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2013: prima edizione della Biennale di Arte Contemporanea di Trapani. La domanda che sorge spontanea è, ovviamente, ma ce n’era davvero bisogno? La possibile risposta oscilla ovviamente in un universo dualistico che vede ai propri estremi, come di consueto, entusiastici ed oppositori dell’evento che sarà ospitato in varie sedi della città sicula fino al 30 Agosto. Le ragioni degli uni, come quelle degli altri meritano in ogni caso un approfondimento.
Iniziamo con le considerazioni comuni a chi vede con sospetto questa iniziativa:
1. Un’iniziativa di questo tipo, può sicuramente influire sulle dimensioni turistiche, già di per sé considerevoli della città di Trapani. Il rischio è che questa biennale si presenti semplicemente come un diversivo per turisti (low-cost) scarsamente interessati alla manifestazione. In tal caso sarebbe più responsabile offrire dei servizi volti a fornire un’offerta turistica particolarmente congeniale a questa tipologia di domanda.
2. La Biennale di Trapani va a inserirsi nel sempre più numeroso elenco di biennali che compaiono con una certa frequenza in giro per il mondo, coincidendo, tra le altre cose, con la cadenza della Biennale di Venezia: come potrà “vincere la concorrenza” con le manifestazioni presenti nelle altre città?
3. La realizzazione di una manifestazione come quella di una Biennale richiede sicuramente un forte impegno da parte di più attori del territorio: Pubblica Amministrazione, soggetti privati, esponenti del mondo artistico. Guardando al nostro recente passato, sorge più di qualche dubbio al pensiero che questa sinergia si presenti con regolarità, senza strappi dovuti alle differenti esigenze reciproche. Cosa accadrà, ad esempio, se si dovesse verificare un cambio di amministrazione?
Sicuramente non mancano altre obiezioni, anche se queste rappresentano i dubbi principali relativi alla creazione di una biennale, che sia ubicata a Trapani o a Kuala Lumpur, e che colgono più di una macchia di ruggine nel dinamico meccanismo che contraddistingue i progetti di sviluppo territoriale attraverso la cultura.
Chiaramente non è questa la sede per rispondere in maniera esaustiva a queste obiezioni, se non attraverso il riportare le ragioni degli altri, ossia le motivazioni che spingono gli “entusiasti” a schierarsi a favore di questa manifestazione.
1. La sostanziale assenza di iniziative culturali di rilievo, che non si limitino alla rinomata presenza del vasto patrimonio archeologico, fa sì che i flussi in entrata si concentrino più sulle esperienze legate alla dimensione di leisure time in senso stretto, con il turismo balneare in testa alle categorie. Per quanto le dimensioni di questo flusso siano in gran parte alimentate dalla presenza di rotte low-cost nel territorio trapanese, è bene ricordare che la zona è interessata anche da una forte componente di turismo velico, che, in genere, presenta caratteristiche reddituali differenti, e forte interesse per le manifestazioni artistiche. Questa duplice natura del turismo nella provincia di Trapani si specchia in modo esemplare nell’offerta delle strutture ricettive: stando al rapporto dell’Osservatorio Regionale Turistico Siciliano, nel 2010 la provincia di Trapani presentava un’offerta totale pari a 27169 posti letto, di cui il 46% rappresentato da strutture alberghiere di medio alto livello (da tre stelle in su), mentre il restante va suddiviso tra strutture alberghiere ed extra alberghiere. In questo scenario, la biennale, potrebbe rappresentare un ulteriore stimolo, e quindi una maggiore diversificazione dei flussi d’entrata.
2. La già citata concorrenza con Biennali affermatesi nel tempo, di cui quella di Venezia rappresenta chiaramente l’apice, è sicuramente una forte criticità, ma che può essere considerata anche una risorsa. Guardando alla Top-15 delle Biennali di Arte Contemporanea stilata dal sito fineart.com, nessuna di esse inaugura ad Agosto, lasciando quindi una finestra d’azione molto importante, soprattutto per una manifestazione che si tiene in una località dal forte ascendente turistico: sempre secondo il già citato rapporto sul turismo, nel 2010 la Provincia di Trapani è stata la terza per dimensioni del flusso turistico totale in Sicilia, con un totale di circa 2 milioni di visitatori. La presenza di flussi in entrata in Italia motivati da esperienze culturali come la visita alla Biennale di Venezia, può essere dunque un punto a favore per la neonata manifestazione: se questa dovesse crescere nel tempo, potrebbe essere motivo di prolungamento della permanenza nello stivale, con un itinerario che parte dalla storica Biennale per poi terminare verso quella di Trapani, che potrà offrire quei vantaggi paesaggistico-balneari che di per sé rappresentano, come già affermato, motivo di interesse turistico.
Al lettore attento non sarà di certo sfuggita una discrepanza numerica tra le ragioni riportate da una parte e dall’altra. Il motivo di tale asimmetria sta nella considerazione, personale, che vorrei portare al dibattito: ritengo infatti, che al di là dell’esito che sortirà questa manifestazione, riflessioni legate alle difficoltà di interazione tra i vari attori di un territorio siano ovviamente di primaria importanza.
Tuttavia, considerare tali difficoltà come un dato di fatto immutabile, è sicuramente un atteggiamento che ha avuto ben più di una responsabilità nell’immobilismo culturale del nostro Paese. La Chiave di Volta di tutta la questione è forse da ricercare nell’elemento, finora volutamente ignorato, che più di tutti incide sul futuro di qualsivoglia appuntamento artistico: la qualità organizzativa, curatoriale, e della selezione degli artisti e delle opere. Senza i giusti requisiti di qualità qualunque altra considerazione diviene secondaria, strumentale. In tal senso la Biennale d’Arte Contemporanea di Trapani appare sicuramente come un buon tentativo, con i suoi 77 artisti presenti provenienti da 11 Paesi differenti. Se nel futuro verranno mantenuti e migliorati quei connotati di credibilità e affidabilità degli aspetti tanto organizzativi che di selezione, ci sarà probabilmente un futuro per questa manifestazione.
George Bernard Shaw scriveva “Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso; e si usano le opere d’arte per guardare dentro se stessi” e cosa accade quando sono gli artisti ad usare il vetro nelle loro opere?
La Biennale di Venezia è appena iniziata e ha già contagiato e immerso l’intera città in una marea di arte contemporanea. Per non rischiare di essere travolti da un’onda anomala di tele, sculture, happening, video, installazioni ci si può servire di una bussola capace di individuare un percorso immaginario.
Tra i molti eventi collaterali, ad esempio, è possibile seguire una sorta di “via del vetro”. Quale tema più appropriato per rendere omaggio, e nello stesso tempo esplorare, la città che ospita la Biennale ma al di là della Biennale? Venezia ha da sempre legato la sua storia a quella millenaria del vetro, interagendo con essa fino a reinventarne continuamente la funzione, senza però dimenticare la tradizione.
Materiale antichissimo, quasi alchemico, il vetro, racchiude in sé i quattro elementi della natura ed espressione del tutto: terra, fuoco, acqua, aria, incorporati e combinati al vetro nelle diverse esposizioni ad esso dedicate.
È la terra la protagonista della mostra “Through the stone” dell’artista francese, ma ormai californiana di adozione, Delphine Lucielle, che indaga il mondo attraverso il suo interesse per la geologia. Le immagini presentate sono quelle delle rocce antiche, che racchiudono l’essenza dell’universo, analizzate al microscopio e poi dipinte su vetro, convertito in tela e mezzo per realizzare l’opera e rendere visibile l’arte. L’originalità delle sue creazioni sta perciò nei materiali utilizzati, che grazie alle conoscenze tecniche e scientifiche dell’artista e di diversi artigiani prendono forma, sintetizzando la natura stessa. La trasparenza e la lucentezza del vetro e degli ossidi minerali permettono così di ricreare la purezza di un nuovo mondo “attraverso la pietra” e mostrarlo al pubblico che non può che restare affascinato dai suoi colori e dai suoi bagliori.
Dalla terra al fuoco della fornace Berengo che per la terza edizione di “Glasstress” coinvolge artisti nazionali e internazionali, tra i quali la stessa Delphine Lucielle, in un progetto di ricerca e sperimentazione artistica incentrato sul vetro. Non più solo mezzo decorativo, ma parte del processo creativo, in quanto materiale dotato di particolari qualità e valenze simboliche, utilizzato in funzione contemporanea. Non solo una mostra, suddivisa in tre sedi, ma occasione di incontro, dialogo e confronto per gli artisti, che spesso per la prima volta si ritrovano a lavorare con il vetro, e ad esplorare quindi una materia nuova per dare forma alla propria arte.
All’acqua si ispira invece l’installazione sull’isola di San Giorgio Maggiore di Not Vital intitolata “700 Snowballs”. L’opera è composta da 700 sfere, che ricordano delle palle di neve, realizzate a mano presso una vetreria di Murano. Così come in natura non esistono due cristalli di neve identici, ogni sfera è diversa l’una dall’altra, proprio per la sua fattura artigianale. Gli elementi sono disposti sul pavimento che insieme alle pareti e a tutto l’ambiente circostante fanno parte dell’installazione, che cancella ogni confine. Not Vital accompagna lo spettatore in uno spazio sospeso e irreale in cui l’acqua cristallizzata è resa attraverso la trasparenza del vetro, di cui svela metafore e suggestioni.
Infine l’aria di Parigi dell’ampolla di Marcel Duchamp della mostra “Fragile?”, ospitata sempre sull’isola di san Giorgio presso la Fondazione Cini. L’esposizione, che rientra nel progetto Le Stanze del Vetro, riunisce in sé i quattro elementi, rivelando tutta la carica poetica del vetro come materia da modellare e plasmare nelle mani di trenta artisti internazionali.
Non ci resta che cercare un personale percorso specchiandoci nel vetro e nell’acqua della laguna, increspata dal vento come il vetro dal soffio dei suoi artigiani.
Si è aperta ufficialmente al grande pubblico lo scorso 1 giugno la 55 edizione della Biennale d’Arte di Venezia, quest’anno sotto la supervisione di Massimiliano Gioni – classe 1973 – che a soli 39 anni è il più giovane curatore che la kermesse veneziana abbia mai avuto.
Tre giorni frenetici di inaugurazione dove stampa e addetti ai lavori hanno potuto in anteprima visitare la mostra “Il Palazzo Enciclopedico”, gli 88 padiglioni nazionali, e tutti gli eventi collaterali, per un totale di circa 200 eventi in sole 48 ore.
10 le nuove partecipazioni nazionali – Angola, Bahamas, Regno del Bahrain, Costa d’Avorio, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Maldives, Paraguay, Tuvalu, Santa Sede – e proprio a una di queste, l’Angola, è stato assegnato il Leone d’Oro come migliore partecipazione nazionale, insieme al Leone d’Oro per migliore artista della mostra “Il Palazzo Enciclopedico” al performer britannico Tino Sehgal, e al Leone d’Argento alla francese Camille Henrot come migliore artista emergente. Quattro le menzioni speciali: a Sharon Hayes (USA), Roberto Cuoghi (Italia), ai Padiglioni Cipro e Lituania e al Padiglione del Giappone. Due Leoni d’Oro alla carriera per Marisa Merz e Maria Lassnig.
Per continuare con i numeri, 158 sono gli artisti invitati da Gioni per il suo Palazzo Enciclopedico, di cui 120 per la prima volta in questo contesto e 40 artisti non più viventi. Una “mostra all’interno della mostra” curata da Cindy Sherman, alle Corderie dell’Arsenale, con opere di oltre 30 artisti, che mettono in scena un suo personale museo immaginario in cui le immagini riflettono le diverse rappresentazioni e percezioni che l’uomo ha di sé.
“0-0, la partita perfetta, entrambe le squadre giocano così bene, senza errori, che segnare è impossibile”, scrive Francesco Bonami in un articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa il 27 maggio, “la 55/ma Biennale d’arte curata da Massimiliano Gioni, 39 anni, sarà una Biennale perfetta. Uno 0-0 spettacolare. Senza goal e senza errori”. Opinione confermata appieno anche dopo la vernice in un’intervista sempre per lo stesso quotidiano a Rocco Moliterni, dove omaggia anche il Padiglione italiano di Bartolomeo Pietromarchi che, dopo due edizioni buie, riesce finalmente a avere una mostra dove “le diverse generazioni si confondono in modo eccezionale”. Bocciati invece sempre da Bonami Marc Quinn e Ai Weiwei, “indecente” il primo e “offensivo” il secondo “nei confronti di coloro che in galera marciscono senza nessuna possibilità di farci inorridire”.
