Questa è la storia di una favola che potrebbe diventare realtà. E a cui tutti possiamo partecipare.
Così nasce l’avventura di due ex animatori della Disney, Aaron Blaise e Chuck Williams i quali stanno tentando di finanziare un progetto fantastico, in tutti i sensi, tramite la piattaforma di crowdfunding Kickstarter.

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Già disegnatori di personaggi di successo per Pixar, Walt Disney e Dreamworks (loro i disegni di Pocahontas, Fratello orso, il Re Leone, Alladin , La bella e La Bestia e Mulan), Aaron e Chuck hanno deciso di imbarcarsi in un nuovo progetto, del tutto indipendente dalle grandi case produttrici di cartoni animati.
“Art Story” il titolo del film  che vorrebbero creare, un cartone animato in cui protagonisti sono un curioso ragazzo di 11 anni, Walt, e suo nonno: due personaggi molto diversi per età e attitudini che insieme si ritroveranno ad esplorare il magnifico mondo dell’arte, vestendo i panni dei protagonisti dei grandi capolavori artistici di tutti i tempi.

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“Grazie alla tecnologia unita ai disegni a mano libera – spiegano i due produttori – siamo in grado di ricreare lo stile di grandi artisti come Degas, Roy Lichtenstein, Van Gogh o Michelangelo e quindi inserire Walt e suo nonno all’interno dei principali capolavori realizzati nella storia dell’arte”.

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L’obiettivo? Quello di avvicinare i giovani all’arte, facendoli entrare nelle tele e spiegando loro cosa si cela dietro questi tesori di cui molto spesso non comprendono la grandezza e l’importanza.

Il progetto, che ad oggi ha raggiunto i 35 mila dollari, necessita di circa 300mila dollari per la sua realizzazione. Con il denaro ottenuto tramite il crowdfunding, che comunque non riuscirà a coprire tutte le spese di produzione, Aaaron e Chuck hanno però intenzione di dar vita ad un plot chiaro e definito, ingaggiare uno storico e un critico dell’arte per farsi aiutare nella linearità della storia, realizzare un trailer che illustri il cartone animato e pubblicare un libro per ragazzi.

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Un vero e proprio film collaborativo, non solo per il metodo di finanziamento ma anche per il coinvolgimento richiesto tramite i social network. Sulla pagina Facebook del progetto, infatti, viene richiesto agli utenti di postare il loro dipinto preferito indicando la motivazione della scelta. Chuck e Aaaron si impegneranno a far confluire all’interno del dipinto Walt e suo nonno e ad inserirlo all’interno del cartone.

E voi, cosa aspettate? Vi piacerebbe vedere un cartone animato in cui è l’arte ad esser protagonista? Oppure vi piacerebbe farlo vedere ai vostri figli? Basta anche solo 1 dollaro, che potrete donare qui

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Approfondimenti:
https://twitter.com/artstoryfilm#

 

supermanChi di noi non ha mai sognato di avere un genitore supereroe? Lo deve aver pensato anche l’artista parigino Andry Rajoelina, che nella sua serie di animazioni “Justice Families” ha ritratto i tanto celebrati supereroi con i propri pargoli, alle prese con le mansioni quotidiane (accompagnarli a scuola, principalmente).
L’amore del grafico per questi personaggi comincia infatti sin da bambino e pian piano matura fino a sfociare in quella che è diventata la principale fonte d’ispirazione della sua arte.
In galleria una serie delle migliori illustrazioni.

Quest’anno sarà la sua ottantacinquesima edizione: la notte che consacra le stelle del cinema, con la consegna dell’Academy Awad, è nata infatti nel 1929 e da allora si è affermata come l’appuntamento più atteso, che riconosce la qualità delle pellicole cinematografiche uscite durante l’anno. Oltre ai consueti premi come miglior sceneggiatura, attore o scenografia, esiste anche il riconoscimento per il miglior corto d’animazione, spesso lasciato un po’ in disparte e poco considerato, ma che in realtà riserva il più delle volte delle sorprese per valore e bellezza. Lo confermano i candidati di quest’anno: cinque piccoli racconti che riescono a concentrare in pochi minuti trame avvincenti e appassionanti. Eccoli:

 

 

 

Adam and Dog – Minkyu Lee
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Una simpatica storia, ambientata nel periodo preistorico, che narra come è nata una splendida amicizia che dura sino ai nostri giorni: quella tra il goffo Adam, il primo rappresentante della specie umana e il compagno che gli è rimasto fedele nei secoli, il cane.


Fresh Guacamole – PES

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Una ricetta sfiziosa ed intrigante, ma che difficilmente riuscirete a riprodurre a casa vostra, a meno che non vogliate servirvi di bombe a mano, palline da tennis, lampadine, dadi: tutti oggetti che nella fantasia del regista, una volta tagliati o spremuti, si trasformano in autentici cibi di prima qualità. Il risultato finale è sorprendete, e con un po’ d’immaginazione, anche invitante.

 


Head over Heels – Timothy Reckart e Fodhla Cronin O’Reilly

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Si dice che tra moglie e marito è meglio non mettere il dito, ma questo non significa che non si possa sbirciare ogni tanto per capire come procede la vita coniugale. I protagonisti del corto sono proprio una coppia, di una certa età, che forse dopo anni di matrimonio, non riesce proprio ad andare più d’accordo, tanto che da diventare l’uno l’opposto dell’altra (nel vero senso dell’espressione). Una rappresentazione ironica, divertente, ma molto esplicativa dell’incomunicabilità nella coppia…chissà come andrà a finire.

 


The Longest Daycare – David Silverman

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Per tutti gli amanti dei Simpson è candidato anche il cortometraggio diretto dal regista e autore del celebre cartone televisivo. Questa volta la protagonista è la piccola Maggie che, armata del suo ninnolo e del suo ciuccio, ci guiderà all’interno delle sue pericolose avventure.

 

Paperman – John Kahrs

 

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Il più romantico dei corti presentati agli Oscar. Sei minuti coinvolgenti e divertenti, che raccontano una storia d’altri tempi. Il video è prodotto dalla Disney ed è l’unico tra i cinque visibile online integralmente.

 

Secondo voi quale tra questi si aggiudicherà l’Oscar?

 

1942
Regia di Feng Xiaogang
Kolossal
Cina 2012

Il film è tratto da Remembering 1942, un romanzo di Liu Zhenyun.
Feng Xiaogang è un regista molto amato in Cina che, solo dopo aver sbancato il box office nazionale, è riuscito a realizzare il suo film sulla carestia del 1942. Nel cast ci sono soltanto due divi non-cinesi, ma americani: Adrien Brody e Tim Robbins, che interpretano un giornalista americano ed un prete cattolico negli anni della guerra contro il Giappone.
La tragica carestia del 1942 è stata una delle più gravi del XX secolo: si è abbattuta nella provincia cinese di Henan, causando la morte di 3 milioni di persone. Il governo non ha pietà del popolo e distoglie le forniture di grano a favore delle truppe cinesi impegnate nella guerra contro il Giappone. Questo costringe gli abitanti, ricchi e poveri, ad un duro e faticoso esodo verso lo Shaanxi, la terra promessa dove sperano di continuare a vivere.
Il film racconta questa epica e inutile marcia di milioni di persone, durante la quale nemmeno i facoltosi proprietari terrieri si salvano dalla fame, e anche i sacerdoti, di fronte a tanta sciagura, perdono la loro fede in Dio. La fame rende gli sfollati tutti uguali e vittime, l’eroe è l’uomo comune che cerca di sopravvivere senza vendere le proprie figlie per un pugno di farina. Tutto questo è fotografato da un giornalista del Time, Theodore White (Adrien Brody) che tenta di aiutare la popolazione usando i suoi contatti. I cinesi alla fine sembrano persino sollevati dell’arrivo degli invasori giapponesi nella provincia di Henan: cedendo questo territorio si disfano di 30 milioni di problemi, ovvero una popolazione stritolata dalla fame e dalla guerra. E’ una lezione di storia poco nota all’occidente, che condivide con l’Asia i milioni di morti della seconda guerra mondiale.
Il regista ha sottolineato, nell’intervista che, mentre il mondo conosce la tragedia degli ebrei nella seconda guerra mondiale, ignora quella cinese. Ma forse, possiamo aggiungere, gli stessi cinesi oggi conoscono poco la vicenda. Il film è denso di colpi di scena, battaglie, incursioni di banditi, bombardamenti aerei che rendono scorrevoli le oltre due ore di spettacolo. Feng Xiaogang non rinuncia a nessuno dei requisiti del kolossal: migliaia di comparse e scenografie imponenti. Una produzione grandiosa, una immensa tragedia umana ricostruita storicamente, un film epico-popolare che suscita forti emozioni senza essere retorico, ma che non convince completamente forse per qualche ripetizione o per l’inserimento di personaggi, come il sacerdote (Tim Robbins), che nulla sembrano aggiungere alla storia.

 

BULLET TO THE HEAD
Regia di Walter Hill
Azione – 92’
USA 2012

Un proiettile in testa, classico film d’azione ben fatto, divertente e con un ritmo incalzante. Brillante l’interpretazione di Sylvester Stallone di un sicario rude e attempato, Jimmy Bobo, ma con un cuore generoso. Jimmy Bobo lavorava insieme ad un socio che viene ucciso ed è proprio per vendicare l’amico, e cercarne l’assassino, che si rassegna a entrare in società con Taylor Kwon (il bravo Sung Kang) di Washington DC, detective coreano e tecnologico, difensore della legge che rimanda l’arresto di Bobo a dopo la cattura dei mandanti.
La vena di ironia che accompagna tutto il film scaturisce dal contrasto tra i due protagonisti, opposti in tutto: Bobo incarna il giustiziere vecchia maniera (“niente donne, niente bambini”), la legge della strada, il codice d’onore, assesta pugni e atterra nemici; il detective incarna la legalità, usa la tecnologia per scoprire i malfattori. Peccato che nel doppiaggio in italiano si perderà la voce roca ed il timbro con cui Stallone sferza con le sue battute chiunque gli capiti a tiro.
Un’inaspettata protagonista femminile (Sarah Shahi), che non è la solita amante sexy di uno dei due, movimenta la trama.
In fondo il vero pericolo non è il killer assoldato per uccidere un altro delinquente, ma la malavita dei grossi affari, dei palazzinari.
L’ispirazione è venuta al bravo sceneggiatore, Alessandro Camon, da una graphic novel dell’autore francese Alexis Nolent (Matz) e illustrata da Colin Wilson. La location scelta da Mr. Hill è un luogo che lui adora: New Orleans, dove ha girato altri due film.
Qualche sbavatura negli eccessi: la pendrive, in cui sono memorizzati i documenti della banda criminale, funziona perfettamente anche dopo una nuotata in acqua.
La frase indimenticabile di Jimmy Bobo (Sly): “non sono le pistole ad uccidere ma le pallottole, la prossima volta ricordati di caricare la tua pistola”.
Un Walter Hill, regista famoso per “I guerrieri della notte” e “48 ore” con un’altra coppia anomala di protagonisti, è tornato, smagliante e in ottima forma dopo dieci anni, a girare per il cinema un action movie stile anni ’80 ben confezionato e divertente.
Il film, distribuito dalla Buena Vista International, uscirà nelle sale cinematografiche italiane ad aprile 2013.

 

GOLTZIUS AND THE PELICAN COMPANY
Regia di Peter Greenaway
Storico artistico – 128′
Paesi Bassi 2012

Il film, presentato in anteprima a Roma al Festival Internazionale del cinema, è stato proiettato al Maxxi, la scelta di un museo piuttosto che di una sala cinematografica, nel caso di Greenaway, è particolarmente appropriata.
Fedele al principio della fusione di tutte le forme d’arte, Greenaway, che è soprattutto un artista, perché sarebbe riduttivo definirlo ‘regista’, ha fatto precedere la proiezione al Maxxi da un concerto, un modo per accompagnare il pubblico dentro l’atmosfera barocca del film.
Goltzius and the Pelican Company, dedicato al famoso incisore e pittore olandese Hendrik Goltzius (1558 – 1617), interpretato dal bravissimo Ramsey Nasr, è il secondo film di una trilogia dedicata a tre artisti: il primo è stato il mirabile Nightwatching (ispirato al famoso ed enigmatico quadro La ronda di notte di Rembrandt), film presentato a Venezia nel 2007 e purtroppo mai distribuito in Italia; e il terzo uscirà nel 2016 in occasione del cinquecentenario della morte del pittore Hieronimus Bosch.
Un film di Greenaway non si ‘vede’, è una partecipazione ad un’esperienza artistica, si entra nell’opera, è una fruizione plurisensoriale, a cui soltanto l’olfatto non partecipa, mentre persino il tatto sembra appagato dal realismo carnale delle immagini.
Goltzius vuole convincere il Margravio di Alsazia a finanziare un libro di incisioni sugli episodi più ambigui e scandalosi del Vecchio Testamento e un altro sulle Metamorfosi di Ovidio, a tal fine mette in scena con la sua compagnia i sei tabù sessuali (voyeurismo, incesto, adulterio, pedofilia, prostituzione e necrofilia) rintracciabili nelle storie del veterotestamentarie (Adamo ed Eva, Lot e le sue figlie, Davide e Betsabea, Giuseppe e la moglie di Putifarre, Sansone e Dalila, Salomè e Giovanni Battista). In realtà il sesso è il solo tabù, esorcizzato dalla religione ma perseguito ipocritamente dai religiosi. Il film è un manifesto contro i dogmi e i tabù religiosi di ogni confessione.
E’ così che si scatena la fantasia e la padronanza dei linguaggi artistici di Greenaway: musica, danza, parole, scrittura, teatro, quadri in sovrimpressione, il tutto ambientato in un luogo simbolo di archeologia industriale che ricorda l‘Arsenale di Venezia. L’artista Greenaway si pone lo stesso obiettivo dell’artista Goltzius, seppure gli strumenti sono diversi: cinema e incisioni, distillare la sensualità fino a renderla sublime. Innumerevoli le citazioni di raffinata cultura, soprattutto pittorica, e i nudi, figure danzanti, rappresentazioni erotiche, quasi personaggi di quadri, protagonisti di un happening che non è mai volgare perché solo l’ignoranza e il bigottismo religioso sono volgari. L’essenza è rivelata dal regista: “tutto, nella nostra vita, può essere messo in discussione, tranne due cose: il sesso, che è all’origine della nostra nascita, e la morte”. L’inizio e la fine, Eros e Thanatos, sono imprescindibili. Geniale è lo scambio continuo tra vita e teatro: la vita stessa diventa palcoscenico e il teatro prende vita. La finzione è dichiarata, la recita avviene davanti a noi, una Babele barocca, un vortice artistico e colto (arte, religione, morale, politica), da cui non si emerge e che non si domina ma che richiede allo spettatore di lasciarsi andare, di farsi trasportare in un universo simbolico.
Greenaway ci regala un’opera sontuosa e sperimentale, il suo è un linguaggio che fonde video-arte, cinema e pittura, un’opera multidimensionale, un palinsesto artistico, con più livelli di significato e di lettura (dall’arte e la sua mercificazione alla religione), ma con una predilezione per il linguaggio visivo. Proprio per questo l’unico eccesso è forse nel narratore onnisciente (Goltzius), racconto e romanzo di se stesso, che forse troppo distrae dal flusso delle immagini, ricche di citazioni iconografiche sacre. Ogni inquadratura è trattata dal regista come un’opera pittorica sfarzosa, in cui ogni dettaglio è scelto e curato, quadri barocchi a cui la musica di Marco Robino aggiunge una elegante espressione lirica.

