L’inaugurazione del Santuario d’Ercole Vincitore a Tivoli ha permesso ai presenti di fare un salto nel passato per vedere il mondo come lo vedevano gli abitanti dell’epoca.
Il santuario si innalzava sul versante sud della forra dell’Aniene, nel tratto tra le cascatelle di Tivoli (a monte) e la località Acquoria (a valle), una scelta strategica dei costruttori che permetteva al complesso di essere visibile a largo raggio dal Monte Cavo al Soratte, rappresentando un affaccio sul Lazio antico: la vista spaziava verso i monti Prenestini, i colli Albani e i Monti Cornicolani. Il grande organismo sorse fuori della città di Tivoli a cavallo della via Tiburtina Valeria, principale raccordo tra l’Abruzzo e il Lazio: la strada, che venne di fatto inglobata nel complesso, lo attraversava in una monumentale galleria in muratura cosiddetta “Via Tecta”.
Ma a permettere tale viaggio nel tempo è stato un Cicerone di eccezione quale Piero Angela che, con semplicità di linguaggio e ricchezza di contenuti, ha presentato un filmato che ha lasciato tutti i presenti senza fiato. Prima della proiezione, al tramonto abbiamo chiesto al celebre studioso di guidarci alla scoperta dello spazio archeologico:
“La presenza di un santuario extraurbano dedicato ad Ercole in questo punto strategico – ci spiega Piero Angela – non è casuale, visto il ruolo anche economico delle strutture santuariali antiche. La particolare divinità venerata inoltre, notoriamente protettrice delle vie di transumanza e dei pastori, conviene alla tipologia degli scambi commerciali che si dovevano svolgere lungo la direttrice viaria, in uno dei suoi punti meglio controllabili.”
“La vita del santuario fu lunga e florida e continuò fino al IV sec. d.C., sebbene le strutture testimonino segni di decadenza anche anteriori. L’abbandono definitivo può essere collocato nella prima metà del VI secolo quando, durante le guerre greco gotiche, durante le quali Tivoli venne conquistata da Totila, re degli Ostrogoti. Il santuario, in stato di abbandono, divenne gradualmente una “cava di materiali” e si trasformò in paesaggio agricolo”.
Purtroppo il tempo non lascia intatte le cose e la mano dell’uomo non è abbastanza veloce per salvare in tempo i nostri beni, con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
La storia, le vicende legate alle sorti di questo antico tempio sono state rese note  in questa affascinante cornice dopo gli interventi delle autorità per la serata inaugurale, in un dibattito, moderato dall’architetto Federica Galloni, direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, a cui hanno partecipato il ministro Galan, il governatore Polverini, il sindaco di Tivoli Sandro Gallotti, il prof. Filippo Coarelli, archeologo supervisore scientifico dei lavori,e, naturalmente, da Piero Angela, che insieme a Paco Lanciano ha realizzato un video con riprese dall’alto e ricostruzioni in 3D di come doveva apparire l’area nell’antichità.
Il sito rappresenta un unicum per la variegata storia che ha alle spalle: da un lato il florido periodo degli scambi economici, dall’altro la rovina dei templi pagani cominciata nel IV secolo, per l’avvento del cristianesimo. Fu così che il sito di Tivoli visse secoli di abbandono, fino a quando nel Settecento ospitò varie industrie quali una fonderia, una centrale idroelettrica, e la cartiera Segrè, di cui si notano ancor’oggi i binari che solcano la pavimentazione della via Tecta, necessari al transito dei carichi pesanti.
Un Super Quark in diretta che ha avvicinato i presenti all’esclusivo mondo dell’archeologia:  la capacità divulgativa di Piero Angela, da utilizzare magari come fonte preziosa di informazione per le generazioni più giovani, restie ad avvicinarsi ad un mondo così complesso come quello storico-archeologico, ha appassionato la platea dei presenti.
Come riesce a raccontare con semplicità situazioni e vicende apparentemente così ostiche da comprendere?, viene spontaneo chiedergli nel finale. La risposta ci sorprende ancora, nuovamente per la sua semplicità:
“E nella volontà di scoprire ogni giorno cose nuove che il lavoro dello studioso e dell’appassionato si concretizza. Attraverso l’apprendimento del passato, possiamo con facilità capire anche il presente ma soprattutto, il futuro”.

L’articolo è stato redatto con la collaborazione di Marianna Scibetta

“Sono due anni che manchiamo da Roma: vogliamo abbracciarvi”. Si apre così Luglio suona Bene, inizia così ad emozionarsi l’atmosfera dell’Auditorium di Roma davanti al ritorno dell’Orchestra di Piazza Vittorio.
Ritornati da concerti in giro per il mondo, loro che costituiscono da soli, a guardarli lì sul palco, una sintesi armoniosa di quello che ti puoi portare a casa da un viaggio, da un giro panoramico sul mondo appunto, il mondo diventa improvvisamente  abbracciabile, ognuno ambasciatore del proprio Paese riconoscibile dalla particolarità dello strumento che suona, dal vestito.
Sono 19 nella formazione questa volta predisposta dall’instancabile Mario Tronco e sono passati 10 anni dal salvataggio del Cinema Apollo di Roma dal suo destino di Bingo, patria natale di questo esperimento multiculturale diventato esempio, forza e speranza di un’integrazione culturale che può diventare fusione di anime ben distinte, che non perdono nulla della loro essenza, ma che la rendono incredibilmente accessibile alle altre.

L’Orchestra ha le sue radici nell’omonima Piazza all’Esquilino, grazie alla partecipazione  di alcuni cittadini che, auto-tassandosi, hanno dato possibilità di messa in regola e di lavoro a musicisti provenienti dai cinque continenti;  essi rappresentano dunque l’arte che può salvare e ed essere funzionale alla società civile, che troppo spesso tende a considerarla solo come rifugio.

Sono 11 i Paesi rappresentati sul palco, Italia compresa, e la prima canzone è dell’inglese Sylvie Lewis, sempre più frequentemente membro dell’orchestra, con I don’t want to sleep.
L’aria si riscalda, e per il pubblico stare immobile sulle proprie sedie è via via sempre più difficile perchè la musica dal palco diventa sempre più coinvolgente.
Passando per atmosfere mediterranee si arriva fino a Mozart, scovando un po’ di Centro-Sud America e scorgendo l’India, il Rajasthan, nella voce di un senegalese. E’ un omaggio a Bilal, per molti anni componente dell’Orchestra e rappresentante del Rajasthan: il suo amico e collega senegalese ha imparato a memoria le parole delle canzoni popolari del Rajasthan e ce le regala; forse quest’esperienza fa sognare davvero, anzi, dà vita ad un’idea di illimitatezza dei confini della cultura, riporta le parole alla loro condizione di suoni e alla malleabilità del loro significato senza perdere la funzione di veicolo comunicativo da un uomo all’altro, distanti tanti chilometri sulla cartina e che si sono incrociati in un terzo Paese lontano dalla strada di entrambi.

L’Orchestra continua ad arricchire il proprio repertorio e, nella presentazione di questo laboratorio aperto questa volta Mario Tronco, introduce anche Fabrizo Bentivoglio creando una commistione tra parole e musica dedicata a Charlie Mingus, musicista statunitense, meticcio, vittima di espisodi di razzismo sia da parte di bianchi che di neri, che ha vantato collaborazioni con artisti del calibro di Miles Davis e il cui genere musicale è definito come jazz-entno-folk-dance. “E’ il nostro”, dichiara Mario Tronco. E’ il loro. Sono loro una forma estrinseca del concetto di universalità che viaggia nella parola musica.

Approfondimenti:
www.orchestradipiazzavittorio.it

La storia si ripete, purtroppo. Il Direttore del MACRO si dimette perché capisce bene che l’arte contemporanea non può dipendere da una Sovrintendenza ai Beni Archeologici di Roma; linguaggi diversi, competenze diversissime, studi diversi, dinamiche professionali agli antipodi. Per fortuna il nuovo Direttore, Bartolomeo Pietromarchi, è un professionista serio e preparato con un network internazionale adeguato agli obiettivi ambiziosi di Roma Capitale della Cultura.
L’arte contemporanea oggi vale il 4% del PIL di ogni città d’arte intelligente che appartenga all’emisfero del mondo evoluto, un emisfero metaforico ormai, visto che in Indonesia le banche e le imprese investono il 20% del loro portafoglio annuale in progetti culturali. Ma per quelli che spendono le giornate in Parlamento, quello è ancora Terzo Mondo. L’Indonesia pensa la stessa cosa di noi; se si evolvono le cucine,  si evolvono pure gli strumenti della crescita economica, e l’arte, anche quest’anno, chiude a + 130% sull’anno precedente. Mentre Tremonti taglia sugli investimenti alla cultura… Cecità imbarazzante, non c’è altro termine per definire la mossa.
Nel frattempo la comunità dell’arte, sottoscritto compreso, si mobilita per la prima volta nella storia di questa eterna città in letargo, e propone la creazione di una Consulta per il Contemporaneo. Grande iniziativa, meritoria e difficile, alla quale però manca un piccolo tassello:nata Martedì 28 Giugno al MACRO, la consulta è infatti priva di rappresentatività legale, perché votata da circa 200 persone di cui gli interlocutori diretti (Comune, Provincia, Regione, Musei, Ministero Beni Culturali) non conoscono nome e cognome.
In pratica, il rischio è che le Istituzioni non possono darci risposte perché non siamo un organismo che possa dimostrare di rappresentare istanze reali, legittimate e votate secondo criteri giuridicamente corretti.
Per cui da un lato assistiamo ad un meraviglioso quanto (all’estero) normalissimo movimento di persone e professionisti animati dalla stessa preoccupazione per Roma e per i suoi abitanti, non solo artisti e affini se stiamo ai numeri di cui sopra; dall’altra lo strumento scelto per tenere insieme le anime dell’arte romana è da mettere a punto, e rischia di fare il gioco di alcune Istituzioni svogliate e distratte che non amano, nè ameranno mai, l’autodeterminazione a decidere del proprio destino nei casi in cui le Istituzioni stesse siano impreparate a farlo perché rimaste indietro sull’evoluzione naturale delle cose. Nel caso della cultura poi, che è strumento di evoluzione in sè, l’assenza istituzionale è ancora più grave.
Ecco perché non bisogna fare errori; il buon esempio vale più di mille parole. Fare soltanto  buona mostra di sè, invece, vale molto meno di una singola mostra…