Apprezzato Pietromarchi anche da Francesco Poli, secondo il quale Vice Versa è “un ideale viaggio attraverso l’arte italiana contemporanea scandito attraverso sette stanze in cui dialogano fra loro, a coppie, quattordici artisti di varie generazioni, vecchi (anche scomparsi) e giovani, maestri e emergenti. È una variegata e problematica partitura espositiva incentrata su significativi temi culturali, sociali e politici , sempre nel segno della qualità e dell’impegno etico e estetico. E in questi tempi in Italia, non è poco” (da La Stampa, 3 giugno 2013).
Una delle principali testate di settore, Artribune, inserisce il Padiglione italiano tra i sette top nell’articolo pubblicato nel sito web il 2 giugno “Biennale Updates: top e flop. Le sette cose migliori e le sette peggiori a Venezia secondo il nostro insindacabile giudizio”, dove è apprezzata anche l’operazione di crowdfounding che ha permesso agli artisti di “confrontarsi con la possibilità di avere reali risorse per la produzione”. Suggerimento per il futuro dalla redazione di Tonelli: non presentare un padiglione nazionale con grandi collettive, ma puntare piuttosto su un impatto immediato con uno o due artisti, così come fanno i padiglioni “big” quali Germania, Francia, USA e UK, ma anche Spagna, Belgio, Olanda, Austria, Svizzera e Canada.
Massimiliano Gioni e il suo “Palazzo Enciclopedico” hanno ottenuto larghi consensi. L’edizione web del Giornale dell’Arte ha pubblicato una serie di interviste a cura di Melania Lunazzi, dalle quali si evince un generale apprezzamento di questa edizione: secondo Luca Beatrice – curatore del padiglione italiano nel 2009 – la mostra “ha funzionato rispetto alle altre edizioni e rappresenta una svolta. Non c’è più un apparato di star e di superstar. E’ una mostra curatoriale con una fortissima impronta personale da parte del curatore stesso”; Achille Bonito Oliva invece apprezza la “performatività critica” di Gioni, intesa “non come manutenzione del presente ma come interpretazione, come visione del mondo. Una critica che ha la capacità di utilizzare anche la memoria e la citazione con un’attrezzatura che è frutto della postmodernità; Angela Vettese invece trova nella Biennale di Gioni molto irrazionalismo a partire dalla scelta di inserire Jung e Steiner, “campioni nella perdita di fiducia nella logica. È facile che in periodi come questi, in cui tutto sta cambiando, ci si rivolga un giorno all’astrologia, un giorno ai tarocchi (che sono presenti in mostra in una delle loro versioni più esoteriche) un giorno alla psicanalisi, che è una splendida teoria, ma è una delle visioni del mondo non del tutto incentrata sul valore della Ragione con la erre maiuscola.”
A dare una valutazione decisamente negativa è, sempre dall’edizione web del Giornale dell’Arte, Gillo Dorlfles secondo il quale l’aspetto filosofico e ideologico ha penalizzato la nuova pittura: “è molto interessante vedere i disegni di Steiner o le tavole di Jung però delle pitture e dei nuovi pittori non c’è neanche l’ombra.” “Qui c’è la volontà di non esporre la pittura per dare più spazio a delle idee. Le idee sono certo molto importanti, ma hanno ben poco a che fare con la Biennale. […] Non ho visto nessun artista che mi abbia colpito. Se Biennale deve essere, deve esserlo biennale delle arti contemporanee. Se la pittura e la scultura sono scomparse tanto vale chiudere la Biennale”.
Passando invece ai padiglioni nazionali, a giudicare anche dalle file d’attesa che si presentavano davanti gli ingressi durante i tre giorni di preview, grande attesa c’era per la Francia e la Germania, che quest’anno, in occasione della celebrazione dei cinquant’anni del Trattato dell’Eliseo tra i due paesi, si sono scambiate i padiglioni. La prima, tra le favorite inizialmente per il Leone d’Oro, ha presentato il lavoro di Anri Sala; il padiglione tedesco una collettiva di quattro artisti: Romuald Karmakar, Santu Mofokeng, Dayanita Singh, e guest star Ai Weiwei che oltre al contrappunto di Bonami trova riscontro negativo anche su Artribune secondo cui l’installazione “pare replicare plot già stravisti, un’accumulazione di sgabelli non troppo dissimile anche a quella di biciclette di recente alla Galleria Continua…”.
L’ironia patriottica del Padiglione della Gran Bretagna di Jeremy Deller è stata esaltata da Anna Luppi in un articolo de Il Fatto Quotidiano pubblicato il 3 giugno on line: “Musica super e animali – uccelli rapaci vivi ma in pericolo- protagonisti anche nel mio favorito – e non premiato!- video dell’artista Jeremy Deller al padiglione della Gran Bretagna. Qui ti accoglie la buona vecchia idea sociale dell’arte. Con tono apparentemente leggero e colorato e con tecnica ineccepibile Deller mette in campo la ”mitica qualità della cultura popolare inglese e la sua abilità creativa specialmente nella musica”. E poi giù a menare fendenti a destra e a manca contro il neoliberismo, quello che l’artista chiama la congiura di Blair, Harry e Abramovic. E si inventa una magica vendetta di un William Morris redivivo che affonda l’arrogante yacht del magnate russo. La mega orchestra fatta di gente comune, arrivata per l’inaugurazione, che suona la colonna sonora del video, registrata nei mitici studi di Abbey Road, è travolgente. E ti offrono pure un tè squisito in una verandina amena che non si era mai vista nel serioso padiglione neoclassico. Esci di lì divertita indignata e commossa. Lunga vita all’Inghilterra!”; ma c’è anche chi non l’ha apprezzato come Elena del Drago, conduttrice del programma radiofonico A3 che su La Stampa scrive: “Odio e amore dunque, condensati in disegni, foto memorabilia e immagini simboliche dove se l’eroe è un David Bowie immortalato in tournée di molti anni fa, i cattivi sono il principe Harry e l’oligarca Roman Abramovic. A rendere particolarmente avvilente l’insieme è poi l’allestimento che sembra disinteressarsi del possibile coinvolgimento del pubblico, rinfrancato però, alla fine della visita, da un angolo dove prendere il tè. Come sarebbe potuto mancare?”.
Lo Speciale Biennale dell’ultimo numero di Exibart infine mette in evidenza la poesia del Padiglione Coreano, l’attualità di quello Iracheno, la visionarietà di Sarah Sze per il Padiglione americano, e l’intento esplorativo di Kaspars Podnieks e Kriss Salmanis per il Padiglione della Lettonia.
Alta affluenza, curiosità e molti apprezzamenti anche per l’eccezionale partecipazione della Santa Sede, il cui padiglione è stato curato dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, e per la sorprendente opera di Alfredo Jaar al Padiglione del Cile, anche questo inizialmente tra i favoriti per il Leone d’Oro. Inaspettata e in gran parte condivisa anche la vittoria dell’Angola, il cui padiglione allestito a Palazzo Cini vede come protagonista Edson Chagas che ha fatto una reintepretazione personale del tema proposto da Massimiliano Gioni riadattandolo a “Luanda, Encyclopedic City”.
Forse è ancora troppo presto per dirlo, ma da una prima ricognizione sembrerebbero promossi sia Gioni alla direzione della Biennale, che Pietromarchi alla direzione del Padiglione italiano. Promosso anche il Leone d’Oro al miglior Padiglione Nazionale, mentre sulla premiazione di Tino Sehgal si è acceso un dibattito che sta dividendo la critica.
Questo un primo excursus delle varie opinioni da parte degli addetti ai lavori sulla Biennale di Venezia 2013, a pochi giorni dalla chiusura della vernice. Quale sarà ora l’impressione del grande pubblico?
Per vedere tutte le foto della Biennale, questo il nostro album
Cominciamo col dire che Venezia non regge più una kermesse da 200 eventi in tre giorni; gli anni passano anche per lei, come per tutti. Se abbiamo cambiato abbigliamento, automobili, abitudini e modelli, non vedo perché non si debba cambiare città per ospitare uno degli eventi culturali più importanti al mondo. Anzi, sarebbe utile e intelligente prevedere la Biennale a Milano, nel 2015 in occasione dell’EXPO, tanto per educare il popolo all’importanza vitale dell’arte.
Poi però bisogna trovare un altro luogo; contemporaneo, periferico, avanzato tecnologicamente, innervato di storia e di presente, vocato al futuro e all’accoglienza, dove le uniche skill non siano saper guidare una gondola e fare dei tramezzini ma anche pensare, immaginare, progettare futuro. E dove ci siano infinite strade, taxi, rumore e motorini. Con un po’ di asfalto si può fare tanta strada.
Detto questo, il progetto di Biennale 2013 curato da Massimiliano Gioni, intelligente, sofisticato, sfidante e vitale, è andato pienamente a bersaglio. Il Curatore del New Museum di New York, un art consultant, critico e curatore che il mondo ci invidia e ci ruba (perché l’inesistenza del nostro sistema e la profonda ignoranza dell’arte di qualità non consente nessuna difesa di queste professionalità di eccellenza) aveva scritto che avrebbe rivalutato la funzione educativa della Biennale in funzione del riavvicinamento della gente all’arte contemporanea. Se da un lato le evoluzioni dei linguaggi favoriscono lo sviluppo neuronale e la crescita intellettuale, dall’altro allontanano i pigri e i perennemente assistiti che non hanno voglia di sfidare un rebus. Gioni ha giustamente pensato di avvicinarsi a questa gente tipicamente italica e ha costruito una Biennale di “facile” lettura, divertente, eclettica, ironica, iconica e aniconica, concettuale, creativa e rigorosa, molto carica di opere e significati, dai più sofisticati ai più naif.
Questa Biennale dall’anima divulgativa e generosa è uno di quei contesti in cui si fa esperienza estetica e culturale di altissimo profilo ma con una modalità di fruizione aperta, senza abbassare la qualità delle idee e delle realizzazioni.
I Padiglioni stranieri, poi, sono praticamente perfetti, quasi tutti coerenti con il tema dato da Gioni (immaginazione e archiviazione come binomio inscindibile per salvare e rendere produttive memoria e idee) e quasi tutti di altissimo profilo. Le mostre di Gioni, sia all’Arsenale sia nel Padiglione Biennale ai Giardini, anche questa magnifica, semplice ma intelligente, rigorosa e creativa insieme, sono un esempio di coniugazione tra impegno intellettuale e capacità di integrarsi con il mondo reale, quotidiano, normale…
Insomma una Biennale magnifica e preziosa, per l’Italia e per gli artisti.
E il Padiglione Italia? Mica male dal punto di vista qualitativo, ma solo alla luce dei due imbarazzanti, clamorosi fallimenti delle due edizioni precedenti.
Nel confronto con gli altri padiglioni nazionali dove presente e futuro si sposano con passato e memoria alla perfezione, con linguaggi e mezzi di ultimissima generazione, sempre coniugati all’ironia creativa, l’Italia pecca di passatismo, retorica e scarsa ambizione, con le eccezioni di Luca Vitone e soprattutto Sislej Xhafa, geniale ospite kossovaro, che ha fatto del paradosso creativo, attitudine italiana dimenticata e vittima della seriosa pratica della morte come ospite permanente, un’abitudine espressiva di altissimo valore. Tanto più che l’opera/ performance di Xhafa si svolge su un albero, per cui ha ben capito che senza radici non crescono rami, è vero, ma senza rami non c’è nutrimento ne futuro.
Il passaggio dal Padiglione Italia a quello cinese, di fianco, alla fine dell’Arsenale, è come un refrigerio, un tuffo in un’oasi dopo una settimana di deserto (nel senso del caldo, non delle idee…). Omaggi a Michelangelo e Leonardo come origine dell’arte contemporanea sono pensati come linguaggio concettuale contemporaneo e prodotti con dispositivi di senso tecnologici; il legame tra la storia e il futuro è tangibile, fortissimo, presente….
Il Padiglione Irlandese è imperdibile, la lezione di Andy Warhol finalmente è ben rappresentata da questi video durissimi e spietati. La cruda crudezza della cruda crudeltà della guerra, portano alla nuda nudità cromatica della vera verità delle guerre. Resta dentro per sempre.
I Padiglioni ai Giardini vanno visti tutti, nessuno escluso, con particolare attenzione a quello danese (invisibile, di fianco agli USA), quello francese, quello americano, quello cecoslovacco, quello serbo e quello egiziano. Da non perdere l’omaggio a Munari del Padiglione Brasiliano, davvero intelligentissimo.
Insomma avete un’occasione di nutrire l’intelligenza al massimo livello ogni due anni, non perdetela. In fondo, c’è ancora un pò di tempo, la Biennale chiude a novembre 2013.
