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L’epopea di Banksy a New York è finita. 31 giorni trascorsi nella Grande Mela sono bastati all’anonimo artista di strada per far parlare di sé la stampa internazionale e la gente comune che ne ha seguito l’eroiche gesta da supereroe graffitaro.
Alla fine della sua vicenda americana, quello che resta è la sensazione, spiacevole e rassicurante insieme, che l’arte di strada si conferma un outsider rispetto al senso comune e ai cliché precostituiti. Il rischio corso dallo street artist di Bristol era quello di piegarsi alle leggi di mercato con delle operazioni di marketing plateali, con delle “performance” che poco avessero a che fare con l’arte e con la strada.
E invece no. L’ultimo messaggio di Banksy è stato molto chiaro: un palloncino svolazzante sulla Long Island Expressway che raffigura le lettere bombate della sua firma, e un appello a salvare 5Pointz, un capannone nel Queens le cui pareti sono ricoperte dalle firme creative di straordinari graffitari che rischia di essere demolito per lasciare spazio a un residence di lusso.
Nell’ultima audio guida, posta a commento della sua esibizione del 31 ottobre, Banksy invita a non istituzionalizzare l’arte demandandola a chiese, istituzioni o cartelloni pubblicitari. L’arte vera è quella fatta in strada, libera e anticonformista, l’arte che non serve a decorare ma che semplicemente e con potenza “è”.
New York è una città audace, ma rischia di essere inghiottita anch’essa dal perbenismo e dall’ipocrita buon senso. Banksy aveva già espresso questo parere sulla città che non dorme mai il 27 ottobre, scrivendo un articolo mai pubblicato per il New York Times: il One World Trade Center, il grattacielo in costruzione che sostituisce le Torri Gemelle dopo la tragedia dell’11 settembre 2001, non è che una dichiarazione della “perdita di nervi” di una città che dovrebbe puntare su ben altro per attestare la propria capacità di ricrescita e la propria coraggiosa natura.
E così, anche dopo il bagno di popolarità newyorchese, Banksy si conferma un personaggio scomodo. Le sue opere sono state cancellate e denigrate, la sua identità è stata ricercata con morbosa curiosità, il suo nome e la sua attività sono diventate per un mese le sorvegliate speciali della polizia di New York. Il sindaco Bloomberg ha definito l’arte di Banksy uno dei tanti modi con cui deturpare delle proprietà private. L’artista mascherato ha eluso, però, tutti gli ostacoli che si sono frapposti al suo traguardo e ne è uscito vincitore.
Oltre a dare una bella lezione di stile e humor a critici bigotti e ortodossi, è riuscito anche nell’intento di prendere in giro il mercato dell’arte. Lo ha fatto prima vendendo originali delle sue opere a Central Park, senza che nessuno ne fosse a conoscenza, poi dando in dono al negozio dell’usato per beneficenza, Housing Works, un suo lavoro che è stato messo all’asta online per più di 600 mila dollari. Si tratta di un quadretto pastorale che l’artista aveva acquistato dal negozio stesso a 50 euro, e che aveva rivisitato inserendovi un soldato nazista che siede pensieroso su una panchina. I soldi ricavati dalla vendita andranno a senzatetto e malati di Aids.
A conclusione di questi 31 giorni di creatività, ironia, originalità, arte, mistero e anticonformismo non possiamo che sperare in una nuova serie di irriverenti performance artistiche ad opera di Banksy o di un suo coraggioso imitatore… chissà dove, chissà quando.