Francesco Cascino è art Consultant e Presidente dell’associazione Arteprima

Oggi studiare Cinema significa occuparsene non solo come fonte di significato, ma anche come fonte di piacere ed emozioni. La nona edizione dell’Ischia Film Festival presieduta dal premio Oscar Ken Adam e diretta da Michelangelo Messina si svolgerà dal 2 al 9 luglio prossimi. Sono il documentario Il pellegrino vestito di bianco e le giornate del Film Location Tourism ad accendere gli interessi sulle anteprime in attesa delle opere in concorso e dell’inaugurazione.
Questa edizione del Festival si aprirà sabato due luglio ed avrà come cornice, insieme agli splendidi paesaggi mediterranei, il Castello Aragonese di Ischia Ponte. Proprio qui il brindisi di apertura dalla Terrazza del Castello darà avvio all’attesa kermesse. Il programma della serata di apertura prevede alle 20,30 l’inaugurazione della Mostra Fotografica di Antonio Maraldi Viaggi in Italia 2 che condurrà, di lì a poco, gli intervenuti alla proiezione delle Opere in concorso e dei lavori delle sezioni speciali continuando ad abitare il Castello nei luoghi del Chiostro delle Clarisse, della Terrazza del Convento, del Passetto delle Monache. A partire dalle  21,30 con il ciclo Parliamo di Cinema il pubblico incontrerà gli autori delle opere in selezione alla Cattedrale dell’Assunta.
Mentre il Festival sarà in pieno svolgimento, due eventi già noti sono attesi dagli appassionati. Il primo è il documentario Il pellegrino vestito di bianco  presentato ad Ischia, nella serata del 4 luglio, del regista polacco Jaroslaw Szmidt che per l’occasione risponderà alle domande del giornalista Franco Bucarelli. Il documentario è incentrato sulla figura di Giovanni Paolo II e rappresenta una delle anteprime nazionali dell’Ischia Film Festival. A caratterizzare l’opera, che narra il Papa polacco e i suoi viaggi apostolici, le voci di Raoul Bova, Laura Biagiotti e Placido Domingo. Il secondo momento atteso, a partire dal giorno dopo e fino al 7 luglio, sarà il IX Convegno Nazionale sul Cineturismo “Film Location Tourism. Il cinema ‘made in Italy’ a confronto con i casi internazionali”. Tra i relatori esteri che animeranno le giornate troveremo: Sue Beeton, docente dalla Trobe University di Melbourne, Olivier-René Veillon, de Ile de France Film Commission, Christine Berg, Direttrice del Fondo Federale Tedesco per il Cinema, Alison McKay, VisitBritain, Pierre Tolcini, VisitSweden, Philippe Reynaert, Direttore Wallimage, Eugeni Osàcar, dell’Università di Barcellona. Le forme di racconto cinematografico del paesaggio sono strumenti che possono essere aggiunti a quelli canonici per lo studio dei luoghi. Si potrà ragionare quindi sull’uso attivo del media cinematografico in processi di animazione territoriale e di coinvolgimento delle realtà locali.
Del resto un ruolo fondamentale nei film gioca il paesaggio in rapporto ai personaggi anche quando come oggi si confrontano vecchi e nuovi media  notando come la trasposizione del linguaggio cinematografico, ad esempio nel mondo dei videogiochi, sia alla ricerca del perfetto cine-realismo. Chi va al cinema tuttavia, ieri come oggi, non vuole solo vivere storie, emozioni, passioni, ma vuole vivere il movimento del mondo. Lo spettatore cinematografico è un cinenauta che con suspense, sospensione, sorpresa, compie viaggi di scoperta: tormenti alla propria fantasia e alla sublimata soddisfazione del proprio immaginario inespresso, fortissimi in questo Ischia Film Festival.

Studiare la società attraverso il teatro: questo uno degli intenti perseguiti da Georges Gurvitch, nel suo breve saggio “Sociologia del teatro”.
Scritto in francese e tradotto solo parzialmente in inglese, il programma delineato dal sociologo russo naturalizzato francese può vantare oggi anche una traduzione in italiano grazie ad una pubblicazione curata da Marco Serino edita da Kurumuny.
Nel saggio, tema centrale è l’analogia tra teatro e società intesa anche come studio della vita sociale tramite la sperimentazione teatrale: una sperimentazione come messa in scena “invisibile”  tale da fare in modo che il pubblico reagisca come se le due dimensioni appartenessero allo stesso “regno di realtà”.
Dichiara Gurvitch: “ le cerimonie sociali e i ruoli individuali e collettivi che noi tutti interpretiamo (talvolta senza saperlo), non presentano una sorprendente analogia con ciò che chiamiamo teatro?”
Ognuno di noi, nella nostra vita, è infatti chiamato all’interpretazione di diversi ruoli, spesso anche in contrapposizione tra loro: l’agitatore di masse esaltato e irruento può essere al tempo stesso mite padre di famiglia così come il marito tirannico un impiegato modesto.
Eppure, escludere ogni linea di demarcazione tra il teatro e la società sarebbe un grave errore: per questo motivo ci si appresta a specificare i limiti dell’analogia tra teatro e società definendo il primo sublimazione del secondo. Il teatro riprende le scene della vita reale, rievocandole oppure allontanandosi da esse per distrarre il pubblico.
Dopo queste specifiche, l’autore passa in rassegna le differenti branche della sociologia del teatro introducendo nello studio della disciplina, oltre all’analisi del pubblico, anche quella della rappresentazione teatrale vera e propria confrontata con i diversi quadri sociali a cui questa vorrebbe far riferimento, lo studio del gruppo di attori, lo studio del rapporto funzionale del contenuto delle opere teatrali e lo studio delle funzioni sociali del teatro.
Ultimo interrogativo al quale l’autore russo risponde nel suo saggio riguarda la possibilità per il teatro di costituire una efficace tecnica di sperimentazione sociologica. La risposta, che si discosta dalla proposta di Jacob L. Moreno, è affermativa e presuppone alcuni accorgimenti specifici: il pubblico, ad esempio, dovrebbe ignorare di stare ad assistere ad una rappresentazione teatrale credendo di partecipare ad una scena reale.
Che sia un’operazione difficile da realizzare se ne rende conto lo stesso Gurvitch tanto che, nel finale, affida il successo di tale sperimentazione ai ricercatori futuri che, con l’aiuto del progresso nella ricerca sociale, riusciranno magari a migliorare le tecniche sopra descritte.
Lo scritto si chiude con l’invito alla collaborazione tra sociologi e uomini di teatro, affinché vengano impostate le basi per la futura evoluzione della disciplina.
Un’opera dunque, che a 55 anni dalla sua pubblicazione (1956) torna alla ribalta e risplende per la modernità con cui affronta il tema della sociologia del teatro nel suo rapporto tra teoria e ricerca empirica.

Sociologia del teatro
Georges Gurvitch
A cura di Marco Serino
Kurumuny editore, € 7,00
ISBN: 978 88 95161 56 3

Intervista a Tiziano Braglia, co-fondatore di Freshcreator

Freshcreator è un software pensato per le strutture turistiche ricettive. Come nasce questo progetto e su quali premesse si fonda?
Il progetto nasce essenzialmente dal bisogno delle piccole strutture dell’ospitalità italiana di lavorare meglio sul web.
Il target specifico al quale ci rivolgiamo è quello delle strutture ricettive con meno di 30 camere, quindi hotel indipendenti, bed&breakfast e agriturismi, che rappresentano circa il 70% della ricettività totale italiana. Queste strutture spesso non hanno siti web aggiornabili rapidamente, non dispongono di strumenti di vendita diretta e devono pagare alte commissioni ai portali dove si promuovono. Per loro abbiamo realizzato questo software che permette di creare un sito e di integrarlo con strumenti di vendita diretta senza commissioni aggiuntive. Freshcreator offre una base tecnologica che permette alle piccole strutture di competere efficacemente online.

In che modo Freshcreator concepisce e utilizza internet e le tecnologie web e quali sono i servizi che propone agli utenti?
“Freshcreator” nasce da un reparto di ricerca e sviluppo di una società che si è sempre occupata di turismo, la GH di Bologna. Noi cofondatori di freshcreator abbiamo sempre avuto un grande interesse per le web applications, e le abbiamo da sempre utilizzate per lavorare meglio. Ci siamo chiesti: perchè non creare un software che abbia la facilità e le caratteristiche dei software che utilizziamo abitualmente e lo sviluppiamo per le esigenze del mercato turistico, che conosciamo meglio? Da quella idea nasceva freshcreator.

Che tipo di servizio è Freshcreator?
Tecnicamente è un software as a service, acquistabile tramite un abbonamento annuale.  Tutti gli utenti che utilizzano freshcreator sono dei veri “supporters” e hanno la possibilità di scegliere gli indirizzi di sviluppo del proprio prodotto. Il software è pensato per un utilizzo su larga scala e può essere ampliato attraverso delle features aggiuntive, sempre richieste a maggioranza.
Freshcreator, come molti altri software as a service, segue la logica del freemium: il servizio base, che permette la realizzazione e la gestione autonoma di un sito web, è totalmente gratuita. Gli utenti possono scegliere liberamente se attivare dei servizi e degli strumenti più avanzati.
Inoltre, ciò che ci differenzia dagli altri site builder è l’offerta di una consulenza, anch’essa gratuita: assistiamo e spieghiamo al meglio quelle che sono le potenzialità del nostro prodotto a tutti i nostri utenti. Spesso, grazie a questo aiuto, i nostri clienti sono poi più incentivati all’acquisto di servizi premium come il booking online, sul quale non tratteniamo alcun tipo di commissione. Uno strumento interattivo, di vendita diretta e di facile utilizzo per una grande platea di gestori.

Quali difficoltà avete incontrato sul vostro cammino, in un’Italia che sembra ancora non promuovere e sostenere abbastanza le giovani generazioni che si candidano a far crescere il Paese con nuove forme di imprenditorialità?
Attualmente il nostro Pese versa in una situazione economica difficile, ma la crescita delle start up fa ben sperare per l’economia del nostro paese. Molti di questi progetti sono delle leve importanti per la crescita economica di determinati settori. Credo sia importante dare la giusta visibilità e un sostegno concreto ai progetti che possono aiutare l’economia italiana a riposizionarsi, anche perchè spesso le giovani startup non possono permettersi una comunicazione massiva, che possa stimolare un più largo utilizzo dei servizi da parte degli utenti.

In quale misura, a vostro avviso, l’innovazione dei servizi nel settore turistico e la crescita delle piccole e medie imprese che vi operano, possono essere fattori determinanti per uscire dalla crisi economica?
Il turismo incide necessariamente sul PIL nazionale con valori percentuali che variano a seconda delle stime dal 10 al 15%.  E’ dunque necessario riuscire a stimolare la presenza delle strutture che operano nel settore turistico attraverso una comunicazione online che permetta di sviluppare una maggiore competitività tra le aziende del settore, andando ad incentivare la realizzazione di nuovi servizi e nuove offerte. La nostra sfida è quella di far percepire alla maggior parte delle piccole strutture italiane che lavorare sul proprio sito web è fondamentale per offrire un servizio ai potenziali viaggiatori, così come è altrettanto importante dotarsi di strumenti di acquisto diretto che possano incentivare i clienti a concludere le transazioni sul sito web.

Lo scorso martedì 14 giugno Freshcreator ha ricevuto, al Quirinale, dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il prestigioso “Premio Nazionale per l’Innovazione, settore Commercio e Turismo”. Quali sono state le vostre reazioni in seguito alla premiazione?
Il premio ha rappresentato per la nostra azienda e per il nostro marchio un momento di grande visibilità e questo per una start up assume un ruolo fondamentale. E’ stato molto emozionante, un bel messaggio per tutte le altre realtà tecnologiche che si affacciano oggi sul panorama imprenditoriale nazionale. Ricevere il Premio Nazionale per l’Innovazione a soli otto mesi dalla messa online dei nostri servizi è quindi per tutti noi motivo di grande soddisfazione e vanto.

Approfondimenti:
www.freshcreator.it

“Archivi d’impresa” è un portale ideato e promosso dalla Direzione Generale per gli Archivi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali realizzato in collaborazione con circa 30 fondazioni e archivi storici d’impresa.
Il sito, on line dallo scorso 24 giugno 2011, è stato presentato a Roma, presso la sede dell’Archivio Centrale di Stato. Hanno aderito e sostenuto la realizzazione del portale oltre 30 partner tra i quali si annoverano i nomi più importanti del panorama industriale italiano: Barilla, Peroni, Enel, Eni, Feltrinelli, Guzzini etc, i quali, con documenti cartacei, fotografie, audiovisivi e archivi storici, vanno ad integrare e a valorizzare quanto conservato negli Archivi di Stato sotto la tutela della Soprintendenza, impegnata nell’attività di censimento, delle Regioni e degli Enti Locali.
La realizzazione del portale si è resa necessaria in quanto il sito consente di mettere on line le esperienze delle imprese italiane, sia pubbliche, sia private, dei loro archivi storici, valorizzando in questo modo la cultura d’impresa nel nostro Paese.
Sulla “home” gli utenti  potranno navigare facilmente spaziando tra 10 finestre descrittive, il Portale, Partner, Imprese, Cronologia generale, Cronologia territoriale, Protagonisti, Percorsi, Galleria multimediale, Trovarchivi, Biblioteca, che illustrano in maniera chiara quelle che sono le peculiarità, le motivazioni e gli obiettivi che hanno condotto alla realizzazione del sito e i settori specifici che  possono essere consultati  per fini di ricerca, studio o semplice curiosità.
“Archivi d’impresa”, infatti, mette a disposizione dei fruitori, soprattutto studenti, giovani e studiosi, un repertorio di fonti archivistiche, dati bibliografici e contenuti redazionali, quali dossier tematici, cronologie nazionali e territoriali dal 1861 a oggi, profili biografici di oltre 150 imprenditori, curati  e catalogati da un gruppo di esperti e docenti dell’Università Bocconi, in collaborazione con l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
In alto, sempre sulla home, gli utenti potranno inoltre consultare e visitare www.cinemaimpresa.tv,  una web tv contenente circa 300 film provenienti da 16 archivi storici di imprese, realizzata con il supporto del Centro Sperimentale di Cinematografia – Archivio nazionale del cinema d’impresa d’Ivrea, in collaborazione con la Direzione Generale per gli Archivi e una banca dati appartenente all’Ufficio italiano Marchi e Brevetti con oltre 170.000 descrizioni e immagini in alta definizione di marchi.
Il pubblico potrà accedere facilmente e consultare agevolmente le informazioni di carattere storico-politico ed economico, l’elenco di tutti gli eventi più rilevanti, la cronologia che definisce gli step dello sviluppo delle imprese sul territorio.
Il sito, quindi, risulta essere fonte esaustiva e completa per tutti quegli utenti che volessero comprendere e farsi un’opinione dettagliata di quello che è il panorama culturale del mondo delle imprese in Italia, della sua storia e del suo più immediato futuro.

Volendola mappare, l’Italia, in ogni sua regione, ha una peculiarità territoriale in grado di trainare gran parte dell’economia locale: dal mobile della Brianza all’occhialeria di Belluno, dai motori emiliani alle piastrelle di Sassuolo, dal marmo di Carrara all’industria tessile di Prato fino alle calzature delle Marche e all’alta sartoria napoletana. Per non contare le miriadi di proposte culinarie che in ogni luogo offrono la propria tipicità da esportare entro i confini nazionali e internazionali: una geografia di industrie artigianali o industriali, di design, creative, culturali. Comparti che dialogano tra loro affinché tradizioni lontane mantengano il passo con i tempi diventando sempre più competitive.
Nell’anno in cui la nostra nazione celebra i 150 anni di Unità, la ricerca condotta dalla Fondazione Symbola e Unioncamere dimostra come le industrie creative e culturali in Italia possono rappresentare, se coadiuvate da opportune strategie di sviluppo, una leva importante sia dal punto di vista del Made in Italy e del brand “Italia” all’estero, sia da quello strettamente performativo con risultati, analizzati nel triennio 2007-2010, che mettono in luce le potenzialità di crescita dell’intero segmento produttivo.
Con una produzione di valore aggiunto che, nel solo 2010, ha superato i 68 miliardi di euro, le industrie culturali sono state in grado di mettere a disposizione oltre 1,4 milioni di posti di lavoro (circa 5,7% dell’occupazione nazionale) con una crescita economica (in termini di valore aggiunto nominale) del 3% a fronte dello 0.3% registrato per altri settori produttivi.
Design e produzione di stile il segmento delle industrie creative che ha visto una maggiore crescita (+8,2% di valore aggiunto), seguito dalle attività di progettazione architettonica (4%) e, per le industrie culturali, il comparto media e comunicazione(+12%) a cui si affianca la produzione musicale(+8.9%) e il settore editoria (+1.9%).
In difficoltà, invece, soprattutto a causa della galoppante globalizzazione ancora difficile da domare, l’artigianato legato alla cultura (-3.6%): la mancanza di reti tra le piccole imprese e le fallacie riscontrate nella formazione e nell’aggiornamento professionale delle risorse umane ha infatti ostacolato l’apertura del settore verso i mercati internazionali.
Dal punto di vista territoriale è il Nord-Ovest a contribuire maggiormente alla creazione di valore economico culturale: un terzo della ricchezza culturale italiana proviene infatti proprio da quest’area, seguita dal Nord-Est e poi dal Centro, in cui si concentrano gran parte delle attività legate alla produzione di contenuti espressivi come cinematografia, musica, editoria e televisione.
Fanalino di coda è il sud Italia, che incide per appena il 15,9% della produzione di ricchezza nazionale nel settore.
Partendo dalla classificazione delle attività economiche Ateco 2007, la ricerca distingue quattro tipologie di attività culturali sintetizzabili in: industrie creative (architettura, comunicazione, artigianato, design, agroalimentare e ristorazione di qualità), industrie culturali (cinema, televisione, editoria, industria musicale), patrimonio storico-artistico e architettonico (musei, siti archeologici), performing arts e arti visive (festival, attività artistiche in senso stretto)
Da questa classificazione si evince come siano l’industria culturale e quella creativa a fornire ossigeno ai dati occupazionali sopra citati: i comparti legati al patrimonio storico-artistico, alle performing arts e alle arti visive, infatti, dimostrano ancora la loro scarsa propensione all’organizzazione imprenditoriale, la cui ricchezza culturale rimane quantificabile solo in rapporto ad altri comparti, anche apparentemente distanti dalla cultura, ma che con essa dialogano per un interscambio di saperi.
Vi è dunque una indubbia difficoltà di valutazione per un settore i cui benefici sono solo in parte rappresentati dai dati del fatturato e a cui andrebbero aggiunti anche parametri sociologici che tengano conto di criteri come “qualità della vita”, “benessere diffuso” o  “formazione di un’identità culturale nazionale”.

Spazio ad un’altra musica, di qualità, non commerciale, indipendente, con un suo appassionato e nutritissimo seguito. Recupero di aree dismesse o inutilizzate, che per alcuni giorni tornano a vivere, a pulsare, dando lo spunto per un loro recupero creativo. La città vista e vissuta da altre angolazioni, attraverso prospettive sonore insolite, con un’impronta europea e internazionale, per dirla con un esempio abusato, ma concreto: con questo spirito è nato l‘IndieRocket Festival, ormai sette anni fa e che il primo e il due luglio celebra la sua ottava edizione, con tenacia, determinazione ed euforia.
Un evento “carsico”, che negli anni ha calamitato a Pescara gruppi dell’underground musicale indipendente. In alcuni casi scoperti prima che si aprissero al grande pubblico (Josh T Pearson, Laura Veirs, These New Puritans), in altri omaggiati come meritano dei veri e propri “mostri sacri” (Gang of Four, Red Crayola) comunque sempre stelle nascenti o consolidate in un ambiente musicale ricco di esperienze artistiche ed umane uniche ed importantissime (Trans Am, Devastatio, zZz, Poni Hoax, Ardecore, The Cesarians, God Is My Co-Pilot, Panico, Blackstrobe e tanti tanti altri).
Un appuntamento che ha offerto gusti musicali nuovi, creando un percorso di ricerca nel pubblico. Un itinerario che non si ferma solo alla due giorni del Festival, con le sessioni invernali nei club cittadini e altre città come Rimini, Napoli e Reggio Calabria, che nel tempo hanno visto comparire edizioni di “IRF On tour” e che da quest’anno è gemellato con il Dour Festival (Dour, Belgio – dal 14 al 17 luglio 2011).
Giunto all’ottava edizione, dunque, l’IndieRocket Festival si conferma appuntamento imperdibile dell’estate per gli amanti della scena musicale indipendente ed alternativa. Forte delle precedenti edizioni, che hanno visto più di trentacinquemila spettatori nel corso di sette anni, di cui più di diecimila solo nell’ultima, il Festival punta a crescere ancora come presenze e qualità artistica.
L’organizzazione e la direzione artistica sono dell’Associazione Culturale SkyLine Lab e di Clap Dance Promotion, agenzia che sta mutando forma in Pentagon Booking. Come tanti altri Festival ed eventi culturali in Italia, l’IRF quest’anno soffre dell’interruzione del rapporto di collaborazione con l’Amministrazione comunale locale. Il Festival ha sempre beneficiato di un contributo pubblico da parte del Comune (coprendo per circa il 40% le spese complessive) a prescindere dai diversi governi ed assessori che si sono succeduti.
Quest’anno, invece, non è stato predisposto alcun contributo e tantomento riconfermata la location che nelle ultime due edizioni ha consacrato il Festival, il Parco ex Caserma di Cocco (ex caserma militare oggi Parco pubblico, spesso al centro di polemiche per scarsa manutenzione e ora per la ventilata costruzione di un strutture sportive al suo interno). Il tutto senza alcuna motivazione documentata.
Così il Festival si trova anche a dover modificare la sua natura di evento gratuito, prevedendo un ingresso a pagamento, per quanto irrisorio, di 5 euro al giorno con  abbonamento speciale per due giorni di Festival a 7 euro. E soprattutto, trasferirsi in una struttura privata (il Parco Piscine Le Naiadi, storico centro sportivo polifunzionale della riviera pescarese). Il tutto mentre in città si propone – da due anni, voluto dall’Amministrazione comunale in carica – il “D’Annunzio International Arts Festival” che gode di sostanziosissimi contributi, senza che però si sia fatto nulla per mettere in sinergia le esperienze davvero innovative di questa città.
Ma questo non ferma certo il Festival, che ha peraltro una sua inconfutabile portata turistica e culturale e crea un indotto  sul territorio dando lavoro ai settori logistica, ospitalità, ristorazione e comunicazione. Riscontrando una crescita costante di pubblico e attenzione da parte dei mezzi di comunicazione nazionali.

Paolo Visci è direttore artistico IRF

Paese che vai, usanze che trovi. L’Europa nell’epoca della crisi affronta in modi e modalità diversi da nazione a nazione le mille e una urgenze, necessità e problemi posti da una generalizzata mancanza di fondi. Dalla sanità alle infrastrutture, dall’ambiente alle imprese, tutti i settori ne soffrono, ma certo è che il sistema cultura è tra i più colpiti. E mentre in paesi come la Francia anche la destra al governo non ha minimamente penalizzato il settore – il bilancio del 2011 prevede un incremento di 154 milioni, per un totale di 7.5 miliardi di euro – l’Italia sembra pensarla diversamente.
I tagli inflitti alla cultura lasciano dunque ben poche speranze sulla possibilità di un’efficace e intensa politica culturale che vada non solo a provvedere a quegli impellenti interventi di conservazione di cui Pompei è solo il caso più eclatante, ma anche e soprattutto a promuovere lo sviluppo dei diversi settori delle industrie culturali e creative che economisti di fama internazionale come Pierluigi Sacco indicano come l’unica risposta possibile all’interno dell’economia post-industriale della conoscenza nella quale viviamo.
Ma se il governo non crede nella possibilità della cultura, non tutti sembrano pensarla allo stesso modo. Negli stessi giorni in cui il Gruppo Tod’s presentava il piano di interventi al Colosseo – 25 milioni di euro messi a disposizione  – che insieme all’ingresso nella Fondazione La Scala e al Progetto Italia mettono in pratica l’affermazione di Della Valle “Credo che con la cultura si possa mangiare e mangiare bene” (di contro alla ormai celebre affermazione di Tremonti “Con la cultura non si mangia”), anche il Gruppo Intesa San Paolo ha presentato il suo Progetto Cultura.
La banca, che da sempre riconosce la cultura come prioritaria all’interno delle proprie attività di responsabilità sociale, ritiene infatti fondamentale prevedere in Italia oltre alle sponsorizzazioni (più di 11 milioni nel 2010), le erogazioni liberali destinate al settore (quasi 4 milioni di euro nel 2010) e si fa attore in prima persona di una serie di interventi di grande importanza su tutto il territorio nazionale.
“Oggi, nel momento in cui il nostro Paese attraversa una lunga e difficile transizione – ha dichiarato il Presidente del Consiglio di Sorveglianza Giovanni Bazoli -, la storica vocazione del Gruppo comporta l’assunzione di nuove responsabilità. I profondi cambiamenti che attendono il nostro Paese richiedono di essere affrontati sul piano culturale, al fine primario di ritrovare un senso comune di cittadinanza. È in gioco lo stesso fondamento etico della nostra nazione: tema giustamente posto al centro delle riflessioni nel 150mo dell’unità”. “In questo orizzonte – ha concluso -, si potrebbe dire che è necessario rafforzare il legame tra il ‘fare cultura’ e il ‘fare Italia’. ‘Fare cultura’ per ‘fare l’Italia’”.
Queste le basi del Progetto Cultura, un piano triennale di interventi volto da un lato a condividere con la collettività il prestigioso patrimonio storico, artistico, architettonico e archivistico del Gruppo per diventare strumento di sviluppo, inclusione e dialogo sociale, dall’altro ad una mirata programmazione di proposte culturali e scientifiche innovative.
Frutto di una lunga gestazione partita nell’autunno del 2009, il Progetto è stato elaborato da un comitato scientifico composto da Gianfranco Brunelli, Fernando Mazzocca e Aldo Grasso e comprenderà la creazione di poli museali e la restituzione al pubblico di oltre 600 opere restaurate, cui si aggiungeranno mostre temporanee, cicli di convegni, laboratori e molto altro ancora.
Per quanto riguarda i poli museali, in alcune grandi città italiane sono già stati identificati edifici della banca da adibire a spazi espositivi e culturali dove rendere fruibili al pubblico le collezioni d’arte dell’Istituto. Il patrimonio della banca vanta infatti 10.000 opere, dai reperti archeologici alle testimonianze dell’arte contemporanea, in parte già esposte al pubblico a Palazzo Leoni Montanari a Vicenza e a Palazzo Zevallos Stigliano a Napoli, che in futuro accoglieranno un numero ancora maggiore di opere in seguito a progetti di ampliamento e riorganizzazione. Ai musei già aperti si affiancherà inoltre un nuovo polo museale, le Gallerie di Piazza Scala, che sarà inaugurato nell’autunno di quest’anno nel cuore del centro storico di Milano. Entro il 2012, quindi, saranno offerte al pubblico circa 1.000 opere, distribuite su una superficie espositiva di circa 12.000 mq. In futuro è infine prevista l’apertura di altri poli museali in varie città d’Italia, a partire da Torino.
Il programma di restituzioni si inserisce invece in un progetto ormai ventennale, avviato nel 1989, che si impegna sul fronte della salvaguardia e della valorizzazione dei beni storico-artistici e architettonici del Paese. Un collaudato programma di restauri di opere appartenenti al patrimonio nazionale gestito in collaborazione con gli organismi pubblici, che ha permesso il restauro e la restituzione di oltre 600 opere d’arte: dall’archeologia fino alle soglie dell’età contemporanea, dalla pittura, alla scultura, all’oreficeria, alle manifatture tessili.
L’ultimo settore di intervento del Progetto è quello relativo agli archivi storici del Gruppo che tende alla promozione di eventi culturali specificamente indirizzati allo studio delle radici economiche e sociali del Paese e, in parallelo, a una maggiore divulgazione del ricco patrimonio documentale e fotografico della banca. Unitamente si avvieranno una serie di collaborazioni permanenti con Poli universitari specializzati in discipline storiche, economiche e archivistiche, per la realizzazione di analisi, studi, ricerche, da svilupparsi in modo organico e sistematico nel tempo.
Intesa San Paolo insieme ad aziende come Tod’s sembra quindi sostenere l’importanza della cultura soprattutto  in tempi di crisi perché, per unire le due visioni, fare cultura vuol dire fare l’Italia e farla non solo da un punto di vista identitario, ma anche porre le basi per uno sviluppo che possa far mangiare le prossime generazioni e farle mangiare bene. E considerato lo spessore imprenditoriale degli attori che si sono messi in gioco, potrebbe essere saggio prestare attenzione alle loro affermazioni.

