joeJoe – L’America vera è rurale

Joe di David Gordon Green è un film che torna alle origini e, allo stesso tempo, le supera. Dopo l’esordio alla macchina da presa con George Washington (2000), il regista aveva infatti cambiato registro, spostandosi dalla periferia urbana e da tematiche umane, con tono ironico e dissacrante. Il recupero di una dimensione esistenziale torna invece prepotentemente, come già si presagiva nel precedente Prince Avalance (2013).
Nel film in concorso, dunque, la natura e il paesaggio recuperano un ruolo primario, in una sintesi con la storia raccontata. Joe mette in scena l’amicizia filiale tra l’omonimo protagonista, un sorprendente Nicholas Cage, finalmente lontano da certi clichè, e Gary, un adolescente con una famiglia sfortunata alle spalle. Da una parte, dunque, il consueto percorso di formazione e crescita, dall’altro la consapevolezza della tragedia.
Joe mette lo spettatore sin dall’inizio in attesa dell’ineluttabile, prospettando un finale di riscatto ma allo stesso tempo di sconfitta. In un’America rurale e primitiva, la morale del film, insieme a una natura dominante e selvatica, si sviluppa attorno a un senso di morte e di violenza, in cui è l’etica personale e non i valori condivisi da una comunità a regolare i rapporti tra le persone e le cose. In Joe è l’America più vera ad avere la meglio e a decretare, in uno spaccato tutto sommato realistico, il necrologio degli ultimi resti di un’età dell’oro, quella del West, ormai in rovina. Un film di genere, con una spiccata capacità di superare gli archetipi e attualizzarli.

 

childofgodChild of God – Sempre più lontano dalla parola

Una discesa negli inferi della brutalità, lontano dalla civiltà e dalle sue leggi. Child of God squaderna, già dalla filiazione – è tratto da un racconto di Cormac Mc Carthy- un impianto anarchico. E rappresenta per James Franco, qui dietro la macchina da presa, una prova di coerenza rispetto alla sua produzione e alle sua collocazione come outsider di Hollywood.
Lester Ballard, un giovane psicologicamente turbato, rimasto solo e senza casa, viene allontanato per i suoi comportamenti violenti dalla comunità in cui vive. Arrangiarsi nel territorio brullo del Tennessee, nella montuosa contea di Sevier, non sarà facile. E sempre più chiaramente il protagonista sprofonderà in una dimensione essenzialmente primitiva. Il film, lontano ancora una volta dalla città come luogo della legge e delle regole civili, mette in scena il predominio della natura sulla cultura, fino a una totale idiosincrasia dell’uomo rispetto all’ambiente. Lester Ballard, poco a poco, ritornerà ad uno stato di natura in cui passerà dalla privazione di un alloggio al soddisfacimento degli istinti sessuali tramite la violenza, fino alla completa perdita della parola, ridotta a un ululato sordo nel paesaggio selvaggio.
La macchina da presa segue la storia ora facendo del protagonista il centro nevralgico dell’inquadratura, ora mimetizzandolo nella natura stessa, quasi ne venisse fagocitato. E c’è già chi spera per l’interpretazione di Scott Haze, in un certo senso alter ego dello stesso Franco, la coppa Volpi.

 

65th Cannes Film Festival - Io e Te Press ConferenceBertolucci on Bertolucci – Bertolucci è chic

Bertolucci si racconta, Bertolucci viene raccontato. Un documentario che presenta una sfida: parlare di uno dei più grandi autori della stagione del Moderno senza collocarsi nel tracciato di altri.
Un mezzo: il footage, la ricerca d’archivio di materiali storici e di interviste. Bertolucci on Bertolucci, di Luca Guadagnino e Walter Fasano, mette in atto un’autobiografia, lasciando che sia il regista stesso a parlare di sé e dei suoi film. Protagonisti assoluti il regista di Parma e il montaggio, con il quale si cerca di unire tasselli diversi per comporli in un quadro coerente.
Al centro, la riflessione estetica, il dibattito politico, il racconto di vita. Trecento ore di materiale asciugate in un’ora e quaranta. E una scelta stilistica: il regista sempre in primo piano, quasi fosse lui stesso l’autore del lavoro. Nel documentario di Guadagnino, Bertolucci è corpo e parola. Rinunciando volutamente a un repertorio fotografico o cinematografico di accompagnamento e sussidio alle interviste e nemmeno alla colonna sonora, il film si dichiara da subito come un’operazione destinata al circuito degli intenditori.
L’essenzialità del film, quasi un racconto che vuole prodursi da sé, non nasconde però l’operazione tutto sommato autoriale di Guadagnino e Fasano, consegnando allo spettatore un punto di vista specifico su Bertolucci. Bertoucci come maestro, certo, ma anche Bertolucci come interlocutore di una comunità di pari, che ne condivide i valori e le attese. Il documentario si dimostra in questo senso poco capace sia di rivolgersi a una platea più ampia, sia di attualizzarsi, mettendo in comune le vicende storiche e politiche di quegli anni tra chi è sullo schermo e chi, consaguineo di Bertolucci, ne condivide i valori. In questo senso, Bertolucci on Bertolucci, nella sua essenzialità sofisticata, va alla ricerca del consenso di una comunità, pur restando (fortunatamente) lontano dalla magnificazione incondizionata del regista-mito.