Cosa ci fa una celebrity sotto vetro?
Se lo saranno chiesto i tanti che, durante il vernissage della 55. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, hanno scorto la bellissima modella e attrice Milla Jovovich all’interno di una teca al centro del giardino di Palazzo Malipiero Barnabò.
La top model, inizialmente in sottoveste e bigodini, ha trascorso il suo tempo ordinando on line, dagli irrinunciabili pc e smartphone, capi di abbigliamento, opere d’arte e oggetti di svariato genere, sotto gli occhi di giornalisti e pubblico. Gli acquisti le sono stati recapitati presso il salottino racchiuso nel plexiglass, fino a riempirne completamente lo spazio a disposizione.
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La performance, intitolata “Future Perfect”, porta la firma dell’artista e a sua volta attrice Tara Subkoff, sponsorizzata da Marella.
L’idea che ne è alla base è quella di mostrare l’“ultimate consumer”, così come l’autrice lo ha definito, che ormai si affida al canale virtuale, senza uscire dalle mura domestiche e intessere relazioni umane dirette, per fare le proprie compere.
L’esibizione, della durata di sei ore, è stata inoltre un’occasione per mostrare le opere di altri artisti contemporanei come Yoko Ono, Jeff Koons, Richard Phillips, tra gli oggetti recapitati a Milla, insieme ad una intelligente campagna del noto marchio di abbigliamento italiano, che della modella ucraina ha fatto la sua testimonial.
“Future Perfect” è partito alle 14,00 di oggi, 28 maggio, e proseguirà fino alle 20,00 di stasera; il tutto sarà visibile anche in live streaming attraverso il canale dedicato.
Non è la prima volta che personaggi dello star system si pongono al servizio dell’arte: recentemente Tilda Swinton, volto prestato dal cinema, ha posato dormiente al Moma di New York destando, come prevedibile, grande interesse del pubblico.
Tara Subkoff ha scelto per la sua opera una vetrina e una performer certamente d’eccezione: al vernissage di una delle Biennali d’arte più seguite al mondo, una top model che si mette a nudo, nel vero senso della parola, non può di certo passare inosservata.
Sarà inaugurato il 30 maggio prossimo a Venezia e il suo filo conduttore sarà il dualismo e la contrapposizione, coniugato dagli artisti prescelti, in modo da coinvolgere anche la società civile, smentendo lo stereotipo dell’arte contemporanea appannaggio di pochi eletti.
Sono questi i punti cardine che caratterizzeranno il prossimo Padiglione Italia all’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia: presentato stamane dal curatore Bartolomeo Pietromarchi e dal commissario Maddalena Ragni. Per adesso di tratta di linee guida, perche le opere da esporre (una per artista per un totale di quattordici) sono ancora in fase di selezione, ma intanto sono stati resi noti i nomi degli artisti selezionati, i costi stimati dell’esposizione, gli spazi da riempire e il tema centrale.
Si chiamerà Vice Versa, un nome che rimanda alla tematica dei binomi e dell’antitesi che secondo il curatore sono le uniche chiavi di lettura per interpretare la cultura italiana. Le dicotomie saranno sette e ogni artista sarà invitato a presentare un’opera che riassuma la dialettica peculiare dell’arte contemporanea nel nostro Paese. Il percorso espositivo tra istallazioni, sculture, dipinti e performance, guiderà il visitatore dentro l’identità e la complessità dell’arte contemporanea italiana riletta non più come una semplice contrapposizione di artisti e generazioni, ma come un dialogo incrociato di corrispondenze. Gli artisti selezionati sono Francesco Arena, Massimo Bartolini, Gianfranco Baruchello, Elisabetta Benassi, Flavio Favelli, Luigi Ghirri, Piero Golia, Francesca Grilli, Marcello Maloberti, Fabio Mauri, Giulio Paolini Marco Tirelli, Luca Vitone e Sislej Xhafa.
L’obiettivo che dovranno perseguire attraverso le loro opere sarà quello di avvicinare la società civile all’arte contemporanea, troppo spesso considerata elitaria e di difficile comprensione. La prima mossa per raggiungere questo scopo comincia da una raccolta fondi che coinvolgerà i privati cittadini: per finanziare i 1.800 metri quadri interni insieme ai 1.000 metri quadri esterni di giardino per l’esposizione, sono già stati stanziati 600 mila euro (cifra fortemente contenuta secondo la dott.ssa Ragni, a causa dei tagli apportati in quest’ultimo anno) a cui dovranno aggiungersi dei fondi raccolti grazie ad un progetto di crowdfunding che partirà il prossimo 12 febbraio. Ispirato ai progetti di partecipazione dei cittadini già avviati in molte realtà culturali europee (per esempio al Louvre con la campagna Tous Mécènes è possibile partecipare all’acquisizione di un’opera) il progetto prevede che chiunque possa partecipare attivamente, al fine di sostenere economicamente la produzione degli artisti. Un primo passo per avvicinare la società civile al mondo dell’arte contemporanea. In attesa quindi dell’inaugurazione vera e propria di quello che Massimiliano Gioni, il curatore della 55 Esposizione Internazionale d’Arte, ha chiamato Palazzo Enciclopedico e vedere come si integrerà il padiglione italiano in questo contesto, sarà possibile a breve collegarsi al sito Viceversa2013 e diventare mecenati dell’iniziativa. “L’obiettivo minimo che speriamo di raggiungere attraverso questo nuovo strumento è di 50 mila euro” ha affermato il curatore Pietromarchi al termine della conferenza.
Volge al termine la Biennale di Architettura di Venezia numero 13. Iniziata il 29 Agosto, ha chiuso i battenti il 25 Novembre. Si è discusso quest’anno di terreno comune, come indicava lo stesso tema: “Common Ground”. La direzione quest’anno è stata affidata all’inglese David Chipperfield, che ha parlato di Venezia come luogo dove “le architetture, umili o grandiose si fondono con la laguna creando qualcosa che va oltre la natura; la città ci rammenta le reali possibilità dell’architettura, sia come atti singoli sia come parte di una visione più ampia”.
Terreno comune, inteso anche come conoscenze, esperienze, storie o luoghi in comune. L’architettura deve farsi strada nella profonda trasformazione che sta vivendo la società e non può sottrarsi alla creazione di nuove forme di condivisione.
E la mostra di Venezia ci ha provato, con tante contraddizioni (e non poche polemiche sull’aspetto autoreferenziale di alcune installazioni e sulla non concretezza della mostra), ma anche con tante idee espresse dai vari paesi partecipanti. Alcune forse non realizzabili ed altre che invece, si spera, lo siano come la proposta del padiglione giapponese dedicato alla ricostruzione post-tsunami “Home-for-All”.
La visita, divisa tra i Giardini e l’Arsenale (rigorosamente una giornata da dedicare a ciascuna delle due) è stata, come sempre “ricca” ed illuminante – ormai è una piacevole consuetudine essere a Venezia ogni due anni per visitare una delle città più belle del mondo e per vedere lo stato dell’arte nel mondo dell’architettura (che interessa esperti e non). Questa volta la visita è stata impreziosita dalla compagnia di due architetti, un ingegnere, un dottore commercialista ed una esperta di didattica per bambini.
E da qui l’idea di dare un voto al “sentiment” che lasciava ogni nazione da parte del gruppo sopracitato. Un voto basato sull’emozione che ogni esposizione riusciva a trasmetterci attraverso spunti di riflessione e di interesse.
Cinque stelle (in una scala da zero a cinque) le hanno meritate Israele, Usa, Brasile e Russia (tutte ai Giardini).
Israele (seconda nazione per numero di centri commerciali nel mondo) ha posto in primo piano l’aspetto capitalista della nazione sotto il profilo architettonico ed il rapporto con gli Usa che si è tradotto in una vendita speciale di oggetti che hanno tutti a che fare con questo difficile legame. Chi si è fermato al piano terra acquistando solo dei gadget e andando via, non ha compreso il senso del padiglione, ma è stato protagonista dell’intenzione dei curatori, mentre chi è andato oltre, salendo al primo piano, ha compreso cosa significasse ognuno degli oggetti in vendita.
Gli USA hanno coinvolto in maniera diversa i visitatori, attraverso 124 pannelli con interventi reali e concreti per il bene comune. Interventi volti al miglioramento urbano sotto varie forme. Dalla mobilità alla socialità, alle pratiche utili per migliorare il vivere quotidiano.
Il Brasile, paese oramai in fortissima ascesa non solo economica, ma anche culturale, ha messo il punto su convivialità e convivenza. “Riposatevi”, opera di Lucio Costa, riproposta nel padiglione è un invito al riposo ed una identificazione del Brasile. Emblematica la frase di Costa “Quelle stesse persone che riposavano sulle amache, nel momento del bisogno riuscirono a costruire in 3 anni una nuova capitale in mezzo al nulla”. Il riposo quindi, inteso come una forma di creazione. Interessante quindi la visione di Marcio Kagan che, anche attraverso Peep, una sorta di telenovela familiare ha raccontato cosa accade all’interno di una delle sue opere architettoniche preferite, la Villa V4. La particolarità è stata che la visione di questa quotidianità era possibile solo attraverso dei buchi che trasformano i visitatori in “guardoni” curiosi.
Quello russo poi è stato un padiglione futuristico. All’ingresso venivano dati dei tablet con i quali bisognava decodificare centinaia di codici QR, dietro ognuno dei quali vi era un progetto. L’emozione di trovarsi proiettati nel “2050” è stata forte, non si riusciva a star dietro tutti quei progetti e soprattutto vederli tutti è impossibile. Il massimo punteggio (in questa “speciale” graduatoria) è dovuto più alla spettacolarità del padiglione che ai contenuti, seppur buoni nei pochi progetti visti attraverso i QR code.
Quattro stelle per Spagna, Giappone, Cipro, Irlanda ed Italia (le prime due ai Giardini, le altre all’Arsenale).
La Spagna ha puntato sull’innovazione tecnologica, dando a sette studi selezionati la possibilità di dare alla mostra il proprio lavoro creando una sorta di laboratorio spagnolo. Ogni lavoro aveva vita propria, e forse la mancanza di un filo che li lega è una pecca, però tra questi Dream your city (a cura di Ecosistema Urbano) che riflette un’architettura aperta, colorata, partecipata e giocosa e Betweenair sul rapporto tra natura e tecnologia hanno colpito il segno.
Il padiglione giapponese, già citato prima, a cura di Toyo Ito ha guardato dritto verso il tragico tsunami dell’11 marzo 2011 cercando una soluzione al disastro attraverso il dialogo con chi ha perso tutto. Un dialogo che aiuta la ricostruzione ed il miglioramento della vita quotidiana in maniera condivisa. “Architecture. Possible here? Home-for-All”, questo il titolo del padiglione in cui era in mostra anche la prima residenza ultimata a Sendai lo scorso autunno. Una buona speranza per il futuro del Giappone dopo un disastro enorme.
Cipro ci ha portati “in estate” con un padiglione tutto sulla sabbia (molto suggestivo) con temi di sviluppo turistico nella nazione del Mediterraneo, mentre l’Irlanda ha fatto divertire con dei giochi di equilibrio che hanno coinvolto i visitatori.
Protagonista invece del padiglione Italia (molto discusso in questi mesi) è stato Adriano Olivetti, indiscutibilmente il nostro Steve Jobs degli anni tra il ’30 ed il ’60. “Adriano Olivetti. Nostalgia di futuro”, questo il titolo della sezione del padiglione Italia a lui dedicata, con vari spunti rispetto allo stabilimento di Ivrea e di Bagnoli e sulla sua attività da imprenditore. Nella parte finale del padiglione, c’erano due video contrapposti, “5 minuti di recupero, un’occasione per ripensare la crescita urbana” ed un video di Arcò con una serie di progetti innovativi di riqualificazione urbana.
Tre stelle, infine, per la presentazione di Common Ground all’Arsenale dove risaltavano i lavori “Gateway” (dove troviamo un mondo fatto di immagini), “Wall Houses” (una riproduzione scala 1:1 di un edificio progettato in India), “Torre David – Gran Horizonte” (una torre occupata a Caracas) e “13178 Moran Street” (risolvendo il problema di spazio urbano inutilizzato acquistando una casa abbandonata a Detroit).