Le roi est mort, vive le roi!
La recente assemblea dello ICANN ha deliberato una rivoluzionaria novità per il  mondo del world wide web per l’anno 2013.
Viene meno l’obbligatorietà di “passare” attraverso la strettoia di un  punto-com, punto-it, punto-qualcosa, e sarà possibile collegare i portali a…sé  medesimi, in quanto le grandi organizzazioni potranno depositare “TLD” dettati  dal solo limite della loro fantasia. Con un’avvertenza: il costo è di circa 140.000€ ciascuno.
Insomma, briciole rispetto ai budget pubblicitari delle grandi aziende, ma  traguardo irrealistico per i privati, o per il mondo del no profit. Possiamo paragonare la decisione alla “liberazione” dei numeri di targa…  ciascuno può ora farsi il proprio.  Ma il “registro” rimane, coordina e verifica, percepisce, accentra a livello globale tante funzioni che, con i suffissi territoriali, sono delegate ad autorità locali.
Possiamo immaginare cosa sarà la rete senza la mediazione, categorizzante (e pertanto indicativa), degli “edu”, “org”, “com”, “gov” eccetera?
Da un lato, sembra che la ricerca di un’azienda non necessiterà più della mediazione di un “motore di ricerca”, in quanto il nome apparirà direttamente dal browser; dall’altro lato, mai come ora i “motori” si sono focalizzati invece al “bagaglio”, al contenuto, raccogliendo e distribuendo sempre più contenuti propri, come nel settore dell’audiovideo e degli e.book.
Più facilità d’uso e libertà per gli utenti, insomma? A chi scrive pare, piuttosto, più probabile un “rovesciamento” di procedura, ove l’utente viene convertito in consumatore.
Immagino infatti che pur partendo da un qualsiasi contenuto, si verrà “traghettati” o “pescati” fino al “portale monomarca”, mentre ora ci si attende, viceversa, che la navigazione parta dall’alto, dalla “home”, e da questa discenda poi al contenuto.
Come ogni riforma, predirne gli effetti implica uno sforzo di fantasia privo di qualsiasi attendibilità scientifica. Le novità tecnologiche spesso emergono per loro aspetti, imprevisti dall’inventore. Si pensi agli SMS, concepiti one-to-many per diramare allarmi o comunicati aziendali, e diventati invece tra i massimi veicoli di sociabilità tra i teenagers, oltre che la prima voce economica di reddito per le compagnie telefoniche.
Vedremo dunque tra qualche anno gli effetti concreti, ma lo vedremo attraverso nuovi strumenti, apparecchi e prassi di uso, che ancora non conosciamo.  
Certamente, se alcuni da anni gridano che Internet è morta e che bisogna pensare al web 2.0, con questa novità arriveremo a 3.0 …senza nemmeno il suffisso “web”.

Paolo Bergmann è avvocato esperto in diritto d’autore

Quello degli adattamenti cinematografici di libri è un mercato in costante crescita: secondo l’Aie (Associazione italiana editori), il 27% dei film prodotti in Italia nel 2010 è tratto da libri. Una tendenza intercettata dal TorinoFilmLab, fucina internazionale di talenti emergenti al loro primo o secondo lungometraggio, che quest’anno ha dato vita al TFL Window, uno sportello di scouting editoriale per scovare nuove storie da film da incanalare in uno dei percorsi del suo network. Attivo nei tre giorni dell’International Book Forum (12-14 maggio 2011) del Salone Internazionale del Libro di Torino, lo sportello ha visto due story editor professionisti del TFL valutare “l’indice di filmabilità” delle opere proposte dagli editori sulla base di cinque criteri fondamentali: plot, personaggi, ambientazione, budget e piano di promozione.

Intervista a Savina Neirotti  – Direttrice del TorinoFilmLab
Come nasce il TFL Window?
Da tempo riflettiamo sulla possibilità di creare un Adapt Lab, un laboratorio dedicato allo sviluppo di film tratti da libri. Il progetto è già sviluppato, mancano solo i fondi. Pensiamo a 4-8 progetti da portare avanti nei nostri workshop. Intanto, stiamo iniziando a valutare le storie sul mercato. Per questo è nato il TFL Window, per incontrare editori con storie che abbiano potenzialità cinematografiche. In particolare, attraverso questa selezione, sceglieremo un libro su cui lavorare nell’ambito del nostro programma Script&Pitch. Cercheremo lo sceneggiatore giusto per quel libro e accompagneremo il film dallo sviluppo alla produzione, cosa che il TFL fa già con i soggetti originali.

Qual è il vantaggio dell’adattamento cinematografico rispetto ai soggetti originali?
Il libro offre garanzie dal punto di vista narrativo, un punto di partenza solido. Oltretutto, una storia forte ha già un mercato, un suo pubblico. Il mercato cinematografico guarda molto all’adattamento di libri italiani. Negli Stati Uniti è diventato un business, un modello ripetibile all’infinito con un certo tipo di libri. In Europa, specialmente in Francia e in Italia, abbiamo storie particolari, non in serie, quindi tante possibilità dal punto di vista drammaturgico. Una cosa importante è che l’adattamento permette di salvaguardare al contempo il rapporto con il pubblico e la qualità.

Guardare sempre più ai libri non rappresenta una sconfitta dell’immaginazione e dell’originalità delle storie per il cinema?
Non credo, perché l’adattamento è un processo altamente creativo, può essere fatto in tanti modi. Puoi decidere, ad esempio, di lavorare su alcuni personaggi e di lasciar perdere altri. Puoi adattare un certo numero di pagine e inventare tutto il resto. E’ come le variazioni nella musica classica.

Qual è il prossimo passo del TFL Window?
Grazie all’IBF, abbiamo stretto un’importante partnership con l’Industry Books del Festival Internazionale del Film di Roma. I 20 progetti editoriali selezionati da TFL Window al Salone di Torino (libri editi nel 2011 o ancora da pubblicare) di editori italiani o inglesi (il Regno Unito sarà protagonista del focus del Festival di Roma 2011) saranno sottoposti a luglio a una giuria eletta dalla Fondazione Cinema per Roma. Questa giuria ne selezionerà 10 da presentare a produttori, autori e distributori italiani e internazionali in una giornata dedicata della kermesse romana, il 27 ottobre.

