I luoghi della memoria scritta. Le Biblioteche italiane tra tuteOggi a Roma, nella chiesa sconsacrata di Santa Marta (limitrofa alla sede del Ministero per i Beni e le Attività Culturali), è stata presentata la prima (incredibile ma vero) ricerca nazionale su tutte le biblioteche d’Italia, ovvero – più esattamente – le biblioteche pubbliche degli enti territoriali italiani.

Che si tratti della prima indagine in materia ad oltre 150 anni dall’unità d’Italia la dice lunga!
L’iniziativa è stata promossa dall’etereo Centro per il Libro e la Lettura (Cepell), pallido e povero (budget di circa un milione e mezzo di euro l’anno) tentativo di emulazione del francese Centre National du Livre, e dagli appassionati attivisti dell’Associazione Italiana delle Biblioteche (Aib).

La ricerca, curata da Maria Nicola Pace e Marianna Prisco e presentata dalla direttrice del Cepell Flavia Cristiano, mostra dati inediti quanto sconfortanti, a partire dal 32 % di biblioteche italiane che non dispongono nemmeno di un indirizzo di posta elettronica!
Complessivamente, le biblioteche pubbliche territoriali sono circa 7.000, ovvero 6.890 per l’esattezza (non sono state considerate nel censimento le circa 2.000 biblioteche universitarie).
Si segnala che, secondo dati del Ministero per i Beni e le Attività Culturale (fonte “Mini-cifre della cultura”, dati 2011), complessivamente le biblioteche italiane sarebbero 12.375, di cui 6.391 appartenenti ad enti pubblici territoriali, 1.996 ad Università, 1.259 ad enti ecclesiali.

Il questionario è stato inviato a 4.658 biblioteche (e quindi sono state escluse 2.232 biblioteche, il 32 % del totale, che non hanno nemmeno un account per le email) ed hanno risposto ben 3.854 soggetti, corrispondenti a ben l’83 % dei contattati. Il patrimonio librario medio è 21.250 volumi. Il 13 % delle biblioteche che hanno risposto al questionario non dispone nemmeno di 1 computer (uno!) che consenta l’accesso ad internet. Il 21 % non offre servizio di connessione al web! Il 26 % non consente servizi di riproduzione (fotocopiatura). Il 21 % non ha alcun documento multimediale / digitale…

La metà delle biblioteche non è nemmeno inserita nel Sistema Bibliotecario Nazionale – Sbn (da non crederci) e ed un 21 % non ha il proprio catalogo in Opac.

La distribuzione territoriale è a macchia di leopardo: Val d’Aosta e Molise hanno il record positivo, con rispettivamente 4,2 e 4 biblioteche per 10.000 abitanti, a fronte della media nazionale di 1,2, e del record negativo del Lazio, con 0,6 (corrispondente a 312 biblioteche a fronte di una popolazione di 5,5 milioni di abitanti).

Gli orari di apertura sono limitati (mediamente 22 ore a settimana, soltanto il 7 % delle biblioteche è aperta la sera e solo il 22 % nel fine settimana), la disponibilità di e-book penosa (ma è vero che anche a livello di librerie, il mercato italiano è ancora arretratissimo), il numero medio di impiegati è di “fino a 3 persone” nel 61 % dei casi, “da 4 a 10” nel 23 %, “da 11 a 30” nel 6 % (ma risulta che spesso le amministrazioni locali destinano a queste attività risorse non professionalmente adeguate).

Modestissimo l’impegno pubblico: si stima che la spesa complessiva, a livello nazionale, per l’acquisto di libri da parte delle biblioteche pubbliche, sia nell’ordine di 30 milioni di euro nel 2012, in calo rispetto al dato del 2011.

La biblioteca media italiana acquista 631 libri l’anno, ma con campo di oscillazione incredibile: 1.096 libri in Toscana, 84 libri in Basilicata. La spesa media per biblioteca è di 7.850 euro l’anno per il 2012, la previsione per il 2013 scende a 6.138 euro, con un decremento del 22 % in un anno soltanto!

Il Presidente del Cepel, Gian Arturo Ferrari (ex Direttore Generale del Gruppo Mondadori, nominato Presidente del Cepell dall’allora Ministro Bondi) stima che altri 30 milioni di euro possano rappresentare il budget speso dalle biblioteche universitarie (che ovviamente acquistano libri il cui prezzo medio è alto), addivenendo così ad una stima “nasometrica” – come ha correttamente precisato lo stesso Ferrari – di 60 milioni di euro l’anno.

Se è vero che la spesa dei consumatori privati è di circa 1,3 miliardi di euro l’anno (dato anno 2012: nel 2011, la spesa era stata di 1,5 miliardi; dati che escludono la spesa per l’editoria scolastica), ciò significa che il rapporto tra spesa pubblica e spesa privata è di 5 a 100: “terrificante!”, ha esclamato Ferrari.

Dato ben lontano dai dati degli altri Paesi europei, che pure Ferrari non ha citato, lamentando peraltro come il sistema Informativo dell’economia delle biblioteche in tutta Europa sia incredibilmente carente, non disponendosi di informazioni minimamente comparabili. Secondo Ferrari, questa non spesa pubblica colpisce in particolare l’editoria “di cultura”.
Secondo le indagini che Cepell affida trimestralmente alla Nielsen Italia, un 16 % degli italiani che legge libri li legge attraverso il sistema bibliotecario (il dato ci stupisce, ma se lo dice la Nielsen…).
Il totale dei volumi prestati nel corso del 2012 sarebbe stato di circa 47 milioni.

La direttrice della Direzione generale Mibac per le Biblioteche, gli Istituti Culturali e il Diritto d’Autore, Rossana Rummo (già Dg Cinema Mibac e successivamente Direttrice dell’Istituto italiano di Cultura di Parigi), ha sostenuto che le biblioteche dovrebbero essere ritenute parte fondante della “infrastruttura culturale” del Paese, e strumento di promozione del complessivo “welfare sociale”. Non ha fornito dati sulle 48 biblioteche pubbliche statali (di cui 2 nazionali centrali, a Roma e Firenze), ma in verità l’incontro era effettivamente focalizzato sulle biblioteche pubbliche degli enti territoriali. Sarebbe interessante sapere quale è la spesa in acquisti librari delle biblioteche statali nazionali, anche per comprendere il livello di approssimazione della stima del Presidente Ferrari.

È poi intervenuto Vincenzo Santoro, Responsabile Cultura Sport e Politiche Giovanili dell’Anci, che ha rimarcato l’esigenza che ogni Comune italiano disponga, se non di una biblioteca, di servizi bibliotecari, magari integrati con le biblioteche del sistema scolastico. Non l’ha ricordato, ma è bene segnalare che in Italia le biblioteche delle scuole non sono sottoposte a specifica regolamentazione, e non esiste nemmeno la figura del “bibliotecario scolastico”.

Stefano Parise, Presidente dell’Aib, ha rimarcato la gravità della percentuale di biblioteche che sono “al di fuori” di internet: se corrisponde al 60 % del totale (dei soggetti che hanno partecipato all’indagine) la quantità di biblioteche che non hanno un proprio sito web, è inevitabilmente riemerso il dato terribile del 32 % del totale delle biblioteche italiane che non dispongono nemmeno di un account di posta elettronica.

Linda Laura Sabbadini (divenuta famosa per essere stata la prima direttrice di dipartimento Istat di gender femminile: dirige il Dipartimento per le Statistiche Sociali ed Ambientali) ha ricordato che l’Istat ha supervisionato la ricerca, ma non ha spiegato perché si è dovuto attendere l’anno 2012 per avere una prima fotografia di questa complessa ed importante realtà (anche perché, negli ultimi anni, Istat ha incrementato la propria sensibilità sulle tematiche culturali, la cui conoscenza statistica permane comunque molto deficitaria). Sia consentito nutrire anche qualche dubbio metodologico sull’indagine, nonostante la raffinata supervisione Istat: la tabella con la ripartizione della frequentazione degli utenti per “sesso” riporta un 63 % di donne, un 6 % di uomini, un 6 % “in egual misura” (?!) e ben un 26 % di “non indicato”.

È intervenuta in chiusura la neo Assessora alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica del Comune di Roma, Flavia Barca (già direttrice dell’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli), che ha enfatizzato come il “digital divide” nord-sud si riproponga anche nell’economia delle biblioteche italiane, ed ha provocatoriamente (e scusandosi per la estemporanea sortita) prospettato la necessità di un approccio culturale nuovo, all’interno di un’idea che ha definito come… “smart biblioteche”.

Pur seduto in prima fila, non è purtroppo intervenuto il Presidente dell’Associazione Italiana Editori – Aie, Marco Polillo (che è al contempo Presidente di Confindustria Cultura Italia), che forse avrebbe potuto fornire utili stimoli al dibattito.
Complessivamente, è emerso uno scenario desolante.

Nessuno ha fatto cenno all’esigenza di politiche promozionali a favore della lettura e del libro…
Nessuno ha criticato le inadeguate rare e quasi invisibili iniziative degli spot istituzionali del Dipartimento Informazione ed Editoria della Presidenza del Consiglio…
Nessuno ha evidenziato come il problema delle biblioteche sia semplicemente un tassello del complessivo deficit della politica culturale italiana…

È stato invitato il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, ma Bray non è intervenuto. Forse perché impegnato in un incontro con un manipolo di associazioni del cinema italiano (dall’Anica ai 100autori, dall’Agis a Doc/it), che sono andati a rappresentare, questa mattina, prima da Bray e poi dal Vice Ministro per lo Sviluppo Economico Catricalà, la perdurante protesta per il taglio del tax credit. Si legge nel comunicato stampa diramato nel pomeriggio di giovedì 11: “Le associazioni hanno anche chiesto il sostegno convinto dei Ministeri coinvolti affinché l’intero Governo comprenda il valore strategico ed economico del settore. È opinione condivisa che le risorse per il settore sono, in questo momento, al di sotto della soglia minima e che è necessaria una legge di sistema che ricrei la catena di valore del prodotto audiovisivo. I Ministri Bray e Catricalà hanno ascoltato le ragioni delle associazioni ribadendo il loro impegno perché il Governo, e in primo luogo il premier Letta e il Ministro Saccomanni, venga incontro, per quanto possibile, alle richieste del settore”. Preoccupa in verità quel “per quanto possibile”.

Anche se Bray fosse intervenuto alla kermesse a Santa Marta, temiamo che avremmo assistito ad una nuova rappresentazione della messinscena delle lacrime di coccodrillo (“io come ministro – buono – vorrei fare tanto, ma ahinoi il Governo – cattivo – non apre i cordoni della borsa”), che purtroppo fanno sì che molti lo associno già alle noiose lamentazioni di predecessori come Bondi. Il giochetto “poliziotto buono / poliziotto cattivo” non regge più. Da un ministro colto, ed espressione dello schieramento di centro-sinistra, ci si aspetterebbero fatti, e non ulteriori lamentazioni: budget, non parole.

E che la “spending review” (in nome della quale si strozza il settore culturale italiano) vada… a farsi benedire!

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult