nutriamolidarteQuando sentiamo parlare di Vietnam, due sono le immagini cui subito ci rimanda la memoria: il ‘made in Vietnam’ che abbiamo visto mille volte sui nostri capi di abbigliamento, chiedendoci –forse senza troppa cura- come saranno le condizioni e la qualità della vita delle persone che l’hanno prodotto; e la famosa ‘Guerra del Vietnam’, che ci ricorda anni 70, USA, hippy.

La realtà attuale in qualche modo comprende questi aspetti, anche se di certo in modo più profondo e complesso.
Il sistema capitalista portato dall’Occidente si è mescolato senza un apparente senso logico alle tradizioni antiche, creando situazioni ibride dove lusso, grattacieli e centri commerciali si affiancano a zone rurali e di estrema povertà.
La popolazione ingenuamente vive e si conforma alla schizofrenia urbana e agli effetti sociali della rimozione collettiva, mostri generati dal progresso e dall’idea distorta di sviluppo.

Al grigiore delle fabbriche e dell’aria inquinata si contrappongono le strade brulicanti di odori suoni, clacson, motociclette, taxisti ufficiali e non, ambulanti, bancarelle straripanti di cibo, uova di tutti i colori, decine di tipi di zucchero e pepe, motorini stracarichi di mercanzie, macellerie open air ed eleganti signore che suonano affascinanti strumenti tradizionali.
Fulcro brulicante di umanità è Saigon, come si chiamava prima della Guerra, oggi Ho Chi Min, dopo la vittoria nel Nord comunista e la costituzione della Repubblica Socialista del Vietnam.
Ufficialmente ci vivono 5 milioni di abitanti, ma dalle campagne si riversano in città circa 3 milioni di pendolari ogni giorno, ovviamente tutti muniti di rumorose motociclette, mascherine antismog e guanti al gomito antiabbronzatura.

Il calore dell’accoglienza saigonese con la sua innocenza e naturalezza, tipica delle persone che vivono per strada, stupisce e coinvolge il riservato turista italiano che non può che restare fortemente toccato dal senso di umanità di queste persone, forse più sfortunate ma di grande dignità.
Saranno stati i sorrisi dei bambini o la stravaganza delle tradizioni vietnamite a far innamorare della città e della sua gente Anna Borghi, artista diplomata all’Accademia di Brera, che ha deciso dal 2011 di fermarsi nella piccola scuola di Pho Cap, nel Binh Thanh District e far nascere il suo progetto di arteterapia “Nutriamoli d’arte”.

Nel 2001, tre insegnanti vietnamiti (Doan, Trang e Khanh) con l’aiuto delle autorità cittadine, un dirigente di un’azienda italiana e il consolato italiano decidono di aprire questa scuola per offrire istruzione gratuita ai bambini di strada del quartiere. La casa abbandonata venne restaurata interamente dagli stessi insegnanti, con l’aiuto di volontari e studenti del luogo, nonché grazie a fondi provenienti da contributi di solidarietà. Fino al 2010, l’insegnamento di Pho Cap ha avuto luogo solo per un paio di ore al mattino e un paio d’ore nel primo pomeriggio; il resto del tempo i bambini lo trascorrevano giocando per strada, quasi sempre alla ricerca di cibo.

Nel 2011, grazie a fondi privati e istituzioni italiane, il progetto si è ampliato, aprendo una mensa in modo da potersi prendere maggiormente cura dei bimbi durante tutto l’arco della giornata; l’anno seguente è stato ristrutturato l’ultimo piano del palazzo per diventare un asilo. Oggi la scuola accoglie più di 90 bambini (16 dai 4 ai 5 anni nella scuola dell’infanzia; 45 dai 6 ai 10 anni nella scuola primaria, e 30 dagli 11 ai 18 anni nella scuola secondaria).

Dopo aver visitato la scuola, Elisabetta Susani dell’Accademia di Belle Arti di Brera ha deciso di farsi coinvolgere con entusiasmo e pubblicizzare l’iniziativa online (su Facebook ed Eppela) per far conoscere l’attività e dare vita a una rete di solidarietà collettiva.
Carte, cartoni e cartoncini; pennelli, chine, inchiostri, matite e pastelli: queste le armi con cui Anna e i suoi piccoli amici viet combattono l’indifferenza, il disagio e le paure per liberare la speranza, la fantasia e i sogni che gli vengono purtroppo spesso negati.
E mentre giocano i bimbi esprimono le loro speranze e paure, imparando a conoscere le loro emozioni e le potenzialità, lo spazio che li circonda, gli oggetti e gli altri; ed anche un po’ di inglese.
Un disegno, un racconto, una maschera improvvisata, bastano per far scoppiare il sorriso sul volto di quei piccoli che in cambio di un poco di attenzione e cura sono capaci di regalare il loro grazie sincero che sprigiona una bomba di energia e tenerezza capace di commuovere anche i nostri occhi assonnati e indifferenti.

 

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