Venerdì 16 giugno 2011 il centro storico di Rovereto è stato animato da una nuova iniziativa, il cui nome è tutto un programma: Connessione Arte.
Nelle intenzioni del promotore, l’architetto Evgheni Vasilev, questa proposta segna l’inizio di un percorso di collaborazione fra diverse energie che animano la piccola grande città trentina: gli artigiani e gli esercenti della parte più antica della città, alcuni studi professionali e lo spazio The Hub Rovereto votato per Dna alla creazione di network.
Il percorso Connessione Arte prende avvio con l’inaugurazione della Mostra personale Altrove del pittore bulgaro Georgi Demirev. La serata è stata anche una festa con degustazioni e musica dal vivo a cura della dj milanese missinred.
Più che dei quadri, del pittore, del suo gesto e dei richiami di senso che i suoi dipinti su cartone evocano, sarebbe interessante ricostruire la cornice dell’operazione che con questa mostra muove i primi passi.
“La crescita di un Paese non è un fenomeno meteorologico da aspettare fatalisticamente; è legata a fattori strutturali fondamentali; oggi stiamo attraversando una crisi di competitività e di innovazione”. Ci vogliono “norme a prova di futuro”, “imprese capaci di cogliere il nuovo e di programmare l’avvenire”, e “uno sforzo decisionale mirato e un nuovo approccio agli investimenti”, dichiara il presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni: Corrado Calabrò in un passaggio chiave della presentazione in occasione della relazione annuale dell’AgCom, lo scorso 14 giugno.
Analogamente, Connessione Arte è un progetto agli albori che punta sulla creatività diffusa intesa come base fondamentale per uscir proprio da quella crisi di innovazione e per creare ricchezza. Nella società della conoscenza, della qualità e della ricerca in cui viviamo la creatività gioca infatti un ruolo fondamentale perché alla base dei processi innovativi. Senza le persone competenti e capaci di guardare oltre, di mettere in contatto discipline diverse, non si va da nessuna parte. Non sono (solo) le macchine né (solo) gli specialisti sulle torri d’avorio che fanno avanzare la conoscenza e il benessere.

La prima parola del titolo, Connessione, in questi ultimi tempi racchiude inoltre un portato di emancipazione se pensiamo ai popoli indignati che nell’area mediterranea hanno alzato la testa per far valere i propri diritti di cittadini. Ed anche nel nostro paese, affetto da conflittualità acuta e cronica, connettersi per diffondere un’informazione migliore ha significato in molti casi una presa di posizione importante che ha portato i cittadini abattersi per affermare la propria forza democratica.
Il progetto Connessione Arte è dunque una dichiarazione di intenti verso una intesa fra quanti, a partire dal centro storico della città di Rovereto, vorranno partecipare alla costruzione di una nuova proposta ibrida e colorata: in parte orientata alla socializzazione, in parte a promuovere il circuito commerciale e artigianale che innerva l’impianto urbano di stampo settecentesco nella zona compresa fra via Rialto e via della terra, e infine tesa alla scoperta in un contesto informale di autori e artisti locali e internazionali.
Rovereto è un centro attivo, con una fortissima tradizione civica, culturale e anche industriale. Connessione Arte può essere un modo per interpretare la sfida alta che questa città si pone, una sfida che attraversa linguaggi diversi e guarda al futuro nel tentativo di tener insieme Depero e il Mart, il sapere e il saper fare, storia e natura, turismo e qualità della vita: un viaggio nel tempo e nello spazio, proprio una connessione fra le diverse arti, le varie forme di ricerca, le molte voci di una comunità solidale e fiduciosa.
Pur con tutta la vulnerabilità delle iniziative in fase di test, questa proposta possiede a mio avviso gli elementi per proseguire il cammino intrapreso. In bocca al lupo!

L’attuale situazione di criticità dei beni culturali in Italia non riguarda solo realtà di rilievo internazionale, quali, ad esempio, il sito archeologico di Pompei, caso esemplare di una inefficienza delle istituzioni competenti in materia di conservazione e valorizzazione, ma anche aree “minori”, di certo meno conosciute ma non per questo trascurabili.
A questo proposito è stata portata avanti un’iniziativa il cui scopo, almeno sul piano simbolico, è stato prendersi cura delle tante testimonianze del passato di cui dispone la città di Benevento.
Centro di antichissima origine, capitale del sannio irpino, divenuto poi colonia romana e in seguito ducato longobardo, Benevento conserva pressoché intatte le importanti tracce della sua storia, nonostante vari eventi sismici, alluvioni e il bombardamento da cui fu colpita durante il secondo conflitto mondiale. Eppure, l’erosione dovuta al tempo, ma soprattutto all’incuria, rischia di arrecare danni non meno significativi rispetto a tali calamità.
Al riguardo, infatti, lo scorso 4 giugno la cittadinanza è stata sollecitata, su invito della Solot (compagnia teatrale attiva da decenni nel capoluogo sannita), in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, ad intervenire sullo stato di degrado del Teatro Romano, con un’attività di pulizia e rimozione delle piante infestanti che ne ricoprivano le strutture.
L’iniziativa, denominata “Angeli delle Pietre – Festa per il Teatro Romano”, con un chiaro riferimento agli “Angeli del Fango” impegnati nel ripristino delle antichità di Firenze dopo l’alluvione del 1966, intendeva appunto coinvolgere i cittadini in una impresa volontaria che potesse in qualche modo scuotere gli attori istituzionali, alla cui negligenza, evidentemente, era in gran parte dovuto lo stato di abbandono dell’antico teatro.
Circa 250 persone, armate di cesoie, rastrelli e decespugliatori, supportati dalla locale Azienda Servizi Igiene Ambientale, hanno partecipato alla manifestazione dimostrando che anche con mezzi limitati, e con una volontà collettiva, si può realizzare un’operazione che dovrebbe rientrare nell’ordinaria attività di manutenzione dei beni culturali.
Ipotizziamo che una pulizia rigorosamente periodica dovrebbe essere attuata da autorità preposte alla gestione di un bene pubblico, anziché da volontari disposti ad interessarsi al problema in via del tutto eccezionale.
È da rilevare, in questo caso come in altri, un problema di responsabilità dei soggetti operanti nel settore – la Soprintendenza o i Comuni e le Province – che può condurre ad una sorta di “scaricabarile” o addirittura ad un completo disinteresse da parte degli stessi. A nostro modesto avviso è inammissibile la gestione di una zona vasta e articolata come quella beneventana, da parte di un ente il quale deve farsi carico delle aree archeologiche di ben quattro province, causando quindi un’inefficienza dei servizi ad esse destinati. A ciò si aggiunga la questione – o il pretesto – di una carenza di fondi che pare essere cronica più che contingente; si tratterebbe, in altri termini, di un limite dato quasi per scontato più che di un impedimento reale all’assunzione delle predette responsabilità.
Sicuramente i tagli alla spesa per la cultura in Italia pesano in misura non indifferente, ma l’iniziativa qui descritta dimostra che almeno per la preservazione di siffatte strutture non servono ingenti somme, quanto piuttosto una supervisione oculata e continuativa.
Non va trascurata, infine, l’allegra atmosfera di collaborazione – nella quale gli autori del presente brano erano coinvolti, anche in veste di membri del Gruppo Archeologico del Sannio – che ha animato questa occasione di festa e di lavoro, con la partecipazione di artisti locali riuniti, con un pubblico stanco ma appagato, nella suggestiva cornice del teatro.

