Probabilmente Ulisse avrebbe avuto meno probabilità di noi, oggi, di incontrare una sirena. L’antica figura mitologica, che attraverso il peregrinare delle immagini nella cultura letteraria e iconografica occidentale si è trasformata dalla sirena-arpia alla più nota e rassicurante creatura marina metà donna e metà pesce, la ritroviamo non solo nei libri di fiabe e nei sogni dei più piccoli, ma negli acquari, ai festival cinematografici, nelle aree marine protette e nei villaggi turistici.

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E nel web, naturalmente, dove prolifera una autentica subcultura dedicata alle sirene che produce fotografie, video e performance e si incontra su un social network dedicato al “mermaiding”, sia maschile che femminile, il MerNetwork.
Le “sirene professionali” oggi sono donne che hanno inventato un lavoro dal nulla e girano il mondo per incantare, divertire e anche sensibilizzare altri esseri umani ancora “terrestri” alla tutela degli Oceani.
Una delle più famose e attive è Hannah Fraser, modella e fotografa australiana che vive a Los Angeles. Ha creato la sua prima coda in plastica arancione all’età di nove anni e da allora non ha mai smesso di esercitarsi e perfezionarsi nel mermaiding: oggi può nuotare ad una profondità di 15 metri e trattenere il respiro in apnea fino a due minuti, senza alcuna attrezzatura per immersioni, muovendosi in totale naturalezza nell’ambiente acquatico. Le sue performance mostrano uno stile unico che unisce la sinuosità dei movimenti, la ricchezza dei costumi – sfavillanti code da pesce da lei stessa studiate e realizzate per ottenere effetti estetici incantevoli e massima libertà esecutiva– alla ricerca espressiva per trasmettere emozioni.

Ha nuotato con balene, delfini, squali, razze , leoni marini, tartarughe e molte altre creature del mare e si definisce fieramente una “attivista oceanica”. Una parte dei profitti del suo lavoro vengono devoluti per la conservazione degli oceani, ma soprattutto si è impegnata in prima persona partecipando a conferenze, progetti fotografici, documentari e vere e proprie attività di denuncia per la tutela dei grandi mammiferi marini.

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Nel 2007 insieme a musicisti, attivisti e surfisti, tra cui il marito Dave Rastovich, Hannah ha nuotato nel mare del Giappone per la realizzazione del documentario di Louie Psihoyos “The Cove – La baia dove muoiono i delfini”, che denuncia il massacro durante la caccia annuale che si svolge nel parco di Taiji, film censurato in Giappone e vincitore del Premio Oscar 2010 per il miglior documentario. “Uno dei messaggi più importanti che dovremmo lanciare in questo momento per la  conservazione dei mari è la denuncia della pesca eccessiva” – afferma Hannah. “Dovremmo chiedere ai paesi di regolamentare meglio le industrie della pesca”.
Con il fotografo Ted Grambeau ha realizzato le immagini per il libro per bambini “The Surfer and the Mermaid”, nuotando con le balene megattere al largo delle Isole Vava’u, a Tonga, nell’Oceano Pacifico. Oltre alla dolcezza e il fascino della compagnia dei grandi mammiferi marini, Hannah ha voluto provare anche un’esperienza con gli squali bianchi, con i quali ha nuotato al largo dell’isola di Guadalupe, in Messico, senza alcuna protezione o gabbia di sicurezza.

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Più che il sogno disneyano della sirena che diventa principessa, sembra che alla base della sua passione ci sia un sentimento di profonda connessione con la natura e la straordinaria varietà dell’ambiente marino.  “L’oceano è il luogo di nascita della vita sulla Terra – afferma Hannah – e se posso essere un legame visivo per ispirare gli altri esseri umani, ormai scollegati da questo fantastico mondo, sento di aver fatto qualcosa di utile”.