cinemaIl 7 agosto 2013 è stata diramata dall’Agis del Lazio la notizia dello stanziamento, da parte della Regione di altri 650mila euro per la digitalizzazione dei cinema. Un intervento che prevede un contributo a schermo pari al 60 % dell’investimento, fino a un massimale di 30mila euro.
Si tratta quindi di un secondo bando regionale a sostegno della digitalizzazione dei cinema non inseriti nel precedente intervento annunciato il 20 giugno (che prevede risorse per 3 milioni di euro), ossia sale parrocchiali e arene.

Secondo l’Anec (l’associazione degli esercenti cinematografici, l’anima più importante all’interno della potente lobby Agis), si tratta di un intervento “particolarmente importante, perché permette di aumentare il numero dei soggetti beneficiari, che, senza la digitalizzazione, avrebbero rischiato di chiudere, con gravi riflessi anche occupazionali”. Da segnalare che, per la prima volta, potranno usufruire dei contributi stanziati dalla Regione Lazio per l’acquisto di impianti (ovvero sistemi e apparecchiature per la proiezione cinematografica digitale) anche le associazioni senza scopo di lucro, le fondazioni (?!), nonché i soggetti non assimilabili al sistema delle piccole-medie imprese (pmi) che gestiscono le “sale della comunità”, le arene e i cinema ambulanti.

Nello specifico, si tratterebbe di 25 arene, 13 sale della comunità, 10 cinema gestiti da associazioni culturali e 5 cine-mobili. Chi scrive quest’articolo è un appassionato cinefilo, ma francamente non ha mai avuto chance di fruire dei… “cine-mobili”, che peraltro – evidentemente – esistono (si pensava fossero un ricordo del passato, ovvero del cinema delle origini, ed invece si scopre con nostalgica lietezza che così non è!). Il giovane Presidente dell’Anec Lazio, Giorgio Ferrero (titolare dell’omonimo Circuito Ferrero, 31 schermi), esulta, ed enfatizza che il bando rappresenta un “unicum” a livello nazionale, perché la Regione Lazio interviene così “organicamente” a sostegno della digitalizzazione su “tutto il sistema dell’offerta”.
Fin qui, l’entusiasmo dei beneficiari, e ben venga. È peraltro ben comprensibile, in questo periodo di vacche magre.

Non entriamo in merito di letture contrastanti delle dinamiche in atto, ma non possiamo non ricordare che il 23 giugno, le lavoratrici e i lavoratori delle 8 sale di Circuito Cinema di Roma (King, Eden, Fiamma, Maestoso, Quattro Fontane, Giulio Cesare, Eurcine, Nuovo Olimpia) hanno scioperato per tutta la giornata contro l’annunciato licenziamento di 23 lavoratori su un totale di 61 occupati nel Circuito. I lavoratori lamentavano che la Regione avesse concesso importanti finanziamenti pubblici, senza confrontarsi anche con le parti sociali, ovvero con i dipendenti, e senza richiedere agli imprenditori alcuna “contropartita occupazionale”. Nello specifico “theatrical”, la modernizzazione del digitale determina effetti paradossali, come la riduzione della forza-lavoro (“è il capitalismo, baby…”?!).

Soffermiamoci piuttosto, ancora una volta, su un discorso “alto”, ovvero sul “senso” strategico di questi interventi (e tralasciamo quell’… “organicamente” ottimista di Ferrero), in chiave critica di politica culturale: domandiamo, ancora una volta, se si tratta di iniziative che sono maturate a seguito di un’analisi attenta dei fabbisogni complessivi del sistema culturale.

Il cinema (inteso come “cinema cinema”, cioè la fruizione “theatrical”) è in crisi, profonda, radicale. A livello nazionale ed ancor più a livello regionale.
Nel 2012, a livello nazionale, sono state 91,3 milioni le presenze in sala, rispetto ai 101,3 milioni del 2011: in un anno soltanto, si sono persi ben 10 milioni di ingressi (si tratta di stime Cinetel, dato che la Siae non ha ancora rivelato i dati definitivi). Basti ricordare che l’Italia ha meno della metà degli spettatori cinematografici della Francia, che ha superato anche nel 2012 la soglia dei 200 milioni di biglietti venduti.
Ci limitiamo a segnalare che, secondo dati elaborati dall’Agis Lazio presentati in occasione di una conferenza stampa del 6 giugno a Roma, tra il 2010-2011 ed il 2011-2012 (“stagione”, concetto peraltro non meglio identificato), il cinema nel Lazio avrebbe registrato questi preoccupanti indicatori negativi: – 15 % di ingressi al botteghino, ovvero – 12 % in volume d’affari. In sostanza, avrebbe perso 1 spettatore su 6 da un anno all’altro. Inquietante.

Il 20 giugno, il Presidente della Regione Nicola Zingaretti e due suoi assessori Lidia Ravera (Cultura) e Guido Fabiani (Sviluppo Economico), avevano già annunciato – con convinto entusiasmo – uno stanziamento da 3,4 milioni di euro per la digitalizzazione. Questa la provenienza annunciata dei fondi pubblici: 3 milioni da fondi Por Fesr Lazio 2007-2013 (ah, benedetta Unione Europea!), e 400mila attraverso il (ora tanto vituperato) Fondo Regionale per il Cinema e l’Audiovisivo (esercizio 2011, quindi evidentemente residui dei famosi “15 milioni l’anno” tanto voluti da Polverini e Santini). Si annunciava che i 400mila erano destinati alle sale di comunità, arene, e cinema minori. Evidentemente – in itinere – sono state reperite risorse per 650mila, a fronte dei 400mila annunciati un mese e mezzo fa. Bene.

I 3 milioni annunciati erano destinati a contributi a fondo perduto, pari al 70 % e con un limite massimo di 200mila euro (non comulabile con il “tax credit” digitale). Fondi erogabili tramite “sportello telematico”, e “fino ad esaurimento risorse”, con la possibilità di anticipo fino al 50 % del contributo. La determinazione n. B02722 è in data 1° luglio, ed è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione il 4 luglio. Il bando è aperto dal 5 luglio fino al 31 dicembre 2013. Sviluppo Lazio (“house provider” regionale) gestisce, nella veste di “organismo intermedio”, la procedura amministrativa.

In quell’occasione, fu segnalato che nel Lazio sono attivi 123 cinematografi, per un totale di 437 schermi.

Di questi, solo 245 sono digitalizzati, ovvero il 56 % del totale. Più esattamente, a Roma, sono 82 i cinematografi, con 333 schermi attivi (208 digitalizzati, ovvero il 62 % del totale), a Frosinone 8 cinema con 24 schermi (8 digitalizzati, 33 % del totale), a Latina 14 con 46 schermi (12 digitalizzati, 26 %) mentre a Viterbo 18 con 29 schermi (12 digitalizzati, 41 %).

Molti temono che dal 1° gennaio 2014 le sale sprovviste di impianto digitale vengano escluse dalla distribuzione, ma – come abbiamo già segnalato su queste colonne – si tratta di uno spauracchio agitato soprattutto dalle “major” americane, e questa dinamica dovrebbe provocare una riflessione seria, anche nel “policy maker”. Almeno per due anni ancora (2014 e 2015), i film nella sacrosanta tradizionale pellicola continueranno ad essere distribuiti, anche perché la digitalizzazione della distribuzione cinematografica è processo complesso e planetario, e procede a macchia di leopardo nelle varie aree del globo. Non risponde a verità, quindi, che, senza questa digitalizzazione, le sale “saranno costrette” a chiudere. Il processo è meno semplice e lineare di quel che alcuni intendo rappresentare.
A fronte di questi numeri preoccupanti, (ci) domandiamo: la Regione Lazio ha effettuato un censimento dell’offerta cinematografica, in funzione delle aree di gravitazione commerciale, cioè secondo le regole essenziali del marketing?
Ed al di là dell’approccio economicista, la Regione Lazio si è posta la questione essenziale dei luoghi di offerta culturale, della loro funzione di strumenti di stimolazione sociale e di aggregazione civile?
Non ci risulta esista una mappatura minimamente accurata ed aggiornata degli spazi culturali nel territorio laziale, con dati essenziali su offerta e domanda ed analisi critica dell’interazione.
Esiste un’anagrafe delle sale cinematografiche che, nel corso degli ultimi anni, sono state chiuse, a Roma ed in tutto il resto del territorio laziale? No.