Nonostante le polemiche, nonostante sembra che ogni due anni ci si ritrovi a parlare di nuova architettura che forse così nuova non è e nonostante un bel po’ di autoreferenzialità (manifestata delle archistar presenti), è importante che ci si ritrovi anche solo a discutere di futuro. Di futuro urbano, di riqualificazione, di smart cities, di ricostruzione (purtroppo nei casi tragici bisogna affrontare anche questi argomenti), insomma della vita quotidiana di tutti noi, architetti e non. E se a volte sembra che l’architettura non si prenda cura di te, sei tu che devi prenderti cura di lei. Appuntamento a Venezia nel 2014.
Le foto sono di Carla Di Martino e Fabrizio Barbato
In risposta a due grandi eventi culturali che si svolgono a Venezia, ovvero la Biennale d’architettura e la Mostra internazionale d’arte cinematografica, è nata l’iniziativa Occupy Biennale, centro di discussione e di azione alternativo sugli spazi comuni, organizzato da alcuni centri culturali di Venezia.
La tredicesima Mostra internazionale di architettura, diretta quest’anno dall’inglese David Chipperfield e intitolata “Common Grounds”, avrà luogo nei giardini della Biennale e all’Arsenale da fine agosto a fine novembre 2012.
L’iniziativa Occupy Biennale, nata in risposta all’evento, ne ha ripreso polemicamente il titolo, trasformandolo in “Common Battle Ground”. Questa piccola ma cruciale modifica offre la chiave di lettura dell’intera iniziativa: da “terreno comune” a “campo di battaglia comune”, il tentativo di esaltare l’attività di lotta per un uso realmente condiviso dei beni comuni, sottratti ai privati e alle grandi istituzioni culturali.
I promotori di questa iniziativa sono alcune delle realtà creative e indipendenti attive da tempo nel panorama culturale veneziano: il S.a.L.E Docks, uno spazio dedicato alle arti visive e sceniche, il centro sociale Rivolta, che si occupa di solidarietà e integrazione, e il laboratorio Morion, centro di aggregazione giovanile autogestito. Li accomuna la volontà di mettere in discussione il rapporto della città con i grandi eventi culturali che vi si svolgono, come la Biennale, chiamando la cittadinanza a partecipare attivamente nei processi creativi e artistici della città.
Non è la prima volta che un’iniziativa di genere “Occupy” si svolge nella città di Venezia.
Infatti, lo scorso anno, con lo slogan #occupyvenice, S.a.L.E. Docks aveva organizzato una grande adunata a Campo San Salvador, di fronte alla sede della Banca d’Italia, per rivendicare l’arte e la cultura come beni comuni e per discutere sul loro ruolo nella crescita del territorio. Inoltre, il laboratorio Morion e l’ASC, l’Agenzia Sociale per la Casa di Venezia, si occupano già dal 2008 di “Re-Biennale”, un progetto che invita creativi italiani e stranieri a riciclare i materiali e gli oggetti di scarto dei padiglioni nazionali della Biennale di architettura per realizzare arredi da utilizzare negli spazi occupati o abbandonati di Venezia.
Passiamo però agli eventi in programma, che si terranno dal 27 agosto al 19 settembre presso i Magazzini del Sale, sede di S.a.L.E Docks, e il laboratorio Morion. Ieri, 27 agosto, si è iniziato con l’inaugurazione in Riva dei Sette Martiri del progetto “Gau:di”, il concorso europeo di architettura sostenibile rivolto agli studenti indetto dalla Cité de l’architecture & du patrimoine di Parigi. I progetti vincitori del concorso vengono esposti al laboratorio Morion.
Oggi, 28 agosto, presso la sede di S.a.L.E Docks, si terrà l’incontro principale di questa kermesse alternativa, intitolato: “La produzione dell’architettura, le istituzioni del comune e l’invenzione dello spazio” in cui interverranno architetti, collettivi, artisti e creativi.
Occupy Biennale non dimentica la Mostra internazionale d’arte cinematografica, che inizia il 29 agosto.
Proprio il giorno 29, dal Lido di Venezia al red carpet della Mostra del cinema, si terrà una parata per celebrare un anno di occupazione del teatro Marinoni, salvato dall’abbandono e minacciato dalla speculazione edilizia. L’evento darà ugualmente occasione al comitato locale e agli organizzatori di richiedere la salvezza del teatro e la destinazione di questo spazio a centro giovanile polivalente a gestione pubblica e partecipata.
Questo progetto rientra nel gruppo delle variegate iniziative lanciate con il nome di “Occupy”, quali ad esempio Occupy HTML, Occupy Everything, Occupy Design, etc. Il riferimento originale riguarda il movimento di protesta “Occupy Wall Street” nato a New York per contestare l’enorme potere delle istituzioni finanziarie e bancarie, e proprio in questo periodo è arrivato a compiere un anno.
Il termine Occupy non indica più solo il movimento, ma diventa slogan globale di indignazione, di contestazione, di lotta e ricerca di soluzioni alternative di sviluppo.
Aprirà il 29 agosto e proseguirà fino al 25 novembre 2012 la 13esima Biennale di Architettura di Venezia: diretta dall’inglese David Chipperfield, la Mostra si snoderà tra i Giardini della Biennale e l’Arsenale e mira a riportare in primo piano l’Architettura con la A maiuscola.
Ecco le 5 cose fondamentali da conoscere sulla Biennale di quest’anno che Tafter ha selezionato per voi:
1. Il tema
Common Grounds, Terreni Comuni il focus di quest’anno che il direttore così ha esplicato: “L’ambizione di Common Ground è soprattutto quella di riaffermare l’esistenza di una cultura architettonica costituita non solo da singoli talenti, ma anche da un ricco patrimonio di idee differenti riunite in una storia comune, in ambizioni comuni, in contesti e ideali collettivi. Siamo partiti dal desiderio di enfatizzare idee condivise al di là della creazione individuale, e ci siamo resi conto che questo ci imponeva di attivare dialoghi piuttosto che selezionare singoli partecipanti. Abbiamo iniziato chiedendo a un gruppo limitato di architetti di sviluppare idee che portassero a ulteriori richieste di partecipazione: a ciascuno abbiamo richiesto di proporre un progetto insieme a un dialogo che rispondesse al tema e mostrasse l’architettura nel suo contesto di influssi e di affinità, di storia e di lingua, di città e cultura. La lista finale dei partecipanti rappresenta una ricca cultura della differenza, piuttosto che una selezione di posizioni definite e dichiarate. Vogliamo dare risalto al terreno comune condiviso dalla professione, nonostante l’apparente diversificazione nell’attuale produzione architettonica. La condivisione delle differenze è essenziale all’idea di una cultura architettonica.”
119 architetti dialogheranno quindi su una visione comune della materia che sfugge al campanilismo per riappropriarsi del dialogo e della cooperazione.
2. Il Padiglione Italia
Curato da Luca Zevi, il Padiglione Italia avrà come tema “Le quattro Stagioni” del made in Italy: da Adriano Olivetti alla green economy come sfida alla crisi che colpisce il nostro paese e in segno di continuità con quello che è il tema generale della Mostra cioè i Common Grounds.
Le quattro “stagioni” si dipanano dalla prima, appunto, su Olivetti; la seconda sull’ “assalto al territorio” a partire dagli anni ’80, documentata da un video; la terza su “progetti architettonici d’eccellenza” dell’ultimo quindicennio; infine la puntata su imprese e Green Economy in vista dell’Expo 2015 a Milano.
Si inserisce appieno in questa filosofia l’opera che Michelangelo Pistoletto ha realizzato appositamente per l’evento: una grande sagoma dell’Italia lunga circa 8 metri, adagiata a terra e formata da materiali di riciclo, recuperati sul terreno della Biennale stessa. Una metaopera che parla del belpaese ma anche della Mostra di Architettura del Lido quindi e che vuole simboleggiare questa “Italia Riciclata”.
3. La Giuria
Nominati, per questa edizione, i seguenti giurati:
Wiel Arets (Olanda),architetto, teorico dell’architettura, urbanista, designer e docente presso la Universität der Künste Berlin, UdK;
Kristin Feireiss (Germania),giornalista, curatrice, direttrice del Netherlands Architecture Institute (NAi) dal 1996 al 2001 e fondatrice del Architecture Forum Aedes di Berlino di cui è co-direttore;
Robert A.M. Stern (USA), architetto, Preside della Yale University School of Architecture;
Benedetta Tagliabue (Italia), architetto, co- fondatrice insieme a Eric Miralles dello studio Miralles Tagliabue EMBT;
Alan Yentob (Gran Bretagna), Direttore Creativo della BBC e Honorary Fellow del Royal Institute of British Architects (RIBA).
Il Presidente della Giuria sarà nominato dagli stessi componenti durante la loro prima riunione.
La Giuria assegnerà i seguenti premi ufficiali:
Leone d’oro per la migliore Partecipazione Nazionale;
Leone d’oro per il miglior progetto della Mostra Internazionale Common Ground;
Leone d’argento per un promettente giovane architetto della Mostra Internazionale Common Ground.
La cerimonia di premiazione, si svolgerà contestualmente all’inaugurazione della mostra che avrà luogo mercoledì 29 agosto 2012 alle ore 11 ai Giardini della Biennale.
4. Paesi presenti
55 le nazioni presenti quest’anno con Paesi che per la prima volta partecipano a questo grande evento. Il benvenuto di quest’anno va infatti ad Angola, Repubblica del Kosovo, Kuwait e Perù.
5. Eventi collaterali
18 in tutto gli eventi collaterali che si snoderanno in tutti i luoghi toccati dalla Mostra e che saranno organizzati da pesi partecipanti. Tra questi vi segnaliamo:
50×50 VeniceGreenDream VGD 2012
Porto Marghera, Area Vega 2
dal 28 agosto al 25 novembre
50×50 Un sogno verde per Venezia 2012 è l’installazione di un campo inerbito. Un campo comune che rappresenti contemporaneamente un sistema di ordine architettonico e un processo di coltivazione della natura. Affrontare le trasformazioni urbane e territoriali sotto il profilo socio-economico, occupazionale e ambientale presuppone un radicale cambio di paradigma. Venezia e il suo waterfront costituiscono l’ideale campo di applicazione.
Organizzazione: Green City Italia
www.greencity-italia.com
A Better World
Serra dei Giardini, Castello (Viale Garibaldi)
dal 27 agosto al 25 novembre
Non poteva essere in nessun altro luogo se non in una serra. Alla base ci sono abilità e la vocazione. Anche la lotta e il divertimento, è lo scambio e l’uso di materiali regolari e le idee a produrre energia intelligente. Poi lectures, workshop, piccoli allestimenti di design trasformano lo spazio in un centro per tenerci con i piedi per terra.
Organizzazione: studio427
www.studio427.it
e, per finire, il tanto discusso:
Il Palais Lumière di Pierre Cardin a Venezia: una scultura abitabile
Concept Créatif International Pierre Cardin, via delle Industrie, Marghera
dal 29 agosto al 25 novembre
Il ‘Palais Lumière’ è un originale edificio immaginato da Pierre Cardin, prendendo ispirazione da tre fiori tenuti assieme da un nastro: esso rappresenta un concreto esempio di “scultura utilitaria”, in seno alla quale un individuo può tranquillamente vivere anche 24 ore al giorno. La struttura, di notevoli dimensioni ed ecosostenibile, è stata progettata per essere ipoteticamente collocata in un’area ben precisa di Venezia (Porto Marghera) che attualmente è alquanto degradata: la mostra inedita è per l’appunto volta a illustrare nel dettaglio questo straordinario progetto architettonico.
Organizzazione: Concept Créatif International Pierre Cardin
www.ccipierrecardin.com
www.palaislumiere.eu/biennalevenezia2012
Ad accogliere i visitatori nella loggia della settecentesca Villa Clerici – sede del museo d’arte sacra contemporanea – ci sono tre parallelepipedi dello scultore Nicola Carrino. Quasi un invito ad immergersi in un cortocircuito estetico e sinestetico tra la contemporaneità delle opere proposte e la magniloquenza dell’architettura, in un dialogo serrato che presuppone una volontà di confronto del pubblico con l’attualità dei linguaggi e delle forme, a cui anche il mondo della chiesa cattolica si sta aprendo, vista la prossima partecipazione di un padiglione di Città del Vaticano alla Biennale internazionale d’arte di Venezia. Curata da Paolo Bolpiani e Francesca Pola, Immagine della Luce. Artisti della contemporaneità internazionale per Villa Clerici – questo il titolo della mostra – vuole essere un momento di confronto tra linguaggi, personalità eterogenee e generazioni diverse di artisti che si sono confrontati con un tema, o forse sarebbe più giusto dire una suggestione, che tanto ha contato nella storia dell’arte, e in particolar modo in quella “sacra”. Non un percorso espositivo ordinario, scandito da una successione manualistica delle sale, ma (nella maggior parte dei casi) un vero e proprio incontro tra le opere e gli ambienti dell’antica dimora. Sul grande scalone laterale, come sui soffitti, le cinquanta opere scelte dai due curatori sono essenzialmente legate alle indagini astratte e concettuali sviluppatesi in particolar modo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso.