 

THE MOTEL LIFE
Regia di Gabriel Polsky e Alan Polsky
Drammatico – 95’
Stati Uniti 2012

Premiato dal pubblico quale migliore film in concorso e vincitore del premio per la migliore sceneggiatura al Festival Internazionale del Film di Roma The Motel Life è stato uno dei lungometraggi più applauditi in sala.
La sceneggiatura ha un ritmo incalzante ed è ricca di colpi di scena, merito di Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue. Il film, tratto dal romanzo del cantante country Willy Vlautin, è la storia di due fratelli rimasti presto orfani, che a seguito di varie e sfortunate vicende si trovano in fuga da un motel all’altro. La madre, prima di morire, aveva raccomandato loro di restare sempre uniti a qualsiasi costo: questo legame sarà il filo conduttore della loro vita e anche della loro dannata sorte, perché ognuno dei due è cresciuto avendo come riferimento l’altro.
I registi, due fratelli che comunicano attraverso l’arte del cinema e con la fantasia, proprio come i protagonisti del film, indagano abilmente il confine tra legame affettivo e dipendenza reciproca.
Frank e Jerry Lee Flannigan, interpretati da Emile Hirsch (protagonista dello stupendo “Into the wild” di Sean Penn) e Stephen Dorff, bravissimo, esprimono i loro disagi anche attraverso i racconti di Frank, che hanno lo scopo di tranquillizzare il fratello, e i disegni di Jerry Lee, che sono inseriti in modo originale nello sviluppo del film; in fondo questo talento li riscatta. I disegni che si animano sullo schermo offrono incantevoli pause al pathos della storia, inserti fumettistici che danno un valore aggiunto all’opera. Una storia di perdenti su cui sembra abbattersi ineluttabile la sfortuna, ambientata nella fredda e anonima Reno. Ma non è un film sull’infausto destino che sembra precipitare le vite dei due protagonisti nel baratro: il fine non è commuovere lo spettatore, perché chi ha risorse e sentimenti alla fine riesce a dare una rotta alla propria vita. Un film on the road, un viaggio di iniziazione lungo le strade di provincia del Nevada.
L’esordio alla regia dei fratelli Polsky, già produttori indipendenti, è stato brillante e particolarmente apprezzato dal pubblico. Non si può parlare di un capolavoro ma è sicuramente un film ben confezionato, considerato anche il breve tempo in cui è stato girato, meno di un mese.

 

LE 5 LEGGENDE (Rise of the Guardians)
Regia di Peter Ramsey
Animazione 3D – 89′
USA 2012

Le 5 leggende è il nuovo cartoon della Dreamworks che dal 29 novembre sarà presente nelle sale cinematografiche. Ha ricevuto al Festival Internazionale del Film di Roma, dove è stato presentato in anteprima mondiale, il “Vanity Fair International Award for Cinematic Excellence” per il suo contributo innovativo e artistico. Prodotto da Guillermo del Toro, tratto dalla serie di libri illustrati “The Guardians of Childhood” di William Joyce sarà sicuramente il film di punta di Natale. Quello che lo differenza da altri cartoon 3D, oltre la tecnica innovativa e i colori sfavillanti, è il ritmo: è stato girato come un film d’azione, forse per conquistare anche un pubblico adulto.
E’ la storia epica di eroi costretti a lottare contro Pitch (l’Uomo Nero) che vuole portare le tenebre sulla terra e trasformare i sogni dei bambini in incubi. Contro Pitch (pitch black significa nero come la pece) si schierano i Guardiani dei sogni dei bambini, che solo uniti riusciranno a sconfiggere l’Uomo Nero. Questi supereroi, scelti dalla Luna, provengono prevalentemente dal mondo anglosassone. Jack Frost, è lo spirito della neve, controlla il clima e con un bastone magico è in grado di scatenare neve, tempeste, freddo e vento. Babbo Natale, che parla con accento russo, ha due grandi tatuaggi sulle braccia: su uno c’è scritto cattivo e sull’altro buono. Calmoniglio, il coniglio di Pasqua, sa usare il boomerang ed è esperto di arti marziali. La Fatina dei denti (the Tooth Fairy), sembra un colibrì, è bellissima e vivace, vestita con stupendi colori cangianti (blu e verde), vola nelle case dei bambini per lasciare un soldino per ogni dente caduto. Nei dentini dei bambini si conservano i loro ricordi e, imprigionando le fatine, Pitch fa sparire tutti i ricordi dei bambini. Sabbiolino (Sandman) è il guardiano dei sogni, non parla ma si fa capire attraverso le immagini di sabbia che lui stesso crea. Tutti sono magicamente potenti ed esistono solo perché c’è gente che crede in loro, solo così i sogni, la luce e i colori alla fine ritorneranno.

 

 

 

Anche fumetti e cartoon intendono ritagliarsi il loro posto nell’arte, sfidando i più celebri capolavori su tela del passato. Ecco così spuntare un Puffo sulle onde di Katsushika Hokusai o Tigro tra i felini di Salvador Dalì. I colorati personaggi si trasformano dunque in simpatici “intrusi” reinterpretando opere classiche che assumono un aspetto originale e divertente. Le abbiamo scovate su Woorth1000.com

 

Nel 1990 Paco Rodriguez ha fondato la PPM Multimedia, dove da 10 anni in qualità di dirigente si occupa della distribuzione, della coproduzione, dei finanziamenti, producendo diverse serie animate. Inoltre è stato produttore esecutivo per Filmax Animation, realizzando lungometraggi quali El Cid: The Legend, P3K Pinocchio 3000, Gisaku, Nocturna, Donkey.xote, e The Hairy Tooth Fairy 1 & 2, ed è anche consulente nel settore della distribuzione.

Come si costruisce un business plan per un lungometraggio d’animazione?
Secondo me, la prima domanda che ogni produttore deve farsi all’inizio è: “che genere di film voglio fare?”. O meglio: “che genere di film potrei fare con questi limiti artistici, tecnici e, soprattutto, finanziari?”. Si si tratta di parecchi milioni di euro, bisogna rivolgersi per un certo periodo agli enti finanziatori, fornendo quindi alcune garanzie. È necessario insomma considerare tutti gli aspetti: “Questo ce l’abbiamo? Non ce I’abbiamo? Possiamo recuperarlo?” etc…
Soprattutto però bisogna definire il genere che si vuole fare. È una pellicola molto sperimentale con un budget bassissimo, oppure è commerciale, oppure è destinato a diventare un successo ispirato alle produzioni americane? Ci sono infatti numerosi film che potrebbero rientrare in questa definizione, come Planet 51, Arthur e il popolo dei Minimei e Valiant – Piccioni da combattimento, che sono riusciti ad avvicinarsi ai blockbuster d’oltreoceano.
Una volta deciso il genere, questo costituirà la cornice in cui inserire il progetto, il budget e i finanziamenti. Nelle fasi successive anche la questione dello sfruttamento economico del progetto o il business plan avranno poi la loro influenza.
Un’altra decisione da valutare quando si pensa a realizzare un lungometraggio è quale strategia si vuole seguire. Si vuole ridurre il rischio al minimo oppure avere utili e attività? Un conto è condividere il film con altri coproduttori, e così diminuire la propria parte di ricavi, che non sarà più il 100% ma magari il 20%, il 30%, un’altro è decidere di non dividere la propria quota per avere più diritti possibili e creare, appunto, utili e attività.
Le strade sono quindi sostanzialmente due: o appunto la coproduzione, o le prevendite, ma entrambe hanno i loro pro e i loro contro.

Quali sono?
Con la coproduzione, si riduce il problema del ritorno economico perché il proprio contributo sarà inferiore, ma controllare l’andamento del lavoro sarà molto più complicato, poiché bisognerà dividerlo tra due o tre strutture, con tutte le insofferenze reciproche e i diversi modi di operare.
Con le prevendite invece si può finanziare il film in autonomia integrando i fondi con le prevendite, e possederlo così al 100%. Le prevendite però da una parte danno credibilità e dall’altra presentano una certa dose di rischio. Tutti i contratti firmati infatti entrano in vigore alla consegna della pellicola. Nel frattempo è possibile usare il credito acquisito per scontare il debito con la banca, ma comunque rimane un margine di incertezza perché un distributore che ha comprato il film può avere cambiato idea o non pagare, e si perderebbe perciò una parte dei fondi basati su questi contratti.
Si può anche produrre più di un film e presentarsi sul mercato con degli investitori, oppure realizzare una pellicola supportata anche da sovvenzioni e contributi offerti dal proprio paese oppure da altri. Una volta ottenuti, il piano di finanziamento e il modello di business possono essere basati proprio su di questi.
Per completare il finanziamento si può anche chiedere detrazioni fiscali, in particolare quelle previste per la ricerca e lo sviluppo.
Bisogna pensare a tutto questo quando si definisce una strategia e la direzione in cui si vuole andare, perché sarà questa a determinare la scala del progetto, oltre al modello di business e al business plan, e se questo film incasserà o no dopo la fase di produzione.

Quali sono i passi più importanti nel finanziamento di un progetto?
Dipende dal progetto stesso, soprattutto dalla dimensione e il livello di budget a cui si vuole arrivare. Si può scegliere di fare un film nazionale o regionale, oppure diffonderlo a livello europeo o mondiale.
Tutto è legato alla propria ambizione, all’importanza della società e al tipo di mercato a cui si vuole accedere. Per esempio, c’è gente che fa film solo per quello dei DVD…
Allo stesso modo si potrebbero realizzare un film d’animazione per la televisione, che non esca nelle sale, oppure dare la propria preferenza alle nuove tecnologie, decidere di finanziarsi tramite contributi e donazioni da Internet, poi produrlo e chiunque abbia offerto qualcosa avrebbe la possibilità di vederlo o di avere una sorta di compensazione. Dipende anche dal proprio target di pubblico.
È importante però rendersi conto che ogni decisione presa in fase di sviluppo avrà un effetto –diretto o indiretto– sul film dal punto di vista artistico e finanziario, oltre che sul suo sfruttamento economico. Tutto ciò infatti è alla base della definizione dei processi, dei costi di produzione, della promozione, delle vendite anticipate, quindi delle prevendite, perché queste ultime dipendono proprio dal budget.
In più sorgeranno man mano altri problemi durante la fase di sviluppo, come la distribuzione nei cinema, il marketing, le vendite internazionali, e bisognerà discuterne con persone che hanno conoscenze specifiche ed esperienza nell’organizzare le prime, o con persone che lavorano nelle vendite a livello internazionale, o che si occuperanno del DVD. Perciò ci si deve assicurare che il progetto preveda tutti questi aspetti, e inoltre è molto importante avere dei riscontri prima di andare avanti.

A quanto ammonta il budget medio per un film europeo?
In Europa il budget può andare da un milione a quindici milioni di euro. Se si è tra uno e due milioni, è facile finanziarlo con il sistema di sovvenzioni che c’è nel Vecchio Continente, ma la pellicola non si reggerà in piedi. Non verrà distribuita fuori dalla regione, non avrà molte possibilità nemmeno a livello nazionale e quasi nessuna a livello internazionale, non ci saranno prevendite, e difficilmente la si vedrà in televisione o su DVD, perché uscire con un DVD è il risultato di un successo al botteghino. È fattibile, ma difficile.
Con un budget da tre a sei milioni ci si può orientare invece per una produzione 2D, probabilmente si otterrano sovvenzioni e si potranno effettuare prevendite, ma bisognerà coprodurlo almeno con altri due soci europei, di conseguenza le risorse non saranno sufficienti per affrontare questo tipo di progetto.
Se si hanno tra i sei e i dieci milioni si può realizzare una produzione in 3D, ma ci vorranno tre partner europei. Più il budget aumenta, maggiore sarà il numero di soci necessari, soprattutto da paesi importanti come l’Italia, la Francia, la Germania, il Regno Unito e la Spagna. Ciò significa che più il budget aumenta e più partner si hanno, più viene ipotecato lo sfruttamento economico del film –anche se questo avviene solo in parte–, di conseguenza i propri introiti diminuiranno perchè di fatto verranno ceduti in cambio di finanziamenti.
Tra i dieci e i quindici milioni di euro è difficile trovare finanziamenti restando in Europa, infatti ci si rivolge sempre più all’Asia, all’India e alla Cina, in modo da trovare delle alternative. Certo, ci saranno prevendite con un prezzo piuttosto alto in modo da compensare un budget importante. D’altra parte però saranno necessari altri soci, e se non saranno coproduttori saranno investitori, che così andranno a ridurre ulteriormente la propria quota. Inoltre, per quanto riguarda il recupero dell’investimento, ci si troverà in una posizione molto debole, perché verrà data precedenza agli investitori e agli altri partner.
Ciò significa che il primo euro che arriva da un cinema, da una vendita ad una rete televisiva o da un DVD andrà all’investitore che ha reso disponibili i fondi. Viene definita infatti una scala gerarchica, in cui vengono inseriti tutti, fino all’ultimo arrivato. E spesso si finisce in coda, anche se si è quelli che hanno dato vita al progetto.
Invece con i film attorno ai quindici milioni di euro, diventa difficile ammortizzarne il costo e ricavarne un profitto. Non impossibile, ma difficile.
Se poi supera i quindici milioni, il progetto risulta poco fattibile o comunque poco redditizio. Oppure, in questo caso ci dovrebbe essere un partner americano, ma un budget da quindici milioni di euro non è abbastanza credibile per un progetto europeo che si rivolge agli studi di produzione d’oltreoceano, perciò nessuno prenderà in considerazione la proposta. Bisogna avere un plafond da cinquanta, sessanta, settanta milioni solo perché ti guardino in faccia.
Negli Stati Uniti poi bisognerebbe fare un casting per doppiatori, che inizierebbero a lavorare non appena comincia la produzione, perché nell’animazione prima si registrano le voci e poi si passa alle immagini.

Qual è il pubblico dei lungometraggi animati?
Al momento è formato da famiglie e bambini tra i sei e i dieci anni e tra i nove e i dodici. Di conseguenza, per la questione del business plan come del piano di sfruttamento economico del film bisogna tenere in mente anche quanto costerà il film al botteghino e, soprattutto, come deciderà di proporlo l’esercente.
Qua in Spagna, e forse anche in altri paesi, alcuni film destinati ai piccoli tra i sei e i nove anni costituiscono metà delle trasmissioni giornaliere. Se si hanno le famiglie come target, c’è una maggiore probabilità di rimanere sullo schermo fino alle dieci di sera.
Anche il tipo di pubblico a cui ci si rivolge quindi è importante. Negli ultimi anni abbiamo notato che i film d’animazione per adulti sono piuttosto pochi e, salvo alcune eccezioni, non sono molto redditizi.
Ricordiamoci inoltre che il budget, passando di mano in mano insieme al business plan, andrà a crescere sempre di più. Innanzi tutto, la prima stima dei costi fondata sulla sceneggiatura cambierà in base ai suggerimenti dell’investitore o dei soci finanziari. Il copione verrà rivisto, ci saranno alcune modifiche, e tutto questo si ripercuoterà sul preventivo. Perciò, se si coinvolgono soci finanziari nella coproduzione o anche solo nell’investimento, il plafond salirà, e sarà doveroso aggiustare il piano di finanziamento a questa dilatazione dei costi.
In più bisogna tenere in conto una certa percentuale per le spese generali, una per quelle impreviste… e soprattutto i costi della garanzia di conclusione del progetto. Se si scende in campo con un budget di otto, dieci, quindici milioni di euro, questa garanzia verrà sicuramente richiesta, e, a seconda dei termini specifici dell’accordo, costerà il 3-4% del budget di produzione. Un budget da due milioni non richiederà la garanzia, ma non bisogna dimenticarsene se il plafond si alza.

Quando viene steso il piano di marketing e sfruttamento economico dei diritti del film?
Durante la fase di sviluppo ci sarà già un budget di produzione, un piano di finanziamento, e si cercheranno dei soci. Basandosi sul piano di finanziamento, già da questo momento si deve pensare al piano di marketing e di sfruttamento economico dei diritti e si deve già iniziare a parlarne con i distributori. Ci sarà una bozza, ma bisognerà incontrarsi per determinare se, in un paese come per esempio la Spagna, quello sarà un film da quaranta copie, da ottanta, da trecento o da seicento copie, e quali di questi range è il più adatto. Se è un film da due milioni e ottanta copie, allora si potranno spendere 300 mila euro in pubblicità, oppure se è un film da quindici milioni, si dovrà spenderne almeno due fin in promozione dall’inizio.
Il modello di business poi progredirà a seconda della “confezione” che verrà data al film. Non è nulla di complicato, si tratta semplicemente dello sceneggiatore, del regista, del compositore, del cast e dei doppiatori. Bisognerà descrivere con precisione tutti gli elementi per promuovere bene il progetto e attirare nuovi soci. Più attraente è la “confezione”, più il progetto lo sarà anche per loro, e più possibilità ci saranno di trovare una coproduzione o finanziamenti.
Tutto questo influisce sul business plan, e renderà il progetto pù prestigioso e più o meno credibile. Lavorare con un regista già autore di tre campioni di incassi dà prestigio. Lavorare invece con un regista nuovo suscita semplicemente delle aspettative, ma non dà fiducia. Lo stesso succede con gli sceneggiatori e, soprattutto, con i doppiatori. Di conseguenza, se ci si vuole limitare al mercato nazionale, si cercheranno le voci tramite casting.
Il problema con i casting per doppiatori però è che alla conferenza stampa per l’uscita del film i personaggi animati non attirano abbastanza i giornalisti. Questi vogliono vedere attori in carne e ossa, e quindi si è in parte obbligati a scritturare due o tre attori famosi.

Come si misura il potenziale di un film?
Se si sta facendo un film indipendente, saranno necessarie alcune ricerche per avere previsioni di incassi al botteghino. In altre parole, bisognerà fare un confronto con altri film indipendenti degli anni precendenti, e vedere quanto hanno guadagnato nei cinema e con il mercato dei DVD, quante copie sono state stampate etc… per capire appunto qual è il potenziale di quel lungometraggio e adattare così il progetto.
Non sarebbe infatti realistico scrivere nel piano di sfruttamento economico dei diritti che il film venderà tre milioni di biglietti, cioè che incasserà circa dieci milioni, perché finora nessuna pellicola spagnola ne ha venduti più di 700 mila.
Ma un budget più ampio, e, di conseguenza, maggiori spese di promozione e distribuzione non significano per forza maggiori guadagni e successo. Non è però una regola che vale sempre.
In ogni caso la redditività dei film di animazione europei purtroppo non sta nel cinema, dove invece dovrebbe essere. Bisogna trovare altre fonti di guadagno che non siano le sale di proiezione.

Cosa caratterizza i piani di finanziamento europei?
La maggior parte è costruita attorno ai sussidi e agli introiti disponibili. In sostanza, non si progetta un film in base alla storia che si vuole raccontare, ma in base ai fondi che si spera di ottenere.

Quando un film dovrebbe essere realizzato?
Una delle reazioni dei distributori che operano con i film di animazione europei è fare di tutto per evitare le uscite americane, cioè non competere con queste. La realtà è che ci sono più elementi in gioco, perché non si può controllare la concorrenza, oppure si può anche starle lontano, ma quel giorno potrebbe esserci la partita di pallone, potrebbe piovere etc…
Credo che il momento migliore per uscire con un film sia verso Natale: tutti escono a divertirsi e ogni giorno i ricavi sono assicurati. In Spagna le date giuste per l’animazione sonostanzialmente tre: Pasqua, l’inizio dell’estate e Natale. Alla Filmax, Nocturna è uscito l’11 ottobre 2007, ed è stato un flop totale perché uscire l’11 ottobre era un suicidio. Potrebbero non esserci concorrenti, ma non si possono fare soldi in quella data e, anche se si potesse, ci sarebbero fuori pure le produzioni d’oltreoceano.
Inoltre il genere di film determina pure il genere di uscita. Si può decidere di strozzare il mercato, ma la distribuzione può essere anche massiccia (dalle quattrocento alle seicento copie), o standard (tra le sessanta e le ottanta copie, oppure tra le centoventi e le centottanta, che non è poco per un film spagnolo). Il modello di business, oltre a come finanziare il film con sovvezioni, finanziamenti, investimenti, mostra quanto si può spendere per le copie e per la pubblicità, nonché il livello e la provenienza degli incassi.

Ma il modello di business per le produzioni cinematografiche prevede una ridistribuzione equa dei profitti?
In realtà no. Dopo tutti gli sforzi fatti dal produttore per realizzare il film, finanziarlo e portarlo sullo schermo, l’ammontare medio che ne ricava va dal 12 al 20% da tutte le forme di sfruttamento economico attuate.

Come stanno cambiando le finestre di sfruttamento?
La questione delle finestre di sfruttamento sta cambiando soprattutto a causa della pirateria. L’idea è quella di fare soldi nella maggior parte delle finestre e il prima possibile. Anche che la classica forma di sfruttamento sta cambiando e si sta diffondendo in un nuovo modello di business in cui comincia a crescere e a fare una timida comparsa la distribuzione online.
Ci sono altre piattaforme e altri canali, e altri utili di mercato, visto che stanno nascendo nuovi canali di sfruttamento, per esempio i videogiochi, come succede negli Stati Uniti. Quale film americano non ha un videogioco? Un altro valore aggiunto viene dato dal cinema stereoscopico, un modo ancora diverso di incrementare i ricavi al botteghino.

Quando bisogna cominciare ad occuparsi delle prevendite?
Non bisogna cominciare finché non si ha almeno l’80% dei finanziamenti in tasca e non è iniziata almeno la fase di pre-produzione, perché la società rischia di vendere anticipatamente quando magari il film poi non viene realizzato, oppure viene terminato anni dopo, e oltre tutto si dà una cattiva impressione nei confronti del mercato.
E poi non tutti se lo possono permettere. L’azienda deve avere una storia di risultati positivi alle spalle per farlo.

Qual è la tabella di marcia di un film d’animazione?
Il primo anno viene dedicato alla fase di sviluppo, al marketing rivolto ai finanziatori e a testare il mercato. Dopo un anno si capisce se il film sarà ben accolto o no. Spesso i produttori finiscono per fare film per testardaggine, oppure perché sono spinti a farlo, oppure perché hanno già speso 150 mila euro e non possono permettersi di dire addio ad una cifra simile, perciò devono andare avanti. Spesso però è meglio dire addio ai 150 mila euro e non fare il film invece di continuare e perdere ancora altri milioni.

Quali film si prestano al merchandising?
Non c’è merchandising finché non viene decisa la data di uscita o il numero di copie da immettere sul mercato, o ancora non viene definito un budget per il marketing. Ma un film da venti copie che uscirà a marzo certo non si presta.

Lezioni di business dalla più creativa e giocosa azienda del mondo
Il libro di Bill Capodagli e Lynn Jackson “Innovare con il metodo Pixar” propone una vera e propria immersione nella cultura e nel modello di leadership della casa cinematografica di Emeryville. Nel 1984 Ed Catmull e Alvy Ray Smith fondarono l’azienda dando vita a quello che nel volume viene definito “un campo giochi aziendale”. Creatività, innovazione e clima bambinesco sembrano essere alla base della formula di grande successo elaborata dalla casa di produzione statunitense. L’elemento che maggiormente contraddistingue l’azienda è l’unicità della cultura aziendale. La capacità di osservazione dei bambini adottata dai dipendenti sembra essere l’ingrediente di maggior rilievo in quanto capace di far scaturire e stimolare la creatività collettiva poiché l’infanzia viene vista non come “un periodo anagrafico, bensì uno stato mentale”. Altro fattore fondamentale è il nutrimento dell’immaginazione “ovvero ciò che ci faceva venire tanta voglia di scoprire e provare cose nuove quando eravamo giovani”. Il risultato, frutto di tempo e lavoro, è una cultura aziendale unica, che rispecchia pienamente l’organizzazione.
Considerato che la Pixar Animation Studios ritiene che “l’arte è uno sport di squadra”, la cooperazione tra i suoi dipendenti diviene una componente indispensabile e in grado di generare valore come nel caso del “Brain trust”, costituito da otto registi Pixar. La collaborazione risulta essere inoltre “l’essenza dell’apprendimento” all’interno dell’azienda come afferma Randy Nelson, rettore di Pixar University, il quale sostiene che “in genere è solo nel giorno in cui concludi la produzione che ti rendi conto aver finalmente trovato il modo giusto per collaborare […] Invece di investire nelle idee, noi investiamo nelle persone. Stiamo cercando di creare una cultura basata sull’apprendimento, popolata da persone che imparano per tutta la vita”.
Gli obbiettivi a lungo termine e il commitment sono ulteriori elementi che caratterizzano la cultura Pixar. Per i Pixarian l’attenzione è infatti rivolta al conseguimento di obbiettivi di lungo termine ossia “fanno di tutto per assicurarsi che tale cultura sia in grado di supportare nuovi progetti senza smettere di tener fede ai valori in cui credono”, operazione non immediata e che presuppone impegno e commitment. Il cosiddetto “Habitat” dimostra la sensibilità di Pixar rispetto alla struttura dell’ambiente lavorativo, la quale risulta una variabile vitale per alimentare creatività e benessere all’interno di un’azienda. L’impianto scenografico del campus aziendale a Emeryville, California, che si sviluppa su una superficie che supera i 6 ettari testimonia la volontà di “creare e gestire un clima creativo”: tetto curvo di metallo, un grande open space per incontri, festeggiamenti e svago, una stanza da gioco, una piscina e un aspetto generale che lo fa assomigliare a un grande parco. In un contesto di questo tipo è facile comprendere come la comunicazione per i Pixarian sia incoraggiata: non esistono infatti barriere di dialogo tra membri dell’azienda, indipendentemente dal ruolo o titolo, perché come afferma Ed Catmull “ciò significa essere consapevoli che la gerarchia decisionale e la struttura comunicativa all’interno delle organizzazioni sono due aspetti diversi”.
La ricetta del successo della Pixar sembra allora essere quella che bilancia “sogni infantili e l’operatività basata sul completamento dei compiti assegnati”. Il percorso che si prospetta non è semplice, ma deve essere in grado di affrontare attivamente le sconfitte e non deve rinunciare a correre rischi poiché la cultura aziendale deve essere invitata a “provare, apprendere e provare di nuovo”.
41 iniziative per incoraggiare i processi di innovazione all’interno di team e aziende e esempi di altri “campi giochi aziendali” (Google, Griffin Hospital, Men’s Wearhouse, Nike, Target, Zappos) chiudono il libro, offrendo ulteriori spunti per ispirare attività alimentate da dinamiche creative.

