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“Quando la baciai la prima volta, era notte e suonavano sulla spiaggia quella canzone, il tormentone dell’estate 2000, quella che, proprio quell’anno, aveva scalato tutte le classifiche. Ma… Non ricordo il titolo!”. Se questo è un discorso che fate spesso con voi stessi, o con gli amici, tormentandoli, sappiate che c’è un sito che vi può aiutare: Who was number one in history è una web application che, usando come fonti la Billboard Chart USA, officialcharts.com e le classifiche di HitParadeItalia, riesce a scovare quale canzone occupava la prima posizione in classifica in un determinato momento storico.
Who was number one in history si presenta come una pagina web facilissima da usare: sulla home basta indicare anno, mese e giorno oggetto di interesse, cliccare su “Trova il tuo numero uno” e il gioco è fatto. Si può scegliere la canzone prima in classifica negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Italia, e il periodo di ricerca possibile va dagli anni ’60 ad oggi. Una volta scovata la hit del cuore, è possibile ascoltarla gratuitamente tramite il servizio di musica digitale, Spotify, e poi condividere la scoperta musicale attraverso i social.
È un’applicazione divertente e davvero di semplice utilizzo, resa interattiva e completa dalla connessione con Spotify.
Una volta esauriti i giorni memorabili della propria vita a cui associare una canzone, potrebbe stancare. Ma si tratta di un progetto in espansione che prevede l’inserimento delle classifiche musicali anche di altri Paesi.
Il creatore di è il giovanissimo Oscar Chinellato, responsabile di un’azienda di creazione e gestione di siti web, Sickdevelopers, che opera in Veneto. Il progetto, Who was number one in history, come il suo stesso creatore afferma, è nato per caso, una notte dell’aprile di quest’anno.
Gli appassionati di musica, i curiosi, i romantici.
Si è aggiudicato per la seconda volta l’ambita copertina della rivista Time e ora il presidente Barack Obama è ad un passo dal record raggiunto da Franklin Delano Roosevelt. Ogni anno il Time dedica la propria copertina all’ “uomo dell’anno”, colui che verrà ricordato come il protagonista assoluto dei dodici mesi appena trascorsi. Il primo ad aver conquistato questo titolo è stato il colonnello Charles Augustus Lindbergh, distintosi per il suo inaugurale volo sul mar Atlantico. Ecco una selezione dei celebri ritratti dal 1928 ad oggi, che potrete consultare anche sulla pagina Pinterest di riferimento.
Se volete sapere quale è l’uomo più ricco e facoltoso del mondo ogni anno non vi resta che aspettare la nota classifica stilata dalla rivista americana Forbes. Magnati, imprenditori e nobili facoltosi grazie alla loro stratosferica dichiarazione dei redditi si aggiudicano gli ambiti posti dei più invidiati della terra. L’ultima classifica uscita lo scorso marzo annovera tra i primi dieci sul podio Carlos Slim Helu & family, William Gates III, Warren Buffett, Mukesh Ambani, Lakshmi Mittal, Lawrence Ellison, Bernard Arnault, Eike Batista, Amancio Ortega, Karl Albrecht. Per incontrare il primo italiano bisogna scorrere la classifica sino alla 23esima posizione dove troviamo Michele Ferrero, patron dell’industria dolciaria della Nutella. Se provate a confrontare la classifica dei fortunati milionari con quella redatta invece dalla rivista Artnews, che annualmente invece ricerca i magnati che hanno maggiormente investito le proprie fortune in beni artistici, scoprirete che dei primi 10 super ricchi del globo, soltanto uno di dedica con passione al mecenatismo. Si tratta di Bernard Arnault, uomo di affari francese proprietario del marchio del lusso LVMH. Forse sarà anche grazie all’influsso della moda del marchio Luois Vuitton che rappresenta il core buissness principale del gruppo, ma Arnault si conferma come il collezionista d’arte più appassionato che negli anni ha finanziato diverse mostre tra cui Il grande mondo di Andy Warhol e Picasso e i suoi maestri, supporto che ha dimostrato soprattutto per promuovere l’immagine del gruppo LVMH nel mondo, istituendo al contempo una fondazione che porta lo stesso nome del gruppo.