Quanti sono i Comuni del Lazio che sono cinematograficamente (e teatralmente) desertificati? Non è dato sapere, nemmeno all’Assessore Ravera o al Presidente Zingaretti.
Se siamo di fronte ad una emergenza (e siamo di fronte ad una emergenza, qual è la fruizione dello spettacolo in sala), non sarebbe opportuno destinare risorse anzitutto per avviare la ricostruzione di un tessuto culturale di offerta che mostra deficit inquietanti?! Qual è la gerarchizzazione delle priorità, nella “spending review”?!

Si dirà: “prima la sopravvivenza, ovvero evitare che chiudano altri cinema”. In parte, è giusto. In parte, no. La distribuzione delle sale sul territorio (nel Lazio come ovunque) non risponde necessariamente ad ottimale allocazione dell’offerta in termini di marketing, e quindi, in chiave di lettura squisitamente economica (economicista), è forse abbastanza naturale che “il mercato” (con tutti i suoi deficit) possa determinare alcuni “fallimenti” e quindi – udite udite – anche la chiusura di cinematografi.

La “mano pubblica” deve agire con un approccio altro (ed alto): identificare laddove lo Stato deve intervenire per superare i “fallimenti del mercato”, ma anche per preservare luoghi che hanno caratterizzato e caratterizzano l’identità storico-simbolica di quartieri metropolitani, di paesi e paesini finanche. Preservare quel che potremmo definire il “paesaggio culturale” di metropoli e paesi e finanche borghi: librerie e biblioteche, cinema e teatri, luoghi di spettacolo e cultura di ogni tipo e natura (incluse le botteghe artigianali, che cultura viva ed arte materiale rappresentano).
Intervenire peraltro soltanto sui luoghi dell’offerta (la sala), senza vincolare in qualche modo l’intervento della mano pubblica ad una stimolazione della domanda, è un errore grave: esemplificativamente, basterebbe che, nei bandi, la Regione Lazio richiedesse, tra i pre-requisiti per accedere ai finanziamenti pubblici, l’impegno dei beneficiari a proiettare una qual certa quantità di film italiani ed europei indipendenti e “di qualità” (a proposito di “qualità”, basti pensare – per evitare querelle semantiche – ai titoli di film rientranti nel progetto nazionale, finanziato dal Ministero, “Schermi di qualità”). In questo modo, si andrebbe sostenere (intelligentemente) l’offerta e si stimolerebbe (culturalmente) la domanda, non limitandosi a soltanto consentire ai multiplex dominanti e finanche alle sopravvissute sale parrocchiali di proiettare “digitalmente” (uào!) i film commerciali soprattutto delle “major” americane…

Queste iniziative debbono stimolare una opportuna riflessione sul rischio di paradossi di azioni e finanziamenti che si millantano toccasana, ma poi, a ben vedere, tanto “miracolosi” finiscono per non essere.

Riteniamo che la mano pubblica debba sostenere l’offerta… altra, non quella… dominante: le piccole botteghe artigianali (e non i mega centri commerciali) e le opere “off” (e non quelle “mainstream”). “Indie” ed “off” dovrebbero essere parole-chiavi del linguaggio del “policy maker” illuminato in materia di politica culturale. Vorremmo anche in Italia, e non soltanto in Francia.

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult