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Intervista a Maurizio Cont e Gianmarco Serra, responsabili del progetto di candidatura di Grosseto e La Maremma a Capitale europea della Cultura 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
L’Europa entra nelle case. Si vuole creare qui un presidio, un distretto, una diffusa e capillare sensibilità culturale dove il Paesaggio capitale è la prospettiva del mondo contemporaneo. Riscattarsi dalla prospettiva della narrazione retorica e delle maschere e assumersi la responsabilità di affrontare seriamente l’amletico problema. Il progetto di Candidatura della Maremma a Capitale Fluttuante Europea 2019 della Cultura, della Natura e dell’Amore nasce da ideali anti-identitari (cioè antitetici a qualunque referenza identitaria: identità nazionale, locale, etnica, religiosa, linguistica, culturale, politica, sessuale, territoriale, ecc., e da qualunque punto di vista: psicologico, antropologico, storico, sociologico, filosofico, sessuologico, ecc.) e fonda ogni sua prospettiva sul cosmopolitismo. Non si ragiona di identità ma di responsabilità. Le radici sono quelle planetarie, l’appartenenza è al cosmo.
Nell’ottobre 2012 c’è stata l’Annunciazione e l’apertura di un dibattito sui Paesaggi anticipati (laddove il Paesaggio è la dimensione della dignità dell’essere e l’anticipazione l’opposto del ritardo, della passività) e sull’agire senza referente (al sindaco, alla mamma, allo sponsor, al pubblico questa cosa non piace…) per restituire il senso dell’azione alla sola meccanica della necessità e dell’assoluto.
La strategia prevede l’abbandono della malattia burocratica e autoritaria (laddove lo stesso bando europeo parla di autorità), sforzandosi di essere quanto più possibile indipendenti in ogni scelta. Con la candidatura si segna nuovamente e finalmente una linea netta di separazione tra cultura ed economia (e dunque turismo): cultura ed economia hanno finalità e funzioni diverse nella vita personale e sociale, sono cose separate che vanno tenute separate. Così come lo spettacolo della cultura e la cultura dello spettacolo: nella candidatura ci si sottrae al taglio del nastro e all’enfasi dei lustrini. Il pubblico non esiste.
Ciascuno spazio – cioè qualunque casa o luogo – può decidere di essere colpita da un meteorite (simbolo delle azioni del 2014) e divenire con ciò dimora della cultura, luogo che ospita una rivoluzione (40mila posti letto vuoti d’inverno in tutta la Maremma). La candidatura prevede solo ruoli attivi per chi partecipa. Non si riconosce il linguaggio delle minoranze o delle maggioranze: ogni azione è per tutti e per nessuno. Tutte le discipline e ogni tema sono ammessi purché chi agisce, intenda superarsi, rivoluzionare per primo se stesso.
Hanno aderito alla candidatura 216 imprese locali.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Il Tenente Colombo ha ben presente che l’assassino farà di tutto per sfuggirgli e sa che ha circa un’ora per incastrarlo e dunque in un tempo limitato e con le risorse a disposizione sfrutta tutto il proprio talento e ogni più piccola energia. L’intelligenza va coltivata: ciascuno è responsabile della propria.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Non ci sono precedenti. Tutto è nelle mani di chi aderisce. Le possibilità di successo sono una su centomila.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Grosseto non è una città d’arte e questa non è una candidatura sulla storia passata: in gioco c’è il presente, quello che si vuole fare di se stessi; riconoscere un merito culturale alle pietre o alle opere d’arte realizzate nel passato è assurdo: la Capitale Europea della Cultura deve esserlo per la cultura, le visioni che produce sul presente e la sua capacità di illuminare l’intera Europa con la sua forza rivoluzionaria: i paesaggi anticipati sono questo. Tutti sono coinvolti perché tutti possono diventare attivi dal punto di vista culturale, finanziando e ospitando in casa loro lo studioso, l’artista, lo scienziato che più pensano possa aiutarli a crescere e superarsi.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Gli effetti sulle persone che vivono in Maremma sarebbero gli stessi di quelli di un miracolato.
Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.
Intervista a Dario Danti, assessore alla cultura del Comune di Pisa
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
Abbiamo candidato Pisa come sbocco naturale dei progetti e del processo culturale in atto nella nostra città. Il tema è quello della “navigazione” intesa tra tradizione, poiché si tratta di una città nata sul fiume, sull’acqua, quale Repubblica marinara, e innovazione, come navigazione nel grande mondo delle reti informatiche e di relazioni, con il porto, l’aeroporto, il fiume e il nostro mare. Il tema è anche il contesto nel quale andiamo a collocare la nostra città.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Abbiamo scelto il progetto della navigazione tra tradizione e innovazione come un percorso, con l’idea di un permanente divenire. Il valore del programma risiede nella volontà di confrontarsi, nel viaggiare nel tempo, tra passato e futuro, ma anche nel muoversi tra diversi settori e professionalità, senza ragionare però a compartimenti stagni. Abbiamo scelto tre filoni: la “cultura”, intesa come l’insieme delle tradizioni, dei costumi, come qualcosa di caratterizzante di una società e di un patrimonio da trasmettere; ci sono poi i “saperi”, motore di molteplici forme artistiche, ma anche come luogo di incontro e confronto di idee ed esperienze, senza costruire una netta demarcazione tra ciò che alto e ciò che è basso; infine l’”innovazione”, come processo di ricerca, continuo rinnovamento, che riguarda anche gli strumenti della comunicazione. Questi tre elementi sono attraversati da un asse trasversale che è quello generazionale, che vuol dire il coinvolgimento di una molteplicità di generazioni, da quelle più giovani a quelle più anziane.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Sicuramente abbiamo necessità di vincere due sfide.
Innanzitutto dobbiamo arricchire la percezione della città, affiancando la notorietà della Torre, con la scienza, l’innovazione, la formazione, il cinema e la musica che ci caratterizzano. Abbiamo bisogno di uscire dalla vulgata che Pisa è uguale alla Torre pendente: è quello, ma ha anche moltissimo altro da offrire.
Dobbiamo poi accelerare la vocazione a laboratorio di sperimentazione: vogliamo sviluppare in modo integrato e sostenibile la nostra capacità di essere città che coniuga cultura ed innovazione. Da tale punto di vista abbiamo individuato molteplici obiettivi in tal senso.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Certamente. Pensiamo che si debbano valorizzare tutte le categorie economiche da questo punto di vista. Stiamo coinvolgendo istituzioni, fondazioni, i nostri soggetti parte della candidatura, ma anche le diverse categorie economiche per programmare insieme uno sviluppo della città, anche ad esempio sul piano turistico, affinché cresca il turismo di qualità, culturale e che non sia solo mordi e fuggi.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
La cosa importante che abbiamo messo al centro sono anche i progetti in corso. L’idea prevalente è che comunque vada sarà un successo, per le sinergie e le contaminazioni che abbiamo messo in campo rispetto ai soggetti istituzionali, alle fondazioni, ai comuni della provincia di Pisa, agli enti culturali, alle associazioni culturali e alle categorie economiche, da un lato, e poi perché abbiamo dei progetti in campo, molto importanti, che comunque realizzeremo in questi anni, anche prima del 2019.
Tra questi l’apertura del Museo delle antiche navi pisane e romane, un centro di formazione per il restauro del legno bagnato, la fabbrica del complesso monumentale del Duomo e del campo Santo, che attraverso l’applicazione di nuove tecnologie per la ricostruzioni virtuale creerà un percorso visivo che descriva le tappe evolutive della Piazza di Miracoli, servendosi di applicazioni 3D per un museo immersivo. Abbiamo previsto la fondazione di una cittadella Galileiana, un grande science center con una ludoteca scientifica ed un museo. Ci sono inoltre tutta una serie di progetti sui beni culturali, come il recupero di tutte le mura medievali, il completamento degli arsenali repubblicani, già finanziati dall’Europa con 20 milioni di euro.
Abbiamo l’intenzione di fondare una vera e proprio Casa del cinema e di alta formazione per le produzioni e per la professione cinematografica.
Pisa è protagonista di tutto ciò e molto altro ancora, progetti che la accompagneranno nel percorso di candidatura, rendendola una sfida contendibile. Tutto questo è già in corso, con impegni di spesa ottenuti dall’Europa, che vedranno una realizzazione concreta sia nel caso in cui proseguiremo per il titolo di Capitale europea della cultura, sia che non supereremo la fase istruttoria.
Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019
Intervista al Prof. Francesco Adornato, Presidente del Comitato Scientifico responsabile del progetto di candidatura di Reggio Calabria a Capitale europea della Cultura 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
È un’identità le cui radici hanno lontane e significative origini e dalle quali si è diffusa una più ampia civiltà euro-mediterranea. Ulisse e Enea hanno attraversato il mare che bagna Reggio Calabria e sulle sue coste è approdato San Paolo. Non solo. La città ed il suo territorio, anche per via della posizione centrale rispetto alle rotte mediterranee, sono stati da sempre luogo di incontro e contatto di diverse culture. Di qui, percorsi e stratificazioni culturali di origine greco romana, bizantina, araba, medioevale, confermati tanto dal patrimonio archeologico e artistico, quanto dalla presenza ancora attuale di minoranze linguistiche ed etniche e, più recentemente, da numerose comunità di immigrati di area mediterranea, che costituiscono un’autentica emergenza umanitaria per l’Europa intera. Non a caso, il titolo del progetto che la Città presenta a sostegno della sua candidatura è “ Reggio Calabria porta del Mediterraneo”.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
L’obiettivo della candidatura di Reggio Calabria è quello di mettere al centro il tema della integrazione e della promozione di un’autentica dimensione interculturale, che servirà a rafforzare l’unità nella diversità delle culture comunitarie e la loro integrazione, pur nella differenza, nei rapporti con le comunità degli immigrati e, più in generale, con le culture mediterranee. In questo senso, gli asset storici e multiculturali di cui la città ed il suo territorio dispongono, vanno oltre lo spazio del mito e della classicità per diventare elementi fondamentali nel dialogo interculturale dei popoli.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Probabilmente, in modo particolare, possono riguardare qualche carenza infrastrutturale, specialmente per quanto riguarda il collegamento con le zone interne. Ma il programma delle iniziative previste è articolato in modo opportunamente diffuso e ciò consentirà gli opportuni interventi per sopperire a tale ritardo.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Il programma può contare, innanzitutto, sul coinvolgimento e il sostegno delle istituzioni locali territoriali: oltre che il Comune proponente, la Provincia e, a livello più generale la Regione (Giunta e Consiglio) e, nel rispetto dei ruoli, la Prefettura di Reggio Calabria, che ha avviato l’iniziativa. È significativo, tuttavia, che gli imprenditori e gli operatori economici abbiano aderito e partecipato alla discussione attraverso le loro rappresentanze, ovvero Confindustria e Camera di Commercio, stimolando in tal modo il coinvolgimento delle imprese nelle iniziative previste nelle diverse realtà territoriali reggine. Il risultato che ci attendiamo dal progetto è che il tessuto economico reggino e della provincia possa avere margini di crescita e di rafforzamento, all’interno di una logica di sviluppo che intende fare della cultura un volano per nuove iniziative economiche.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Da punto di vista ideale rimarrà una grande prova di cittadinanza attiva, ovvero di una comunità che vuole manifestare attraverso il progetto la sua determinata volontà di riscatto. Resteranno inoltre le esperienze e gli scambi che, sul piano culturale, andranno ad arricchire i cittadini e la collettività nel suo insieme, rafforzandone un’identità inclusiva e dialogante. Dal punto di vista materiale resteranno, in particolare, gli interventi pubblici e privati che, nell’ambito dei Progetti integrati di sviluppo urbano, vogliono realizzare una visone strategica di città sostenibile.