Il primo italiano nella classifica di Forbes al 23esimo posto non sembra interessato al mondo dell’arte: per trovare il primo ed unico collezionista nostrano nella classifica di Artnews, bisogna arrivare al nome di Miuccia Prada, che grazie all’ausilio del marito Pabrizio Bertelli, attraverso la sua Fondazione omonima si occupa di sostenere l’arte contemporanea con mostre e premi dedicati.
Quali sono gli altri sostenitori e benefattori dell’arte e della cultura nel mondo? Sempre secondo la classifica di Art News, dopo il primo posto occupato dal già citato Bernard Arnault e di sua moglie Hèlén, troviamo nell’ordine Debra e Leon Black coppia degli affari proprietari dell’Apollo Global Management; Edythe L. e Eli Broad, fondatori della The Broad Foundations, che promuove l’educazione e l’arte; Pierre Chen dell’industria elettronica di Taiwan; l’henge found manager Steven Cohen, che detiene anche il 5,9% di azioni della casa d’aste Sotheby; il figlio di Estée Lauder, Ronald Lauder, che ha aperto a New York la Neue Gallerie la galleria d’arte interamente dedicata agli artisti tedeschi e svizzeri dei primi anni 20 del 900 e ha fondato nel 1987 la Ronald S. Lauder Foundation; il banchiere greco Dimitri Mavromatis; Philip Niarchos che ha accumulato tra le sue mani la più importante collezione di pittori impressionisti; l’imprenditore francese François Pinault, che dirige il marchio del lusso Pinault-Printemps-Redoute ed è comproprietario della casa d’aste Christie’s; ed infine la figlia dell’emiro del Qatar, la giovanissima Sheikha Al Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al Thani, la donna più potente nel mondo dei collezionisti d’arte e fondatrice della ONG Reach to Asia, che si occupa di portare assistenza alle popolazioni vittime dei disastri naturali nel continente asiatico.
In sintesi, le due classifiche nella sostanza non si uniformano l’una all’altra, anzi sembra che i magnati della finanza più facoltosi non siano del tutto interessati al mecenatismo e al sostegno di artisti e fondazioni. Ancora più evidente è l’assenza di milionari italiani nell’elenco dei collezionisti, a riprova che il mecenatismo nel nostro paese stenta sia a diffondersi che a raggiungere i risultati conseguiti in altri paesi. L’unico settore che fa eccezione è quello della moda, per vocazione più vicino e prossimo al mondo della creatività artistica. La strada dunque per raggiungere i primi posti nelle classifiche mondiali per i nostri imprenditori sembra davvero ancora molto lunga.
Sight&Sound è una rivista cinematografica britannica che, dal 1952, ogni 10 anni stila un’autorevole classifica sui 50 migliori film della storia del cinema interpellando una schiera di critici, accademici, appassionati cinefili, scrittori e distributori. Ad ognuno di loro viene chiesto di elencare i migliori 10 film visti, apprezzati o quelli che, a loro avviso, hanno avuto un impatto nella storia del cinema successiva e che hanno quindi fatto da spartiacque tra epoche differenti.
Il risultato è una classifica, sicuramente opinabile, ma che comunque traccia un percorso importante che aiuta a ricordare film dimenticati, film che vale la pena (ri)vedere e fa riflettere sul come, al passare degli anni e delle consapevolezze cambino i gusti e scalino la classifica film che prima neppure erano stati menzionati.
Succede così che registi famosissimi vengano esclusi, che film in origine snobbati dalla critica si piazzino invece ai primi posti o che tra le prime posizioni non figurino film vincitori di premi o riconoscimenti importanti.
Perché si sa, le mode cambiano e il pubblico si adegua ma alcune pellicole sono destinate a rimanere, per sempre, negli annali delle migliori opere cinematografiche mai realizzate.
