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Giornalista, docente, esperto di musica, tra i critici più raffinati di Rock. E’ lui, Ernesto Assante.
Leggendo il tuo curriculum si ha l’impressione che nascondi la tua vera età, tante esperienze importanti in pochi anni: critico musicale, giornalista (hai collaborato con importanti quotidiani e settimanali), hai diretto il progetto Repubblica.it, direttore di Kataweb, docente all’università La Sapienza di Roma di Teorie e Tecnica dei Nuovi Media e Analisi dei Linguaggi Musicali, autore di molti libri, esperto non solo di musica ma anche di internet e informatica, conduttore, insieme a Castaldo, delle interessanti, quanto piacevoli, Lezioni di Rock all’Auditorium. Storicizzando le tue varie competenze e attività si scopre un trend comune: sei un precursore! Hai diretto McLink, il primo importante internet Provider italiano e oggi internet è la rete di comunicazione mondiale.
Cosa ti ha spinto? Come sei arrivato a questa esperienza?
Ho messo insieme due passioni, quella per la tecnologia e quella per la musica. Sono riuscito, per mia fortuna, a trasformare questi miei interessi in un lavoro. La musica era il mio amore primario, quello che mi ha spinto a lavorare in una radio e a cercare di fare questo mestiere. L’approccio alle tecnologie deriva dalla mia curiosità: credo di aver acquistato il mio primo computer nel 1985-86; uno Spectrum da 16 Kb, con una memoria ridicola rispetto a quella che c’è oggi.
Ho cominciato a vedere immediatamente le possibilità dei collegamenti attraverso quella che allora non era nemmeno internet: Itapac, una rete a pacchetto, che ti permetteva di comunicare, in maniera pirata, di comunicare con gli altri computer. Era un mondo che mi sembrava estremamente affascinante, in cui mi sono infilato con gioia.
Questa esperienza informatica cosa ti ha lasciato? Considerato che l’hai portata con te anche nel tuo lavoro attuale.
Si, se la cosa ti può far ridere, in realtà il motore principale all’inizio sono stati i videogiochi. L’interesse ludico insieme a quello musicale sono stati per me fondamentali. La prima cosa che ho pensato è stata quella di metterli insieme, realizzando Music Link nel 1988, che è stato uno dei primi servizi al mondo a mandare notizie musicali quotidiane attraverso il computer. Ne facevamo un’edizione italiana, che credo sia ancora attiva, un’altra in inglese che distribuivamo in America, in Giappone, in Francia e in molti altri paesi, sempre tramite pc.
Non a caso, quindi, hai insegnato alla Sapienza di Roma Teorie e Tecnica dei Nuovi Media e Analisi dei Linguaggi Musicali. Questa esperienza all’università come è iniziata e cosa ti ha insegnato? Perché si è conclusa?
E’ stata un’esperienza fantastica, durata 4/5 anni. Poter lavorare con i ragazzi nell’università, condividendo quello che so e penso di sapere, è stata una delle cose più belle della mia vita. Non è durata molto perché è un lavoro impegnativo: preparare i corsi, seguire le tesi, gli esami e non avendo così tanto tempo alla fine ho dovuto lasciarlo. Non è un lavoro che si può fare ‘con un braccio solo’, ma un lavoro coinvolgente e molto serio, per cui obiettivamente non ero in grado di tenere il passo. Resta comunque una delle esperienze più belle, perché molte sono le cose che insegni e tante quelle che impari.
Quale è stato il tuo primo concerto rock? Quali emozioni ricordi?
Il primo realmente non lo ricordo, i primi che ho visto risalgono agli anni ’70. Ricordo in particolare un festival pop al Foro Italico, il Contro-Festival al Piper e fu la prima volta in cui Guccini veniva a suonare a Roma, davanti ad un pubblico numeroso; era emozionato perché non aveva mai suonato davanti a così tanta gente. Ricordo i concerti post-Woodstock, vennero a Roma i Ten Years After, gli Who, che hanno segnato profondamente la mia educazione musicale, i Traffic e Santana. Concerti che hanno segnato la mia educazione musicale perché erano delle occasioni straordinarie in cui si ascoltavano artisti enormi. Frequentavo molto il Piper, dove vennero i Genesis. Ho avuto la fortuna di aver assistere a molti concerti iniziando da molto piccolo.
Tra questi concerti quale è quello che ti è rimasto nel cuore, per cui faresti follie per poterlo vedere o rivedere?
Tra i concerti che non ho visto è difficile scegliere perché sono molti. Uno dei concerti più belli che ho visto è stato a Roma dei Talking Heads, quello è stato veramente un’esperienza mistica. La prima volta che ho visto Springsteeen, nel tour dell’80, fu un evento travolgente. Ci sono alcuni concerti che superano la media, sono esperienze fisiche e mentali che ti cambiano: ne esci diverso da come sei entrato.
