Appena entrati, già di fronte alle prime foto, si è assaliti da così tanta bellezza che ti sembra di vedere il paradiso, ma non essendo a colori ti chiedi se esiste veramente ciò che vedi fotografato in bianco e nero oppure è il risultato di effetti o montaggi di qualche tipo. Più ti avvicini, vedi più foto, e scopri che stai vedendo il tuo Pianeta così com’è, la nostra natura e chi vive in sintonia con essa, la ‘casa’ di tutti. Stai ammirando semplicemente il tuo habitat, la Terra com’è ancora oggi e non quella dell’era giurassica: allora le emozioni, che lo scetticismo e il tuo quotidiano essere cittadino tenevano a freno, esplodono e non puoi non commuoverti per così tanta bellezza.

Non si esce dalla mostra“Genesi” di Sebastião Salgado all’Ara Pacis di Roma semplicemente appagati dalla poesia di queste immagini, ma si inizia a sperare e a volere un futuro diverso. Ecco la via tracciata dal maestro nella sua intervista in occasione dell’anteprima dell’esposizione, che sarà ospitata in oltre 30 musei del mondo, per proteggere quella parte del pianeta ancora integra, forse il 45%.

Nell’intervista Salgado si è soffermato sui 13 anni trascorsi dalla sua ultima mostra alle Scuderie del Quirinale, “In cammino”, che è stata per lui un lavoro lungo, durato 7 anni, e difficilissimo, a causa delle violenze e brutalità cui ha assistito in giro per il mondo, tanto da provocargli un tale malessere da farlo decidere di fermarsi per un po’: aveva perso la speranza che la specie umana potesse sopravvivere.

Ma proprio in quel periodo i suoi genitori, in età avanzata, hanno consegnato ai figli l’azienda agricola (un’estensione di 8-10 km in lunghezza e svariati km in larghezza) dove la foresta tropicale non c’era più: per costruire la nostra società moderna abbiamo distrutto gran parte della natura circostante. “Mi sentivo morto e la mia terra per me era morta” racconta Salgado e Lélia, sua moglie, ebbe però un’idea favolosa: ripiantare la foresta tropicale, con l’aiuto di un amico, ingegnere forestale. Così è stato avviato un progetto di riforestazione su vastissima scala, sono stati piantati 2 milioni e mezzo di alberi e oltre 300 specie diverse di vegetazione.

“E’ allora che è arrivato il progetto: Genesi”, nel 2003, e dopo anni di lavoro, con l’aiuto dell’Unesco, sarà presentato attraverso mostre in tutto il mondo. Si tratta di un programma “fotografico e ambientale allo stesso tempo, ci siamo dati un tempo di otto anni per effettuare una valida campionatura del pianeta così come è ora, con la speranza di avviarne il recupero. All’epoca avevo fotografato un solo animale nella mia vita: noi, l’uomo. Ora si trattava di fotografare le altre specie animali, vegetali, minerali. Per me è stata una sfida enorme: come si può creare un rapporto con le altre specie per fotografarle?”.
“All’inizio non è stato facile fotografare gli animali, si trattava di mettersi al loro livello. Il primo animale che sono andato a fotografare è stata una tartaruga gigante delle Galapagos (nome delle tartarughe). Come faccio a fotografare questo bestione? Normalmente io so che per fotografare qualsiasi soggetto bisogna avere una certa intimità ma come realizzarla? Mi metto allo stesso livello, mi metto in ginocchio, la tartaruga si è fermata, sono indietreggiato e lei è avanzata, ho capito che lei aveva la stessa curiosità che io avevo nei suoi confronti. Ho capito una cosa cruciale che in tutta la mia vita mi avevano raccontato bugie: l’essere umano è l’unica specie al mondo razionale, bugia! Ogni specie animale è razionale a suo modo e quella tartaruga me lo aveva dimostrato, dandomi il permesso di fotografarla, come gli altri esseri umani, ci vuole intimità e ci vuole che ti diano il permesso. E’ importante comprendere la natura e il pianeta. Solo dopo averlo capito mi sentivo in unità con il pianeta e potevo fotografare. Analogamente questo vale per i vegetali, i minerali”. “Abbiamo vissuto un grandissimo privilegio a frequentare il pianeta e ora cerchiamo di restituirvelo attraverso queste immagini”.

Nasce spontaneo un interrogativo: fotografare il mondo per salvarlo? Salgado precisa: “Non credo che la fotografia possa salvare qualsiasi cosa nel mondo, ma credo che noi tutti insieme: fotografi, scrittori, registi possiamo cambiare le cose e far progredire il nostro rapporto con il Pianeta”.
Alla domanda: dove trova la sua forza la fotografia in un mondo abituato all’immagine in movimento? Salgado risponde che “il potere della fotografia è nel poter riassumere una storia in una frazione di secondo. La foto racconta la storia in un brevissimo istante: la storia del fotografo e quella del soggetto. La fotografia è un linguaggio simbolico, un modo di esprimersi fenomenale. La foto, come la musica, è un linguaggio comprensibile senza bisogno di traduzione”.
Ultimo quesito inevitabile: perché la scelta del bianco e nero? “Il colore è una perdita di concentrazione. Non potrei fare foto a colori. Mi piace molto il colore ma io non riesco. Il bianco e nero è un’astrazione totale, attraverso la gamma dei grigi riesco a mantenere la concentrazione su cosa sto lavorando. Per me i grigi sono come una tavolozza a colori”. Uscire dal colore per far si che chi guarda lo rimetta dentro l’immagine.

Lélia Wanick Salgado, curatrice delle mostre e dei libri di Sebastião, moglie, ma soprattutto “socia per tutto ciò che facciamo nella nostra vita”, presenza importante all’anteprima romana, ha spiegato come è stata organizzata la mostra. Dopo il lungo lavoro di selezione delle foto da presentare, queste sono state suddivise, sulla base delle diverse zone geografiche del pianeta e della biodiversità, in cinque sezioni. Sono state riunite le foto del sud del pianeta (Argentina e Antartico) e nel nord sono confluite le immagini di monti, steppe e popolazioni autoctone e del Colorado. Un’altra sezione è stata destinata all’Africa, in quanto le foto relative a questo continente erano troppo specifiche per far parte di altre zone del mondo. I colori delle pareti su cui sono esposte le foto sono stati scelti sulla base delle caratteristiche delle zone raffigurate, il rosso per l’Africa rappresenta il calore del sole, ma anche calore umano, i grigi per le zone fredde, per l’Amazzonia il verde. Una sezione a parte è stata dedicata alle isole, chiamata ‘santuari’ perché ricche di una biodiversità speciale, ovvero le Galapagos, Nuova Guinea e Madagascar. Al richiamo ambientalista hanno risposto anche il figlio Juliano e Wim Wenders che hanno girato insieme un film.
E’ una mostra e un messaggio di cui non si può fare a meno così come del nostro Pianeta, la cui integrità dobbiamo difendere.