Costruito alla fine degli anni Sessanta, l’Istituto dei Sordi di Pianezza è una di quelle strutture educative, di impronta religiosa, in cui il rigore degli ambienti è antitetico all’avanguardia dei progetti di educazione per la disabilità che vengono realizzati.
In quell’insolito luogo, il 9 maggio, cento giovani talenti di UniCredit provenienti da 22 Paesi, concluderanno un percorso di apprendimento organizzativo con Unimanagement, l’innovativo centro di sviluppo della leadership del Gruppo, con quartier generale a Torino.
In una giornata, in collaborazione con i semiologi e la popolazione sorda dell’ente, risignificheranno le pareti con le idee e i linguaggi delle arti, creando 1000 mq di wall painting, condotti dal Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli, con un tema caro allo storia dell’arte: il giardino.

Si tratta di un “community work”, una originale formula di teambuilding che mette a sistema i diversi membri di una comunità – l’impresa, le istituzioni culturali e i luoghi identitari di utilità sociale – per costruire insieme un progetto che trasformi il destino di un luogo partendo dall’energia propulsiva dell’arte.
In cabina di regia c’è Catterina Seia, l’ideatrice e responsabile di UniCredit&Art fino al 2010, ed oggi protagonista di progetti di innovazione sociale a base culturale, che con il Gruppo prosegue la collaborazione con l’art-based learning, inserendo le arti e le scienze sociali nei progetti formativi. “L’idea ispiratrice è che si guardi all’arte oltre la dimensione decorativa, di intrattenimento o di investimento, e la si collochi come strumento per stimolare il pensiero, l’apertura al nuovo, l’atmosfera creativa – per citare le più recenti frontiere della ricerca – sia all’interno di una comunità che all’interno delle organizzazioni” dice Catterina Seia che, per le imprese traduce questo approccio in strategia.

Dal 2010, per UniManagement ha costruito una serie di partnership in ottica di cooperazione territoriale: con l’Accademia Albertina, il Castello di Rivoli, La Filarmonica 900 del Regio, la GAM e Palazzo Madama. “L’impresa che si alimenta delle idee e delle visioni delle arti si rilegge e trova al suo interno nuove risorse” afferma la cultural manager, aggiungendo che molte imprese che lavorano con le arti, non hanno ancora esplorato, oltre alle pubbliche relazioni, alla visibilità del marchio per le sponsorizzazioni – il contributo alla cultura d’impresa. “Gli adulti apprendono dall’esperienza, facendo” e il modello di Unimanagement si basa sull’esercizio della creatività rispetto alla soluzione di problemi reali, sugli stimoli alla collaborazione, attraverso un approccio interdisciplinare che coinvolge tutte le scienze sociali: antropologia, filosofia, musica, arte visiva, cucina.

In UniManagement si vuole dare alle persone “la possibilità di tirare fuori ciò che sanno, come la pensano e perché la pensano in quel modo. Poi partire da quello per permettere un’evoluzione di pensiero, nuovi comportamenti e visioni” spiega Anna Simioni, CEO di UniManagement. “Le persone che non hanno la percezione che la loro vita serva per imparare e migliorare, ma semplicemente per fare , rischiano di assumere comportamenti protettivi della propria identità che non permettono di far emergere il loro vero talento” continua Simioni, spiegando come la scelta di lavorare in maniera esperienziale con un approccio basato sulle arti, serva per “orientare le persone, permettere loro di esplorare, di costruire il loro punto di vista e poi di sostenerlo”.

Del resto, il quartier generale di UniManagement a Torino, disegnato dall’architetto americano Matt Taylor, è di per sé atipico. Tutto ruota intorno all’agorà, la piazza centrale dove si realizzano le assemblee plenarie dei workshop. L’edificio, che si sviluppa in spazi per lo sforzo cognitivo e la decompressione, è un luogo dove il design arriva alla radice della pòlis e crea un ambiente libero, favorevole all’incontro con l’altro, democratico.

“Lo spazio serve da esempio per ricordare che nella dimensione quotidiana si possono fare le cose che non hai mai fatto, in modo diverso, che si può scambiare senza competere. Se l’esperienza esce dal nostro centro ed entra nella vita fa rottura di paradigma” conclude Simioni. Ecco, dunque, la potenzialità del community work: impegnarsi in un progetto a forte valore sociale, al di fuori delle proprie zone di comfort, delle proprie specializzazioni, immergendosi in mondi altri. La situazione genera un impatto emozionale nei partecipanti che traducono le loro competenze organizzative in modo nuovo, come cambierà il modo di vivere quel determinato luogo per la propria comunità.
L’Istituto dei Sordi arriva dopo la costruzione dei giardini in Barriera di Milano, la trasformazione dell’Ospedale Sant’Anna, la risposta all’emergenza rifugiati costruendo mobili per il CISV e che, nelle parole di Seia è una nuova sfida “per aiutare le persone a riappropriarsi del piacere di imparare, mettendosi sempre in discussione e meravigliandosi di se stessi. Insieme, tutto diventa possibile”. Un modello che, nell’intenzione degli organizzatori, verrà esteso ad altri luoghi di cura. Un modo nuovo, anche per le istituzioni culturali, per dare valore agli investimenti delle imprese.