Quando hai deciso che il rock sarebbe stato anche il tuo lavoro?
Penso di averlo deciso da subito. Ricordo che ero giovanissimo, ‘adolescentissimo’ e con i miei amici appassionati di musica – uno era a Napoli e l’altro a Messina – ci ritrovavamo l’estate a Procida e durante l’inverno ci scambiavamo articoli di musica, con le foto. Facevamo i nostri giornali. Già ai tempi di Rita Pavone, quando ero piccolo, ascoltavo molta musica. Sono andato a lavorare prestissimo nel campo, ho iniziato nel ’75. Non ricordo di aver vissuto senza musica e quello che mi piaceva era farla ascoltare agli altri. Parlare di musica più che suonarla.
Suonavi o suoni uno strumento? In caso affermativo, quale?
Strimpello più o meno tutto, non ho mai studiato musica seriamente, né ho mai sognato di fare il musicista. Ho suonicchiato come tutti, avevo la mia band al liceo. Nei primi anni dell’università avevo ancora un gruppo ma senza alcuna ambizione. Io, in realtà, volevo scrivere di musica non suonare.
Hai conosciuto senz’altro molti artisti, musicisti, ma quale, umanamente, ti ha lasciato un segno, ti ha colpito e perché?
Le occasioni in cui conosci i musicisti sono sempre occasioni professionali, quindi non arrivi mai a sapere come sono. E’ più facile dire quelli che sono str… Ci sono musicisti che mi hanno colpito per la loro umanità, persone con cui c’è uno scambio. Per esempio Brian Eno: dal punto di vista intellettuale, le interviste con lui sono come dire…straordinarie. Tra le più belle ricordo anche quella con George Harrison. Ci sono dei personaggi che sono particolarmente interessanti, spesso al di là della musica che suonano. Alcuni sono belli da incontrare anche se la musica che suonano non ti piace o ti interessa di meno, perché hanno delle storie e una realtà da raccontare.
Le lezioni di rock, insieme a Castaldo, sono un perfetto mix di storia, video d’epoca, riascolto e presentazione delle varie versioni di uno stesso pezzo. Negli anni gli spettatori sono aumentati e vi siete spostati dal Teatro Studio al tutto esaurito della Petrassi, ora puntate alla Santa Cecilia, siete in competizione con i concerti di classica! E’ bello constatare che molta musica rock è ormai ‘classica’, non passa di moda e diventa patrimonio anche delle nuove generazioni.
Senza dubbio, è sicuramente così, studiarla o approfondirla; sarebbe importante per tutti. Mi risulta incomprensibile come al giorni d’oggi si possa vivere senza sapere cosa hanno fatto i Beatles: non si comprende buona parte del ‘900 se non si sentono, non si capiscono e non si studiano.
Quest’anno la serie sui Beatles, il prossimo anno siete di nuovo all’Auditorium?
Si, sicuramente si. Anche se non abbiamo ancora deciso cosa presenteremo. Non è così facile decidere un progetto, dopo aver fatto le lezioni sui Beatles non è così facile decidere un programma.
Ho letto di un progetto, a giugno, a Bari, di cosa si tratta?
Saremo a Bari, il 6 giugno al teatro Petruzzelli, a fare una serata sui Pink Floyd. Il Petruzzelli è uno dei teatri più belli d’Italia, quindi è un onore fantastico per noi. Poi saremo a Firenze, a piazza della Signoria, a fare una lezione sui Beatles. Chiudiamo il 9 giugno a Roma con l’ultima lezione di rock dedicata ai grandi concerti, all’Auditorium, per il decennale.
Con Castaldo sembra esserci una perfetta sintonia e scambio, sembra una continua gara a chi ne sa di più, siete molto preparati. Questa sintonia è amicizia o un team di lavoro che funziona benissimo?
No, è il mio migliore amico. Andiamo d’accordissimo, facciamo lo stesso lavoro nello stesso giornale da più di 30 anni.
Quale è la domanda, da giornalista, che avresti voluto fare a Jimi Hendrix?
Come fai? Ah, ah, ah, come fai? Farsi spiegare il suo modo di creare musica, sarebbe stata una cosa fantastica. ‘Come ti viene?’ Non tanto la tecnica, perché tutti la possono studiare e imparare, ma una creatività applicata in quella maniera, al momento. Straordinario!
Grazie Ernesto, soprattutto per l’entusiasmo e il piacere che trasmetti quando parli di musica, che non può che scaturire dalla passione con cui fai il tuo lavoro.