urbino19okIntervista al Dott. Ivan Antognozzi, Project manager Urbino 2019

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
Il centro storico di Urbino è patrimonio UNESCO innanzitutto, e nonostante sia una piccola città di circa 15.000 abitanti, registra una comunità di studenti molto numerosa, che si aggira sui 30.000 ragazzi, la cui presenza raddoppia la popolazione qui residente.
Urbino ha il numero di istituti di formazione più alto al mondo rispetto al numero di abitanti, come l’Università, la Scuola del Libro, l’Accademia di belle arti, la Scuola di giornalismo.
La provincia di Urbino è secondo il rapporto Symbola quella con il più alto numero di imprese creative e culturali d’Italia.
La Regione, le Marche, in cui risiede Urbino, è stata inoltre insignita quest’anno del titolo di Regione Imprenditoriale d’Europa, l’unica in Italia che negli anni abbia ricevuto questo riconoscimento.
Ci sono dunque dei primati ad Urbino che giustificano la sua candidatura e che orientano la strategia del programma culturale di Urbino 2019. Si vuole da qui iniziare per proporre un nuovo Rinascimento, un nuovo modello di sviluppo.
Non è che qui può partire un nuovo Rinascimento contemporaneo semplicemente perché in questi luoghi se n’è avuto uno 500 anni fa, bensì quella fase rivoluzionaria ha prodotto un’eredità che oggi qualifica Urbino nei termini che le ho detto. C’è un filo rosso che connette l’Urbino quattrocentesca ai primati di oggi.
Perché è così straordinaria? In fondo è un piccolo paese. In realtà è perché ha avuto un passato eccezionale che si è sedimentato. Bisogna però dare una scossa a questi fiori all’occhiello, bisogna utilizzarli, sondarli e gestirli in maniera nuova, e la candidatura serve anche a questo: a produrre uno shock in termini di internazionalità per la città.

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Per la città l’obbiettivo è quello di riconquistare una centralità culturale in Europa. Le Marche tutte si devono riconoscere in Urbino, affinché diventi un simbolo di appartenenza in cui identificarsi, un faro policentrico di un intero territorio, piccolo anch’esso, con i suoi 1 milione e mezzo circa di abitanti. La città è il punto più alto, una sintesi del patrimonio culturale disseminato nella Regione.
Urbino 2019 ha degli obiettivi importanti anche sul piano della macroregione adriatica. Le Marche sono la sede del segretariato permanente delle iniziative adriatico-ioniche. Spacca, il governatore delle Marche, è stato il relatore del parere sulla macroregione adriatica presso il Comitato delle Regioni. Qui hanno sede tre dei quattro network importanti dell’area mediterranea adriatico- ionica: Forum delle Camere di Commercio, Uniadrion e il Forum delle Università.
Le Marche sono dunque legatissime a tutta l’altra sponda dell’Adriatico: basti pensare che il palazzo ducale di Urbino l’ha fatto un dalmata, Luciano Laurana; c’è una civiltà marinara comune che ha caratterizzato l’identità delle Marche, delle altre regioni adriatiche e di quelle sull’altra sponda. In questo contesto storico e contemporaneo, Urbino deve rappresentare la cultura di tutta la Regione nell’area macroadriatica: si presenta perciò come un ponte culturale. Un obiettivo per l’Europa è fornire un modello di sviluppo policentrico, micromega: il piccolo che diventa un contesto ideale per fare grandi cose.

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Le mancanze di fatto sono carenze infrastrutturali, le dimensioni ridotte, la trasportistica, ma devono diventare, e non è un esercizio di retorica, punti di forza. Il fatto che Urbino sia piccola, unica candidata a Capitale europea della Cultura di queste dimensioni che ci sia mai stata, o il deficit infrastrutturale, proprio queste mancanze devono connotare il nuovo modello di sviluppo. I suoi punti deboli, sono solo apparenti, perché su quelli si costruiscono i progetti volti alla crescita. Consideriamo che il 40% della popolazione europea vive in città con meno di 50 mila abitanti: Urbino dunque è un importante contesto rappresentativo della realtà europea. Anche le grandi metropoli, del resto, non sono altro che agglomerati di tante piccole città: il modello urbinate, di sviluppo micromega che si vuole proporre, si può ben replicare e conciliare con la dimensione metropolitana.

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Le Marche e tutto il suo sistema economico partecipano alla candidatura: il progetto si basa sul concetto di “corte aperta”, in maniera fattiva, dove la corte è una dimensione progettuale e operativa, in cui sono concretamente e fisicamente presenti le attività del territorio. Le imprese marchigiane aderiscono alla candidatura, non solo sul fronte finanziario, ma anche partecipando ai progetti previsti.

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Tutto il programma di reti per il 2019 dovrebbe sortire un ripensamento dei servizi e delle funzioni della città in maniera permanente. Per il 2019 ci sarà una grande dimensione spettacolare, ma quello che la produce, ciò che conduce ai miglioramenti, invece, rimane. Tutti i processi, le strategie e i progetti legati alla candidatura, si baseranno su strutture permanenti.

 

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