Ecco dunque, secondo Sight&Sound, con la collaborazione del British Film Insitute, i migliori 50 film di tutti i tempi.
Che ne pensate?
1. La donna che visse due volte (Vertigo) di Alfred Hitchcock
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2. Quarto Potere di Orson Welles
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3. Viaggio a Tokyo di Yasujiro Ozu
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4. La regola del gioco di Jean Renoir
[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=4np8ovj37m0&w=420&h=180]
5. Aurora di Friedrich W. Murnau
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6. 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick
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7. Sentieri Selvaggi di John Ford
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8. L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov
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9. La passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer
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10. 8 1/2 di Federico Fellini
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Continua a leggere la classifica sul sito del British Film Institute
All’origine l’obiettivo era quello di salvare i templi di Abu Simbel in Egitto, edifici risalenti all’epoca faraonica che rischiavano di scomparire per sempre a causa di un’inondazione. Era il 1959 e da questa vicenda in cui i diversi paesi internazionali scesero in campo per la prima volta al fine di collaborare per difendere un pezzo di storia e di patrimonio culturale, ha avuto origine l’istituzione transnazionale che avrebbe preso il nome di Unesco.
Creata con lo scopo di tutelare il patrimonio culturale, artistico e ambientale seriamente minacciato dall’incuria, guerre e fattori naturali, ben presto divenne un punto di riferimento per il mondo intero grazie anche alla stesura e all’approvazione di una “Convenzione per la tutela del patrimonio culturale e naturale” nel 1972, ratificata dai diversi stati mondiali che hanno candidato un sito entro i propri confini (tale convenzione in Italia è divenuta operativa con la legge n 184 del 1977). All’interno di questo trattato sono stati infatti stabiliti anche i criteri che costituiscono i requisiti fondamentali per poter presentare la candidatura di un determinato sito culturale o naturalistico a patrimonio mondiale dell’umanità. All’inizio i requisiti erano solo sei in ambito culturale e quattro nel settore naturalistico, mentre dal 2005 esiste un elenco unico e generale che racchiude dieci punti comuni. Il primo principio cardine per avanzare una candidatura è che il sito deve presentare valori di unicità, universalità e insostituibilità. Questo è l’elenco dei dieci criteri comuni di selezione dei siti che presentano la candidatura:
• Rappresentare un capolavoro del genio creativo umano;
• Esercitare un’influenza notevole per un determinato periodo storico o in campo culturale, per quanto riguarda lo sviluppo architettonico, tecnologico, artistico e paesaggistico;
• Testimoniare una rara tradizione di una cultura o di una civiltà ancora esistenti o scomparse;
• Essere un esempio eminente di un tipo di costruzioni, di architettura o tecnologia significativa per un determinato momento della storia umana;
• Essere un esempio di stanziamento antropico, di terra o di mare, rappresentativo di una cultura o dell’interazione dell’uomo con l’ambiente soprattutto per tutte quelle realtà che divengono vulnerabili per effetto di mutazioni irreversibili;
• Essere direttamente riconducibili ad avvenimenti legati ad idee, opere letterarie o artistiche, credenze religiose oppure racchiudere in sé un significato universale collegabile ai punti precedenti;
• Contenere all’interno del proprio paesaggio e ambiente fenomeni naturali e panorami di eccezionale bellezza;
• Rappresentare il cambiamento del nostro pianeta, i mutamenti, le evoluzioni della crosta terrestre e lo scorrere delle ere geologiche;
• Costituire un esempio dell’evoluzione della vita biologica e dello sviluppo dell’ecosistema terrestre e marino, della nascita della specie animale e vegetale
• Contenere al proprio interno un habitat naturale preservato dove sopravvive una variegata biodiversità e di specie biologiche, comprese quelle contenenti specie minacciate di eccezionale valore dal punto di vista scientifico;
Un insieme di valori validi sia per il patrimonio artistico ed archeologico che per quello naturale e ambientale che è rimasto quindi immutato dalla ratifica della convenzione negli anni settanta. Rimanendo dunque fedele al suo obiettivo originario che era quello di preservare il patrimonio culturale, la lista dei requisiti è stata completata solo per comprendere il patrimonio ambientale.
