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La presentazione del rapporto annuale Federculture, giunto alla sua nona edizione, è ormai divenuta un’utile occasione per una radiografia sia del corpo culturale italiano sia della sua anima: va riconosciuto al Presidente della “associazione nazionale degli enti pubblici e privati, istituzioni e aziende operanti nel campo delle politiche e delle attività culturali” (così si autodefinisce Federculture, fondata nel 1997, che vanta oltre 150 soci in un eccentrico mix: Regioni, Province, Comuni, consorzi, fondazioni, imprese, associazioni…), Roberto Grossi, di aver esplorato, attraverso il rapporto – di cui è stato ideatore e primo curatore, fin dal 2002 – molte tematiche importanti della politica e dell’economia culturale nazionale.
Lontano da poter essere ancora un testo fondamentale di riferimento (non lo sono peraltro nemmeno la relazione annuale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni o la relazione annuale del Mibac sul Fondo Unico per lo Spettacolo… lo stato dell’arte delle conoscenze resta in Italia drammatico ed è forse l’emergenza prioritaria a livello di “policy”), il rapporto Federculture è certamente uno strumento interessante per tutti gli operatori, anche soltanto per l’utile appendice statistica. Di anno in anno, vengono chiamati a corte diversi contributori, e ciò arricchisce lo spettro delle opinioni, ma non esalta l’organicità e la necessità di un approccio critico globale e diacronico, affidato soltanto al capitolo introduttivo curato da Grossi.
Quel che qui interessa è l’aspetto “coreografico” della presentazione, kermesse che mostra, di anno di anno, nella composizione del “panel” e nelle presenze istituzionali, una strutturazione che ha valenze non soltanto simboliche.
Il 2013 rientra senza dubbio nella “serie A”. Il 1° luglio, parterre de roi, nella assai istituzionale (e molto rovente, causa deficit climatizzazione), Protomoteca del Campidoglio, oltre al Sindaco di Roma Capitale, Ignazio Marino, ed alle due fiere Assessore alla Cultura, Lidia Ravera per la Regione e (fresca di nomina) Flavia Barca al Comune, quest’anno, ben due ministri: Bray per la Cultura e Giovannini per il Lavoro. Abbiamo ascoltato discorsi alti: il primo è intellettuale colto, il secondo ricercatore serio.
La lettura “da sinistra” della crisi in atto (secondo Federculture, nel 2012 i consumi culturali sono caduti del 12 %, i Comuni hanno ridotto le risorse allocate alla cultura dell’11 %, gli sponsor privati hanno tagliato budget per il 42 %: in sintesi, un disastro) propone nuovi stilemi: abbiamo a che fare con amministratori pubblici senza dubbio più sensibili (e preparati e colti), ma il “pianto” resta del tutto simile: “no hay dinero” e quindi le “policy” restano belle intenzioni.
In sostanza, le analisi sono più evolute, finanche raffinate, ma la risposta concreta è la stessa: in questo, l’esecutivo Letta mostra la stessa insensibilità e colpevole inerzia dell’esecutivo Monti, così come di quello precedente ancora (eccetera eccetera eccetera).
Verrebbe da sostenere, ascoltando le analisi (e le lamentazioni) di Massimo Bray e Enrico Giovannini: cambia la “retorica”, non cambiano le “pratiche”. Questa dinamica è molto deludente, ancor più per chi sperava in un “new deal” da parte di amministratori giustappunto più sensibili rispetto alla cultura.
È quindi quasi paradossale ascoltare bei discorsi, migliori discorsi, se, alla prova dei fatti, questi ministri non si rivelano (non si rivelano ancora? beneficio di inventario perché sono al potere “soltanto” da due mesi?!) sostanzialmente differenti dai Bondi e dagli Urbani (per citare due ministri-simbolo della non politica culturale del centro-destra). «Parole-parole-parole» (ricordiamo, da cultori del diritto d’autore, che la canzone è divenuta famosa grazie a Mina nel 1972, ma il brano è stato composto da Gianni Ferrio, con testo di Leo Chiosso e Giancarlo Del Re).
Parole più suadenti, forse più convincenti nell’elaborazione teorica, ma di fatto soltanto parole.
Roberto Grossi, nel suo come sempre appassionato intervento, ha chiesto: sostenere i consumi delle famiglie grazie alla detraibilità delle spese per la cultura, promuovere il lavoro giovanile con un piano per l’occupazione culturale, rilanciare la produzione cancellando le norme che ostacolano l’autonomia di capacità di programmazione di enti e aziende. Sagge tesi, di cui non si trova alcuna traccia nell’azione di Governo.
Ma il Ministro Bray, nella sua prima intervista, ha sostenuto che non intende comunque dimettersi, anche se continuerà a ricevere schiaffi dalla sua stessa compagine di governo (basti pensare alla incredibile vicenda del tax credit de-finanziato…). E ardua intrapresa si rivela quella del Ministro Giovannini, gran teorico di quel benessere equo e sostenibile che dovrebbe avere nella cultura il proprio volano. Parole, nuovamente. Belle parole, ma soltanto parole. Se questo è il risultato di un Pd o di un Sel partiti “di lotta e di governo”, temiamo che il dissenso qualunquista dei grillini finirà per crescere ancora nei consensi di un elettorato sempre più stanco, esausto, esasperato.
Il titolo dell’edizione 2013 del rapporto Federculture (per i tipi di 24Ore Cultura) è “Una strategia per la cultura. Una strategia per il Paese”. La crisi è profonda, lo sconforto diffuso, gli interventi teorici, la speranza svanisce.
Quale… “strategia”, di grazia?! Il respiro strategico resta pia intenzione, a fronte della carenza di ossigenazione nel breve periodo.
Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult