Il presidente russo Vladimir Putin in scollata vestaglia rosa pastello da donna e il primo ministro russo Dmitry Medvedev in mutandine e reggiseno sui toni dell’indaco e del viola. Il primo che sembra accarezzare la nuca dell’altro e entrambi che fissano con sguardo vacuo l’osservatore. No, non si tratta di un brutto sogno, ma di un’opera d’arte che forse costerà cara all’artista che l’ha creata, Konstantin Altunin.

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Questa e altre quattro opere del 45enne artista russo erano esposte al Museo del Potere di San Pietroburgo, ma il 27 agosto è intervenuta la polizia a confiscarle. La reazione di Altunin è stata la fuga verso la Francia. Contro di lui non è stato emanato alcun mandato di cattura, ma le autorità hanno sequestrato le opere per capire se infrangono la legge e sono passibili di condanna.

Altunin, dalla Francia, si dice scioccato dalla reazione delle autorità, che non pensava reagissero in maniera così estrema ad un’opera che lui definisce ironicamente innocente. Certo, la tela ha un taglio polemico, e non lo nasconde. Konstantin l’ha creata tenendo in mente l’annuncio del 2011 in cui Putin e Medvedev proclamavano che si sarebbero scambiati le cariche, con il ritorno del primo al Cremlino e l’elezione del secondo a Primo Ministro. L’opera si intitola, poi, “Travesty”, e molti vi hanno letto il sostegno di Altunin alla causa dei diritti gay, tanto dibattuta in questi giorni con riferimento proprio alla Russia.

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La duma, all’unanimità, ha infatti approvato una legge che vieta la propaganda omosessuale nel paese, legittimando ulteriormente le aggressioni ai manifestanti pro gay da parte di ortodossi religiosi e di formazioni di estrema destra. Un’altra delle opere confiscate, non a caso, ritrae il legislatore Vitaly Milonov, ideatore della legge, che sventola una bandiera della pace, simbolo gay, mentre in primo piano un poliziotto sta per picchiare un giovane manifestante con un manganello.

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E’ comprensibile, dunque, la decisione di Altunin di chiedere asilo politico alla Francia e di stabilirsi a Parigi, viste le misure che il Cremlino è solito attuare contro chi si oppone, in un modo o in un altro, alle autorità. E’ ormai tristemente noto il caso delle Pussy Riot, il collettivo anonimo punk rock che ha scatenato le ire del governo russo, portando all’arresto di tre suoi membri nel marzo 2012. Circa un anno fa, un’altra mostra è stata oggetto di tensioni e polemiche, stavolta a Mosca, proprio perché dedicata alle Pussy Riot.

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C’è poi il caso dell’artista russa Aleksandra Kachko, nota anche come Zoa o Rosovi Bint, più volte arrestata per i suoi murales di denuncia nei quali compaiono spesso donne maltrattate, crocifisse o in manette.

Spaventa ancora l’arte, da quella in gallerie e musei a quella esposta per le strade, e il Cremlino non si rende conto che in questo modo  non fa che dare adito a chi lo accusa di censura, conferendo importanza proprio ai suoi stessi oppositori.