Il 24 e 25 giugno, presso l’Auditorium Parco della Musica, in Viale Pietro de Coubertin 30 a Roma, si terrà un grande evento di due giorni interamente dedicati all’industria, agli operatori e alle istituzioni culturali, un settore di grande impatto sociale ed economico, ma più a rischio nelle situazioni di crisi.
Madel Crasta ha sintetizzato il pensiero di chi vive di cultura con tutta l’emotività che il momento richiede: “Pensare il lavoro culturale in un periodo così tormentato della nostra storia evoca fatica e incertezza, smarrimento e rabbia, ma insieme anche tanta tenacia e immutata attrazione verso i contenuti che viaggiano attraverso i media, gli oggetti della memoria, i libri in tutti i possibili formati. Tanti diversi mestieri e ruoli nella società confluiscono nel tessere quella trama di conoscenza che tiene ancora insieme il paese connettendo le sue istituzioni, la sua industria culturale, le idee e la loro diffusione: senza tutto questo non ci sarebbe la spina dorsale del paese e anche la crescita del PIL ne risentirebbe. Ci si affanna a ripeterlo di fronte agli inesorabili tagli che desertificano il paesaggio culturale, ma le tante grida di dolore trovano un momentaneo ascolto solo quando sono molto alte e, quindi, ingombranti mentre l’incombente grande manovra finanziaria per il pareggio del debito pubblico minaccia di radere al suolo quello che resta. Dato che chi lavora nella produzione culturale non si trasferisce facilmente ad altri settori economicamente più solidi, si potrebbe provare ad entrare veramente in empatia con il nostro mondo e a capire chi siamo, cosa produciamo, per chi”.
“Vivere di Cultura. Le Giornate del lavoro Culturale” è curato dal BAICR Sistema Cultura, consorzio non profit costituito nel 1991 tra cinque istituti culturali italiani: Istituto della Enciclopedia Italiana, Istituto Luigi Sturzo, Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco, Società Geografica Italiana e Fondazione Istituto Gramsci. BAICR Sistema Cultura ha lo scopo di contribuire alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale italiano attraverso metodologie innovative, logiche di comunicazione e creazione di ambienti digitali.
“Vivere di Cultura. Le Giornate del lavoro Culturale”, che ha il sostegno della Regione Lazio, Provincia di Roma e Comune di Roma, è sostenuto inoltre da CNA – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, Assorestauro, Fondazione Unipolis e Camera di Commercio di Roma. Ha ricevuto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e l’adesione di AIB – Associazione Italiana Biblioteche, AICI – Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane, AIE – Associazione Italiana Editori, ALI – Associazione Librai Italiani, AEC – Associazione per l’Economia della Cultura, CRIC – Coordinamento Riviste Italiane di Cultura, ANAI – Associazione Nazionale Archivistica Italiana, Federculture e Federalberghi.
“Vivere di Cultura. Le Giornate del lavoro Culturale” rappresenta un appuntamento nuovo, nel tema e nel taglio, in cui attori pubblici e privati si confronteranno per raccontare il loro lavoro, metterne a fuoco i punti critici, individuare strategie comuni e discutere sui possibili modelli di business dell’industria culturale contemporanea. Un momento di riflessione condivisa e di spettacolo, un punto d’incontro tra soggetti di diversa provenienza e tra istituzioni che agiscono nella realtà culturale. Tanti i protagonisti di queste Giornate : rappresentanti delle istituzioni, degli istituti culturali e delle associazioni, operatori culturali, imprenditori della cultura, insegnanti, docenti universitari e giornalisti.
Molti i temi affrontati : venerdì 24 giugno saranno aperti dibattiti su “La città come fabbrica delle idee. Fare cultura a Roma”, “Per una mappa del lavoro culturale” e “Chi rappresenta il lavoro culturale?”, mentre sabato 25 giugno sarà l’occasione per discutere de “Il privato e le organizzazioni non profit nell’economia del patrimonio culturale”, “Lavorare con le idee: arti e saperi del patrimonio immateriale”, “Il peso del sapere. Cultura e politiche della sostenibilità” e “La convergenza dei media e l’industria culturale in Italia”.
La sera del 24 giugno è previsto uno spettacolo, con la regia di Alessio Pizzech, dal titolo “Vivere con la cultura” a cui parteciperanno, tra gli altri, Peppino Ortoleva, Clara Galante, Silvia Gallerano, Paolo Calabresi, Antonio Catania, Alberto Di Stasio, Francesco Pannofino, Karin Proia.
Diversi sono gli obiettivi delle Giornate. Diversi i pubblici cui sono rivolte. Richiamare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica su un aspetto e un settore essenziali, in particolare per le giovani generazioni, della vita lavorativa ed economica e su un insieme di attività che condizionano l’intera vita intellettuale del Paese.
Costruire momenti di confronto e cooperazione in funzione della crescita qualitativa ed economica del settore stesso. Collegare la riflessione sulle tendenze delle attività professionali e produttive, legate a settori come l’editoria, la formazione, la ricerca e l’audiovisivo, con le politiche attuali e future delle istituzioni pubbliche del nostro Paese.
Per dirla con Umberto Eco, se vogliamo parlare in termini economici di “consumi culturali”, cosa si intende per “cultura”. Di economia della cultura, di cultura per l’economia. Per risollevare il Paese. Per valorizzarlo. Chi lavora con la cultura, studia ogni giorno, si informa, cresce, si evolve, ricerca. Respira sempre aria nuova, vede il mondo con occhi diversi. E produce ricchezza. Insomma, anche in termini monetari e di influenza politica (non calcolo neppure il peso di dieci premi Nobel), con la cultura si mangia. Dice bene Eco quando afferma ” Certo che, se in quel poco non ci crediamo, abbiamo perso in partenza. Non si mangia con l’anoressia culturale”. Chi vive di cultura è una voce utile, fondamentale, spesso fuori dal coro ma con tante voci per la bellezza e la dignità della vita di tutti. Solo cosi il mondo della cultura potrà contribuire alla ricostruzione morale del Paese “Se vuoi costruire una nave – dice una frase attribuita ad Antoine de Saint – Exuspery – non radunare gli uomini per raccogliere il legno, distribuire i compiti e dare gli ordini, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”.

L’articolo è stato redatto con la collaborazione di Marianna Scibetta

Andai in Grecia con la mia famiglia nel 1984, perché costava poco e si mangiavano i souvlaki. Erano i primi anni del turismo di massa, di quegli italiani che invadevano Corfù, che imparavano a dire Calimera. Si scoprivano le isolette con i pescatori e aprivano gli hard rock cafè nel blu delle Cicladi. Centro dracme erano 600 lire e di solito ti davano anche il resto.
Gli arrivi turistici passarono da 1 milione del 1970 a 13 milioni del 2000. La Grecia diventò in pochi anni la seconda meta turistica europea e la 15° a livello mondiale. L’Associazione degli operatori turistici greca, nello slancio di quegli anni, pronosticò quota 20 milioni di arrivi per il 2010.
Ci fu una straordinaria crescita fino al 2007: poi, dal 2008, il trend iniziò a segnare variazioni negative. Esattamente come, da quegli anni, iniziò a succedere ai dati del PIL, del potere di acquisto, del fatturato dell’industria turistica Greca.
Oggi, di fronte al dramma economico nazionale, leggiamo messaggi di speranza: l’Istituto di previsione e studio del turismo greco parla di un incremento della domanda per il 2011 del 5% e un contributo al PIL in crescita dell’1%. 
E il futuro? Azzardo una previsione. Anzi, faccio un oroscopo (dal greco hora e skopeo).
Stranieri: segnali di crescita e forte ripresa dopo gli arresti dell’ultimo triennio. Ripresa internazionale e riduzione delle tariffe agevoleranno arrivi e presenze. Incremento. Turismo nazionale: il piano di austerity da 28 miliardi di euro svuoterà le tasche e farà crescere i timori per il futuro, riducendo la propensione al consumo dei cittadini greci per i beni non essenziali. Si prevede una forte riduzione dei flussi del turismo nazionale. Denaro: si prevedono soldi in arrivo verso settembre (110 miliardi, euro più, euro meno). Amore: invariato per la semplicità della gente e la bellezza della natura. La luna consiglia: puntare sulla unica, vera, grande industria dell’economia nazionale. Investire sul turismo.

Marcello Minuti è economista della cultura

Fund for culture è un sistema di raccolta fondi on line per la cultura che si propone di sostenere quanti intendano realizzare un progetto culturale che riguardi i settori dell’arte, dell’archeologia, della letteratura, del teatro, della musica o del cinema. Nata nel 2010 da un’idea di Adriana Scuotto, Antonio Scarpati, Fund for culture è un’iniziativa no-profit che favorisce l’incontro tra chi vuole fare cultura in Italia, ma non dispone di tutti i fondi per realizzarla e chi è disposto a finanziarla anche attraverso piccoli contributi.
Il sito web della community presenta sulla home, in maniera diretta e immediata, sotto la voce “Proponi la tua iniziativa”, un indice che elenca tutti gli step necessari alla realizzazione dei singoli progetti e, sotto il titolo “Iscriviti come donatore”, la possibilità di sostenere attivamente le diverse proposte culturali. Sulla destra vengono invece riportati gli “amici” che supportano e sostengono l’iniziativa, i “social network” sui quali le diverse proposte possono essere veicolate e diffuse capillarmente sul web e “per saperne di più”, un sommario che spiega nel dettaglio la mission, il concept e gli strumenti di lavoro di cui si avvale Fund for culture.
Gli utenti potranno inoltre trovare la newsletter alla quale potersi iscrivere per essere sempre aggiornati sulle iniziative portate avanti.
Il sito spiega chiaramente come, la sentita esigenza di promuovere e finanziare la cultura nel nostro Paese, necessiti oggi di forme e risorse monetarie alternative come il “crowdfunding”, una modalità di raccolta fondi che parte dal basso e che consiste nell’elargire tante piccole donazioni che, insieme, sono in grado di spingere e favorire grandi idee.
Il gruppo di ricerca di Fund for culture, composto da Adriana Scuotto, Antonio Scarpati, Mariavittoria Cicellin, che si avvale della collaborazione del Prof. Stefano Consiglio e dell’associazione Aporema Onlus e del sostegno della community di Kublai, ha per questo ideato un sistema di crowdfunding capace di abbattere del 50% i costi della raccolta fondi, grazie alla realizzazione di una piattaforma web che consente una grande visibilità e una larga diffusione sul web grazie agli strumenti di sharing su di essa implementati. Fund for culture, dunque, “intende realizzare una vera e propria innovazione sociale nel settore culturale, una forma di finanziamento nuova , alternativa e collaborativa in cui tutti possono partecipare”.

Intervista a Eduardo Caputo, responsabile della galleria L’Incontro di Chiari

Quando è stata fondata la galleria?
La galleria è stata fondata nel 1974 da Antonietta Bettini e dalla figlia Erminia Colossi che attualmente ne è la proprietaria e direttrice.

Segue una linea di ricerca specifica o la programmazione si muove su vari fronti d’indagine?
La galleria agisce prevalentemente nel campo dell’arte moderna consacrata almeno in campo nazionale. Per la parte riguardante l’arte contemporanea l’attenzione viene focalizzata comunque su artisti ben conosciuti a livello nazionale. Viene posta attenzione su qualche giovane che riteniamo possa avere possibilità di successo.

Come s’inserisce l’attività della galleria all’interno del sistema dell’arte territoriale e nazionale?
La galleria è indipendente in tutti i sensi. Anche se iscritta all’associazione di categoria le collaborazioni con altre gallerie sono sporadiche. La galleria non possiede, e non ricerca, addentellati con il sistema istituzionale dell’arte, anche se non ha mai disdegnato e non disdegna il prestito di opere per mostre gestite dai musei.