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Intervista a Claudia Sartirani, Assessore alla Cultura della città di Bergamo.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
Bergamo è un territorio dalle mille dualità: due città, la Alta e la Bassa, montagne e pianure, tradizioni e innovazione, misticismo (il luogo natale di Papa Giovanni XXIII) e laicità; creatività e razionalità. Città di impresa e di marcata solidarietà, di antiche tradizioni artistiche (si pensi ad Arlecchino) e di arte contemporanea. Queste le caratteristiche, il carattere di una comunità. Dualità che sono la nostra ricchezza, che fanno di Bergamo un posto un po’ speciale per molti aspetti. Un posto nel quale scoprire tutte queste sfaccettature, a volte sorprendenti.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
C’è un po’ l’imbarazzo della scelta: dalle stratificazioni storiche ed architettoniche a partire dalla antica Bergomum, alla città longobarda, veneta, fino alla città piacentiniana nel ‘900; i teatri, tra i più belli e frequentati di Lombardia; l’Accademia Carrara, depositaria di una collezione di capolavori pittorici del rinascimento, e non solo; e la galleria d’arte moderna e contemporanea, Gamec, oltre ad un numero elevato di affollati musei e biblioteche; il numero eccezionale di festival di ogni disciplina, ma soprattutto musicali, a partire da quello dedicato al genius loci Gaetano Donizetti. Il panorama mozzafiato dalle (e delle) Mura Venete; e ancora la nascita sul nostro territorio di circa 180 garibaldini, che ci permette di fregiarci del titolo Città dei Mille. Ma anche tanto futuro, tanta ricerca, una passione per le discipline scientifiche comprovato dal successo eccezionale tributato annualmente a Bergamo Scienza, una manifestazione che ogni anno porta in città più di un premio Nobel e una folla di visitatori, da un polo scientifico di eccellenza mondiale, e dall’attività dell’Istituto Mario Negri. Per non parlare di sport di ogni epoca, e stilisti… Un elenco che potrebbe continuare.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Le mancanze sono la storica eredità di una città di frontiera, cauta e qualche volta un po’ diffidente. Questo le ha regalato una immagine esagerata che non risponde più alla realtà. Ma che forse noi non abbiamo fatto molto per scrollarci di dosso, sempre più dediti da bergamaschi a costruire che ad apparire. Questa candidatura è anche un utile esercizio di riposizionamento di mentalità per molti di noi; tra l’altro un’occasione per molti bergamaschi di accettare senza esagerata umiltà, attaverso il crescente gradimento del turismo internazionale, che la nostra è davvero una bella città. Insomma come dice il nostro slogan di candidatura, un’occasione per andare “Oltre le mura”.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Bergamo ha la fortuna di essere una città d’arte e contemporaneamente una città di impresa e commercio. Quindi rispetto ad altre città candidate ha opportunità di attrattiva per una platea più ampia. Una sintesi tra arte e scienza, impresa e turismo, cultura e tecnologia. Confidiamo quindi che la candidatura ci porti ad esaltare questa “unicità duale” rappresentata simbolicamente da Città Alta e Città Bassa che parlano al visitatore e alle sue potenziali diverse sensibilità e ai suoi diversi interessi. Insomma quella della Cappella Colleoni e del castello di San Vigilio, e della Tenaris Dalmine e del Kilometro Rosso sono la stessa città! Questo fa di Bergamo la vera outsider di questa competizione. Una outsider discreta e consapevole anche dei suoi limiti, ma con molte frecce al suo arco.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Una diversa immagine più conforme all’identità complementare di città d ‘arte e cultura e città di innovazione e ricerca nell’ impresa. Una sintesi nella quale passato e futuro saranno collegati, in una Bergamo al centro di una rete di connessioni europee; da antica città fortificata a moderno crocevia di idee, iniziative, e turismo nel segno dell’arte. Una città nella quale il fermento che già da anni anima la città sia compiuto in una consapevolezza di cittadinanza europea. Bergamo come motrice di un nuovo benessere proveniente da un sistema produttivo integrato innovativo e sostenibile.
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Intervista al Dott. Raffaele Parlangeli, delegato del Comune di Lecce per la candidatura della città a Capitale europea della Cultura 2019
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
Il territorio della città di Lecce, Provincia di Lecce, Comune di Brindisi e Provincia di Brindisi sono gli enti che insieme supportano la candidatura di Lecce a capitale europea della Cultura.
Ad oggi, dal punto di vista operativo, abbiamo ritenuto la proposta presentabile perché Lecce, città nel profondo sud affacciata sul Mediterraneo, insieme a Brindisi, crea una sinergia di porti e aeroporti capace di garantire concretamente servizi ottimali agli incoming futuri. Questa area ionico-salentina, che ha radici storiche, ci consente di presentarci come micro-macro territorio che può accogliere con porti e aeroporti i flussi esterni.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Il territorio in questo momento popone di sperimentare il ruolo dell’Europa dal basso riconsiderando una serie di modelli che sono poi le trame del nostro programma culturale. Sono modelli di riorganizzazione del territorio in funzione del cogliere le tematiche dell’industria culturale e creativa per ripensare il territorio che guadi così al futuro e all’Europa e che pensi a ciò che siamo e a quel che potremo essere.
Da qui lo slogan “Reinventare Eutopia” per proporre nuove idee e potenzialità basate su molteplici aspetti: c’è il nuovo modello di democrazia per condividere i nuovi programmi e progetti europei culturali, un diverso modo di coinvolgere il welfare e l’inclusione sociale, un ripensamento dell’educazione intesa come competenze rispettive nel campo della formazione, l’intento di risvegliare il potenziale umano giovane rispetto all’Europa, la volontà di creare opportunità e cooperazione rispetto a nuovi modelli di economia, il rispetto dell’ambiente e del territorio, ma anche la volontà di garantire la funzione di valorizzazione dei beni culturali non solo in termini statici, ma anche dinamici con le nuove tecnologie, l’avere infine una città smart che lo dimostri anche come capitale europea della cultura.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Più che mancanze si tratta di un’identità che abbiamo costruito rispetto a Lecce e Brindisi e, in questo momento la dimensione regionale, con la candidatura di Taranto, può forse porre delle incertezze, che non è da escludere si riveleranno magari opportunità nella fase successiva. L’altro limite è stato l’entusiasmo collettivo smorzato dalle tempistiche del bando: la pausa estiva ha in un certo senso raffreddato il coinvolgimento unanime su cui abbiamo puntato. Basando tutto il modello sulla partecipazione pubblica, con la raccolta delle varie istanze sociali, la stagione estiva ha distratto i cittadini che si sono concessi al nostro mare. In Bulgaria, ad esempio, la scadenza è stata stabilita ad ottobre e anche da noi tale tempistica avrebbe favorito maggiormente un riepilogo delle informazioni necessarie a preparare il dossier. Lavorare un po’ meglio con la Regione, ci avrebbe inoltre giovato di più.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
In questo momento abbiamo fatto una scelta molto forte che è stata quello di non prendersi con le infrastrutture montate in termini diretti rispetto ad infrastrutture già finanziate. Il parco progetti delle opere infrastrutturali già finanziate lo abbiamo riservato alla programmazione 2014-2020. La presentazione del nostro sistema di eventi, per un importo pari a 40 milioni di euro, si fonda su una proposta basata sul multilevel governance europeo: una quota nazionale, una cittadina, una regionale con i fondi europei e abbiamo creato un consorzio di privati che sostiene sin da ora il processo di candidatura. Tra loro molti sono imprenditori disposti ad investire nel progetto perché le ricadute possono essere importanti.
Il nostro modello è una nostra proposta culturale, che diventa proposta culturale strategica perché articolata in un programma scadenzato con una serie di progetti: ciò consente di utilizzare al meglio le risorse comunitarie provenienti dalla programmazione 2014-2020. Abbiamo già fatto richiesta affinché questo documento diventi un documento di programmazione strategica e possa interagire con tutti i livelli di governo, regionali, nazionali e comunitari.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
In questo momento c’è un grande entusiasmo perché questo progetto nasce dalle tante persone che hanno partecipato: 127 Comuni, circa 200 associazioni e ben 560 volontari, una piattaforma di capitale sociale umano difficile da disperdere. Come dicevamo, questo programma, qualsiasi sia l’esito della candidatura, può comunque essere convertito in un programma strategico 2014-2020, che di certo serve. Sicuramente la candidatura è un catalizzatore che può rappresentare un buon sistema per impiegare i fondi europei.
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Intervista a Enrica Puggioni, Assessore alla Cultura del Comune di Cagliari.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
Il nostro territorio presenta caratteri di unicità – paesaggistici e geografici, linguistici, storico-culturali – e nello stesso tempo partecipa da sempre a un respiro chiaramente europeo.
Situata in una posizione strategica, luogo millenario di incontri, centro fin dalla preistoria di irradiazione e diffusione di saperi e competenze, Cagliari e la Sardegna sono state sempre un crocevia strategico di tutte le culture del Mediterraneo: di età fenicio-punica e romana, bizantina, pisana, aragonese e spagnola, sabauda, del ‘900, fino ad arrivare ad esempi di architettura contemporanea. Per questo parlare di identità nel nostro territorio vuol dire parlare di un continuo innesto di culture e di un incrocio di civiltà. Questa identità parla attraverso una costellazione di ecologie plurime e di paesaggi fatti di ampiezza di orizzonti e di molteplicità di punti di vista, paesaggi che sono il risultato di stratificazioni di segni lasciati nei millenni dalle diverse comunità. Questa identità – o, meglio, queste identità – sono il risultato di storie intrecciate e del “fare” di millenni. La sfida è rendere questa storia, in fondo europea, anche il suo futuro, saldando i fili di questo fare millenario con i nuovi fili da progettare.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Attraverso il progetto si intende tessere un nuovo paesaggio culturale di Cagliari e del Sud Sardegna attraverso la trasformazione dei saperi e delle conoscenze in azioni e prodotti concreti. Fare, non solo mostrare. Costruire, non solo ospitare: la cultura (materiale e immateriale), la creatività e l’innovazione sono strumenti imprescindibili nel percorso di cambiamento e di rigenerazione urbana. Questi sono gli asset principali: produzione, creatività, innovazione come motori di sviluppo di un territorio che, puntando sull’economia della conoscenza, vuole promuovere il passaggio dalla cultura immateriale al fare, dall’arte antica a quella contemporanea, dall’Europa Mediterranea a quella continentale, dall’identità alle identità, dall’isolamento alla contaminazione e all’integrazione. Accompagna tutto il percorso tematico e temporale il potenziale di trasformazione derivato da un approccio dinamico e dialogico con il territorio, nei termini di studio, ripensamento, rivitalizzazione del paesaggio urbano, entità complessa, costituita da luoghi, oggetti, “segni” dell’uomo e della natura.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Le mancanze e i punti deboli sono anche gli snodi nevralgici sui quali si è costruito il progetto: questo nasce e si sviluppa proprio all’interno di una strategia complessiva di sviluppo che individua nella creatività un motore di sviluppo urbano sociale ed economico e che riguarda i diversi ambiti di intervento. Sicuramente, uno dei punti di debolezza ai quali il progetto dà una risposta concreta è l’evidenza di un isolamento geografico che da un lato ha lasciato incontaminati ampie porzioni di territorio ma dall’altro ha costretto l’isola a una posizione marginale, quasi di sospensione culturale, rispetto al dibattito e alla produzione artistica contemporanea. Ripartire da paesaggi non sovraccarichi di segni, lontani dalla spettacolarizzazione e anche da una certa moda dell’effimero, vuol dire avere la possibilità di offrire alle nuove generazioni europee spazi dove sperimentare, produrre e sedimentare le nuove forme e i nuovi linguaggi del domani. In questa centralità del ”fare”, del “produrre” più che del mostrare, l’Uomo può ritrovare la sua centralità, dispiegare i suoi saperi passati, presenti e futuri, progettando nuove relazioni e nuove forme attraverso un confronto interculturale. Questa forte connotazione del progetto verso la produzione e l’innovazione è nata anche per dare risposta a un’altra delle mancanze della Sardegna: la forte disoccupazione giovanile che determina forme di emigrazione intellettuale e priva i territori delle migliori energie creative tenendoli separati da contesti e scenari più ampi. Ecco, uno dei punti di forza del progetto nasce proprio dalle mancanze e dalla convinzione che queste, grazie anche alle politiche culturali, si possano colmare.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Noi abbiamo già coinvolto uno spettro ampio di operatori economici perché la stessa candidatura nasce come evoluzione naturale di un processo partecipato che, partito due anni fa, ha portato alla redazione di documenti programmatici nei diversi campi di azione nell’ambito di una strategia complessiva di sviluppo economico. Per poter arrivare a una visione della città, alla città di domani, è stata usata la cultura nei suoi molteplici aspetti come elemento trasversale di coesione e come significante ultimo delle azioni di sistema messe in campo. Parallelamente al processo di integrazione delle politiche di valorizzazione culturale attraverso accordi tra i diversi enti presenti sul territorio, si è avviato il processo di costruzione sinergica della Cagliari futura con tutti gli attori locali: associazioni culturali, operatori economici e turistici, associazioni di categoria, datoriali e sindacali. Inoltre, la visione della “città del domani” ha restituito un’immagine di territorio urbano difficilmente riconducibile ai soli limiti comunali e la programmazione dei più importanti asset strategici ha coinvolto tutto il territorio dell’area vasta e dell’intero golfo ampliando la portata delle politiche in atto. Obiettivo di tutte queste politiche è sempre la cittadinanza che è stata coinvolta in processi di costruzione e condivisione delle scelte. Questo patrimonio di conoscenza dei territori e di programmazione integrata ha costituito il punto di partenza della candidatura che è nata come sintesi e approfondimento sia di una visione strategica di sviluppo che di un metodo di partecipazione delle scelte pubbliche. In tal senso, la candidatura non si è calata come un corpo alieno ma è stata occasione per un approfondimento maggiore di politiche che, lungi dall’essere pensate nel solo ambito di riferimento, si sviluppano in modo integrato. Pochi esempi per dare atto di un coinvolgimento operativo del settore economico e imprenditoriale: il protocollo di intesa con la Fondazione Banco di Sardegna che sostiene il progetto culturale per e su Cagliari, la presenza nel partenariato dei principali attori economici, il protocollo Visit South Sardinia che mette insieme gli operatori turistici del Sud Sardegna. Il mondo economico ha mostrato entusiasmo per un progetto di candidatura che, per come è stato pensato, rappresenta un grande laboratorio di partecipazione attiva, finalizzato anche alla creazione di occasioni formative e professionalizzanti che contribuiranno a offrire sbocchi occupazionali e opportunità di nuove imprese creative e innovative e a stimolare il ripopolamento dei quartieri, l’insediamento di nuove attività commerciali. Il progetto, che pone al centro dell’attenzione l’uomo, come detentore delle tradizioni e dei saperi, punto cardine all’interno dell’economia della conoscenza, prevede un sistema complesso di attività che vanno a coinvolgere un target molto ampio.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Noi intravediamo nella candidatura e nell’eventuale riconoscimento finale lo snodo di un processo articolato finalizzato all’affermazione della creatività come uno degli assi principali del tessuto urbano. Per tale motivo, il 2019 rappresenta una tappa in un percorso che, per come è stato ideato e strutturato, non intende concentrare le risorse e gli sforzi di programmazione solo a un anno ma che al contrario mira al radicamento nel territorio delle esperienze e delle attività artistiche, ponendosi come obiettivo duraturo e trasversale quello di rendere la città un centro permanente e inesausto di produzione creativa e un punto di riferimento certo nell’ambito del dialogo interculturale e della riflessione artistica.
Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.
Intervista ad Alessio Lo Giudice, Assessore alle Politiche culturali del comune di Siracusa.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
L’identità sulla quale abbiamo puntato per Siracusa e il Sud Est è quella di essere una terra di frontiera, tema che abbiamo deciso di attribuire a tutto il progetto di candidatura. Siracusa e il Sud Est sono istituzionalmente frontiera dell’Europa e i confini delle loro coste coincidono con i confini dell’Europa. È proprio attraverso questi confini che l’Europa, soprattutto in questo periodo, sta incontrando culture diverse, anche vivendo vicende drammatiche come quella degli sbarchi.
L’identità di terra di frontiera si riferisce anche al suo passato e alla sua storia. Da sempre questa terra è linea di demarcazione tra occidente e oriente. Basti pensare ai rapporti con l’oriente greco che ha fondato la cultura siciliana e con l’oriente in senso più ampio. Quindi “Frontiera d’oriente”, non solo perché ci troviamo nella parte orientale della Sicilia, ma anche perché deriviamo dall’oriente greco e abbiamo un rapporto privilegiato con l’oriente contemporaneo, in qualità d’avanguardia d’Europa. È un territorio che può e deve sfruttare al massimo questo suo essere terra di margine, terra periferica, lanciando anche una provocazione all’Europa: far in modo che la frontiera si faccia capitale.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
È una candidatura che interessa tutto il territorio. Sono coinvolti, oltre ai comuni della provincia di Siracusa, quelli di Catania e di Ragusa, oltre al comune di Piazza Armerina. Quello che mettiamo in campo è da un lato il consolidamento di alcune iniziative importanti già presenti sul territorio. Mi riferisco al Festival del Cinema di Frontiera di Marzamemi, alle rappresentazioni classiche dell’Istituto Nazionale Dramma Antico, alla Biennale della Ceramica di Caltagirone, etc. La novità è che ci mettiamo in rete e li rappresentiamo all’interno di un’offerta culturale unica,
declinata su un singolo tema. Dall’altro lato, poi, vogliamo attrarre e proporre ulteriori eventi e manifestazioni, come il Premio Europa per il Teatro, premio internazionale che si tiene a San Pietroburgo o a Salonicco e che si svolgerà a Siracusa nel 2019. Si parte, quindi, da alcune realtà esistenti che, messe in rete, fungono da attrattori per altri eventi di livello internazionale che possono caratterizzare ancora di più il territorio.
Inoltre, la candidatura coincide anche con un periodo di forte evoluzione progettuale: anche la parte infrastrutturale, che viene esplicitamente richiesta nel bando per presentare il dossier di candidatura, è molto significativa. È un territorio che, attraverso l’elaborazione di piani strategici, attraverso la riqualificazione progettuale delle sue città, è coinvolto in una fase di progressiva evoluzione. In molti casi presenteremo progetti di riqualificazione, come quello riguardante, ad esempio, il porto di Siracusa, i cui finanziamenti sono già stanziati e che è in corso. O progetti che interessano altre infrastrutture ugualmente significative, come l’autostrada: è di questi giorni l’approvazione del finanziamento per il tratto che arriverà fino a Modica. Comiso aderisce all’iniziativa e quindi gli aeroporti che intervengono nella candidatura sono due, Catania e Comiso e non sono tante le candidate che possono mettere a disposizione due aeroporti. Gli asset messi in campo sono, quindi, da una parte quelli dettati dal coinvolgimento delle istituzioni culturali più importanti del territorio: istituzioni regionali, l’INDA, i festival e dall’altra un panorama infrastrutturale che, considerati i ritardi e le mancanze storiche di questo territorio, rappresenta di sicuro un’importante novità.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Le mancanze del territorio sono legate alla sfida stessa presentata col progetto di candidatura. La mancanza storica di questo territorio risiede nell’incapacità di creare una rete di programmazione culturale, con un’offerta culturale concentrata: ci si è limitati troppo spesso ad esperienze o iniziative localistiche, sporadiche o non presentate come espressione dell’intero territorio, ma solo di una città o di un comune. Stiamo cercando di superare la resistenza di questa terra a fare un lavoro coordinato. Proprio per questo il valore della candidatura va al di là dell’esito perché si tratta, in ogni caso, di una grande esperienza che coinvolge un’area cosiddetta “vasta”, tramite il progetto di un’evoluzione infrastrutturale e di un’offerta culturale variegata al suo interno, ma con una linea di fondo condivisa.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Senza dubbio. Una delle cose che mi ha stupito lavorando sul territorio è che siamo riusciti a coinvolgere nella candidatura non soltanto le istituzioni culturali, ma anche quei soggetti legati storicamente al mondo delle imprese e del commercio, come Confindustria, Camera di Commercio, CONFCOMMERCIO e altre istituzioni di questo tipo che vedono nella programmazione culturale la vocazione vera e propria di questa terra. Questa candidatura ha un valore che non è solo culturale, ma anche sociale ed economico. Grazie al coinvolgimento di operatori come la Fondazione Garrone, la Fondazione IBM Italia e altri soggetti più legati al mondo dell’economia e delle categorie produttive che della cultura, contiamo di richiamare un flusso di operatori che sono attratti anche per ragioni economiche, da opportunità di investimento finanziario. Non a caso, ad esempio, la compagnia aerea AirOne ci ha proposto di avviare tariffe ridotte per i collegamenti con la Sicilia nel 2019. Stiamo cercando, poi, di proporre un programma culturale che non sia solo di nicchia, dedicato agli addetti ai lavori. Vorremmo proporre un programma “popolare”, usando la formula del festival – il festival internazionale del jazz per fare un esempio.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Rimarrà qualcosa che prescinde dal risultato, si tratterà, cioè, di un’esperienza importante: l’avvio di un percorso di programmazione e di coordinamento nell’ambito delle politiche culturali. Un percorso, mi azzardo a dire, in qualche modo “storico” perché finalmente, non solo a parole ma soprattutto con i fatti, con una collaborazione concertata, l’intero territorio mostra di aver deciso su cosa puntare per il futuro. La vera e grande responsabilità è mantenere questo cantiere aperto, realizzare il grande patrimonio progettuale che abbiamo raccolto a prescindere dalla candidatura e, a lungo termine, cambiare il volto del territorio stesso. Il sud est della Sicilia ha la caratteristica principale di essere dotato di un patrimonio naturalistico e culturale di altissimo livello e quello che deve rimanere dopo il titolo è la capacità imprenditoriale da parte delle istituzioni di sfruttare al massimo questo territorio.
Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.
Intervista a Andrea Edoardo Paron, Assessore alla Pubblica Istruzione, alla Cultura, alle Politiche giovanili, ai Rapporti con l’Università e all’Innovazione tecnologica del Comune di Aosta.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
Rispetto alla altre città candidate Aosta si presenta maggiormente legata al proprio contesto territoriale favorita in questo dalle ridotte dimensioni proprie e della stessa regione.
In tale senso, fin dal primo momento abbiamo voluto chiarire come la nostra proposta sia da intendere come espressione dell’intero sistema “Valle d’Aosta”, comprendente il capoluogo regionale, “epicentro” della candidatura, posto al centro della Regione Autonoma Valle d’Aosta e sede di importanti poli regionali legati all’attività produttiva e politico-amministrativa, al terziario, alla sanità, alla scuola e alla cultura, il territorio circostante, la cosiddetta “Plaine d’Aoste” comprendente i Comuni viciniori, e il resto della regione alpina con le sue diverse vallate, le rinomate località turistiche e i borghi ricchi di storia e tradizione.
Questo sistema si fonda sul connubio tra storia, cultura e paesaggio che sono anche gli assi lungo i quali si articolerà il programma della manifestazione che abbiamo progettato, all’interno dei quali saranno sviluppati ulteriori sottotemi.
Per quanto riguarda Aosta, si tratta di una città a prevalente vocazione turistica che ho definito un “Bignami di storia” per la presenza di testimonianze e monumenti che spaziano dal periodo romano di Augusta Praetoria fino all’epoca moderna che sta conoscendo una fase importante di sviluppo legato, per rimanere in campo culturale, alla realizzazione del nuovo polo universitario, al completamento del parco archeologico nell’area megalitica di Saint-Marin de Corléans, al restauro e alla valorizzazione dei più importanti monumenti di epoca romana e medievale e al progetto di riqualificazione delle piazze del centro storico.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Come dicevo, la città di Aosta è interessata da alcuni anni da un importante programma di investimenti che hanno nella cultura il comune denominatore, e che vedranno il loro completamento tra il 2015 e il 2019. Questo programma asseconda la vocazione naturale del capoluogo valdostano e dell’intero territorio regionale, ad essere “Carrefour d’Europe” in virtù di una straordinaria posizione geografica nel cuore dell’Europa – tra Svizzera, Italia e Francia, ai piedi delle vette più alte delle Alpi, e non lontano dal Mediterraneo – e del ruolo che storicamente ha assunto nel fare interagire culture e lingue diverse, in differenti epoche storiche.
Peraltro, proprio a partire dal ruolo di crocevia di Aosta si svilupperà il progetto legato alla candidatura che avrà come concetti chiave quelli di “interazione”, “integrazione” e “condivisione” declinati e intrecciati, come accennato, nella storia, nelle culture e nel paesaggio della città e della regione.
Nel dettaglio, i nostri atout sono rappresentati dal patrimonio monumentale e archeologico, dalla storia millenaria della città, dai numerosi musei e sedi espositive, dal ricco programma di eventi e manifestazioni di carattere culturale che tengono compagnia a cittadini e turisti per tutto l’anno, dalle peculiarità delle nostre tradizioni frutto di una specificità culturale riconosciuta da un regime di autonomia politica; il tutto inserito in uno scenario naturale senza eguali.
Anche le dimensioni ridotte della città, teoricamente penalizzanti nel confronto con altre realtà metropolitane, possono rappresentare un valore aggiunto, in quanto in ben pochi altri contesti, come avviene in Valle d’Aosta, è possibile apprezzare in soli 3.263 chilometri quadrati così tanti motivi di interesse e un’offerta turistico-culturale così variegata, passando in pochi minuti dalle piste di sci a una seduta alle terme, da un’escursione in mountain bike alla vista a un museo, da una passeggiata al Teatro Romano a un concerto nel cortile di un castello medievale.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Al di là di valutazioni meramente economiche legate al finanziamento dell’operazione, il principale elemento di criticità è legato alle ridotte dimensioni della città e della regione che se, da un lato, come detto in precedenza, ne costituisce un punto di forza, dall’altro potrebbe risultare potenzialmente penalizzante per quanto concerne la ricettività e i trasporti. Se per quanto riguarda il primo aspetto, Aosta può contare anche su numerose strutture destinate all’accoglienza presenti nel resto delle località valdostane poste a pochi chilometri dal capoluogo, per quanto riguarda i sistemi di comunicazione, sono in corso lavori di potenziamento e miglioramento del sistema ferroviario, autostradale e aeroportuale, con la riapertura al traffico aereo dello scalo di Saint-Christophe, alle porte di Aosta.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
A giovarsi della designazione di Aosta a Capitale europea della Cultura sarebbe l’intero sistema economico valdostano in quanto buona parte del Pil regionale si basa sul turismo e sulle attività connesse. Il previsto afflusso di visitatori in occasione delle manifestazioni organizzate farebbe da traino all’intero settore. A ciò si deve aggiungere che, oltre agli investimenti che verrebbero impiegati per l’occasione nella realizzazione di eventi, manifestazioni e infrastrutture temporanee, le opere che stiamo realizzando alle quali accennavo in precedenza e che sono indipendenti dalla designazione di Aosta nel senso che verranno portate a compimento comunque, genereranno ricadute positive in termini economici ed occupazionali che non si esauriranno certo con il 2019.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Da un lato in maniera tangibile resteranno le opere che stiamo portando a compimento per trasformare la città in un polo di eccellenza in campo culturale tra le Alpi, puntando sull’Università della Valle d’Aosta, sul Parco archeologico, sulle strutture museali, sul programma di iniziative che arricchiranno e animeranno la vita culturale di Aosta a partire dal già vasto programma esistente.
Più in generale ottenere il titolo di Capitale europea della Cultura sancirebbe in modo definitivo la nuova vocazione della città, nella quale la vita universitaria, il multilinguismo, lo scambio interculturale, la creatività artistica diventerebbero motore della vita economica e sociale di tutti i cittadini. E anche gli effetti sull’intero territorio regionale saranno importanti, facendo della Valle d’Aosta una meta turistica di attrattività assoluta dove, accanto all’ambiente naturale, allo sport e alle tradizioni troverà posto un sistema artistico unico che nel raggio di poche decine di chilometri condurrà dal Forte di Bard attraverso il Museo del Castello Gamba di Châtillon e i castelli di Issogne, Verrès e Fénis sino alla Capitale europea della cultura Aosta.
Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.
Intervista a Errico Centofanti, coordinatore del progetto di candidatura de L’Aquila a Capitale Europea della Cultura 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono la strategia e il progetto del 2019?
È un’identità che è legata alla natura e alla storia della città. L’Aquila ha alle spalle molti secoli di storia e una stratificazione di eventi e di testimonianze architettoniche e artistiche di varie epoche, inserite in un ambiente naturale di grande pregio, dominato dalla vetta più alta della penisola, il Gran Sasso d’Italia. Tutto intorno, poi, si estendono una serie di parchi nazionali e regionali che fanno del nostro territorio la regione d’Europa che ha il più alto tasso di aree protette.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
In primo luogo, abbiamo la questione della ricostruzione del centro storico, gravemente danneggiato dal terremoto del 2009. Quello de L’Aquila è uno dei più vasti centri storici del nostro Paese, il più importante centro storico d’Europa che sia stato violentemente danneggiato da un terremoto, dopo quello di Lisbona che ebbe a subire sorte analoga nel 1755. Questo aspetto è evidentemente connesso alla responsabilità del nostro Paese di poter dimostrare all’Europa del 2019 di aver saputo intervenire per riavviare all’antico splendore questo centro storico. Poi ci sono tutte le caratteristiche legate ad una lunga e consolidata tradizione di presenza della nostra città nel mondo della creatività artistica, dal campo musicale a quello teatrale, etc.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Fondamentalmente sono legate ad una serie di inadeguatezze che derivano dalla ristrettezza di mezzi che negli ultimi tempi colpisce l’intero Paese. Questo ovviamente, collegato alle problematiche del terremoto, rende necessario superare una serie di disfunzioni e disservizi sui quali abbiamo, però, la consapevolezza di potere comunque venire a capo. Gran parte di questi fronti sono già stati oggetto di progettazione e di finanziamento: per tutto quello che riguarda i servizi sociali, dagli asili nido ai centri per gli anziani, la mobilità e così via, è già in itinere un processo di ripristino, potenziamento e aggiornamento. Si tratta un settore che attualmente presenta molte criticità, ma per il 2019, a prescindere dalla candidatura, confidiamo di poter nuovamente dare a tutti i nostri cittadini ottimi servizi da questo punto di vista.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Il fatto che gli operatori economici si occupino poco di produzione artistica nel nostro Paese deriva da un’inadeguatezza legislativa, laddove in altri paesi gli interventi in favore della produzione artistica hanno un trattamento fiscale che ne incentiva la crescita. Speriamo, per quanto riguarda il nostro progetto, che la capacità attrattiva e la potenzialità di un ritorno di immagine per coloro che sosterranno come sponsor e come partner, tecnici o finanziari, la nostra iniziativa, sia tale da suscitare il sufficiente e giusto interesse da parte di strutture economiche e private. Riteniamo anche che questo sarà legato alla qualità e all’interesse dei programmi che potremo proporre, ma su questo fronte non abbiamo dubbi circa la capacità di poter essere all’altezza della situazione.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Prima ancora che si arrivi a ottenere il titolo, attraverso il lavoro già fatto e quello ancora da svolgere per acquisire il successo della nostra candidatura, dobbiamo portare a compimento una serie di progetti che resteranno in eredità alla città, e che sono di ordine materiale e di ordine morale.
Per quanto riguarda quelli di ordine materiale, si tratta di realizzare strutture di vario genere che non sono solo quelle a servizio delle attività ricreativo culturali, ma anche quelle che riguardano i servizi sociali. Queste, peraltro, rappresentano una componente ineliminabile del modello di città culturale, perché se le persone non vivono bene, avrebbe poca importanza saper produrre buoni concerti, o buone mostre. L’aspetto morale riguarda l’impiantare la coesione e l’identità della comunità.
Se dovessimo ottenere il titolo, come ci auguriamo, tutto questo produrrà ulteriori risultati, perché massimizzerà quelli già raggiunti e lascerà nell’ambito della comunità, all’indomani dell’anno da Capitale, non soltanto strutture e immagini, nuove e potenziate, ma anche nuove realtà e una rafforzata attitudine de L’Aquila a essere quel centro di propulsione artistico-culturale che è sempre stata e che costituisce la caratteristica principale della sua identità.
Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.
Intervista al dott. Alberto Cassani, coordinatore della candidatura di Ravenna a capitale della Cultura 2019
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
La candidatura di Ravenna a Capitale Europea della Cultura 2019, sostenuta da tutte le principali città della Romagna, si fonda sull’attivazione del capitale sociale del territorio.
Mettere al centro il capitale sociale significa per noi dare importanza al fare insieme, al lavorare in rete, alla collaborazione per costruire progetti condivisi. Questa è una delle prerogative storiche delle nostre città, culla della cooperazione, che vogliamo valorizzare grazie anche a questa candidatura. Far leva sul capitale sociale è inoltre un modo per costruire un nuovo modello di società e di governo delle nostre città, in cui innovazione sociale e cultura si intrecciano a favore dello sviluppo del territorio.
Altro tema identitario importante per una città come Ravenna, custode di uno straordinario patrimonio storico artistico, è il rapporto tra antico e contemporaneo. La candidatura può aiutarci a reinterpretare il passato in modo innovativo, favorendo un dialogo più aperto e coraggioso con la contemporaneità.
Dalla valorizzazione del fare insieme e dalla reinterpretazione del passato nasce l’idea del Mosaico di culture che si fa mosaico in movimento in una proiezione dinamica verso l’Europa e verso l’innovazione culturale.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Essendo stati primi, già nel 2007, a manifestare una volontà di candidatura, abbiamo avuto modo in questi anni di mettere in campo degli strumenti in grado di stimolare una larga partecipazione dei cittadini ravennati e quella dei territori a noi vicini.
Abbiamo costituito una salda rete con le altre città della Romagna che si è poi tradotta non solo in protocolli d’intesa istituzionali ma in comitati artistico organizzativi periferici che, insieme a quello ravennate, hanno collaborato alla costruzione dei progetti.
Per quanto riguarda il coinvolgimento della cittadinanza, Ravenna è l’unica candidata ad avere realizzato un’Open Call che ha raccolto oltre 400 proposte, molte delle quali sono state poi inserite nel dossier di candidatura.
Parallelamente, abbiamo attivato in tutta la Romagna 28 working group organizzati per temi e settori che hanno coinvolto centinaia di operatori culturali, economici e sociali.
Crediamo che tutti questi strumenti abbiano funzionato, trovando terreno fertile e producendo una progettualità ricca che è confluita nelle Cinquetracce, i macrocontenitori di suggestioni che saranno articolati in 18 nuclei tematici da cui scaturiranno centinaia di progetti ed eventi. I percorsi delle Cinquetracce disegnano uno scenario ampio del nostro tempo nel quale Ravenna può incontrare l’Europa: e così, infatti, in Di soglia in soglia si sviluppano progetti legati alla diversità culturale, all’accoglienza e all’ospitalità; nella Danza dei contrari si esamina il tema del conflitto e alcune coppie di opposti verificando la capacità di mediazione dell’arte e della cultura; in Verso il mare aperto ci si occupa delle relazioni verso l’esterno, del rapporto con l’Oriente e con l’acqua; in Immaginare l’immaginario l’attenzione viene puntata sulla creazione artistica, sull’immaginario dell’infanzia e sulle nuove tecnologie; e, infine, in Trasformo dunque siamo il tema del cambiamento si connette all’esperienza del fare insieme e alla costruzione di nuove identità collettive.
Il tema dell’innovazione trova poi una sua esplicitazione anche sul versante della trasformazione urbana che a Ravenna, oltre a tradursi in progetti di miglioramento e implementazione infrastrutturale, trova il suo cuore pulsante nella riqualificazione della Darsena di città: 140 ettari di territorio da ripensare all’insegna della cultura.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Le criticità di Ravenna sono quelle comuni a quasi tutte le città italiane e si concretizzano in una generale debolezza infrastrutturale, in una certa resistenza di fronte al cambiamento, in un retaggio spesso localistico e in un rapporto non compiuto con l’Europa. Caratteri presenti sul territorio nazionale, quindi anche nelle altre candidate, rispetto ai quali la candidatura a Capitale della Cultura può fornire degli anticorpi e degli strumenti concreti per favorire una maggiore apertura culturale, economica e sociale dei territori.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Nel nostro lungo percorso di candidatura abbiamo cercato di coinvolgere tutte le principali realtà economiche: associazioni di categoria, imprese, operatori turistici. Essendoci mossi con grande anticipo rispetto agli altri, abbiamo avuto il tempo di seminare e quindi di raccogliere risultati.
A Ravenna si può dire che la candidatura sia di tutta la città e non solo di chi abitualmente produce cultura. Tutti i soggetti coinvolti hanno inoltre dato un apporto progettuale partecipando all’Open Call, ai working group e proponendo idee che già ora il dossier di candidatura ha in parte recepito.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
La linea divisoria tra l’auspicio e la previsione realistica è sottile: diventare Capitale europea della Cultura 2019 per una città medio-piccola come Ravenna e per un territorio non grande come la Romagna, rappresenterebbe un salto quali-quantitativo di enorme importanza tale da permettere un miglioramento delle vie di collegamento e delle reti infrastrutturali, la realizzazione di nuovi contenuti culturali e il rafforzamento della nostra proiezione internazionale a partire dal moltiplicarsi delle relazioni con soggetti culturali europei.
Significherebbe provare a superare per una lunga fase storica il retaggio provincialistico comune a tutte le città italiane non metropolitane che costituiscono la maggior parte del tessuto urbano nazionale.
Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019
Intervista al Prof. Vittorio Longheu, docente di progettazione architettonica al Politecnico di Milano – sede di Mantova e membro del Comitato Promotore di Mantova 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
È un’identità che ha le proprie ragioni in una storia molto lunga, che parte da Virgilio e arriva fino ai giorni nostri. Trova dei punti significativi soprattutto in periodi specifici della storia della città che coincidono con l’alto medioevo e il rinascimento, caratterizzato dall’ascesa di una grande corte europea, quella dei Gonzaga. Da qui, nel tempo, la città ha costruito la propria identità e il proprio valore, sia dal punto di vista economico, sia sulle modalità di governance del territorio e, sia dal punto di vista culturale con una straordinaria apertura all’Europa. La città ha immaginato il suo percorso di candidatura proprio per rivendicare questa identità. Il processo che si è sviluppato in questi anni ha messo a sistema il rapporto tra modernità, contemporaneità e passato: il passato non è solo un luogo dove trovare verità, ma è anche la chiave per capire il proprio presente e immaginare il futuro.
Il tema della candidatura, il suo slogan, è “La nuova corte d’Europa. Smart Human City”. Tenendo insieme le istanze contemporanee di una città veloce, che sa dialogare con la contemporaneità e sa leggere e capire il presente, ha posto al centro della propria riflessione non tanto l’accezione puramente tecnologica, futuribile della città, ma l’uomo, la storia, il territorio. “Smart” diventa anche “Human” e la città si trasforma in un luogo sociale nel quale lo spazio di relazione fra le persone struttura i suoi valori in relazione con il passato. È un progetto articolato che nasce da una lettura sui temi della città già qualche anno fa sviluppato da prof. Settis.
Ma l’aspetto fondante della candidatura è il suo partire dal basso, dalle persone, perché il valore culturale della città impone una valutazione corale sul senso di questa candidatura, che è anche un momento per immaginare il futuro. La relazione con più di sessanta associazioni culturali che operano in città, il rapporto con i cittadini, sentire le loro impressioni su quello che si sta facendo e che si è fatto è diventato il bagaglio, il tessuto sul quale è stato redatto il dossier di candidatura.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
È stato abbastanza semplice individuare gli elementi qualitativi attraverso i quali esprimere la candidatura, perché erano già presenti nei sistemi culturali operanti in città. È un percorso che si sviluppa in continuità, ma che innesta una diversa qualità relazionale tra questi operatori e l’Europa. Primo fra tutti emerge, in questo senso, il tema dell’inclusione sociale. Mantova e il suo territorio sono il secondo territorio per inclusione, capace di accogliere e inserire. Emerge, poi, la stessa capacità e volontà che aveva la corte gonzaghesca di attrarre nuovi talenti. In questo senso il progetto sviluppa, dal punto di vista strutturale, un ampio sistema relazionale che parte dall’idea di macro-regione, tenendo conto che, facendo una circonferenza di 200 km, Mantova è al centro di un sistema amplissimo di grandi città culturali, come Bologna, Ferrara, Cremona, Brescia, Treviso, Trento, Bolzano. Questo insieme strutturato è volano per uno degli altri temi importanti, quello relativo all’ampliamento della rete turistica. Abbiamo 32 milioni di arrivi turistici con circa 139 milioni di presenze. Mantova oggi accoglie circa 500.000 turisti all’anno. Mettere a sistema questo ampio bacino significherebbe ampliare l’attrattiva turistica che la città ha congenita in sé ma che non riesce a sviluppare per tutta una serie di ragioni, che il progetto di candidatura cerca di trasformare da debolezze in punti di forza.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Il tasto dolente sul quale si è lavorato è la capacità ricettiva che la città offre, non tanto considerando i numeri attuali, ma pensando ai numeri che si possono realizzare attorno a questi 200 km di raggio. La città si sta attivando partendo dal basso, attraverso l’idea di un sistema alberghiero diffuso, con il suo fulcro nel centro storico, che parte dalla possibilità, attraverso investimenti relativi, di attivare strutture ricettive di straordinaria qualità e di facile gestione.
In questo senso, diventa forte e importante anche la presenza del territorio, con città di grande qualità come Sabbioneta o Castiglione. Ad esempio, all’interno del progetto di candidatura, si sta sviluppando un ciclo di conferenze sull’architettura e uno dei maestri mondiali dell’architettura, l’architetto Tadao Ando, è stato ospitato in uno di questi piccoli alberghi nel centro della città. Dopo un mese ci ha mandato una lettera dicendo che quello è l’albergo che lui ritiene più bello al mondo. Ecco come si può trasformare, con investimenti relativi e sostenibili, un punto di debolezza in una qualità.
Gli elementi che stanno alla base di quest’idea sono:
Il chilometro zero, ovvero il programma culturale prevede la valorizzazione delle eccellenze mantovane a km 0 che sanno dialogare con l’Europa ed il mondo come il Festival Letteratura o l’Accademia Virgiliana, per esempio.
L’Impatto zero. Il riutilizzo di edifici e complessi monumentali presenti in città, sottoutilizzati o non utilizzati, con Mantova 2019 vengono rigenerati, senza costruire nulla di nuovo, ma recuperando.
Il costo zero. Perché tutti i progetti che vengono presentati nel palinsesto degli eventi di Mantova 2019 saranno finanziati tramite risorse provenienti da progetti europei. Sono programmi interni alle linee guida della Comunità Europea e quindi passibili di finanziamenti, o attraverso lo sfruttamento del brand Mantova, attraverso privati, sponsorizzazioni e crowdfunding. Quest’ultimo è un sistema di mecenariato diffuso che già Mantova sta sviluppando, attraverso le piccole offerte di cittadini che hanno permesso di restaurare alcuni monumenti e che adesso stanno consentendo di partecipare alla candidatura.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Sicuramente sì. Uno degli aspetti importanti della candidatura è lo sviluppo delle attività economiche e culturali. Già il sistema culturale di Mantova è molto ampio e complesso, e si snoda attraverso una serie di eventi come il Festival della Letteratura, il Mantova Film Fest, le rassegne per l’infanzia, il teatro, i percorsi mozartiani. Il problema è fare rete, sistema, articolare una proposta ampia che stia insieme non solo a livello teorico, ma anche attraverso azioni strutturali, a partire dall’idea di macro-regioni, attraverso scambi e attività relazionali. Immaginiamo di coinvolgere un ampio territorio che si rivolge anche all’Europa con tutti i sistemi culturali che la città ha già sviluppato nel tempo.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Dal punto di vista materiale, il progetto prevede, in accordo anche col Ministero, l’ultimazione di una grande progetto su Palazzo Ducale, la riorganizzazione del Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, lo sviluppo e la ristrutturazione del teatro sociale e la costruzione di un museo di arte contemporanea. Quest’ultimo sarà laboratorio di cultura sulla contemporaneità, costituendo assieme al Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, alla Casa del Mantegna e al Tempio di San Sebastiano di Leon Battista Alberti, un polo culturale parallelo al grande sistema culturale costituito da Palazzo Ducale e dal Museo Archeologico. Si tratta, quindi, di un sistema di grandi spazi culturali con la possibilità di accogliere grandi flussi turistici.
