Ancora una volta, gli Stati Uniti hanno dimostrato di non avere rivali sul fronte dei diritti gay: con una sentenza storica, la Corte Suprema ha bocciato il DOMA (Defense Of Marriage Act), la legge federale che riconosceva come unica forma di matrimonio quella tra uomo e donna, spianando la strada ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, già riconosciuti legalmente in 12 Stati.

La notizia è stata accolta con un boato di gioia e di commozione dalle tante persone che aspettavano fuori dalla sede della Corte Suprema il verdetto finale. Diventerà sicuramente un’icona la foto dei due giovani ragazzi che, sullo sfondo di una bandiera americana, si stringono l’uno all’altro e si lasciano andare alla commozione: anni e anni di durissime battaglie che hanno portato, finalmente, a un risultato esemplare. Anche il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha subito twittato un messaggio di approvazione sul suo profilo ufficiale, definendo la bocciatura del DOMA “uno storico passo avanti” e creando l’hashtag #LoveIsLove, diventato nel giro di poche ore virale.

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Ma per una nazione, gli Stati Uniti appunto, che esulta e festeggia questo grande traguardo, ve ne sono tante altre, Italia compresa, in cui i diritti gay restano solo uno slogan elettorale o, peggio, un fardello da cancellare nel più breve tempo possibile. Il tema è sicuramente molto attuale: anche in Europa inizia a muoversi qualcosa, considerando il recente disegno di legge della Francia per la legalizzazione dei matrimoni e delle adozioni gay (osteggiato dai nazionalisti e dai gruppi cattolici) e l’intenzione di muoversi in questa direzione da parte del Regno Unito.

L’Italia, inutile dirlo, è fanalino di coda: non solo non vengono riconosciute le unioni civili tra persone dello stesso sesso, ma il nostro Paese è privo anche di una normativa in grado di contrastare il dilagante e pericoloso fenomeno dell’omofobia. Risultato? L’arretratezza civile e culturale la fa da padrona un po’ ovunque sul territorio nazionale, le forme di violenza verso i gay dilagano e l’Unione Europea bacchetta di continuo il nostro Paese chiedendo di allinearsi alla politica seguita da altre nazioni.

In realtà, l’Italia sta solo rinviando un percorso naturale che, prima o poi, dovrà affrontare. Anzi, prima lo fa, meglio è, perché a risentirne sarà non solo la comunità gay italiana, ma tutti i cittadini. Riconoscere i diritti delle coppie gay non è solo una questione di civiltà, ma anche (e soprattutto) una questione di sviluppo socio – economico del territorio. Dieci anni fa, il sociologo americano Richard Florida lo aveva intuito bene, con la sua famosa teoria delle 3T: secondo lui, infatti, lo sviluppo economico del territorio deve essere garantito da tre elementi fondamentali, quali la Tecnologia, il Talento e la Tolleranza. Florida si è concentrato molto su quest’ultimo punto, tanto da proporre il “Gay Index”, all’interno del “Diversity Rank”, per misurare il grado di apertura mentale delle città americane nei confronti della comunità omosessuale. Confrontando i dati con altre ricerche sullo sviluppo high tech dei territori, il risultato è stato chiarissimo: le città più aperte sono anche quelle che hanno registrato un maggior grado di crescita a livello sociale ed economico. Il motivo è presto detto: i talenti, quelli che Florida indicava con il nome di “Classe Creativa”, preferiscono vivere in un ambiente aperto alle differenze, perché questo stimola la nascita e lo sviluppo di idee innovative.

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Una teoria rivoluzionaria, che però è stata spesso osteggiata da economisti e da alcuni colleghi sociologi, i quali ritengono che il modello di Florida sia del tutto errato e privo di validità scientifica. Nessuno può dirlo con certezza, fatto sta che negli ultimi mesi si stanno moltiplicando gli studi che evidenziano uno stretto legame tra il riconoscimento dei diritti gay e lo sviluppo economico di un’intera nazione.

Qualche esempio: alla fine del mese di Gennaio, alcuni ministri inglesi hanno stimato che la legalizzazione dei matrimoni gay darebbe una spinta notevole all’economia del Regno Unito, consentendo l’arrivo nelle casse dello Stato di circa 18 milioni di sterline all’anno. E ancora, uno studio del Williams Istitute (un think tank dell’Università della California) ha stimato che, qualora lo Stato del Minnesota riconoscesse i matrimoni gay, nei primi tre anni si avrebbe un aumento delle entrate pari a 42 milioni di dollari. Guardando, invece, a scenari concreti, scopriamo che l’economia della città di New York, dove i matrimoni gay sono stati legalizzati nel 2011, dopo un anno ha visto un aumento pari a 259 milioni di dollari, dando un impulso notevole all’intero sistema economico del territorio.

Impossibile negare l’evidenza: riconoscere i diritti gay non solo farebbe dell’Italia un Paese più civile, ma darebbe una forte spinta all’intero tessuto economico e sociale della nazione, generando nuovi posti di lavoro, aumentando le entrate fiscali e promuovendo nuove forme di business e di industria. C’è chi dice che le priorità, in questo momento, sono altre e non possiamo correre dietro alle richieste di una “minoranza”. Il problema, che ancora non è stato compreso dagli italiani, è che da quella “minoranza” si può innescare una reazione a catena che può portare solo benefici, culturali ed economici, all’intero territorio. Perché perdere anche questa scommessa?