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Intervista a Errico Centofanti, coordinatore del progetto di candidatura de L’Aquila a Capitale Europea della Cultura 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono la strategia e il progetto del 2019?
È un’identità che è legata alla natura e alla storia della città. L’Aquila ha alle spalle molti secoli di storia e una stratificazione di eventi e di testimonianze architettoniche e artistiche di varie epoche, inserite in un ambiente naturale di grande pregio, dominato dalla vetta più alta della penisola, il Gran Sasso d’Italia. Tutto intorno, poi, si estendono una serie di parchi nazionali e regionali che fanno del nostro territorio la regione d’Europa che ha il più alto tasso di aree protette.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
In primo luogo, abbiamo la questione della ricostruzione del centro storico, gravemente danneggiato dal terremoto del 2009. Quello de L’Aquila è uno dei più vasti centri storici del nostro Paese, il più importante centro storico d’Europa che sia stato violentemente danneggiato da un terremoto, dopo quello di Lisbona che ebbe a subire sorte analoga nel 1755. Questo aspetto è evidentemente connesso alla responsabilità del nostro Paese di poter dimostrare all’Europa del 2019 di aver saputo intervenire per riavviare all’antico splendore questo centro storico. Poi ci sono tutte le caratteristiche legate ad una lunga e consolidata tradizione di presenza della nostra città nel mondo della creatività artistica, dal campo musicale a quello teatrale, etc.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Fondamentalmente sono legate ad una serie di inadeguatezze che derivano dalla ristrettezza di mezzi che negli ultimi tempi colpisce l’intero Paese. Questo ovviamente, collegato alle problematiche del terremoto, rende necessario superare una serie di disfunzioni e disservizi sui quali abbiamo, però, la consapevolezza di potere comunque venire a capo. Gran parte di questi fronti sono già stati oggetto di progettazione e di finanziamento: per tutto quello che riguarda i servizi sociali, dagli asili nido ai centri per gli anziani, la mobilità e così via, è già in itinere un processo di ripristino, potenziamento e aggiornamento. Si tratta un settore che attualmente presenta molte criticità, ma per il 2019, a prescindere dalla candidatura, confidiamo di poter nuovamente dare a tutti i nostri cittadini ottimi servizi da questo punto di vista.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Il fatto che gli operatori economici si occupino poco di produzione artistica nel nostro Paese deriva da un’inadeguatezza legislativa, laddove in altri paesi gli interventi in favore della produzione artistica hanno un trattamento fiscale che ne incentiva la crescita. Speriamo, per quanto riguarda il nostro progetto, che la capacità attrattiva e la potenzialità di un ritorno di immagine per coloro che sosterranno come sponsor e come partner, tecnici o finanziari, la nostra iniziativa, sia tale da suscitare il sufficiente e giusto interesse da parte di strutture economiche e private. Riteniamo anche che questo sarà legato alla qualità e all’interesse dei programmi che potremo proporre, ma su questo fronte non abbiamo dubbi circa la capacità di poter essere all’altezza della situazione.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Prima ancora che si arrivi a ottenere il titolo, attraverso il lavoro già fatto e quello ancora da svolgere per acquisire il successo della nostra candidatura, dobbiamo portare a compimento una serie di progetti che resteranno in eredità alla città, e che sono di ordine materiale e di ordine morale.
Per quanto riguarda quelli di ordine materiale, si tratta di realizzare strutture di vario genere che non sono solo quelle a servizio delle attività ricreativo culturali, ma anche quelle che riguardano i servizi sociali. Queste, peraltro, rappresentano una componente ineliminabile del modello di città culturale, perché se le persone non vivono bene, avrebbe poca importanza saper produrre buoni concerti, o buone mostre. L’aspetto morale riguarda l’impiantare la coesione e l’identità della comunità.
Se dovessimo ottenere il titolo, come ci auguriamo, tutto questo produrrà ulteriori risultati, perché massimizzerà quelli già raggiunti e lascerà nell’ambito della comunità, all’indomani dell’anno da Capitale, non soltanto strutture e immagini, nuove e potenziate, ma anche nuove realtà e una rafforzata attitudine de L’Aquila a essere quel centro di propulsione artistico-culturale che è sempre stata e che costituisce la caratteristica principale della sua identità.
Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.