Tutte le altre strutture dedicate all’organizzazione nel 2019 degli eventi e del palinsesto saranno completamente removibili e a impatto zero. L’eredità che tutto ciò, in definitiva, lascerà alla città sarà un grande apparato culturale, aggregativo, riconoscibile, aperto all’Europa, non solo dal punto di vista culturale ma anche da un punto di vista sociale, attraverso la trasformazione della città in un polo capace di attrarre giovani talenti, costruendo con le università di Mantova un centro di ricerca e di sviluppo a livello internazionale.
Intervista all’Assessore alla cultura, pubblica istruzione ed edilizia scolastica della città di Caserta, Felicita De Negri, responsabile del Comitato Caserta 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
È un’identità che ha radici storiche piuttosto lontane: Caserta come capoluogo di terra di lavoro e sede di una Reggia che è conosciuta in tutto il mondo. È stata per un secolo il sito reale preferito dai Borboni. Attorno alla corte si è creata una città che è stata definita “città borghese”, con delle peculiarità sociologiche e urbanistiche abbastanza spiccate. Caratteristiche che, in qualche modo, nel tempo sono andate in parte perdute, ma che ci sono e costituiscono l’essenza della città.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Le sue radici da un lato e dall’altro la volontà di qualificarsi sia da un punto di vista urbanistico, che ambientale, che culturale. Si tratta di fare un salto di qualità e portare l’Europa a Caserta.
Il dossier che è stato curato da Confindustria Caserta ha come slogan “Sense of Europe”, e vuole porre l’attenzione sul sentimento europeo che va declinato in tante forme, tutte le forme che i nostri cinque sensi ci permettono di sperimentare.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Rispetto alla candidatura, è un punto di debolezza il fatto di essere partiti con un po’ di ritardo, ma tuttavia ben intenzionati a colmare questo gap iniziale. D’altra parte le città che sono partite prima di noi sono leggermente più avanti, ma il cammino da compiere è ancora lungo e c’è tutto il tempo per recuperare. L’importante è avere un forte convincimento e noi ce l’abbiamo.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
La Capitale della Cultura è definita tale non soltanto in termini strettamente artistici. È una capitale anche della cultura dell’innovazione. Quindi il discorso travalica i confini di quello che noi tradizionalmente consideriamo il patrimonio culturale. Quello che viene a profilarsi è un panorama molto più ampio e complesso. Necessariamente lo sviluppo economico e l’innovazione sono degli elementi imprescindibili che vanno di pari passo, costituendo un discorso unitario. Tutta insieme la collettività cittadina si proietta verso il futuro, facendo leva sul passato che può con certezza vantare e che certamente va recuperato nelle sue parti migliori e più significative.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Rimarrà tantissimo. Innanzitutto il patrimonio acquisito attraverso l’apertura alla civiltà europea: tutto quello che l’Europa ci può dare di buono noi lo avremo portato a Caserta. Sarà un’acquisizione duratura. Non si tratterà di una serie di eventi effimeri, ma saranno degli ottenimenti stabili, proprio perché non si limitano al lato semplicemente spettacolare o museale, legato ad una politica dei grandi eventi. Si tratta di un discorso che parte dal patrimonio culturale, ma che poi coinvolge la città in quanto insieme di costruzioni, in quanto ambiente, coscienza cittadina, visione del futuro, memoria del passato. Tutte acquisizioni che resteranno un momento fondamentale per la crescita della città. Per sempre.
Intervista all’Avv. Angelo Argento, direttore della candidatura TARANTO2019
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
Il territorio da cui partono le strategie per TARANTO2019 è quello legato alla parte nord della Puglia che tocca poi l’intera area del mezzogiorno corrispondente all’antica Magna Grecia di cui Taranto fu una delle capitali. Il riferimento ideale a cui ci siamo ispirati è infatti proprio l’antico rapporto tra questi territori che comprendevano ’attuale Campania, la Lucania, la Calabria per arrivare fino alla costa ionica e alla Sicilia. La nostra candidatura è quindi connessa a questo percorso ideale del Mediterraneo e al recupero dell’antica Magna Grecia italiana
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Gli strumenti sono quelli della partecipazione condivisa, della trasversalità sui vari temi posti all’attenzione del comitato promotore che ha poi stimolato durante questi mesi in tutta la città una rielaborazione della Taranto degli anni ’20 del 2000 immaginandola come fulcro di una serie di iniziative che guardano a quel territorio vasto di cui sopra.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Le criticità di Taranto sono quelle di una città che ha perso la sua vocazione turistica e culturale a causa delle recenti vicende legate all’Ilva e di un’infrastruttura industriale che le fanno perdere appeal agli occhi del turista. La nostra vocazione industriale, la presenza del siderurgico deve piuttosto diventare un punto di forza: l’Europa nasce con la CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e noi siamo la capitale dell’acciaio. Ma siamo anche altro.
L’Ilva è vicina ma staccata dalla città che ha mantenuto intatta la sua valenza storica e ha beneficiato dell’industria a livello infrastrutturale vantando oggi un importante porto, un aeroporto (quello di Grottaglie) e una rete autostradale d’eccezione.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Lo ha già fatto dall’inizio: non ha senso costruire una candidatura così importante per Taranto e per l’Italia intera se non si coinvolgono tutti gli operatori economici: a partire dall’imprenditoria locale che è forte e presente anche nel settore turistico-alberghiero e sa fare bene il suo mestiere. Protagonisti sono e saranno anche gli organi istituzionali che hanno partecipato all’elaborazione di tutto il programma come la Confindustria e la Camera di Commercio.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Vorremmo che di questa esperienza restassero principalmente tre elementi:
1. il riconoscimento ai tarantini prima, e agli italiani che verranno a trovarci poi, dell’esistenza di un’altra Taranto. Non saremo più la città inquinata dai fumi dell’Ilva e anzi da questi partiremo per avviare la nostra rinascita.
2. una capacità di accoglienza permanente nel tempo spostando le navi di crociera che oggi arrivano solo a Bari senza fermarsi mai a Taranto nel loro percorso verso il Mediterraneo. Solo così potremmo sperare in un turismo nuovo e articolato in grado di utilizzare appieno l’infrastruttura portuale che coinvolge anche la Basilicata visto che Taranto è anche il porto di Matera.
3. un nuovo fronte occupazionale connesso alla cultura e al turismo culturale che dia ai giovani del nostro territorio un lavoro stimolante e gratificante.
La corsa verso il titolo di Capitale europea della Cultura 2019 continua per le candidate italiane, ricca di colpi di scena e di novità. Il quadro di progetti, dossier e proposte, che vanno presentate con scadenza ultima il 20 settembre, è in continua variazione.
Sono 19 per il momento le città che aspirano al prestigioso titolo, ma il numero e l’identità delle concorrenti può variare di ora in ora.
Risale a pochi giorni fa, ad esempio, il ritiro della candidatura da parte di Amalfi. La città, regina della costiera campana, ha ritirato il suo progetto per mancato sostegno delle istituzioni, tra le polemiche del comitato e dello stesso sindaco, Del Pizzo. L’atteso supporto della provincia di Salerno, infatti, è venuto meno e a rimanere in gara per la Regione Campania è rimasta solo Caserta.
C’è ancora incertezza, invece, per Pisa, che deve fare i conti con la rivalità della vicina Siena, la quale appare maggiormente lanciata verso la presentazione del progetto. Pisa, per il momento, non ha visto l’appoggio ufficiale della sua candidatura dalla Regione, tanto che Enrico Rossi, governatore della Regione Toscana, ha invitato Pisa a lasciare perdere la sfida, per lasciare campo libero alla città del Palio.
Anche Brindisi, che qualche tempo fa aveva annunciato la sua candidatura, si è ritirata per appoggiare ufficialmente Lecce. E, infatti, adesso le due città si definiscono “il tacco su cui regge il futuro d’Europa”. Bari, che inizialmente si era lanciata nella competizione europea, si è poi fatta da parte per dare il suo appoggio a Taranto. La Regione Puglia, da parte sua, non si esprime ancora a favore né dell’una, né dell’altra candidata e si riserva di dare il suo appoggio ufficiale solo dopo la scrematura del 20 settembre.
Ci sono perplessità anche per la candidatura di Catanzaro che a quanto pare si sarebbe ritirata di recente. Al suo posto è subentrata Reggio Calabria con il sostegno del Prefetto della Provincia di Reggio Calabria, Vittorio Piscitelli.
Altra new entry in corsa è Cagliari che ha ufficializzato la sua partecipazione solo a fine luglio, grazie alla spinta ricevuta dal Ministero dei Beni Culturali, che le ha proposto di candidarsi, e dal sindaco, Massimo Zedda.
Per conoscere tutte le novità sulle candidature a Capitale europea della Cultura 2019, non perdete di vista Tafter, che continua con le interviste alle città in gara per il titolo.
Intervista al Dott. Ivan Antognozzi, Project manager Urbino 2019
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
Il centro storico di Urbino è patrimonio UNESCO innanzitutto, e nonostante sia una piccola città di circa 15.000 abitanti, registra una comunità di studenti molto numerosa, che si aggira sui 30.000 ragazzi, la cui presenza raddoppia la popolazione qui residente.
Urbino ha il numero di istituti di formazione più alto al mondo rispetto al numero di abitanti, come l’Università, la Scuola del Libro, l’Accademia di belle arti, la Scuola di giornalismo.
La provincia di Urbino è secondo il rapporto Symbola quella con il più alto numero di imprese creative e culturali d’Italia.
La Regione, le Marche, in cui risiede Urbino, è stata inoltre insignita quest’anno del titolo di Regione Imprenditoriale d’Europa, l’unica in Italia che negli anni abbia ricevuto questo riconoscimento.
Ci sono dunque dei primati ad Urbino che giustificano la sua candidatura e che orientano la strategia del programma culturale di Urbino 2019. Si vuole da qui iniziare per proporre un nuovo Rinascimento, un nuovo modello di sviluppo.
Non è che qui può partire un nuovo Rinascimento contemporaneo semplicemente perché in questi luoghi se n’è avuto uno 500 anni fa, bensì quella fase rivoluzionaria ha prodotto un’eredità che oggi qualifica Urbino nei termini che le ho detto. C’è un filo rosso che connette l’Urbino quattrocentesca ai primati di oggi.
Perché è così straordinaria? In fondo è un piccolo paese. In realtà è perché ha avuto un passato eccezionale che si è sedimentato. Bisogna però dare una scossa a questi fiori all’occhiello, bisogna utilizzarli, sondarli e gestirli in maniera nuova, e la candidatura serve anche a questo: a produrre uno shock in termini di internazionalità per la città.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Per la città l’obbiettivo è quello di riconquistare una centralità culturale in Europa. Le Marche tutte si devono riconoscere in Urbino, affinché diventi un simbolo di appartenenza in cui identificarsi, un faro policentrico di un intero territorio, piccolo anch’esso, con i suoi 1 milione e mezzo circa di abitanti. La città è il punto più alto, una sintesi del patrimonio culturale disseminato nella Regione.
Urbino 2019 ha degli obiettivi importanti anche sul piano della macroregione adriatica. Le Marche sono la sede del segretariato permanente delle iniziative adriatico-ioniche. Spacca, il governatore delle Marche, è stato il relatore del parere sulla macroregione adriatica presso il Comitato delle Regioni. Qui hanno sede tre dei quattro network importanti dell’area mediterranea adriatico- ionica: Forum delle Camere di Commercio, Uniadrion e il Forum delle Università.
Le Marche sono dunque legatissime a tutta l’altra sponda dell’Adriatico: basti pensare che il palazzo ducale di Urbino l’ha fatto un dalmata, Luciano Laurana; c’è una civiltà marinara comune che ha caratterizzato l’identità delle Marche, delle altre regioni adriatiche e di quelle sull’altra sponda. In questo contesto storico e contemporaneo, Urbino deve rappresentare la cultura di tutta la Regione nell’area macroadriatica: si presenta perciò come un ponte culturale. Un obiettivo per l’Europa è fornire un modello di sviluppo policentrico, micromega: il piccolo che diventa un contesto ideale per fare grandi cose.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Le mancanze di fatto sono carenze infrastrutturali, le dimensioni ridotte, la trasportistica, ma devono diventare, e non è un esercizio di retorica, punti di forza. Il fatto che Urbino sia piccola, unica candidata a Capitale europea della Cultura di queste dimensioni che ci sia mai stata, o il deficit infrastrutturale, proprio queste mancanze devono connotare il nuovo modello di sviluppo. I suoi punti deboli, sono solo apparenti, perché su quelli si costruiscono i progetti volti alla crescita. Consideriamo che il 40% della popolazione europea vive in città con meno di 50 mila abitanti: Urbino dunque è un importante contesto rappresentativo della realtà europea. Anche le grandi metropoli, del resto, non sono altro che agglomerati di tante piccole città: il modello urbinate, di sviluppo micromega che si vuole proporre, si può ben replicare e conciliare con la dimensione metropolitana.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Le Marche e tutto il suo sistema economico partecipano alla candidatura: il progetto si basa sul concetto di “corte aperta”, in maniera fattiva, dove la corte è una dimensione progettuale e operativa, in cui sono concretamente e fisicamente presenti le attività del territorio. Le imprese marchigiane aderiscono alla candidatura, non solo sul fronte finanziario, ma anche partecipando ai progetti previsti.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Tutto il programma di reti per il 2019 dovrebbe sortire un ripensamento dei servizi e delle funzioni della città in maniera permanente. Per il 2019 ci sarà una grande dimensione spettacolare, ma quello che la produce, ciò che conduce ai miglioramenti, invece, rimane. Tutti i processi, le strategie e i progetti legati alla candidatura, si baseranno su strutture permanenti.
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Intervista al Professore Paolo Verri, direttore del Comitato per la candidatura di Matera a Capitale europea della Cultura 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
Sono piemontese e sono arrivato da pochi anni a Matera per questo lavoro, dopo averla visitata da turista e da operatore culturale, e devo dire che Matera è una città assolutamente sorprendente, straordinaria, fuori dal normale per quello che rappresenta e per quello che può rappresentare, per il suo passato e il suo presente ma anche per il futuro che lascia intravedere. È una città in cui si abita da ottomila anni senza soluzione di continuità, ed è una città che rischiava di scomparire. Fino a quando, negli anni ‘50, Togliatti e De Gasperi, visitandola, si resero conto che le condizioni di vita erano impossibili da sostenere in quel modo. Stava rischiando di divenire una città come Petra o Cuzco e rimanere disabitata. Invece, nella metà degli anni ’60, è stata riabitata e l’arrivo di Pasolini negli anni ’50 ha cominciato a far intendere quale potesse essere l’immaginario che scaturiva da quella città, il suo binomio di natura e cultura, l’aspetto del costruito e dell’intaccato, del non toccato, e cominciò a nascere l’idea delle grandi mostre di arte contemporanea da organizzare nei Sassi nella seconda metà degli anni ’80. Poi, grazie all’impulso di Pietro Laureano, è arrivato il riconoscimento di Matera come parte del Patrimonio Mondiale Unesco, prima città del sud ad ottenere questo onore. A partire da allora, cioè dal 1993, la città ha cominciato ad avere una storia completamente diversa: invece che precipitare in un collasso, ha cominciato a re-immaginare il futuro e una riqualificazione, grazie soprattutto ai materani che hanno immaginato un futuro possibile. Oggi ci troviamo in un nuovo momento di svolta, dopo che il turismo è cresciuto del 200% negli ultimi dieci anni ci si chiede: cosa fare di questa città? Matera può diventare un parco tematico sulla demo-antropologia o può rimanere una città in cui si intende produrre cultura, dare stimolo alla creatività e attrarre giovani da tutto il mondo, senza lasciare che l’unica sorte possibile sia quella di aspettare turisti. Ed è proprio questa la sfida della candidatura: mettere in gioco tutti questi temi e capire come possano essere di servizio anche per altre città simili in Europa e nel mondo.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Per quanto riguarda Matera, il dossier inerente alla candidatura non è top secret: le idee che si possono avere in merito ad una città, lo dico come urban planner, sono per forza di cose diverse rispetto a quelle che si possono avere per un’altra, perché ogni città ha una sua identità e una sua individualità. Le cose vengono fatte su misura. Il nostro, quindi, è un processo aperto, abbiamo una community online con la quale abbiamo discusso dei contenuti. Dal 19 settembre comunicheremo tutto attraverso la Rai, su Materadio.
La prima componente del nostro dossier per la candidatura è il metodo: abbiamo riscontrato che si sta sviluppando, a partire dalla candidatura, una sorta di “istinto partecipativo”, come lo definisce Charles Darwin, cioè nel nostro caso la capacità e la voglia del cittadino di mettersi in gioco per candidarsi. Su questo facciamo leva. Questa voglia di partecipare dà il titolo al dossier di candidatura, “Insieme”, che richiama un importante libro pubblicato da Richard Sannett l’anno scorso, “Togheter”, un invito ad una economia e ad una politica collaborative. Se, infatti, il ‘900 è stato il secolo della competizione, il XXI secolo non può che essere il secolo della collaborazione, pena la sparizione di forme di urbanità ed urbanesimo.
La seconda componente riguarda i contenuti: a cosa si applica il metodo? A cinque temi in particolare, contenitori di contenuti.
1) Il futuro remoto: quelle cose che sono così avanti da richiamare un passato lontano nel tempo. Ad esempio: a Matera esiste il Centro di Geodesia Spaziale italiana. In questo luogo si studia come cambia la terra nel corso dei secoli, quali sono gli impatti causati da certi fenomeni naturali, dagli tsunami in Giappone, ai terremoti in tutto il mondo, ad altri fenomeni legati a stelle, asteroidi e così via. Così come fa il Centro di Geodesia Spaziale, noi immaginiamo che le politiche e il cambiamento debbano essere valutate non solo in un tempo breve, ma anche e soprattutto in un tempo lungo e quindi il tema del futuro remoto riguarda la capacità di scrutare lontano tenendo ben presente quali sono le necessità del presente.
2) Radici e percorsi: roots and routes. A partire dalle nostre radici lontane nel tempo, si tratta di considerare cos’è successo nei nostri territori, incontrando forme di società e momenti storici diversi gli uni dagli altri: l’impatto dell’arrivo dei greci, il nostro territorio facente parte della Magna Grecia, Pitagora e Zenone che abitavano in quella che era la Grande Lucania, l’apporto dei bizantini, degli arabi, dei Borboni e più recentemente le nuove indicazioni che consentono di coltivare i campi. Si tratta, quindi, di avere una grande attenzione verso la diversità e una grande considerazione verso il mutamento sociale e come questo si adatta al mutamento culturale.
3) Connessioni e ricezioni. Bisogna fare in modo che in certe società interamente digitali, invece di vivere il tema della frammentazione, si dia spunto alla riflessione e all’approfondimento dei propri pensieri culturali. Allo stesso modo, gli strumenti che abbiamo non devono tarpare le nostre ali, ma devono aiutarci a vivere meglio, da qui ai prossimi quindici anni, sempre in maniera collaborativa.
4) Continuità e rottura. Matera nel passato ha rischiato il collasso, ma noi non vogliamo diventare una città basata solo sul turismo, non perché non amiamo i turisti, anzi, ma perché li consideriamo “cittadini temporanei”, persone che devono aiutarci a dare continuità al cambiamento.
5) Utopie e distopie. Matera nel corso dei secoli ha vissuto diverse utopie: dall’utopia socialista di Campomaggiore, all’utopia di Adriano Olivetti che ha creato il più importante villaggio agricolo contemporaneo negli anni ‘50, fino alla marcia per Scanzano Ionico in cui 100.000 persone si sono opposte all’idea che la Basilicata diventasse deposito di scorie radioattive. Quindi un luogo di utopie positive, ma un luogo in cui si vivono anche certe volte delle distopie. Vogliamo discutere di tutto questo lungo 12 mesi di attività.
La terza componente riguarda l’investimento sui temi di cultura. Si pensa che Matera sia lontana, in realtà a Matera si arriva molto velocemente attraverso Bari: siamo a 300 km da Bari, connessi con 4 corsie e prossimamente saremo collegati in 50 minuti con un treno che parte da Bari Centrale. Ma siamo percepiti come lontani e quindi è necessario lavorare su questa percezione. Siamo riconosciuti, poi, come una città dal grande passato architettonico, ma vogliamo anche rinnovare e lavorare su quattro aree della città: una riguarda proprio i Sassi, all’interno dei quali faremo rinascere un’area disabitata attraverso un museo multimediale, il Museo Demo-etno-antropolgico, o DEA, che sarà un esempio di come debba essere un museo contemporaneo in Europa oggi, un museo fatto di esperienze, interazione e non di semplice visione di teche.
Un secondo grande asse di sviluppo sarà il Castello Tramontano, un castello del 1500 dentro un grande parco, che ospiterà l’Università e la nuova università, un luogo di attrazione di studenti dall’Italia e dall’estero.
Poi una grande area dedicata alle cave, dalle quali si estrae la calcarenite, materiale molto duttile, con la quale vengono costruite le case di Matera. Dentro le cave creeremo un centro per spettacolo, intrattenimento, congressi, utilizzando delle strutture temporanee, quindi con un impatto molto basso sul consumo di suolo.
La quarta area è quella del borgo La Martella di Adriano Olivetti, voluto dal grande imprenditore piemontese e disegnato da due grandi architetti e urbanisti, Ettore Stella e Ludovico Quaroni.
È previsto un investimento complessivo di circa 700 mila euro sulle infrastrutture e le trasformazioni urbane, e un investimento di circa 50 mila euro sulle attività dell’anno in cui Matera sperabilmente sarà capitale.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
La mancanza principale è proprio quella per cui ci candidiamo: proponendo Matera vogliamo entrare nella mappa d’Europa. Oggi la crescita del turismo straniero è straordinario. Se il turismo italiano cresce dell’11 %, il turismo straniero cresce del 30% l’anno. Questo perché abbiamo degli ottimi alberghi e attiriamo un pubblico di fascia alta di lunga permanenza, che punta sulla qualità. Tuttavia la nostra produzione culturale e la nostra innovazione tecnologica non sono al livello dell’Europa. Il nostro punto di debolezza è proprio la nostra sensibilità nei confronti delle reti europee e internazionali e il fatto di candidarci significa cercare di essere consapevoli di ciò e rimediare.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Ritengo, per mia esperienza, che non sia possibile pensare ad un progetto per lo sviluppo turistico e culturale, autonomo, si può fare soltanto considerando le altre città, gli altri grandi attrattori. Dobbiamo essere altamente collaborativi e cooperativi. Per questo lavoreremo per una sempre maggiore attrazione turistica, assieme alle altre città candidate. A tal proposito abbiamo dato vita ad un organismo, Italia 2019, un cappello sotto al quale ci riconosciamo e collaboriamo tutti.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Posso rispondere con una battuta: prima vinciamo, poi vediamo. Noi, intanto, attueremo tutto quello che è previsto nel dossier di candidatura: sia lo sviluppo delle quattro aree urbane, sia la comunicazione correlata ad esse, sia il programma culturale. Se dovessimo vincere, questi progetti verranno attuati con maggiore velocità, intensità e redditività, perché qualunque titolo se ben giocato dà queste opportunità. Matera ha conosciuto un primo salto di qualità tra gli anni ‘50 e gli anni ‘80, un secondo tra l’82 e il ’93, ora le spetta un altro balzo in avanti. Le rimarrà l’orgoglio di continuare a cambiare, sapendo che soltanto nel cambiamento c’è la vita.