Innovare con il metodo Pixar
Lezioni di business dalla più creativa e giocosa azienda del mondo
Bill Capodagli e Lynn Jackson
Etas 18,00 €
ISBN 9788845316166

Intervista a Thomas Schneider-Trumpp, produttore esecutivo e direttore dell’animazione della Scopas Medien

Quando avete iniziato a lavorare con Internet?
Scopas Medien è nata 15 anni fa; dal ’99 ci occupiamo di serie televisive. Da circa un decennio presentiamo, ogni anno, varie serie televisive; momentaneamente stiamo lavorando a 4 serie in coproduzione e a un film. Quando vedi che con la televisione va bene, potrebbe sembrarti che non c’è alcun motivo di buttarsi su Internet, ma noi siamo convinti che non sia più così.

Come avete sviluppato il vostro modello di business?
Il nostro modello di business è rivolto ai produttori, non alle case di distribuzione. Si tratta di una piccola società che sta crescendo sempre di più, che non tratta con grandi numeri. Dal 2008 otteniamo delle entrate attraverso il web, anche grazie ai contenuti animati. I contenuti web sono facilmente trasferibili in altri paesi, per cui siamo in cerca di partner in franchising all’estero.

Come mai avete iniziato a fare serie per il web?
Ci sono diversi motivi. Forse è un discorso che vale solo per la Germania, ma qui i contenuti di animazione sono piuttosto rari; anche se ce ne occupiamo da 15 anni, ancora dobbiamo scontrarci con le emittenti per proporre dei contenuti di animazione originali; questi in genere provengono dall’estero, la Germania ne acquista la licenza o partecipa in qualità di co-produttore. Ci sono anche altre due ragioni: le emittenti televisive tendono a finanziare le serie pre-scolari e i costi di produzione per le serie televisive si abbassano drasticamente.
Di conseguenza, non possiamo più produrre una serie di animazione nei nostri studios, ma dobbiamo andare fuori, e questo non è molto positivo. Poiché siamo specializzati in animazione a passo uno e non è facile suddividersi il lavoro con altri produttori. Vorremmo anche sviluppare concetti per altri target, e ciò non è possibile in Germania, dove serie come i Simpson o South Park vengono trasmesse da emittenti private.
Per tutti questi motivi, abbiamo deciso di produrre e distribuire contenuti per il web da soli.
Il web ha tanti lati positivi. Possiamo raggiungere qualsiasi tipologia di target, nel nostro caso parliamo di una fascia che va dai quattordicenni ai quarantacinquenni amanti dell’animazione. Sul web siamo diventati delle vere e proprie emittenti televisive, e abbiamo il pieno controllo del nostro marchio, perché possiamo decidere quando, dove e con che frequenza pubblicare i contenuti. Abbiamo anche il pieno controllo della catena del valore, eterno motivo di conflitto con le televisioni. Abbiamo investito molti soldi nelle co-produzioni televisive, con l’intenzione di mantenere i diritti e ricercare dei partner attraverso il nostro dipartimento merchandising. Questa strategia diventerebbe inutile se le emittenti televisive non trasmettessero i contenuti in tv.
L’idea della co-produzione, nel nostro caso, non funziona, anche se dovremmo essere sullo stesso piano delle televisioni. Sul web controlliamo i contenuti. Si stanno sviluppando anche nuovi modelli di business sul web, che rendono i nostri contenuti disponibili per la pubblicità.
Abbiamo un contatto diretto con il nostro pubblico, lo conosciamo, e in un certo senso possiamo controllarlo, dando informazioni attraverso le newsletter ad esempio. Inoltre ci sono centinaia di canali su cui possiamo trasmettere i nostri contenuti, realizzando così delle entrate. E ovviamente ci sono tantissime persone che trascorrono una o due ore al giorno su Internet, visitando una media di 10 pagine a testa; dobbiamo andare dove va l’audience e far vedere i nostri prodotti.

A cosa dovete fare attenzione nel produrre per web?
Quando si inizia a realizzare qualcosa per il web, è fondamentale sapere cos’è il web, si può pubblicare un lungometraggio e riciclarlo all’infinito. La “web generation” vuole cose diverse, ma sempre brevi e veloci.

Che tipologia di contenuti producete?
I nostri contenuti riguardano soprattutto commedie e notizie sportive, e celebrità del mondo dello sport. Vogliamo instaurare un rapporto emotivo col nostro pubblico. Abbiamo messo in risalto 2 progetti. Il primo è incentrato sulla nazionale di calcio tedesca. Dai 9 ai 12 milioni di persone seguono il campionato sul web. Abbiamo in programma di produrre un lavoro legato al campionato e ai giochi nazionali. Si tratta di un tema che non passa mai di moda, che ha un proprio target. Abbiamo creato un contenuto per raggiungere questo target, creando il nostro canale. Abbiamo calcolato che stiamo coinvolgendo il 10% degli appassionati di calcio, il che rappresenta per noi un successo.

Quanti episodi producete?
Produciamo 1 o 2 episodi a settimana, sempre incentrati sulle notizie sportive. Cooperiamo con vari portali web che diffondono i contenuti sulle loro home page. Proponiamo tre tipi di programmi: articoli di backstage, storie, vita da backstage. Gli spettacoli vengono fatti con dei burattini. Produciamo circa 40 episodi all’anno e, durante i mondiali, realizziamo contenuti quotidianamente.
Alla fine di questo primo anno, RTL TV è venuta a chiederci di fare lo stesso in televisione. Abbiamo prodotto 2 stagioni per loro.

Quali sono le principali differenze tra un produttore televisivo e uno per il web?
Abbiamo dovuto apprendere un nuovo modo di raccontare storie e di fare distribuzione. Abbiamo anche dovuto imparare a fare i giornalisti. Per realizzare contenuti di questo tipo, devi essere un amante dello sport, devi interessarti e informarti sullo sport, perché devi parlare a un target che magari ne sa più di te, proprio come un giornalista; la mattina, prima di girare un nuovo episodio, leggiamo i giornali; poi è importante sapere esattamente come funziona il sito, diventando, in un certo senso, programmatori. Abbiamo creato un dipartimento editoriale, composto da un team di scrittori di commedie, con cui decidiamo quali notizie prendere; quando si realizza una clip, questa potrebbe essere interessante sul web solo per 2 settimane, quindi devi basarti sulle notizie giuste e produrre una sceneggiatura con quei personaggi che tutti conoscono.
Abbiamo una tecnica molto veloce per produrre questi episodi, non come per la TV, e dobbiamo consegnare un episodio in 2 o 3 giorni. Per questo l’animazione in stop-motion è l’ideale; siamo in grado di produrre 1 o 2 minuti al giorno, che effettivamente è la durata di ogni episodio, per cui possiamo girare in un giorno, anche perché i nostri programmi di produzione coprono da 1 a 6 giorni, per tutti e tre gli stili.
Occorre pianificare le consegne, caricare i video su un server FTP o mandarli via e-mail, e prendere in considerazione tutti i vari formati come Quick Time, Windows, Media file, ecc. Tra 1 o 2 anni ci saranno solo due sistemi principali. Sono necessarie nuove abilità e nuovi metodi di produzione.

