SONY DSCLa Calabria è una terra di contrasti, e l’ho capito durante il mio soggiorno sul versante ionico. Il mio punto fermo era Capo Rizzuto, una splendida area marina protetta con bellissime spiagge, incantevoli fondali, alle spalle delle quali sorge il comune di Isola Capo Rizzuto, un luogo privo di tessuto urbano dove sembrano essere sorte prima le case e poi le strade, dove le vestigia del paese sono abbandonate al peggiore degrado. Da Capo Rizzuto è facile raggiungere capo Colonna, Crotone ma viaggiando di più anche Cirò Marina e Scolacium.

In ognuno di questi siti c’è qualche attrazione archeologica e da buona archeologa non potevo saltarne nemmeno una. A Capo Colonna c’è la bellissima e solitaria colonna del tempio di Hera che svetta sul promontorio affacciato al mare ionico, dove l’unico rumore percepibile è quello del mare che si infrange contro le barche. L’area è a ingresso gratuito, come il vicino museo dall’allestimento impeccabile; un percorso ben ideato e scientificamente curato che guida alla scoperta della storia del territorio attraverso tre temi cardine: terra, sacro e mare. Inaugurato nel 2002 avrà certamente richiesto un notevole sforzo economico, eppure non si paga il biglietto, l’area per il bookshop non è allestita, non c’è un’area ristoro, nessun merchandising, nessun indotto.

Per mangiare si può andare nella vicinissima Crotone, la strada che collega i due siti è una bellissima passerella sul mare, ma se sono passate le due del pomeriggio ed è la prima domenica di settembre c’è il concreto rischio di dover ripiegare sull’unico esercente ancora aperto per pranzare sul lungomare crotoniate: un kebabaro turco. In compenso si può trovare aperto l’infopoint turistico dove si possono avere utili indicazioni su visite guidate della città e sull’importante museo archeologico. L’aneddoto divertente è che anche il lunedì a pranzo può capitare di dover ripiegare sul kebabaro turco, perché è settembre e i ristoranti del lungomare crotoniate applicano l’orario invernale, con annesso riposo settimanale, di lunedì.

Se non siete appassionati potete anche risparmiarvi di andare a visitare i resti del tempio di Apollo Alaios a Cirò Marina, perché ne rimangono solo i blocchi di fondazione. Se però, caparbiamente, decidete di andare preparatevi a sentirvi umiliati e offesi. Umiliati come italiani e offesi come cittadini quando vedrete che i resti del tempio sono “protetti” da una recinzione in filo spinato all’interno di un’area destinata al pascolo di cavalli, con un enorme complesso industriale a un centinaio di metri di distanza. Se cocciutamente volete visitare le vestigia di un tempio che ovunque, oltre ad essere rispettato, sarebbe anche valorizzato diversamente, prestate attenzione a dove mettete i piedi: i cavalli non possono avere riguardo di qualcosa di cui non abbiamo riguardo noi per primi.

Se poi avete la possibilità di muovervi verso sud, oltre Catanzaro, non potete mancare il sito di Scolacium. Non importa se non ne avete letto niente da nessuna parte, se non ci sono indicazioni stradali per raggiungerlo, nemmeno al bivio che vi conduce al sito, con quel po’ di fortuna necessaria a trovarlo vedrete un posto splendido.

Uno storico e immenso oliveto con piante secolari all’interno del quale hanno rintracciato l’antica città romana di Scolacium. Potete vedere il foro, il teatro, l’anfiteatro, ma anche il museo dell’olio, oltre a quello archeologico, dove ci sono macchinari di inizio ‘900. Camminare tra gli ulivi non ha prezzo, è un posto capace di distendere gli animi e i pensieri. Anche qui niente biglietto, niente bookshop, ma qualche macchinetta per l’erogazione di caffè e merendine.

Insomma non sempre in Italia non si spendono soldi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, qualche volta si spendono, anche bene, ma l’investimento non finisce con la realizzazione del parco archeologico o del museo. Si deve proseguire con delle scelte di marketing appropriate, si deve promuovere il bene, si deve offrire ristoro e merchandising ai turisti, ma soprattutto si deve fare rete con strutture alberghiere e ristoratori perché l’indotto è la grande potenzialità del turismo culturale, come ha ben capito il kebabaro di Crotone.