Intervista al Prof. Filiberto Zovico, tra i proponenti della candidatura di Venezia e del Nord-est
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
L’identità riguarda in gran parte la storia, nel senso che Venezia è sempre stata il Nord-est e il Nord-est è sempre stato Venezia. Per centinaia di anni questa compenetrazione tra città e territorio è stata un dato storico inconfutabile, come dimostra ad esempio la presenza del Palladio nel campo artistico e quella della Repubblica in quello politico. Ma il legame è anche moderno poiché nella contemporaneità l’intero territorio quando si racconta in maniera globale, lo fa tramite Venezia: alcuni produttori dell’amarone della Valpolicella presentano il loro come il vino delle Venezie; andando all’estero se qualcuno ci chiede la provenienza si dichiara di vivere “near Venice”. La città è simbolicamente la rappresentazione di un territorio estremamente ampio, che va anche oltre il Nord-est stesso.
Questo giustifica la scelta della candidatura comune di Venezia e del Nord-est, motivata sia dalle radici storiche, sia dal fermento delle industrie creative del territorio, che creano un legame molto forte con il capoluogo. Basti pensare che la Fondazione Guggenheim e la stessa Biennale racchiudono e rappresentano molte delle imprese culturali attive al di fuori di Venezia.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Gli asset riguardano l’idea principale di non costruire nuove opere fisiche, come musei e strutture materiali, poiché già ce ne sono in abbondanza sia a Venezia che nel territorio. Si intende piuttosto creare reti museali, di percorsi turistico –culturali, creative. Il lavoro è più sul software che sull’hardware. E’ la prima grande operazione europea, e forse mondiale, di costruzione di reti metropolitane che si sviluppa sull’esistente, e deriva da una tradizione di piccole città che nel corso degli anni si sono trasformate in un’unica grande megalopoli.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
La mancanza cui la candidatura intende sopperire è la debolezza nei collegamenti tra i diversi punti. Abbiamo le più importanti vie di comunicazione a livello europeo e mondiale, con aeroporti, strade, porti e ferrovie, mentre siamo carenti sul piano interno in collegamenti metropolitani. E’ su questi aspetti che la candidatura intende agire per superare i problemi derivanti.
Si intende mettere in rete il territorio non solo dal punto di vista culturale e turistico, ma anche e soprattutto sul piano dei trasporti: le due cose si aiutano e rafforzano. Riguardo tale aspetto si agirà poi perentoriamente secondo una logica di eco sostenibilità.
Altra difficoltà, ma non oggettiva, è il numero delle menti coinvolte: quello che poteva sembrare un ostacolo, sembra tuttavia che si stia dimostrando un punto di forza. Sei diverse istituzioni riescono a sopperire alle difficoltà temporanee di ciascuna, evitando che il progetto si fermi, ad esempio, in caso di disaccordo politico interno ad una di loro.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
La candidatura parte da un assunto: ha come tema la pace come fattore di sviluppo economico e culturale. Parte dello sviluppo di questo territorio, in un periodo di nota crisi, è frutto dell’industria creativa, che va dalla moda e dal design fino all’innovazione tecnologica e scientifica. Il coinvolgimento dell’impresa è molto forte e non a caso un sondaggio sulle candidature italiane dimostra come Venezia e il Nord-est primeggino nel campo dell’innovazione creativa a livello nazionale. Dal punto di vista economico è una candidatura che pensa di basarsi per oltre il 50% sui contributi che arriveranno dalle aziende private e di non pesare nemmeno per un euro sulle spese statali.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Intanto è importante considerare il “durante”: la candidatura di Venezia e del Nord-est avrà benefici non solo per questo territorio, ma per l’intero sistema culturale e turistico italiano. La città lagunare e il territorio circostante sono importanti attrattori e tenderanno a sostenere il turismo culturale di tutto il Paese.
Per quel che riguarda il “dopo”, non si tratta di un evento, ma di un processo partito già da cinque anni, che intende proseguire anche successivamente, proponendo il territorio come un polo creativo capace di attrarre giovani talenti da tutto il mondo, affinché si riveli un terreno fertile capace di porre le condizioni per sviluppare le nuove industrie creative del futuro.
La costruzione di questo software complicato determinerà un’accelerazione dello sviluppo e della competitività del territorio e del Paese tutto.
Le altre candidature a Capitale europea della Cultura 2019
Intervista al Professore Pier Luigi Sacco, direttore della candidatura di Siena a Capitale europea della Cultura 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
Siena ha un’identità territoriale molto forte, legata ad un patrimonio tangibile e intangibile conosciuto in tutto il mondo. In realtà, non è tanto la presentazione di questa identità che ci interessa ai fini della candidatura, quanto le modalità con le quali questa identità permette di affrontare e risolvere le problematiche che il territorio si trova oggi a fronteggiare.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Non è ancora possibile, in questa fase, parlare in maniera esaustiva dei temi del dossier di candidatura, perché al momento devono restare riservati. Il tema principale sul quale lavoriamo, però, è il rapporto tra patrimonio, soprattutto intangibile, e innovazione sociale. Vogliamo dimostrare che il patrimonio intangibile può divenire un grandissimo asset competitivo per ridefinire in senso positivo l’economia del territorio.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Il fatto che in questo momento il territorio sia in uno stato di profonda crisi economica e la situazione di forte instabilità politica, a causa della quale il comune è stato commissionato per una anno, sono sicuramente le principali difficoltà che dobbiamo affrontare. A nostro vantaggio, però, devo dire che il territorio, da questo punto di vista, ha reagito molto bene, si è stretto intorno alla candidatura, aiutandoci a superare queste difficoltà.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Assolutamente sì. Il programma coinvolge tutte le categorie di operatori della città, da quelli culturali, a quelli economici, a quelli sociali, al volontariato, agli ospedali, alle prigioni. C’è posto per tutti.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Rimarrà una parte economica assolutamente trasformata rispetto a quella di oggi, rimarranno un paio di istituzioni nuove che, credo, aiuteranno la città ad avere un grande peso nel quadro internazionale. Ma soprattutto rimarranno un’energia e una mentalità nuove per utilizzare la cultura come volano per lo sviluppo economico.
Intervista al Prof. Lucio Argano, della Fondazione “Perugiassisi 2019”.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
La candidatura di Perugia deriva dalla costituzione di una apposita Fondazione per gestire l’iter, formata dalle istituzioni della città, ma anche dalla Regione Umbria e dal Comune di Assisi – tanto che è nato l’equivoco della candidatura Perugia-Assisi.
Questa proposta è in effetti volta a far sì che quel che verrà fatto in tale ambito, si riverberi su tutto il territorio regionale, con una sponda valoriale su Assisi, con i luoghi di San Francesco.
L’identità del progetto intende valorizzare l’esistente, la storia di Perugia, la sua internazionalità, in quanto sede di quattro strutture accademiche e alcuni centri di eccellenza formativa.
Perugia e l’Umbria, soffrendo della crisi economica e della mancanza di un obiettivo forte che rivitalizzi il territorio, ha trovato nella candidatura motivo di rilancio. La Regione ha infatti goduto di un certo benessere, ma dal 2001 sta registrando la caduta di produzione, con la chiusura di centri dell’industria pesante, come le acciaierie di Terni, e la perdita di alcune produzioni alimentari. L’Umbria rimane però una meta molto attrattiva, come dimostrano i dati sulle migrazioni: il territorio continua ad essere ospitale, assicurando un buon livello di welfare a tutti.
Il progetto di candidature vuole cercare di valorizzare gli aspetti migliori di Perugia e dell’Umbria, correggendone quelli più negativi.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Perugia si candida coinvolgendo il territorio come riverbero della città e con grande attenzione rispetto agli elementi valoriali della Regione, per rilanciare le sue peculiarità e uscire da una crisi che sta patendo e che rischia di condurre al declino.
L’Umbria sta cercando una nuova spinta e crediamo che la cultura sia la leva giusta e necessaria cui far riferimento.
Tra gli asset che intendiamo mettere in campo c’è l’internazionalità di Perugia, con l’Università per Stranieri in primis, il patrimonio materiale umbro, come quello paesaggistico, artistico e architettonico, ma anche quello immateriale, costituito da appuntamenti ed eventi culturali come il Festival di Spoleto, l’Umbria Jazz, senza dimenticare attività e imprese che si muovono sulle industrie creative, come l’azienda Cucinelli, conosciuta in tutto il mondo.
Queste sono le basi da cui partire per sviluppare una serie di progetti che si muovano su direttrici di cambiamento e crescita. E’ in campo, ad esempio il recupero dell’ex carcere di Perugia, ad ora dismesso.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Facendo una disamina obiettiva, abbiamo molti punti di forza, mentre quelli di debolezza, quando lavori su progetti a larga scala, si concentrano sulla difficoltà di costruire un consenso diffuso, anche ad alti livelli. Speriamo ad esempio nella possibilità di interloquire con le istituzioni statali, affinché ci consentano di impiegare spazi di proprietà pubblica per svolgere attività e realizzare progetti. Oltre al consenso e alla ricerca degli appoggi statali, rimane comunque il grande impegno a trovare finanziamenti e sponsor che rendano il tutto sostenibile.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Le candidature per il titolo di Capitale europea della Cultura 2019 rappresentano, al di là di tutto, uno stimolo importante per tutte le città in lizza, un’occasione grande per tornare a progettare, dopo che la crisi e la situazione politica italiana ha giustificato una situazione di stasi generale. E’ stato costituito inoltre un tavolo tra alcune delle città candidate, chiamato Italia 2019, attorno al quale ci si è impegnati a scambiare informazioni, fare un sito web, un logo condiviso, con l’idea che la Capitale europea della Cultura 2019 rappresenti una crescita diffusa.
In tal senso la candidatura di Perugia, diversamente dalle altre in lizza, oltre a coinvolgere le istituzioni locali, ha costituito una fondazione di partecipazione. Il soggetto che gestisce tutto il progetto è dunque una fondazione che al suo interno raccoglie al momento quasi 100 soggetti, in rappresentanza quasi dell’intera società civile: oltre alla Regione, alle amministrazioni di Perugia e Assisi, ci sono anche i Comuni, compresi quelli più piccoli, gli artigiani, le imprese, la Camera di Commercio, le associazioni culturali, ecc. Quel che è stato fatto fino ad ora è il frutto di un lavoro comune, emerso dall’ascolto di tante componenti, con oltre 120 incontri sul territorio, che hanno avuto modo di esprimersi all’interno della fondazione, designata inoltre di verificare il lavoro via via svolto.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Alla città rimarrà un metodo di lavoro e potrebbe sopravvivere la fondazione che magari sarà convertita in uno strumento per il territorio e le istituzioni, qualora lo decidano le diverse componenti. Naturalmente, se Perugia vincesse il titolo, godrebbe anche di utili infrastrutture e di importanti spazi recuperati.
Le altre candidature a Capitale europea della Cultura 2019