Si parte con Bruno Querici, presente con la grande Dinamicoluce, Nelio Sonego, con Orizzonteverticale, Michel Verjuz con un lavoro site-specific che impone la verticalità dello sguardo che svela le decorazioni del soffitto grazie a un fascio di luce collocato sul pavimento. Sempre nell’ottica di una scelta che travalica l’utilizzo di un solo medium espressivo e mediante un approccio transnazionale, François Morellet ribadisce l’interesse del neon e quindi della luce che «Quale portato paratecnologico elementare è da lui impiegata come elemento non accessorio ma fondante del suo linguaggio, perché specificamente connota il significato dell’opera secondo una dimensione simbolica concreta: è possibilità stessa della vita della forma geometrica», secondo quanto analizza la studiosa Francesca Pola nel bel catalogo edito per l’occasione. Essenziali nel loro rigore formale, i pezzi di Alan Charlton, Niele Toroni, come d’altronde i lavori di Dadamaino, Günter Umberg e le splendide carte di David Tremlett, tra le opere più interessanti di questa mostra che, ricordiamo, è stata organizzata in collaborazione con la galleria d’arte contemporanea Studio Invernizzi di Milano. Luce come forma, luce come metafora di un punto di vista e luce come linguaggio che nella sua concettuale autoreferenzialità espleta un ruolo sempre vivo, nonostante il rapporto tra arte contemporanea e ispirazioni “luminose” è uno dei temi fondanti di tante mostre recenti, non ultima quella dell’ultima Biennale firmata da Bice Curiger.
Nell’ambito di queste declinazioni, la luce è anche frutto di un confronto dialettico tra un materiale e l’ambiente entro cui viene proposto, anzi esposto. È il caso di Lesley Foxcroft, che associa al rapporto tra opera e spazio, anche una lettura che non può prescindere dai materiali utilizzati: cartone e M.D.F. All’interno della labirintica infilata di stanze del primo piano della villa, si rintracciano poi i dipinti di Elisabeth Vary, le sculture “primarie” di Igno Legnaghi, mentre si distingue per un vivo rapporto simbiotico con gli ambienti l’opera di Mauro Staccioli, collocata sulla soglia di passaggio tra sesta e settima sala. Seguendo l’analisi di quell’arte contemporanea che come linea fondante predilige il dialogo percettivo con la luce, non si poteva certo dimenticare l’interessante esperienza cinetica di Gianni Colombo. Completano il percorso le opere di Mario Nigro, Carlo Ciussi, Rodolfo Aricò, Pino Pinelli, Riccardo De Marchi, Grazia Varisco, Bruno Querci, Francesco Candeloro e Rudi Wach, tra operazioni che con più o meno incidenza rivelano percorsi originali e vitali, come nel caso della Varisco, presente con un lavoro della recente produzione che così esplicita un percorso concettuale sempre vivace. Una chiamata alle armi dunque, tra artisti viventi e un nucleo di maestri ormai scomparsi, che con le loro opere hanno rivitalizzato un luogo che purtroppo soffre la mancanza di una politica promozionale capillare – soprattutto rispetto a determinati spazi del centro della città – oltre che sostanziali problematiche legate all’allestimento degli spazi permanenti.
Inaugurato nel 1955 per iniziativa della Casa di Redenzione Sociale della Compagnia di San Paolo, un ente religioso sorto nel 1920, il museo possiede un congruo numero di opere – circa 3.200 –, di cui 200 esposte in permanenza.
Connesso in particolar modo con quella certa linea figurativa dell’arte del Novecento, come quella di Floriano Bodini, Giacomo Manzù, Pericle Fazzini, Aldo Carpi, Trento Longaretti e Giuseppe Usellini, il museo ha apparati didattici molto scarni, un sistema di didascalie che andrebbe parzialmente rivisto e, soprattutto, come accennato, un allestimento confuso, che determina una visibilità scarsa delle opere, una comprensione non esemplare dei percorsi intrapresi dagli artisti che si sono confrontati con le complesse tematiche sacre. Paga probabilmente la condizione periferica, che al contempo è uno dei maggiori punti di forza di questo museo: ben vengano quindi le mostre di qualità come questa ordinata da Paolo Bolpiani e Francesca Pola, che sollecitano l’interesse di un luogo così particolare. E in tal senso risulta interessante il calendario di attività che comprende visite guidate, seminari e altri momenti di approfondimento segnalati nel sito www.villaclerici.it.
Tradizionalmente la “Kunsthaus Tacheles” festeggia, nella data della propria fondazione il 13.02.1990 con una grande esibizione degli artisti che la abitano.
I tempi per le celebrazioni sono finiti, forse definitivamente. Ciò nonostante e per non cadere in atteggiamenti vittimistici o populistici ma al contempo per tenere alta l’attenzione sull’attuale sviluppo e messa a punto della svendita della città e dell’asservimento della cultura a logiche meramente finanziarie ed economiche, l’associazione “Kunsthaus Tacheles”, presenta la sua prima biennale.
I 72 artisti internazionali che partecipano a questa prima edizione si sono riuniti e presentano i propri lavori ispirati dal motto della TB 2012: “Kunst und Politik” – Arte e Politica-. E non potrebbe essere altrimenti, visto il momento attuale vissuto dalla casa d’arte. Quale altro luogo sarebbe d’altronde più adatto di Tacheles a esplorare le varie sfaccettature e i complessi rapporti tra cultura e politica dei nostri tempi, un “edificio occupato” nella capitale della maggiore economia europea?
Il nome con qui l’antico centro commerciale deturpato dai danni della guerra mondiale prima, e completamente ricoperto di murales in anni più recenti, viene comunemente identificato col nome “Tacheles”, che significa in lingua yiddish “parlare chiaro”, e da quando da circa due anni l’associazione si è visto prima negato un qualsiasi tipo di contratto per continuare ad aver a disposizione un regolare affitto dell’immobile, ma soprattutto da quando attraverso le minacce ad uno dei suoi artisti più rappresentativi, Alexander Rodin (vedi articolo del 30.01.12, ndr), si cerca di obbligare con la forza a liberare gli ambienti della casa d’arte, non si è fatto altro che appunto “mostrare chiaramente”, con orgoglio e dignità che il movmento culturale fondato nel 1990, non è disposto a cedere di un solo passo. Nemmeno di fronte ad un gruppo di avvocati e immobiliaristi potenti e notevolmente appoggiati sembra, anche se non ufficialmente, dalla politica.
La biennale è stata pensata e organizzata per fungere da strumento di comunicazione con l’opinione pubblica, per divulgare un messaggio di “Real Politik”, per cambiare il soggetto dal denaro e dalla finanza e ritornare all’uomo. Nessun luogo offre ancora la possibilità di confrontarsi civilmente, di riflettere e di vivere attraverso l’esperienza diretta i temi dell’integrazione, della disparità e della disuguaglianza. L’inaugurazione è avvenuta la sera del 11.02.2012 nella “Goldenen Saal”, con la partecipazione dei musicisti della “Berliner Symphonieorchesters”, della “Philarmonie” e della “Berliner Oper” e avrà il suo culmine con una esibizione di Rodin a Potsdam (programma: www.tacheles.de), organizzazione priva di finanziamenti esterni e sponsorizzazioni che possano in qualche modo comprometterne il messaggio originale.
La “battaglia politica” nel frattempo procede: il 27 gennaio 2012 una lettera aperta è stata spedita al Sindaco e a tutte le autorità coinvolte nella vendita dell’areale dell’Uranienburgerstraße che riguarda l’edificio Tacheles e le adiacenti pertinenze. Illustra i fatti accaduti tra dicembre 2011 e gennaio 2012 definendo il comportamento degli imprenditori Müller-Spreer/Jagdfeld, della HSH Nordbank, e dello studio legale Schwemer, Titz , Tötter e Schulz inaccettabile e antidemocratico e propone di istituire una commissione d’inchiesta che possa chiarire alcune questioni.
Perchè è stata danneggiata e illegalmente sottratta un’opera dell’artista Alexander Rodin e si è urinato sui suoi quaderni di appunti dopo averlo cacciato dal quinto piano dell’edificio e in cui nessuno può entrare vista la chiusura da parte di un corpo di guardia privato?
Perchè il Senatore alla Cultura di Berlin secondo il verbale della Camera del Senato del 17 marzo 2011, era a conoscenza della sospesione dell’asta del 04.04.2011 per la vendita dell’immobile, quando secondo la decisione della corte competente la decisione è stata ufficializzata solo mezz’ora prima dell’appuntamento ufficiale?
Quale tipo di pressione esercitano Müller-Spreer/Jagdfeld su banca e istituzioni per riuscire ad abbattaere l’edificio e farne un esercizio commerciale?
Restiamo in attesa di risposte. Il testo integrale pubblicato in quattro lingue e disponibile su internet è a dsiposizione per chi desiderasse presentare protesta ufficiale all’amministrazione locale e supportare la causa dell’associazione.
Approfondimenti:
http://kritikdesign.blogspot.com/2012/01/solimail-zum-schutze-alexander-rodins.html
TB Biennale 2012:
http://super.tacheles.de/cms/
Prende il via oggi, alle 19, la 67a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che, per 11 giorni, catalizzerà l’attenzione di media e operatori professionali del settore sulle proposte cinematografiche provenienti da ben 102 paesi (lo scorso anno erano 74) .
Una mostra che, al pari delle precedenti, ha già fatto molto parlare di sé, con polemiche, proteste, scenate e messe in scena (come dimenticare il furioso Pupi Avati il cui film è stato scalzato dalla new entry Ascanio Celestini) che si consumeranno soprattutto nella serata inaugurale quando sul red carpet si alterneranno la protesta delle forze dell’ordine contro la politica di Governo sulla sicurezza, in cui sagome di poliziotti sfileranno con dei pugnali alle spalle, e quella contro la cementificazione selvaggia della zona, organizzata dai comitati cittadini del Lido di Venezia.
Malumori hanno riguardato anche l’organizzazione della kermesse: al magro finanziamento ottenuto quest’anno (700 mila euro in meno rispetto allo scorso anno) si aggiunge l’indignazione per il cantiere ancora aperto del nuovo Palazzo del Cinema la cui inaugurazione, prevista per il 2011, è slittata di nuovo a data da destinarsi.
82 prime visioni mondiali e 4 prime internazionali terranno comunque banco fino all’11 settembre, giorno in cui il presidente della Giuria, nella figura del celebre regista Quentin Tarantino, decreterà il vincitore del tanto agognato Leone d’Oro conteso tra i 24 lungometraggi compresi nella gara ufficiale.
Un’edizione, inoltre, quella di quest’anno, con molti titoli italiani in gara e fuori concorso: una precisa volontà del direttore Marco Mueller, il quale ha ritenuto doveroso dare una maggiore fiducia al cinema nazionale in un momento di crisi come quello attuale. Decisione interpretata invece come una scelta dettata dalla straordinaria produttività e vitalità del cinema italiano secondo il sottosegretario ai Beni Culturali Francesco Maria Giro il quale ha pubblicamente espresso la speranza di una vittoria italiana, dopo oltre 12 anni di vittorie straniere, manifestando il proprio favore per la pellicola di Mario Martone ispirata al Risorgimento italiano e che ben si incastonerebbe tra i preparativi per i festeggiamenti dell’Unità d’Italia del prossimo anno.
Quattro le pellicole nazionali in concorso: “La pecora nera” di Ascanio Celestini sarà il primo ad essere proiettato, seguito poi dalla “Solitudine dei numeri primi”, di Saverio Costanzo tratto dal bestseller di Paolo Giordano, “Noi credevamo”, di Mario Martone, “La Passione” di Carlo Mazzacurati, per poi concludere con il film fuori concorso di Michele Placido con Kim Rossi Stuart “Vallanzasca – Gli angeli del male”.
“La conferma degli incentivi fiscali del tax credit e tax shelter, ha fatto in modo che venissero liberate nuove risorse in grado di consentire ai maggiori produttori nazionali di sostenere 1-2 film in più rispetto all’anno precedente- ha dichiarato il sottosegretario – Questo permetterà di aprire il settore del cinema anche agli investitori esterni alla filiera.”
Ma la replica degli addetti ai lavori non tarda ad arrivare tra le pagine del quotidiano La Repubblica in cui Aurelio De Laurentiis, uno dei principali produttori italiani, afferma come Venezia abbia ormai inevitabilmente perso il lustro dei primi anni, non essendo l’Italia riuscita a formare un’industria cinematografica forte in grado di attrarre le principali major americane.
“Forse il cinema non è ancora compiutamente arte, forse deve finire di diventarlo –afferma con una nota quasi di rammarico il direttore della Mostra Mueller – ma la sua potenza artistica non chiede che di poter attualizzare al meglio i propri strumenti.”
Per farlo, serviranno coerenza nelle scelte di gestione e qualità nelle pellicole selezionate per fare in modo che grandi attori e case di produzione non preferiscano al Lido altri festival imponenti oltreoceano.
Approfondimenti:
Mostra dell’Arte cinematografica – sito ufficiale
Della 12. Biennale di Architettura di Venezia, in corso dal 29 agosto al 21 novembre 2010, il titolo è di certo efficacemente suggestivo: People meet in Architecture, denso di significati perché molteplici sono i modi in cui si declina il rapporto tra gente e architettura. Ma lo scenario in cui questo tema viene sviscerato è una bolla magica di città, la cui architettura è protagonista, catalizzatore o repulsore della vita comunitaria. Modello ideale di città storica e concentrata, che astrae da quei tratti tipici del vivere urbano contemporaneo: primo fra tutti l’automobile.
Cosa accade invece fuori dall’eccezionalità urbana di Venezia? Come si intreccia e si trasforma il rapporto tra comunità e architettura, tra vita e luoghi urbani fuori dalla città storica, in quello che è oggi il cuore pulsante del quotidiano?
È a partire da questi presupposti che prende vita “Provincia Italiana”, una delle attività collaterali della 12. Biennale di Architettura di Venezia. Proprio nella provincia, in tre province venete, quelle di Padova, Treviso e Vicenza, la Biennale andrà a “infiltrarsi” per indagare questo rapporto. Attività che si presenta oggi come necessaria, per dare un immaginario alla provincia che esuli dalla retorica di periferia culturale tanto quanto da quella di sobborgo omologante, al fine di prendere coscienza dello stato attuale e di accompagnare con spirito critico le trasformazioni urbane in corso. Provincia Italiana – promosso da C4 – Centro Cultura Contemporaneo Caldogno, ideato e organizzato da Fuoribiennale in collaborazione con Centro Studi Usine e curato dal team CulturAli composto da Flavio Albanese, Pier Luigi Sacco, Cristiano Seganfreddo, Catterina Seia – si definisce a questo proposito come “Laboratorio di Ripensamento territoriale”. Laboratorio proprio perché propone per tre mesi, dal 2 settembre al 19 novembre 2010, un programma di incontri, workshop, talk, conferenze, convegni e riflessioni, nei quali si discuteranno ed elaboreranno idee e visioni che rivedano il territorio nella sua attualità.
La provincia, veneta e non solo, corrisponde al territorio della città diffusa, città infinita, città mobile, città diramata; ora miraggio di una metropoli policentrica. È portatrice in questo senso di fenomeni urbani, più e meno emergenti, in cui si sono intrecciate dinamiche dal basso e interessi economici sovranazionali. Realtà territoriali che, per essere comprese e rappresentate, richiedono nuovi paradigmi e un nuovo linguaggio, da negoziare tra architetti, urbanisti e comunità, amministratori locali, attori politici. Perché questa nuova città non continui a disperdersi secondo spinte centrifughe e individuali, c’è bisogno che i suoi molteplici protagonisti si coordinino e condividano un lessico insediativo comune e una stessa immagine di provincia. È questo un ambizioso, ma anche concreto, obiettivo di Provincia Italiana: quello di offrire un modello operativo per le amministrazioni. Il progetto rappresenta il territorio delle quattro province come una rete di centri urbani, di ciascuno dei quali valorizza l’identità specifica, ma che accomuna entro una riflessione condivisa sul proprio abitare, con l’intento dichiarato di “definire le linee guida di una piattaforma comune”.
Anche in questo sta il carattere sperimentale dell’iniziativa, che tenta di integrare diverse scale, comunale intercomunale e provinciale, e diversi comparti del territorio – cultura politica e cittadinanza. In questo intreccio avranno un ruolo chiave le personalità del mondo della cultura, dell’arte, dell’architettura e dell’economia invitate a stimolare il pubblico nel pensare il proprio futuro urbano, tra i quali l’architetto Flavio Albanese, Giandomenico Amendola, ordinario di Sociologia urbana, Massimiliano Bucchi, sociologo della scienza, Riccardo Marini, design city leader di Edimburgo, Franco Zagari, architetto paesaggista.
Un’iniziativa promettente, dunque, anche per il concetto più ampio e poliedrico con cui parla e pensa il territorio: il programma di attività tratterà non solo le trasformazioni urbane e il paesaggio, ma anche il tema della creatività e quello della cultura e dell’arte, quello dell’innovazione e della sostenibilità sociale. Per esempio, le Gallerie di Palazzo Leone Montanari, sede museale di Intesa Sanpaolo di Vicenza, realizzeranno il seminario “I poli museali del Nord Est: verso la candidatura a Capitale Europea della Cultura 2019” tenuto da Guido Guerzoni, docente Università Bocconi e Roberto Daneo, ideatore del progetto Expo 2015. A Schio, in provincia di Vicenza, un complesso di archeologia industriale unico al mondo, che ha deciso di re-inventare il proprio passato industriale, ospiterà tre incontri sui temi del Place making, dell’Innovation Cluster e del progetto Ruhr Capitale Europea della Cultura 2010.
Oltre a complessi di archeologia industriale e fabbriche dismesse, anche ville palladiane e centri storici: i luoghi che faranno da scenario al calendario di incontri sono in questo senso interpretabili come occasioni in cui il pubblico si incontra nell’architettura. Ne può risultare valorizzato il patrimonio storico-architettonico, riattualizzandolo con un uso contemporaneo.
Tentando di connettere presente e passato architettonico e sociale, i temi sono stati pensati con le amministrazioni locali in base alle peculiarità dei luoghi partecipanti al progetto: i comuni di Vicenza, Bassano del Grappa, Caldogno, Montorso Vicentino, Schio e Valdagno per la provincia di Vicenza; Possagno nel trevigiano; i comuni padovani aderenti all’Unione del Camposampierese; mentre la provincia di Venezia patrocina l’iniziativa. Per esempio a Montorso Vicentino, che grazie a Villa da Porto e grazie al legame con la figura di Luigi da Porto, autore della prima versione inedita della storia di Romeo e Giulietta, si sta affermando come città delle attività performative e della scrittura, verrà realizzato un workshop sulla scrittura contemporanea.
Altro aspetto interessante di Provincia Italiana è la proposta di consegnare un lascito ai luoghi coinvolti, sotto varie forme: progetti preliminari e documenti, attraverso i workshop; idee e relazioni, durante gli incontri pubblici; buone pratiche e tavoli di concertazione per la pubblica amministrazione e le associazioni locali. Dunque un passo avanti per la Biennale, o meglio un passo nell’entroterra e nel quotidiano, per tramutarsi da evento, seppur straordinario, temporaneo, a piattaforma radicata nel territorio che possa attivare processi sul lungo periodo, che si protraggano anche sui due anni che separano una edizione dalla successiva.
A distanza di due anni dall’ultima edizione, la 12esima Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, che inaugurerà proprio nei prossimi giorni (25-27 agosto), apre secondo i migliori auspici.
Organizzata dalla Biennale di Venezia e presieduta da Paolo Baratta, come nell’edizione del 2008, viene diretta quest’anno da Kazuyo Sejima, prima donna a dirigere la Biennale Architettura, di recente insignita del prestigioso Pritzker Architecture Prize (insieme a Ryue Nishizawa). L’innovazione è la cifra espressiva della dodicesima edizione, titolata emblematicamente “People meet in architecture”: per la prima volta, infatti, all’interno delle 53 nazioni partecipanti, si trovano Albania, Regno del Bahran, Iran, Malesia, Repubblica del Ruanda e Thailandia, paesi che difficilmente si sentono nominare in manifestazioni internazionali di tale portata, riproponendo, di riflesso, lo spirito che anima la Mostra, ovvero, contribuire ad un incontro reciproco tra individui e architettura e ad aiutare le persone a relazionarsi tra loro.
Dal 1980, anno in cui il settore Architettura acquisì una propria autonomia in occasione della Prima Mostra Internazionale di Architettura, si sono susseguite le varie edizioni della Mostra, collocando progressivamente l’evento, nel corso degli anni, ai vertici della classifica delle esposizioni italiane più visitate.
Cifre alla mano, la scorsa edizione (2008) si è conclusa con un record di pubblico rispetto alle edizioni precedenti, totalizzando 129.323 visitatori complessivi alla Mostra (erano 127.298 nel 2006), registrando una media giornaliera di 1.827 visitatori e afflussi record nei weekend di 8.840 persone. Inoltre, l’evento è stato in grado di sollecitare un ampio dibattito attorno al tema de “l’architettura al di là degli edifici”, stimolando la partecipazione di un pubblico quanto mai visto per una mostra di architettura, ancor più se si pensa che l’indagine sul movimento turistico 2008 indicava un calo del 2,5% sulle presenze turistiche in Italia (- 4,4% straniere, -1,2% italiane) e dell’8-9% dei ricavi (dati XVI Rapporto sul Turismo Italiano).
Un dato è particolarmente significativo: quello degli studenti, che nel 2008 visitarono in gran numero la Mostra, singolarmente o in gruppo (circa 61.436).
Proprio questo segmento sembra essere il vero punto di forza della 12esima edizione, che si arricchisce quest’anno di un progetto inedito destinato ai giovani, dal titolo “Destinazione Biennale di Venezia. Universities meet in architecture”. Sull’onda del successo della passata edizione, che aveva riscosso particolare seguito da parte del pubblico giovanile, registrando un incremento del 18% rispetto al 2006 (16.794 visitatori universitari nel 2008 a fronte di 14.236 nel 2006), l’attività educational rappresenta una fascia particolarmente interessante, che concepisce gli spazi della Mostra come luogo di apprendimento e aggiornamento delle conoscenze, come laboratorio creativo aperto alla ricerca. Tale iniziativa propone, infatti, ad Università ed Istituti di formazione, i principali fruitori, di programmare una visita strutturata alla Mostra, al fine di incentivare gli studenti di tutto il mondo a considerare la Biennale come un luogo di approfondimento e di ricerca. In questa direzione vanno considerati gli specifici protocolli d’intesa con le Università italiane e straniere, che permettono agli studenti di inserire l’esperienza di visita alla Mostra in crediti formativi. Inoltre, i partecipanti al programma potranno anche assistere ad un’altra nuova iniziativa prevista per la presente edizione, i “Sabati dell’architettura”, una rassegna di incontri ai Giardini dell’Arsenale che vede i direttori delle precedenti Mostre internazionali affiancati da architetti, critici e personalità del mondo dell’architettura per ripercorrere, attraverso il tema della contemporaneità, la storia di un settore destinato a coinvolgere un pubblico sempre più numeroso.
Tutti questi elementi vanno letti come segnali positivi di crescita della Mostra, che dimostra in questa edizione più che mai di aprirsi alla “pluralità di sguardi”, con l’obiettivo di far crescere un pubblico “di qualità” fatto di giovani, che costituivano il 30% del pubblico nella scorsa edizione. Nella prospettiva di investire nel futuro per rilanciare l’architettura come veicolo di comunicazione tra gli individui, ovvero, per usare le parole della direttrice Sejima, “generare una comprensione nuova del mondo.”
Oggi apre al pubblico la Biennale di Berlino. In occasione della preview tracciamo un percorso tra Kreuzberg e Mitte, in quelle che sembrano delle tendenze fondanti di questa sesta edizione. La biennale si focalizza su artisti provenienti soprattutto dall’Europa, ma ad una linea marcatamente europea, si contrappone uno sguardo ricognitivo di tipo globale. Molti interventi destinati ad un pubblico esperto e tanti spunti che possono smuovere la fantasia di persone volenterose di confrontarsi con l’universo del contemporaneo. Il tema di questa sesta biennale invita ad una riflessione sui luoghi.
Nel 1909 Alfred Kubin artista e scrittore Austriaco pubblicava Die andere Seite – l’altra parte – acclamato come il primo romanzo espressionista tedesco. Kubin, ossessionato da mostri e presenze demoniache, trovava la sua “altra parte” nei pressi di Samarcanda, in un luogo non luogo fatto di una compenetrazione mistico spettrale in linea con il tempo e con le tendenze esoteriche. Nel 2010 la domanda di fondo di questa Biennale di Berlino è Was drapssen wartet (cosa ci aspetta fuori da qui), una questione che sembra accordarsi con una necessità d’altro, o almeno d’altrove.