Com’è il rapporto con i collezionisti?
Ottimo in quanto un misto di fedeltà e puntualità nei pagamenti.

La galleria ha una sua collezione che viene incrementata in parallelo con l’attività espositiva?
Sì, alcune opere costituiscono in pratica una piccola pinacoteca che è possibile ammirare nei locali di quello che chiamiamo Home Gallery, che è un appartamento arredato posto al piano superiore della galleria.

Vademecum per chi vuole intraprendere questa strada.
Purtroppo non è il tempo nel quale il gallerista si può formare strada facendo. Occorre aver chiaro in quale settore s’intende operare e avere una buona conoscenza di quel settore e una cultura di base degli altri campi di operazione. Se però non si è anche mercanti, almeno un po’, di strada non se ne fa molta.

Progetti per il futuro.
Solitamente facciamo tre, quattro mostre personali all’anno di livello alto; speriamo di continuare così. Per chiarire meglio nella passata stagione abbiamo fatto le personali di Aubertin, Arnaldo Pomodoro e Luigi Veronesi. In programma per la prossima stagione abbiamo una mostra di Villeglè, una di Pistoletto e probabilmente a chiudere uno dei nostri “emergenti”.

Approfondimenti:
http://www.galleria-incontro.it/default.asp

Il bundling, la vendita associata di prodotti separati in un unico pacchetto, gioca un ruolo chiave nel settore delle tlc in qualità di propulsore della diffusione degli accessi a banda larga. È quanto emerge dal Rapporto Ocse “Broadband Bundling: Trends and Policy Implications” (2011) che ha esaminato il mercato del broadband coprendo oltre 2000 offerte di servizi in bundling e stand-alone da parte circa 90 provider tlc che fanno capo a 30 paesi. I tipici bundle degli operatori tlc sono i c.d. “triple-play” pacchetti che contengono servizi voce su rete fissa, traffico dati e servizi video, o “quadruple-play” nei casi in cui includano anche servizi di telefonia mobile. I broadband bundle sono spesso venduti con uno sconto pari a circa il 26% rispetto al servizio stand-alone, calcolato mediamente in 15$ mensili. Dall’analisi emerge inoltre come in 14 paesi la vendita associata del broadband costituisca un surplus per il consumatore laddove egli sia disposto a pagare per l’accesso a banda larga un prezzo inferiore a quello minimo relativo al servizio stand-alone.
Tra i 90 operatori analizzati circa il 77% permette di abbonarsi il broadband in modalità stand-alone, il 17% ne include la vendita all’interno dei pacchetti comprendenti anche un servizio di telefonia fissa e il 4% lo associa alla vendita di pacchetti di pay tv, mentre solo il 2% richiede agli utenti la sottoscrizione dell’intero pacchetto triple play per fruire della connettività a banda larga.
La disponibilità di servizi stand-alone gioca invece un ruolo decisivo nel potenziale competitivo del mercato Over-the-top, che comprende i servizi che permettono all’utente di fruire di contenuti audiovisivi o effettuare chiamate voce o videoconferenze usando la capacità di banda fornita dall’operatore tlc. Secondo i risultati  dello studio, lo sviluppo e la maturazione di questi servizi potrebbero condurre più utenti a sottoscrivere abbonamenti broadband in modalità stand-alone, anche se tale dinamica appare interconnessa alla network neutralità e alla prioritizzazione del traffico.
L’analisi Ocse evidenzia inoltre la mancanza di trasparenza da parte degli operatori nella pubblicazione delle proprie offerte, un fattore che complica l’orientamento dei consumatori e conduce a inefficienze di mercato. Sottolineando il rischio di come il bundling dei servizi, qualora non venga garantita la possibilità per gli abbonati di passare da una provider ad un altro (portability services) al minimo costo possibile, possa condurre al consumer lock-in, il Rapporto invita i Regolatori nazionali a semplificare al massimo la procedura di portabilità, incoraggiando i provider tlc ad aumentare la fruibilità e la trasparenza delle proprie offerte. I miglioramenti nella valutazione dei servizi broadband da parte degli utenti, sottolinea l’Ocse, possono condurre ad un aumento degli abbonamenti e alla creazione di un effetto-rete nella diffusione dei servizi e nella crescita del mercato. Risulta ancora determinante, tuttavia, l’apporto che governi e istituzioni possono dare nell’adozione delle nuove tecnologie, come aumentare le proprie attività online, promuovere la diffusione di tecnologie e servizi smart-grid per l’elettricità e ridurre le barriere burocratiche che limitano la diffusione celle applicazioni di e-health.

Rapporto Ocse “Broadband Bundling: Trends and Policy Implications” (2011)
OECD Digital Economy papers, No. 175
OECD Publishing
http://www.oecd-ilibrary.org/content/workingpaper/5kghtc8znnbx-en

Dopo l’accordo tra il MiBAC e l’imprenditore Diego Della Valle (proprietario del marchio Tod’s) per il restauro del Colosseo, anche a Pompei, dopo la presentazione del piano di recupero dell’area archeologica, sembra affacciarsi l’ipotesi di un mecenate privato in grado di fronteggiare i costi per il recupero degli spazi.
Dal crollo della Domus dei Gladiatori ad oggi, l’area archeologica campana è stata oggetto di una mappatura approfondita da parte delle facoltà di architettura dell’Università di Genova e del Politecnico di Milano, che avevano già portato avanti un lavoro analogo per l’anfiteatro Flavio, a seguito del quale è stato approvato, la scorsa settimana, un piano di intervento. Nel piano, si dichiara, verranno utilizzati 85 milioni di euro in partenza ed altri 10 successivamente, tutti provenienti da fondi europei Poin, da destinare a indagini e rilievi idrogeologici.
Altri 105 milioni di euro arriveranno invece dai fondi Fas Campania e saranno destinati al programma straordinario, a cui si aggiungono i proventi realizzati dalla vendita dei biglietti nella soprintendenza di Napoli e Pompei. Ma, per il recupero dell’area archeologica più vasta d’Italia, non sono abbastanza.
Affinché Pompei possa tornare allo splendore antico serviranno infatti molti più fondi reperibili, a quanto sembra, solo da investitori privati.
Si tenterà dunque la strada intrapresa dalla capitale per l’assegnazione dei lavori di restauro al Colosseo: dopo la pubblicazione del bando sulla Gazzetta Ufficiale del 4 agosto 2010, 19 erano state all’epoca le imprese interessate all’investimento sull’Anfiteatro Flavio. Di queste, però, nessuna rispettava i requisiti previsti, tanto che alla fine si optò per la trattativa privata nella quale si fece avanti, con un importo di 25 milioni di euro, il marchio Tod’s di Della Valle.
L’accordo finale, che verrà formalmente presentato in tutti suoi dettagli questo pomeriggio (mercoledi 22 giugno), prevede lo sfruttamento del logo del Colosseo da parte di Tod’s per 15 anni, senza alcuna limitazione territoriale (in Italia e all’estero), accessi privilegiati al Colosseo per l’imprenditore e per altri gruppi di persone a lui afferenti e campagne di comunicazione che possono essere girate all’interno del monumento, riferite in ogni caso allo stato di avanzamento dei lavori e degli interventi. Non sono previsti cartelloni pubblicitari da affiggere sul monumento ma solo totem, di circa 2 metri, recanti il marchio dell’azienda.
Di contro, Della Valle si impegna a stanziare 25 milioni di euro ripartiti in più tranche e spalmabili in 5 anni: i restauri iniziali prevedono infatti il rifacimento del prospetto settentrionale (circa 5 milioni di euro), per poi passare a quello meridionale (circa 2 milioni euro). Seguiranno le chiusure dei fornici (archi) del primo ordine con cancellate (circa 1,6 milioni di euro), il restauro degli Ambulacri, i corridoi, (circa 7 milioni di euro), il consolidamento degli Ipogei (circa 4,5 milioni di euro) e la costruzione del Centro Servizi (2.500 euro al metro quadrato).
Calcolando che l’azienda potrà godere di privilegi finanziari concessi agli investitori culturali, risparmiando circa il 34% dell’intera spesa (8,5 miliardi), Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo hanno fatto notare come il marchio Tod’s, versando alla Sovrintendenza 3,3 milioni l’anno, non solo  rafforzi la sua immagine imprenditoriale, ma addirittura vada a risparmiare sui costi della comunicazione, per cui nel solo 2009 aveva speso ben 200 mila euro in più (3,5 milioni di euro).
Entusiasta dell’affare, Della Valle ha inoltre dichiarato di voler lanciare un più esteso “Progetto Italia” che, grazie all’intervento di altri imprenditori, possa prevedere il sostegno economico ai beni culturali del nostro paese, aiutando lo Stato nelle spese e le imprese ad impegnarsi nel mecenatismo culturale.
Se gestito con oculatezza e con la supervisione pubblica sui privati, il mecenatismo culturale rappresenterebbe di certo un’opportunità preziosa per le aziende, per lo Stato e, di conseguenza, per i cittadini. Il voler replicare a Pompei l’esperienza di Roma, ancora senza alcuna garanzia certa di successo, appare quindi, più che altro, come la possibilità di scelta concessa a chi non sembra avere molta altra scelta…