Quando avete iniziato la produzione?
Il nostro primo concetto era basato su episodi di 22 minuti, durante i mondiali del 2006. Abbiamo prodotto una puntata pilota di 2 minuti e una “Bibbia” di una serie TV, con un titolo diverso, basata su una serie di RTL TV. Abbiamo investito le nostre risorse, circa 25.000 euro, per realizzare i burattini e girare l’episodio di 2 minuti. Abbiamo lanciato il concetto in TV e sui portali web. La cosa ha suscitato molto interesse, ma non abbiamo fatto nessun guadagno fino al 2008, quando i portali hanno iniziato a darci dei soldi. Abbiamo realizzato l’episodio pilota per presentare la storia e far vedere con che velocità può essere diffusa.

Ora state distribuendo i vostri contenuti. Come avete imparato questo nuovo lavoro?
Non sapevamo nulla di distribuzione. Sul web puoi mettere i tuoi contenuti e i portali web possono diffonderli. È piuttosto facile, perché in Germania puoi vendere le licenze a qualsiasi portale, senza alcuna restrizione data dai diritti di esclusiva.
I portali web possono anche darti una minimo garantito (cosa sempre più difficile), o pagarti secondo un modello di suddivisione delle entrate. In questo caso hai bisogno di gente che guardi i tuoi contenuti. I nostri contenuti riguardano notizie, pertanto si trovano sulle pagine principali delle pagine web; negli ultimi 10 mesi abbiamo richiamato 16 milioni di utenti in Germania, con una media di circa 1,6 milioni di persone al mese, perché il nostro è un modello di intrattenimento basato sull’informazione. I portali devono inoltre divulgare i contenuti prima di un evento. Al momento stiamo lavorando per la nazionale di calcio tedesca, se loro ci danno notizie per il fine settimana noi le pubblichiamo il venerdì.
Durante la prima settimana facciamo dai 30 ai 50.000 utenti con un solo video. Nei sei mesi successivi si farà anche un monitoraggio per le valutazioni di lungo periodo.
Presto inizieremo una cooperazione con un partner di distribuzione che diffonde notizie su oltre 300 portali. Poiché ci occupiamo di informazione, questi portali utilizzeranno anche i nostri contenuti. Ci aspettiamo di riuscire ad arrivare a 130.000 utenti per video. In Germania, il CPM (costo per mille) varia dai 20 ai 40 euro, da dividere con la casa di distribuzione o il portale. Una percentuale compresa tra il 30% e il 50% degli introiti torna al produttore.

Lavorate con YouTube?
Sì, l’85% dei nostri utenti ci segue su YouTube. Le entrate sono esigue: da 1.000 a 3.000 euro al mese. YouTube paga secondo un modello PPC (pay per click), ed è necessario diventare partner di YouTube, il che è possibile se si possiedono tutti i diritti dello spettacolo. Essendo una compagnia professionale, si può diventare partner solo con un contratto. Vieni pagato quando la gente guarda il tuo film (dall’inizio alla fine) e quando clicca sulla notizia; noi riceviamo il 50% degli incassi, i soldi nascono da un click. Con un modello pay per impression, le entrate corrisponderebbe a circa 13.000-20.000 euro.
Questo modello cambierà. Negli Stati Uniti YouTube ha iniziato a vedere come poter inserire degli annunci pre-roll prima dei video, e noi dobbiamo valutare se ciò è possibile in Europa. Il problema è che inserendo il pre-roll prima del video, c’è un 50% di persone in meno che guarda i tuoi contenuti…

Quindi la strategia è quella di mettere i contenuti su più portali possibile?
Sì, il tuo video deve essere visto ovunque. Ovviamente abbiamo la nostra home page, quindi possiamo divulgare i nostri contenuti in ogni caso.

Come può un produttore creare un marchio su Internet?
Sul web devi avere un grosso traffico. Il marchio non è inteso come un’idea artistica, ma deve arrivare all’audience. Il 60% del nostro traffico proviene dai codici incorporati al di fuori di YouTube. L’annuncio va su tutte queste altre pagine, facendo soldi anche sui siti privati. Noi guadagniamo anche da una licenza per i contenuti in TV: le televisioni ci pagano quando vengono visualizzati i nostri contenuti.
Si può fare un piano basato sugli eventi: nel 2008 abbiamo venduto licenze per 40.000 euro per 15 video. Oggi, però, in Germania non è più possibile fare soldi con i cellulari. C’è stato il boom tra il 2007 e il 2008, ma oggi le cose sono cambiate, pertanto non ce ne occupiamo più.
É invece importante focalizzarsi sui blog. Ogni giorno scriviamo e parliamo con la comunità; la gente ha così l’impressione che il sito sia vivo, ma pur sempre semplice.

Come avete strutturato il vostro sito?
Abbiamo un programmatore che si occupa dei dettagli del sito. Per quanto riguarda la struttura, seguiamo la stessa dei principali siti di video, con una clip principale e un media center. C’è poi uno spazio per i contenuti degli utenti, che possono essere votati, classificati e marcati da segnalibro, così da permettere di inserire il link del sito su altri siti o di mandarlo agli amici.
Nello scegliere il titolo e il testo per il video, dobbiamo ricordarci di usare le chiavi di ricerca giuste; dato che stiamo lavorando per i mondiali del 2010, i nostri contenuti devono comparire tra le prime 10 voci su Google.

Avete altre fonti di guadagno, oltre agli annunci su Internet?
In quando alle licenze, abbiamo prodotto dei DVD e abbiamo dei contenuti su iTunes store. In Germania abbiamo venduto 30.000 DVD, ottenendo dal distributore un minimo garantito di circa 20.000 euro, mentre con iTunes abbiamo fatto 2.000 euro in 8 settimane.
Per concludere, è essenziale che la gente guardi ciò che pubblichi; devi attirare quanti più spettatori possibile per far sì che i tuoi video ti rendano qualcosa, investendo molto nella distribuzione; va bene avere un sito proprio, ma è importante farsi vedere anche su altri siti.

A quanto ammontano i costi per produrre una clip?
I costi per produrre un video fatto in maniera semplice si aggirano intorno ai 7.000 euro. Occorre un investimento iniziale di 10.000 euro per le riprese degli attori che saranno usati più volte nel corso della storia.

Quanto avete speso per il blog?
Il costo del blog si aggira intorno ai 100 euro mensili, escluso quello per le persone che vi scrivono. C’è infatti un addetto che ci lavora mezza giornata. Per l’hosting, collaboriamo con una piattaforma video che supporta i costi dello streaming, che possono toccare i 3.000 euro mensili, e con cui ci dividiamo le entrate. Ripagarsi gli investimenti è difficile; al momento siamo vicini al break even point e guadagniamo intorno ai 10.000 euro al mese.