falcinelliIl nuovo fenomeno nell’editoria si chiama “graphic novel”: si tratta di romanzi narrati attraverso immagini a fumetti e realizzati grazie al talento di scrittori e illustratori. A parlarci di questa nuova dimensione del racconto è il bravissimo Riccardo Falcinelli, che di grafica e illustrazione ha fatto la sua professione: dal 2000 cura infatti l’immagine grafica di Minimumfax, di Laterza, Carocci e della collana Stile Libero Einaudi, e dal 2002 è professore universitario di grafica e comunicazione visiva.

 

Quale esperto nel campo, ci chiarisci una volta per tutte cosa differenzia un graphic novel da un fumetto o da un romanzo illustrato?
In verità non credo di essere un esperto, ho scritto e disegnato alcuni graphic novel come pezzi di un progetto più ampio di ragionamenti sulla grafica e sulla comunicazione visiva, ovvero i miei libri sono soprattutto degli esperimenti per vedere cosa è possibile fare di una narrazione visiva. Le nomenclature sono – come è noto – convenzionali: fumetto sarebbe quello tradizionale e seriale (strisce o albi con personaggi ricorrenti), graphic novel invece l’opera unica in forma di libro più simile come impianto concettuale alla narrativa tout court, romanzo illustrato poi può essere qualsiasi unione di testi e immagini ma che abbia un “respiro” romanzesco, che si distenda per più pagine con un impianto narrativo largo e non necessariamente concentrato sulla trama. Ma appunto sono convenzioni.

 

Una ricerca dell’AIE attesta che questo genere copre il 10,8% della produzione di fiction. Come spieghi tale grande successo? Lo ritieni un “fuoco di paglia” o un risultato destinato a perdurare e magari crescere nel tempo?
Difficile fare previsioni. Francamente mi pare un numero enorme, in libreria non sembra così massiccia la loro presenza. Però di sicuro i lettori vanno aumentando. Le generazioni più giovani sono più disposte al visivo ma non vuol dire che lo capiscano davvero, anzi alle volte lo danno per scontato, non sono consapevoli dei meccanismi in atto. Quello di cui mi accorgo sempre più spesso è come un grande numero di persone subisca le immagini anziché capirle, ma di questo è anche responsabile la scuola che non allena abbastanza al pensiero critico: si insegna la storia dell’arte (quando lo si fa), si parla di film e di design come elenco di cose belle senza concentrarsi sul ruolo che questi artefatti giocano nella nostra vita quotidiana. Un ruolo che spesso è anche politico, indirizzando gusti e comportamenti.

 

Come prende forma un graphic novel nel tuo studio? Da dove si comincia e dell’aiuto di chi ti avvali?
I libri che ho scritto fino a oggi li ho fatti tutti con Marta Poggi. Mesi e mesi di infinite discussione su come raccontare. Poi a lei il compito delle parole, a me quello delle figure. Come dicevo sono degli esperimenti, nel senso che quello che ci è sempre interessato, oltre la trama, era capire come mettere il relazione testi e immagini in maniera inconsueta. E infatti le nostre storie sono fondamentalmente metalinguistiche: tutte le trame parlano di mass media e di comunicazione globale. Grafogrifo è un rinascimento che funziona come Matrix o come un pamphlet di McLuhan, Cardiaferrania racconta del rapporto tra la nostra identità e quella degli oggetti industriali, cos’è originale e cosa è una copia? L’allegra fattoria è una parodia dell’informazione giornalistica, dei fatti che si pretendono “veri”. Sono tutte storie che parlano della complessità di vivere nella società delle immagini. E poi volevamo fare libri “difficili”, oggi tutto è entertainment, volevamo scrivere libri che chiedono una partecipazione forte del lettori, anche al punto da metterli in difficoltà, di spaesarli, di fargli chiedere dove si stesse andando a parare.

 

“L’Arte delle Felicità” di Alessandro Rak o “La vita di Adele” di Abdellatif Kechiche sono stati graphic novel riprodotti sul grande schermo. Se dovessi trasporre cinematograficamente una delle tue creazioni, quale sceglieresti? Perché?
La risposta è facile: nessuno. Ho sempre voluto scrivere graphic novel che non fosse possibile trasformare in film e per una ragione precisa: trattandosi di lavori concentrati sul codice narrativo volevo trovare un modo di raccontare che non fosse trasferibile facilmente in un altro linguaggio. Quello che trasponi in un film è la trama e niente altro, forse un po’ dell’atmosfera. Ma se la trama è tutt’uno con le strutture visive allora questo diventa difficile. In verità la maggior parte dei graphic novel mi annoia perché sono testi scritti con aggiunte le immagini, i due pezzi sono disgiunti e possono appunto vivere l’uno senza l’altro.

 

Da insegnante di Psicologia della percezione, come leggi questa preponderanza dell’immagine nella comunicazione odierna? Oltre al graphic novel, si è assistito infatti all’exploit delle info grafiche e di social dedicati a foto e immagini. Come mai al giorno d’oggi diamo la precedenza al senso della vista?
Non credo che diamo precedenza alla vista, gli diamo il giusto spazio. La nostra ci sembra una società molto visiva solo perché facciamo il confronto con la cultura ottocentesca che ci ha preceduti e che era maggiormente incentrata sul verbale. Però proprio perché tante immagini ci circondano bisogna stare in guardia, come dicevo non c’è nulla di più pericoloso di quello che diamo per scontato, che ci pare ovvio e innocente. Anzi proprio perché viviamo nella “civiltà delle immagini” dovrebbe essere responsabilità un po’ di tutti saperne di più. Se uno vive in una foresta con animali feroci si munisce di armi adeguate, sarebbe sciocco il contrario. Eppure in tanti vivono circondati dalla comunicazione visiva in ogni momento della loro vita senza nessun tipo di strumento di difesa o di comprensione.

 

Per chi ancora non conoscesse questo genere letterario, quali titoli consiglieresti?
Asterios Polyp di Mazzucchelli e Jimmy Corrigan di Chris Ware. Però bisogna prima aver letto tutto Carl Barks, “Paperino e la scavatrice” è la più grande storia mai disegnata: c’è una finezza psicologica rarissima nei fumetti e c’è quella verità umana di cui sono capaci solo i grandi artisti.