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Il 3 maggio 1913 il film muto “Raja Harishchandra”, prodotto e diretto dal ‘padre del cinema indiano’, Dada Saheb Phalke, fu proiettato per la prima volta al Coronation Theatre dell’allora Bombay. Il film, narrazione epica tratta dal Mahabharata, uno dei più importanti poemi della letteratura indiana, è stato presentato il 9 dicembre a Firenze, nell’ambito del XII Indian Film Festival, River to river. Al cinema bollywoodiano è stata dedicata quest’anno, dalla Fondazione Roma, un’ampia rassegna al Teatro Quirinetta, ma in Italia i film indiani non vengono acquistati, così Bollywood corre soprattutto nella rete e da qualche anno trovano spazio anche in tv nella programmazione estiva della Rai, seppure tagliati soprattutto in ciò che hanno di più caratteristico: musiche e danze, a causa della loro consueta durata di 3 ore circa. Eppure l’industria del cinema indiano inizia ad approdare anche nel nostro Paese, set sempre più selezionato dai cineasti indiani, a caccia di locations esotiche che diventano richiamo turistico per il ceto più abbiente. Non dovremmo sottovalutare il cineturismo indiano, lo hanno ben compreso le agenzie di consulenza e produzione che si stanno affacciando a questo mercato, pronte a collaborare con l’esigente, ma ricca, macchina cinematografica indiana.
In India già da un anno sono iniziate le celebrazioni per l’anniversario della nascita dell’industria cinematografica più ricca del mondo, con cifre, ogni anno, da capogiro: oltre 1000 film prodotti (quasi il doppio di Hollywood), oltre 2 miliardi di dollari di incassi, destinati presto a raddoppiare, circa 20 milioni di biglietti venduti al giorno soltanto in India, un potenziale pubblico di quasi un miliardo e mezzo di individui e un’esportazione in oltre settanta paesi. Numeri che se da una parte hanno attirato Hollywood e le majors statunitensi come Fox e Disney, dall’altra destano preoccupazioni nei registi indiani più impegnati che sempre meno vedono rappresentata nel cinema nazionale la ‘Madre India’ con la complessità e diversità di un paese con 20 lingue ufficiali. Un tale business ha suscitato anche l’interesse della mafia locale che, attraverso i movimenti dell’enorme massa di denaro intorno ai film, ha riciclato il quello ‘sporco’, proveniente da traffici illeciti (droga, armi, contrabbando etc.).
Per questo centenario a New Delhi è stato organizzato un Festival con la proiezione dei classici del cinema indiano, un’appetitosa sezione dedicata alle versioni inedite dei film tagliati dalla censura (la cui autorizzazione appare per qualche secondo all’inizio di ogni proiezione) e un’anteprima del materiale – esposto nel foyer del predetto festival, insieme alla rappresentazione della storia del cinema locale – di quello che sarà il Museo Nazionale del cinema indiano (NMIC) di Mumbai, città che metterà in mostra l’evoluzione di tale industria. Un primo allestimento riguarderà una porzione di Gulshan Mahal, un edificio storico rinnovato recentemente e secondo il curatore coinvolto nel progetto, Amrit Gangar: “Il museo avrà una visione olistica del cinema indiano, dove sarà visualizzata la molteplicità dell’arte…”.
Tra le tante iniziative si segnala il progetto, frutto di una collaborazione di una compagnia di Dubai e di un produttore di Bollywood, di un parco a tema dedicato al cinema: Dubai Adventure Studios, con inevitabile riferimento a quelli statunitensi.
In Europa il centenario sarà celebrato soprattutto a Cannes, dove Bollywood è “special guest” al 66° Festival del Cinema (15/26 maggio) con quattro cortometraggi dedicati ai suoi 100 anni, raccolti nella pellicola Bombay Talkies (di quattro registi: Karan Johar, Zoya Akhtar, Dibakar Banerjee e Anurag Kashyap). Amitabh Bachchan ha sottolineato l’evoluzione del ruolo dell’attore indiano, all’inizio appartenente agli strati più bassi della società mentre oggi anche tra i livelli sociali più alti i giovani ambiscono ad un ruolo nell’industria cinematografica. Bombay Talkies è già stato valutato positivamente dalla critica indiana, il ritmo è rapido, tutt’altro che letargico e Anupama Chopra di Hindustan Times ha affermato che è un esperimento unico che funziona molto bene e che la collaborazione tra questi quattro grandi registi indica un affiatamento raro nel settore anche soltanto una decina di anni fa. Attendiamo di conoscere come sarà accolto dalla critica occidentale.
Se il cinema impegnato di Satyajit Ray ha avuto riconoscimenti internazionali – la Trilogia di Apu vinse sette premi nei festival di Cannes, Berlino e Venezia – il cinema bollywoodiano vince nei numeri. Ma qual è il segreto del suo successo? Si tratta di commedie che tranquillizzano la società, film d’evasione dalla realtà, film ‘puliti’ senza scene di sesso che tutta la famiglia può vedere, in cui sono assenti le fratture o le fughe, i conflitti sociali o generazionali si ricompongono, trionfa il patriottismo, la famiglia, la figura della madre e il finale pacificatore/positivo è sempre garantito.
Sarà questa la risposta cinematografica alle esigenze di una società multietnica?