Si è inaugurato Harlem Room, il nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea della storica galleria milanese Montrasio. La notizia si potrebbe anche fermare qui, perché in questo periodo siamo molto più abituati a vedere spuntare negozi di sigarette elettroniche dove prima piccole e grandi gallerie lottavano per difendersi di fronte all’inesorabile omologazione che sta avendo la città di Milano, sempre più uguale a tante altre.

E potremmo (e lo facciamo) elogiare il coraggio imprenditoriale di ampliare i propri spazi (fisici e non) per offrire un palco d’eccezione a giovani artisti in una delle più note gallerie d’arte moderna. Ma la sfida, è chiaro, non è solo imprenditoriale. È anche quella di creare un’immaginaria congiunzione tra le espressioni artistiche moderne e contemporanee, sfida che Daniele Astrologo Abadal e Elisa Molinari (rispettivamente direttore artistico e curatore) vincono senza dubbio puntando sulla giovane e talentuosa Margherita Cesaretti (1982) con la personale Ultimo Presente. Una selezione di sedici scatti, di cui solo sette in mostra, rigorosamente in bianco e nero.

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Nella sala (un po’ piccola, ma abbastanza grande da permettere di cogliere lo spirito della serie), le opere dell’artista, il cui soggetto principale e filo conduttore è la Natura, (quella con la N maiuscola, misteriosa, contrastata) sono come piccoli monili che svolgono una funzione apotropaica, ma lo spirito maligno che va allontanato, per una volta, non è una sorta di demone immaginifico ma l’uomo (quello con la u minuscola). Camilleri, in uno dei romanzi dedicati alla saga del famoso commissario, afferma che “il vero segno inequivocabile del passaggio umano è la sporcizia”. L’umanità di cui sono invece pregni gli scatti dell’artista è diversa. È l’umanità di chi riesce a fermarsi, e a godere di quella sospensione dell’incredulità di chi percepisce sé stesso in una dimensione olistica.

Ne abbiamo parlato con l’artista.

Che cos’è il presente, e a quale presente ti rivolgi con le tue opere?
Il presente cui alludo nel mio lavoro è un presente che va intuito con una sensibilità diversa da quella meramente cronologica. È una tensione, verso il futuro, verso l’alto, che rimane congelata in un paradosso, lontano dal famoso Eterno Presente, è la profonda e personalissima ricerca di una consapevolezza di se stessi, in una dimensione atemporale, l’Ultimo Presente appunto, che non si concretizza mai, ma che si risolve finalmente in un’ascensione.

Perché la scelta stilistica del Bianco e Nero?
È il retaggio della mia formazione accademica ed è, in un certo senso, uno dei segni distintivi del mio lavoro. Durante il periodo dell’accademia disegnavo molto e la materia, la carta, il carbone, è come se mi fossero rimaste tra le dita.

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Qual è la relazione di questo tuo lavoro con i lavori passati?
Le precedenti serie erano soprattutto di ricerca e di sperimentazione. Con questo lavoro invece sto cercando di concentrare i miei sforzi in un percorso, e lavorare su un tema che mi sta particolarmente a cuore, quello della natura, nella sua dimensione esistenziale, perché per me tutto fa parte di un unicum che pur avendo manifestazioni singolari, è impossibile da prescindere.

Chi credi che possa realmente apprezzare il tuo lavoro?
Coloro che riescono a fermarsi davanti ad una piccola manifestazione della natura e trarne un beneficio personale. Ma anche davanti ad una fotografia. Vorrei che le mie immagini fossero in grado di trasmettere le sensazioni che provo. Un allontanare una storia a sé.
Insomma, per dirla con Baricco: “se proprio ci devono essere degli uomini, che almeno volino. E lontano.”