettivo, fino all’anno scorso riscuotevano il successo di un pubblico ampio sia per la qualità delle pietanze, realizzate con materie prime a chilometro zero, sia per i progetti, vicini alle esigenze del territorio. Le proposte premiate rispondevano infatti a criteri di sostenibilità, coinvolgimento della comunità e miglioramento delle condizioni di vita. Tra i vincitori Trame Urbane, progetto di Guerrilla Gardening, o Film Voices, servizio che aiuta i non vedenti a fruire di film attraverso il racconto orale.
Queste iniziative che dialogano con il territorio si rivelano alternative valide nel momento economico attuale, in cui il contributo pubblico alle sperimentazioni artistiche è scarso e il supporto privato viene per lo più indirizzato al finanziamento di strutture già istituzionalizzate. Il food raising trova al contrario la sua specificità nella partecipazione collettiva di un’utenza diversificata e stimola la creatività di chi vi prende parte tramite processi informali di socializzazione e coinvolgimento. Se da un lato cerca di far muovere risorse, dall’altro costruisce rapporti e legami tra persone e si dimostra piattaforma di condivisione comunicativa e collaborativa. Un modello che può e deve trovare maggiore spazio nel nostro Paese, non solo per ragioni di opportunità e contingenza, ma proprio in virtù del fatto che la cultura del cibo e dello stare insieme a tavola è qui di casa.