Cominciamo col dire che Venezia non regge più una kermesse da 200 eventi in tre giorni; gli anni passano anche per lei, come per tutti. Se abbiamo cambiato abbigliamento, automobili, abitudini e modelli, non vedo perché non si debba cambiare città per ospitare uno degli eventi culturali più importanti al mondo. Anzi, sarebbe utile e intelligente prevedere la Biennale a Milano, nel 2015 in occasione dell’EXPO, tanto per educare il popolo all’importanza vitale dell’arte.

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Poi però bisogna trovare un altro luogo; contemporaneo, periferico, avanzato tecnologicamente, innervato di storia e di presente, vocato al futuro e all’accoglienza, dove le uniche skill non siano saper guidare una gondola e fare dei tramezzini ma anche pensare, immaginare, progettare futuro. E dove ci siano infinite strade, taxi, rumore e motorini. Con un po’ di asfalto si può fare tanta strada.

Detto questo, il progetto di Biennale 2013 curato da Massimiliano Gioni, intelligente, sofisticato, sfidante e vitale, è andato pienamente a bersaglio. Il Curatore del New Museum di New York, un art consultant, critico e curatore che il mondo ci invidia e ci ruba (perché l’inesistenza del nostro sistema e la profonda ignoranza dell’arte di qualità non consente nessuna difesa di queste professionalità di eccellenza) aveva scritto che avrebbe rivalutato la funzione educativa della Biennale in funzione del riavvicinamento della gente all’arte contemporanea. Se da un lato le evoluzioni dei linguaggi favoriscono lo sviluppo neuronale e la crescita intellettuale, dall’altro allontanano i pigri e i perennemente assistiti che non hanno voglia di sfidare un rebus. Gioni ha giustamente pensato di avvicinarsi a questa gente tipicamente italica e ha costruito una Biennale di “facile” lettura, divertente, eclettica, ironica, iconica e aniconica, concettuale, creativa e rigorosa, molto carica di opere e significati, dai più sofisticati ai più naif.

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Questa Biennale dall’anima divulgativa e generosa è uno di quei contesti in cui si fa esperienza estetica e culturale di altissimo profilo ma con una modalità di fruizione aperta, senza abbassare la qualità delle idee e delle realizzazioni.

I Padiglioni stranieri, poi, sono praticamente perfetti, quasi tutti coerenti con il tema dato da Gioni (immaginazione e archiviazione come binomio inscindibile per salvare e rendere produttive memoria e idee) e quasi tutti di altissimo profilo. Le mostre di Gioni, sia all’Arsenale sia nel Padiglione Biennale ai Giardini, anche questa magnifica, semplice ma intelligente, rigorosa e creativa insieme, sono un esempio di coniugazione tra impegno intellettuale e capacità di integrarsi con il mondo reale, quotidiano, normale…
Insomma una Biennale magnifica e preziosa, per l’Italia e per gli artisti.

E il Padiglione Italia? Mica male dal punto di vista qualitativo, ma solo alla luce dei due imbarazzanti, clamorosi fallimenti delle due edizioni precedenti.

Nel confronto con gli altri padiglioni nazionali dove presente e futuro si sposano con passato e memoria alla perfezione, con linguaggi e mezzi di ultimissima generazione, sempre coniugati all’ironia creativa, l’Italia pecca di passatismo, retorica e scarsa ambizione, con le eccezioni di Luca Vitone e soprattutto Sislej Xhafa, geniale ospite kossovaro, che ha fatto del paradosso creativo, attitudine italiana dimenticata e vittima della seriosa pratica della morte come ospite permanente, un’abitudine espressiva di altissimo valore. Tanto più che l’opera/ performance di Xhafa si svolge su un albero, per cui ha ben capito che senza radici non crescono rami, è vero, ma senza rami non c’è nutrimento ne futuro.

 

 

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Il passaggio dal Padiglione Italia a quello cinese, di fianco, alla fine dell’Arsenale, è come un refrigerio, un tuffo in un’oasi dopo una settimana di deserto (nel senso del caldo, non delle idee…). Omaggi a Michelangelo e Leonardo come origine dell’arte contemporanea sono pensati come linguaggio concettuale contemporaneo e prodotti con dispositivi di senso tecnologici; il legame tra la storia e il futuro è tangibile, fortissimo, presente….

Il Padiglione Irlandese è imperdibile, la lezione di Andy Warhol finalmente è ben rappresentata da questi video durissimi e spietati. La cruda crudezza della cruda crudeltà della guerra, portano alla nuda nudità cromatica della vera verità delle guerre. Resta dentro per sempre.

I Padiglioni ai Giardini vanno visti tutti, nessuno escluso, con particolare attenzione a quello danese (invisibile, di fianco agli USA), quello francese, quello americano, quello cecoslovacco, quello serbo e quello egiziano. Da non perdere l’omaggio a Munari del Padiglione Brasiliano, davvero intelligentissimo.

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Insomma avete un’occasione di nutrire l’intelligenza al massimo livello ogni due anni, non perdetela. In fondo, c’è ancora un pò di tempo, la Biennale chiude a novembre 2013.