social streetA quanto pare la diceria che dai momenti di crisi si viene fuori più forti, nuovi e positivamente resettati, non è finzione ma realtà. Il collasso economico che ha interessato l’Europa negli ultimi anni sta rivelando sorprese impensabili riguardo alle direzioni che l’economia e la società contemporanee stanno prendendo.

Abbiamo passato una fase di capitalismo sfrenato, di predominanza dell’egoismo e dell’individualismo, di chiusura verso il prossimo. Ancora adesso subiamo gli strascichi di questo stadio, che potrebbero sembrare acuiti dalla crescente predominanza della realtà virtuale sulle vite di ciascuno di noi. In realtà è proprio dal mondo della tecnologia e del virtuale che stanno nascendo i primi germogli di quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione sociale. Un nuovo cambio di rotta nel modo di vivere i rapporti individuali e comunitari.

Uno startupper bolognese, di origini fiorentine, Federico Bastiani, un bel giorno si è reso conto di ignorare l’identità dei suoi vicini di casa. Se un tempo il quartiere era la comunità per eccellenza, luogo di pettegolezzi e piccoli sgarbi, ma anche di condivisione e comunione, oggi, chiusi nei nostri piccoli o grandi appartamenti, viviamo giornate isolate, costellate da cenni del capo e freddi convenevoli. Bastiani ha pensato di voler modificare questo status di cose, quantomeno nel suo quartiere e, quasi per caso, ha dato il via al primo esempio di social street.

A settembre ha creato un gruppo chiuso su Facebook – strumento tra i più semplici e democratici, anche perché gratuito – per chiamare a raccolta gli abitanti della via Fondazza di Bologna. Ha stampato dei volantini per dare notizia della sua iniziativa e li ha distribuiti nei condomini del quartiere. In più di 300 hanno risposto, creando la prima comunità cittadina che nasce con l’intento precipuo di “scollare” dagli schermi di un pc le stesse persone con le quali condividiamo un pianerottolo e che non abbiamo mai conosciuto, per avviare forme di collaborazione, di sostegno, di aiuto reciproco, di scambio di idee, socialità e quando serve, anche di merci.

Non si tratta solo di un esperimento sociale, infatti, ma anche dell’incarnazione di un sistema economico che sta prendendo sempre più piede in diverse forme. Teorizzata qualche anno fa dalla studiosa Loretta Napoleoni, la pop economy sta diventando la risposta più concreta alle magagne della crisi, che fa un baffo alle spesso finte riforme dei politici. È l’economia del popolo, quella basata sullo scambio, sul baratto, sul dare e sul ricevere, gratis o in cambio di qualcos’altro. È l’evoluzione di eBay, che evita lo spreco, incentiva il riciclo e assicura il risparmio. Lo spiegano bene sul sito che è nato dall’esperienza di Bastiani, www.socialstreet.it: “Dovete cambiare il frigorifero? Perché metterlo su ebay, creare un annuncio, pagare una commissione, pagare un trasporto quando magari il vostro vicino di casa ne sta cercando proprio uno come il vostro?”. Lo stesso vale se non si vogliono buttare le uova prima di partire per le vacanze, se serve l’aiuto di una baby sitter, se si cerca un appassionato di cinema con cui condividere il proprio hobby, se si vuole trovare una comitiva di amichetti al proprio bambino, e così via. Dalla rete, da internet, dai social, si passa di nuovo alla realtà, alla strada, al quartiere.

Di esempi di pop economy ce ne sono molti altri: dal bike e car sharing, al cohousing, dal couchsurfing al baratto turistico in cambio di cultura, dalle comunità ormai diffusissime in tutta Italia “Te lo regalo se vieni a prenderlo”, fino agli swap parties nel quale scambiarsi vestiti e altri oggetti.

Di necessità si fa virtù e l’unione fa la forza, l’uomo ha una grande capacità di adattamento e si è stancato di vivere da solo. Non semplici luoghi comuni, ma un ritorno vero e istintivo al branco.