Cosa ci aspetta fuori? Una logica che ci pone in riflessione rispetto al lontano da noi, altro da noi stessi. Le esposizioni biennali hanno preso da tempo il corpo di eventi internazionali fondati su riflessioni derivanti da un sostrato comune a tutto il mondo occidentale. Quel fuori da qui allora diviene – nel caso della Biennale di Berlino – altrove rispetto all’occidente? A vedere alcune posizioni prese dagli artisti e sostenute dalla curatrice Kathrin Rhomberg, sembrerebbe plausibile.
L’altra parte – parafrasando Kubin – in questo caso è il mondo che sta altrove rispetto al sistema occidentale. Un mondo che vive e subisce le nostre strutture sociali e la nostra organizzazione economica. Una documentazione continuativa e trasversale di tutte quelle politiche – perché la biennale mi è sembrata estremamente politica, nell’accezione greca del termine – sociali che si diradano a partire da una serie di azioni. Ecco allora il video di John Smith ( Frozen War ) che si sofferma, era nel 2001, sull’attacco congiunto dell’aviazione Americana e Britannica in Afganistan – azione – e Mark Boulos con il suo video All that is Solid Melts into Air, in cui la proiezione di un video con una banda di guerriglieri del delta del Niger è contrapposta ad un’altra in cui scorno le immagini di una giornata a Wall Street – reazione – una dicotomia stridente che ad un tratto diviene cacofonia affine, nelle urla, nella veemenza con cui si cerca di legittimare le proprie azioni. La biennale che si occupa di quello che è fuori da noi è una biennale che occupa palazzi e ne converte la destinazione d’uso (come il palazzo in Oranienplatz 17), non è un’esposizione verso l’utopia, ma la concrezione di opinioni. Una serie di proposte, come quelle del video di Anna Witt (Radikal Denken) che cercano una forma dialogica e che provano ad avvicinare gli spettatori della realtà. Si parla di una economia reale se ne mostrano le conseguenze e si spera che quell’altro mondo, quello che ci aspetta fuori da qui, non diventi una concatenazione vuota e vacua di spiriti del male, un non luogo dove scaricare i nostri vuoti di conoscenza, dove creare i nostri mostri, come in Die andere Seite. L’altro è già qui, apri gli occhi, basta solo vederlo.
I numeri della Biennale di quest’anno sembrano essere tutti da record: 77 partecipazioni nazionali, 44 eventi collaterali, 14.000 mq in più disponibili all’Arsenale, 1000 mq in più per il Padiglione Italia.Quattordici invece le aziende che hanno sostenuto la manifestazione: Enel, Aci-Automobile Club d’Italia, Foscarini, Nivea, Artek, Micromegas, Casamania, Matteograssi, Bisazza, illycaffè, Link, Mediacontech, B Broker e Besserat de Bellefon. Ma effettivamente in che cosa consiste “il sostegno” dato da queste aziende alla Fondazione La Biennale di Venezia?
Mappiamo alcuni dati. Quasi la totalità delle collaborazioni sono di lungo periodo: la più storica è illycaffè che sostiene l’Esposizione internazionale d’arte dal 1997, altre invece sono collaborazioni che hanno una durata di almeno tre anni e che non distinguono tra Arti Visive e Architettura.Geograficamente è possibile individuare cinque sponsor locali – nonostante l’internazionalità del marchio – dove il riferimento territoriale coinvolge Veneto e Friuli Venezia Giulia.Interessanti sono i numeri riferiti alla categoria merceologica di appartenenza: cinque sono aziende del settore design e arredo, di cui quattro possono essere tra loro competitor; alta anche la presenza di aziende con un specifico know-how tecnologico inerente l’ICT più avanzato e l’impiego di digital media nell’ambito dello spettacolo, in questo caso sono tre.Per quanto riguarda i motivi che hanno spinto le aziende a stringere una collaborazione con la Biennale sono rintracciabili nei più tradizionali: comunanza di valori e visioni del mondo, dell’arte e della bellezza e internazionalizzazione del brand.
Obiettivo di questa mappa è riflettere sugli approcci praticati dalle Istituzioni culturali in termini di fundraising e sulle esigenze e volontà di coinvolgimento delle aziende. Cosa vogliono le aziende ora che il principale benefit richiesto non contempla più “l’onnipresenza del marchio”?
Innanzitutto verifichiamo che la maggior parte delle aziende (verosimilmente dieci) sono state sponsor tecnico ossia, hanno offerto un sostegno di tipo tecnico attraverso l’offerta gratuita di servizi aziendali o la donazione di beni e servizi. Fanno parte di questa macro-categoria Mediacontech e Micromegas. Mediacontech, player internazionale indipendente nei servizi per la produzione e gestione di contenuti per i digital media, ha avviato la collaborazione con la Biennale in occasione dell’11. Mostra Internazionale di Architettura e quest’anno è stata scelta come Sponsor Tecnico Ufficiale per fornire, in esclusiva, ogni servizio di “contents creation & media management”. Micromegas, società romana, che si definisce The Event Hub ossia, il punto centrale di una serie di servizi che garantiscono il successo di un evento, è stata contattata dalla Biennale la quale era alla ricerca di una società con una forte capacità nei sistemi informatici per gestire i flussi dei grandi eventi. In occasione della Vernice, l’area Information and Communication Technology di Micromegas ha curato la trasmissione di oltre 30.000 inviti gestendone gli accrediti con scansione a lettura ottica. Inoltre, fino alla chiusura della manifestazione, Micromegas gestirà la vendità on-line della Biennale Card. L’azienda ha fornito un pacchetto di servizi, a cui hanno lavorato quindici persone, per un valore di centodiecimila euro quantificabili nel supporto e nella gestione informatica dell’evento, della segreteria organizzativa e della vendita on-line.
Nel settore arredo e design, due esempi di sponsor tecnici sono Casamania e Bisazza. Casamania, sponsor per la terza volta della Fondazione La Biennale di Venezia, è un’azienda di Vidor in provincia di Treviso che spazia nel mondo del progetto a 360 gradi con un universo di oggetti che vanno dai sistemi d’arredo alle sedute e alle luci, fino ai complementi. La collaborazione, nata da un incontro casuale in altre manifestazioni, consiste nella fornitura di prodotti di design (sedute e tavoli), opera di alcuni tra i massimi designer del panorama internazionale e giovani talenti, che sono posizionati nelle aree esterne di ristoro e relax dei Giardini della Biennale e dell’Arsenale. Anche Bisazza è uno sponsor locale (Vicenza), se si pensa alla geografia italiana e non al suo essere uno dei brandi di lusso più autorevoli nell’ambito del design e leader mondiale nella produzione del mosaico di vetro per la decorazione di interni ed esterni. A partire dal 2004, Bisazza è sponsor tecnico fornendo panche da esterno disegnate da Stefano Casciani, Vitali Velasco e Aldo Cibic. Tre anni fa il modello Izmir di Aldo Cibic è stato personalizzato con decori e miscele della collezione Bisazza Mosaico; ad oggi sono 30 le panche in mosaico ammirabili nel Giardini della Biennale: pezzi unici prodotti appositamente per questa collocazione. Entrambe queste aziende, Casamania e Bisazza, hanno del resto segnalato la volontà e la disponibilità ad un impegno maggiore e di tipo “partecipativo”. Federica Nalli, press relations di Bisazza, segnala che “per ora non si è presentata l’occasione di stringere importanti collaborazioni con gli artisti partecipanti alla Biennale di Venezia. Ma ciò non vuol dire che non possa succedere in futuro”. Allo stesso modo Elis Doimo, Presidente di Casamania, ha ritenuto molto interessante e d’ispirazione la partecipazione di Artek, azienda finlandese, la quale ha realizzato una parte dei mobili e dell’arredamento per gli spazi del Palazzo delle Esposizioni. Il progetto ha compreso il bookshop, la caffetteria ed alcuni complementi d’arredo per l’area destinata all’attività educational, progettati rispettivamente dagli artisti Rirkrit Tiravanija, Tobias Rehberger e Massimo Bartolini, selezionati dal curatore della 53. Esposizione, Daniel Birnbaum.
Alla luce di questi esempi, è possibile quindi proporre un’ulteriore specifica alla macro-categoria di “sponsor tecnico” definendo quella di Artek, di Mediacontech e di Micromegas una “sponsorizzazione tecnica partecipativa” volendo in questo modo mettere in risalto lo scambio intellettuale tra Istituzione culturale e azienda e il fattivo coinvolgimento del know-how aziendale.
Un altro tipo di approccio alla sponsorizzazione è dato da illycaffè e Nivea, entrambe sponsor nel senso tradizionale dove il primato della collaborazione è dato al contributo economico. Potremmo definire illycaffè “la madrina” di tante idee creative legate alla sponsorizzazione e all’arte contemporanea. Dagli anni novanta infatti è al fianco di grandi mostre e dal 1992 realizza le illy Art collection, serie di tazzine d’artista, dove gli esponenti più autorevoli del panorama artistico internazionale e giovani emergenti hanno trasformato un oggetto di uso quotidiano come la tazzina – in questo caso reinventata dall’architetto e designer Matteo Thun – in un oggetto di culto. Ed è proprio in occasione della Vernice della 53. Esposizione Internazionale d’Arte, di cui illycaffè è sponsor, che è stata presentata l’ultima illy Art Collection disegnata da Tobias Rehberger. Anna Adriani, Global PR Director illycaffè, spiega che la collaborazione con l’artista era già da tempo avviata, del resto “quando abbiamo saputo che Biennale stava costruendo un progetto importante con Rehberger per la 53. Edizione ci è sembrato naturale contattare l’artista e proporgli di decorare la nuova illy Art Collection”. Nell’accordo con Biennale rientrava inoltre, soluzione non nuova per illycaffè, l’allestimento di un gazebo e la distribuzione di illy issimo, il nuovo caffè freddo in lattina. Anche Nivea ha trasformato il suo essere sponsor per la seconda volta della Fondazione La Biennale di Venezia in un’iniziativa proattiva. L’azienda ha infatti voluto legarsi in modo creativo alla manifestazione ideando un’operazione con Fabrica, il laboratorio di idee progettato dal Gruppo Benetton. “Per dare maggior valore e sfruttare appieno l’investimento – dice Isabella Longoni di Beiersdorf – abbiamo voluto che delle menti creative e artistiche come quelle dei designer di Fabrica facessero una loro dichiarazione d’amore nei confronti della marca”. L’icona NIVEA è stata così reinterpretata dai giovani designer dando vita a quattro T-shirt disponibili in taglie differenziate uomo, donna e bambino, e vendute presso il Bookshop della Biennale di Venezia. Il ricavato delle vendite sarà devoluto in favore di Ai.Bi – Amici dei Bambini, associazione attiva in tutto il mondo per combattere l’abbandono minorile.
Analizzando quindi i dati a nostra disposizione, risulta che non è stata praticata la formula “Partner di progetto”. Continuando in un tentativo di categorizzazione, con questa formula intendiamo una collaborazione tra azienda e istituzione culturale nella quale sia rintracciabile un approccio site-specific (rubando una definizione cara all’arte). Allo stato attuale è necessario riempire di esempi questa categoria per meglio delinearne le caratteristiche e comprenderne i benefici. Sicuramente è un approccio al fundraising molto impegnativo in quanto è una forma di partecipazione molto articolata, che richiede una profondità di conoscenza e di relazione tra le parti elevata oltre ad “un rapporto di condivisione di obiettivi basato sul rispetto dei ruoli e sulle reciproche libertà finalizzato sempre alla creazione di qualità”, come precisa Anna Adriani. A tal proposito è ancora illycaffè a proporre un’ulteriore riflessione. Alla domanda “Sareste disponibili a dialogare come partner di progetto con l’istituzione culturale o preferireste continuare a proporre progetti pensati internamente all’azienda?” risponde così: “illycaffè ha sempre preferito, sin dagli albori della sua collaborazione con il mondo dell’arte, ideare, progettare e sviluppare progetti propri definendone insieme ai diversi attori coinvolti i contenuti e le modalità. Il dialogo con le diverse istituzioni culturali con cui abbiamo collaborato è sempre stato tuttavia molto aperto e costruttivo, per questo nel caso in cui ricevessimo la proposta di un progetto ad hoc, saremmo sicuramente disponibili a discuterne con l’obiettivo di dare sempre un contributo originale e di qualità”. Sulla qualità punta anche Matteo Calabresi, Direttore marketing di Micromegas: “L’azienda, nelle sue attività, è venuta e viene continuamente in contatto col mondo dell’arte e con gli artisti, anche solo per il fatto che l’arte e gli artisti facendo parte del contesto sociale influenzano la comunicazione, diventa doveroso per chiunque voglia tenere “vivo” il proprio messaggio, interagire con loro. Micromegas è quindi sempre disposta a partecipare a nuovi progetti purché si mantenga come conditio sine qua non, un’elevata qualità in ogni attività”.
