eueccezioneIl Parlamento europeo si è espresso favorevolmente riguardo l’eccezione culturale, optando così per l’esclusione dell’industria culturale e dell’audiovisivo dai trattati commerciali, diversamente da quanto ha invece sostenuto la Commissione europea.

Tale clausole resta perciò ancora aperta.

Domani il nostro governo dovrà prendere posizione sulla questione, tema centrale nella riunione dei ministri europei degli Affari Esteri a Bruxelles.
Il ministro degli Esteri Emma Bonino e quello dello sviluppo economico Flavio Zanonato sembrano tuttavia aver già sposato la posizione della Commissione, che intende includere il settore nel trattato commerciale.

Tale tendenza preoccupa molto gli addetti ai lavori, timorosi che la considerazione della produzione culturale ed audiovisiva alla strega di qualsiasi altra merce, possa ledere alla qualità e al valore del lavoro di tante persone.

Ecco perché Silvia Costa e David Sassoli hanno voluto lanciare al Ministro Bonino e Zanonato il seguente appello.

 

 

 

Cari ministri Bonino e Zanonato,
ci risulta che il governo italiano si presenterà domani al Consiglio dei Ministri europeo Affari esteri, consentendo alla Commissione di includere nell’accordo commerciale Unione europea-USA anche i prodotti e i servizi culturali e audiovisivi. Una scelta che appare rischiosa e francamente inconsapevole dell’impatto che avrà su beni europei fondamentali.
Non basteranno certo all’interno di un così esteso e complesso negoziato tre “red lines” per garantire condizioni effettive a tutela della diversità culturale e linguistica europea. Una linea di mediazione che in realtà diventa un rilevante arretramento e di fatto un consolidamento dell’attuale posizione dominante degli USA in termini tecnologici, finanziari, di mercato e quindi di produzione di contenuti.
Non intendiamo ripercorrere qui le ragioni che in questi mesi sono state rappresentate dal mondo della cultura, sostenute anche dal ministro Bray, ma piuttosto sottolineare che presentarsi al tavolo negoziale con un atteggiamento possibilista potrebbe rivelarsi fatale per la stessa sopravvivenza dell’industria culturale europea.
È quanto stava per accadere nel Parlamento Europeo quando siamo stati chiamati ad esprimere un indirizzo alla Commissione europea sul negoziato. Il tema della cultura e dell’audiovisivo, che pure incontrava la sensibilità di molti colleghi, era stato sottovalutato al punto che, senza un’azione decisa degli europarlamentari PD e successivamente del gruppo S&D, non si sarebbe raccolta l’ampia maggioranza poi riscontrata nel voto del 23 maggio in favore dell’esclusione di questo comparto dal negoziato.
È fondato il timore che, al tavolo finale della trattativa UE-USA, il settore della cultura e dell’audiovisivo diventerà marginale rispetto a grandi interessi economici ed occupazionali, e quindi sarà sacrificato ad altri comparti. Come sarà possibile difendere l’industria culturale europea se non avremo più un’industria degna di questo nome? Senza l’esclusione culturale dal negoziato, come indicato dall’europarlamento, renderemo astratti i principi della Costituzione europea e delle Convenzioni Unesco sulla tutela e promozione della diversità culturale e linguistica e sul patrimonio tangibile e intangibile europeo.
Il problema non è la garanzia che saranno mantenute le quote di produzione europee nelle nostre televisioni, secondo quanto prevede la Direttiva UE 2010 sui servizi audiovisivi. Il problema è la rete, e gli Over The Top, ovvero i grandi operatori di internet, tutti ‘made in USA’ e che utilizzano gratuitamente la nostra rete TLC, non pagano le tasse in Europa, non hanno regole di reinvestimento in prodotti culturali europei e costringono gli operatori europei a pagare salate royalties per inserire apps culturali. Stiamo parlando di Google, Apple, Yahoo, Amazon, Facebook. L’Europa, invece, si presenterebbe a questo negoziato a mani nude, senza neppure una normativa che definisca cos’è un prodotto culturale e audiovisivo on line, quali regole giuridiche e fiscali devono essere applicare agli operatori della rete, senza aver approvato la direttiva sul diritto d’autore europea, né sulla privacy, né un regolamento sulle connected tv.
Non è certo sufficiente la terza “linea rossa”, individuata dal ministero del Commercio Estero italiano, per cui l’Europa sarebbe comunque “legittimata” a dotarsi di una normativa adeguata sulla rete. Certamente questo è nelle prerogative dell’Unione Europea, ma è ben strano che si apra per la prima volta un negoziato commerciale bilaterale ai prodotti culturali e audiovisivi con il paese più importante del mondo, prima di aver adeguato la propria normativa.
E questo, in un momento in cui le major americane stanno imponendo lo’ switch off’ tecnologico verso il digitale, con la conseguente prevista chiusura del 25-30% delle sale cinematografiche europee, proprio quelle dei centri storici, delle sale d’essai, delle associazioni e dei piccoli centri. Con buona pace della tutela e della promozione della identità e diversità culturale europea… Crediamo che il governo sia ancora in tempo per una ulteriore riflessione ascoltando, in special modo, le aziende e i protagonisti della cultura italiani e europei,
cordialmente Silvia Costa e David Sassoli.