Non rimane quindi che riflettere su questa formula “Partner di progetto”, la quale appare interessante se pensiamo al patrimonio di aziende medio piccole che caratterizzano l’impresa italiana, dove è raro trovare uno staff dedicato alla comunicazione, ma dove la voglia di cultura e di partecipazione non manca.
www.micromegas.it
www.mediacontech.it
www.casamania.it
www.bisazza.com
www.artek.fi
www.illy.com
www.nivea.it
La Biennale su Tafter
Tante le novità di questa edizione della Biennale, investono vari settori e lasciano immaginare interessanti prospettive per il futuro.
Novità nella logistica, ad esempio, ma soprattutto nella individuazione e selezione dei servizi al pubblico, a partire dall’introduzione di una nuova figura professionale sperimentata per la prima volta in Italia (a Torino e più recentemente a Ca’ Foscari, a Venezia) ma certamente destinata ad un grande successo: il mediatore culturale. Nonostante la denominazione possa dar luogo a qualche fraintendimento, il mediatore culturale della Biennale non si occupa dell’integrazione di etnie e nazionalità diversificate all’interno dell’area di operatività ma piuttosto offre le proprie conoscenze e professionalità ai visitatori. Conserva, infatti, il carattere intrinseco della “mediazione” , proponendosi come intermediario e interprete di codici e culture differenti: quello dell’artista, quello dell’opera d’arte e quello del fruitore i quali sono spesso oggetto di difficile riconoscimento e comprensione, in particolare nell’arte contemporanea. Il mediatore, infatti, trova collocazione accanto alle opere esposte nelle varie sale della Biennale ed è disponibile ad offrire spiegazioni e chiarimenti su domanda del visitatore. Possiede una conoscenza approfondita e il più possibile esaustiva delle opere, in grado di soddisfare le curiosità del pubblico senza tuttavia costituire una alternativa al servizio delle visite guidate e ai laboratori. L’idea è certamente interessante, considerato che i mediatori sono, per il momento, giovani laureandi o laureati provenienti da facoltà umanistiche, in grado di rispondere alle esigenze delle diverse fasce di pubblico della Biennale, dal visitatore occasionale a quello più esperto.
Senza allontanarsi dal campo della fruizione, un’altra novità di questa edizione è rappresentata dal trasferimento e dall’apertura ai Giardini dell’ASAC – Archivio Storico delle Arti Contemporanee, che conserva tutti i documenti concernenti la Biennale dal 1895 ad oggi, fino a questo momento consultabili al Parco scientifico tecnologico Vega di Porto Marghera. L’Archivio trova collocazione all’interno del Palazzo delle Esposizioni, vale a dire l’ex Padiglione Italia – e questa è ancora una novità dell’edizione 2009 – . In verità, l’apertura dell’archivio nella nuova sede, oltre a rendere più accessibile la documentazione storica, pare costituire il primo passo verso una possibile “stabilizzazione” di alcuni settori della Biennale che potranno rimanere aperti al pubblico anche in periodi differenti da quelli della mostra. In particolare, si intravede la possibilità per i padiglioni stranieri – che già negli anni passati avevano più volte tentato senza successo di prolungare la loro apertura e di organizzare nelle loro strutture eventi culturali indipendenti dalla Biennale – , di proseguire l’attività culturale e di dare vita a nuove iniziative durante tutto il corso dell’anno. Questa apertura consentirebbe ai singoli Paesi che lo desiderassero di disporre di uno spazio per far conoscere artisti ed opere all’interno di una città come Venezia, internazionale e sempre più votata al contemporaneo e rappresenterebbe al tempo stesso un’ottima occasione di sviluppo per l’area dei Giardini, finora animata quasi esclusivamente dall’evento Biennale. Fin qui le novità e le prospettive per il futuro. Ma questa edizione dell’Esposizione si distingue anche per una attenzione particolare al passato e alle origini dell’evento, che risalgono al 1895. Così, la presenza e l’apertura dell’ASAC nei luoghi deputati all’esposizione, invitano a riscoprire la nascita e lo sviluppo della Biennale. Inoltre, la trasformazione del Padiglione Italia in Palazzo delle Esposizioni pare voler ripristinare la funzione e la denominazione originaria della struttura “Pro arte”, progettata dall’architetto Enrico Trevisanato per la prima edizione (il nuovo Padiglione Italia è situato negli spazi dell’Arsenale). Un invito, certo, a riflettere sulla Biennale e sul suo ruolo, specchio del tempo e di una società profondamente mutata negli oltre cento anni intercorsi tra la prima e la 53° edizione eppure sempre volta al moderno, incuriosita da opere che oggi come allora hanno la capacità di suscitare, di volta in volta stupore, divertimento, indignazione ma anche turbamento e riflessione.
La Biennale su Tafter
In questi giorni di grande fermento per l’imminente apertura della 53esima Biennale d’Arte di Venezia, in laguna non c’è solo il più importante appuntamento con l’arte contemporanea di tutto il mondo a far discutere di sé. Un altro nome, che pare insidiare la risonanza mediatica di un evento internazionalmente conosciuto ed affermato come la Biennale, riecheggia da giorni sulle pagine della stampa specializzata, e dei maggiori quotidiani nazionali e locali: si tratta di Palazzo Ca’ Pesaro, sede della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia, uno dei principali musei civici della città.
Al centro delle polemiche – che hanno coinvolto anche il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari -, la mostra dal titolo “Non voltarti adesso!/ Don’ t Look Now!”, che inaugura esattamente negli stessi giorni della vernice dedicata alla stampa della 53esima Biennale d’Arte di Venezia. La mostra, curata da Milovan Farronato, direttore artistico di «Viafarini» a Milano e ospitata presso gli spazi espositivi di Palazzo Ca’ Pesaro, sembra essere una sorta di provocazione nei confronti del Padiglione Italia della Biennale, la cui cura è stata affidata a Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, entrambi nominati dal ministro dei beni culturali Sandro Bondi.
La scelta della sede per quella che è stata già definita una “contro-Biennale”, o una sorta di “Secessione veneziana”, è tutt’altro che casuale, se si pensa che proprio Palazzo Ca’ Pesaro è stato, fin dagli inizi del Novecento, la sede di esposizioni che mettevano in mostra le opere dei giovani refusés della Biennale ufficiale.
La mostra “Non voltarti adesso!/ Don’ t Look Now!”, che nelle parole del suo curatore “è una citazione da Don’t Look Now, raffinato film di Nicholas Roerg del 1973”, ma anche un richiamo implicito all’episodio biblico della fuga di Lot e della sua famiglia dalle rovine di Sodoma, quale monito a non voltarsi verso il passato, rende omaggio a dieci artisti scartati dalla selezione ufficiale del Padiglione Italia, mettendo in scena le indagini plastiche di Sergio Breviario e Liliana Moro, i video di Nico Vascellari e Anna Franceschini, le pitture di Lorenza Boisi e Giulio Frigo, le investigazioni fotografiche di Franco Guerzoni, le installazioni di Flavio Favelli, Paolo Gonzato, Luca Trevisani.
Ciò che ha suscitato tanto richiamo intorno alle vicende di Palazzo Ca’ Pesaro è, oltre la mostra e l’interessante sfida lanciata da Milovan Farronato, la doppia presenza del sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, in qualità sia di vicepresidente della Fondazione musei civici veneziani, sia di vicepresidente della Biennale. Un doppio ruolo salutato da alcuni come l’ennesima prova della libertà dell’arte, e tacciato da altri di nascondere interessi politici tesi a colpire le scelte dei due curatori del Padiglione Italia, più che la Biennale in sé.
Nel frattempo sempre nei giorni immediatamente precedenti all’apertura al pubblico della Biennale, sarà inaugurato a Venezia un altro spazio dedicato all’arte contemporanea, il Centro d’arte contemporanea Punta della Dogana, presso la celebre propaggine di Dorsoduro, che si estende tra il Bacino di San Marco e il Canale della Giudecca. Le nuove sale di Punta della Dogana, rinate dopo l’intervento dell’architetto giapponese Tadao Ando, grazie ad un investimento di circa 20 milioni di euro del magnate del lusso François Pinault, si andranno ad aggiungere alle strutture già presenti lungo quello che viene definito il “chilometro dell’arte”, confermando il ruolo centrale giocato dalla città di Venezia nel panorama dell’arte contemporanea.
La Biennale su Tafter
E’ stata ufficialmente presentata lunedì 23 marzo presso la Sala dello Stenditoio nella sede del Ministero per i beni e le attività culturali, la 53esima Esposizione Internazionale d’Arte, che avrà luogo a Venezia da domenica 7 giugno a domenica 22 novembre.
La kermesse dal titolo evocativo “Fare mondi/Making Worlds”, curata da Daniel Birnbaum e costata in tutto nove milioni di euro, è stata salutata come la Biennale delle novità, per i cambiamenti e i grandi numeri che caratterizzano l’attuale edizione.
Con 77 Paesi partecipanti, tra i quali figurano l’Iran e Israele – per la prima volta insieme all’interno di una stessa manifestazione artistica -, 38 eventi collaterali che interesseranno non solo i Giardini, l’Arsenale e le strade di Venezia, ma anche Mestre, Sant’Eramo e Verona, e 90 artisti provenienti da tutto il mondo, il 2009 sembra essere davvero per la Biennale “un anno di crescita”, come ha dichiarato il presidente Paolo Baratta.
Una Biennale in cui anche l’Italia conquista nuovi spazi. Il Padiglione Italia, curato da Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli entrambi nominati dal ministro dei beni culturali Sandro Bondi, si sposta per la prima volta all’Arsenale, in una sede che ha raddoppiato i propri spazi – da 800 a 1.800 mq –, e che si affaccia al Giardino delle Vergini, collegato al Sestiere di Castello attraverso un ponte. Qui sarà allestita la mostra “Collaudi”, organizzata dalla PARC, Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanea, costata 850mila euro – di cui 250mila sostenuti dalla Biennale ed il resto dalla PARC. La sede storica del Padiglione italiano, nell’area dei Giardini, si trasforma invece in Palazzo delle Esposizioni, che grazie ad un lavoro di restauro e di riallestimento, sarà un luogo dotato di bookshop e caffetteria, in cui poter sviluppare in modo permanente le molteplici attività portate avanti dalla Biennale. Nell’ala sinistra del nuovo Palazzo delle Esposizioni sarà ospitata una parte importante dell’Asac, l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee, mettendo a disposizione di studenti e pubblico la biblioteca, tutto il materiale cartaceo, i numerosi cataloghi di mostre da tutto il mondo, le monografie sugli artisti, i libri sulla Biennale, i periodici specializzati.
La Biennale di Venezia nata nel 1893, per celebrare le nozze d’argento del re Umberto e Margherita di Savoia, è un prestigioso evento che riesce a catturare, dopo più di cent’anni, un cospicuo numero di fruitori. Se il 2001 ha fatto registrare 243mila visitatori, due anni dopo il pubblico degli spettatori è salito a 260mila presenze, per arrivare alle 915mila persone confluite a Venezia nel 2005, tra visitatori delle due mostre internazionali, visitatori delle mostre dei 40 Paesi allestite nel centro storico della città, e partecipanti ai 31 eventi collaterali. La passata edizione ha richiamato un pubblico di 827mila persone, generando notevoli ricadute dirette ed indirette sul territorio veneziano. E’ stato stimato, infatti, che ogni anno la Biennale ricava circa 3 milioni di dollari dalla vendita dei biglietti e dei cataloghi, generando un indotto turistico di circa 10 milioni di dollari.
Trasformata prima in “Società di Cultura” nel 1998, e poi in Fondazione con un decreto legislativo di riforma nel gennaio 2004, la Biennale aspira oggi ad ottenere una maggiore efficienza manageriale, con una effettiva integrazione tra sostegno pubblico e finanziamenti privati, secondo il sistema statunitense della cultura, dove il 30% del budget arriva da sponsorizzazioni ed erogazioni private, il 30% da ricavi propri, un altro 30% da contributi pubblici ed il restante 10% da rendimenti della patrimonializzazione.
La Biennale su Tafter