Nella convezione viene, inoltre, sottolineata l’importanza di selezionare questi luoghi al fine di mantenere il legame dell’uomo con il proprio passato, la propria storia e l’ambiente che lo circonda.
Ad oggi tuttavia è necessario forse chiedersi se i valori e i criteri del secolo scorso siano ancora validi o esaustivi per delineare questa lista di beni preziosi. Se lo scopo è quello di non perdere il legame con il nostro passato come si potrà trasmettere alle generazioni di domani lo sviluppo di una società sempre più incentrata e basata sul mondo 2.0 e sulle nuove tecnologie? La questione è stata affrontata per la prima volta già nel 2003, quando è stata ratificata la convenzione del’Unesco per i beni immateriali, all’interno della quale viene riconosciuto il know-how e la conoscenza come patrimonio inestimabile da tramandare. Ad essa, tuttavia, non è seguita una lista universale a livello internazionale di requisiti oggettivi e, secondo quanto recita la convenzione, ogni Stato indipendentemente può inviare un proprio elenco di “conoscenze, consuetudini e tradizioni” che vuole iscrivere nella lista. Tra questi forse alcuni si ricorderanno che un paio d’anni fa fece discutere la promozione tra i beni immateriali della dieta mediterranea. Un esempio di come in questo caso stabilire dei criteri universali e oggettivi sia più complicato rispetto alla classificazione dei classici monumenti ed ecosistemi ambientali. Per quanto attiene il patrimonio immateriale entra in gioco infatti il fattore soggettivo che porta ogni stato a considerare il proprio sapere indispensabile e significativo da trasmettere alle generazioni future: ognuno considera il proprio patrimonio di conoscenze e tradizioni inestimabile.
È questo forse il punto di partenza da chiarire: cosa si intende per patrimonio immateriale e quali sono realmente le tradizioni necessarie che si devono trasmettere alle nuove generazioni? Con quale forma di passato si vorranno realmente confrontare i nostri figli e quale passato vorranno preservare? Una riflessione in tal senso oggi potrebbe portare ad una selezione e ad una valutazione a priori, affinché non tutto venga considerato in maniera indistinta qualcosa da salvaguardare e venga invece mantenuto quel concetto di unicità e valore di una determinata consuetudine e conoscenza, fondamentale per ascrivere un bene nella lista Unesco.
Funziona così, che almeno una volta al mese le fondazioni liriche fanno notizia: vuoi per il problema dei finanziamenti, vuoi per i commissariamenti o per i bilanci (in attivo e in passivo), i teatri lirici italiani, sono destinati a balzare alle cronache sempre più frequentemente.
Questa volta è una classifica, pubblicata sul numero di maggio del mensile “Classic Voice”, autorevole rivista di musica, a palesarci la situazione delle fondazioni lirico sinfoniche nazionali. Le voci analizzate, relative al 2011, riguardano aspetti come il numero di alzate di sipario, gli incassi, il numero di spettatori, di riconoscimenti, e il numero di abbonamenti.
Si aggiudica così il podio la Scala di Milano che ha battuto i concorrenti su diversi fronti: incassi al botteghino (27 milioni e mezzo), numero di spettacoli (286), numero di spettatori (188.336) e riconoscimenti ricevuti (20 Premi Abbiati negli ultimi 10 anni). Nella classifica generale, consuntiva, che tiene quindi conto della somma di tutti i parametri analizzati, il secondo posto spetta, con stupore, al Teatro San Carlo di Napoli, commissariato fino a qualche tempo fa, mentre la medaglia di bronzo alla Fenice di Venezia.
Seguono Torino, Roma e Palermo mentre a chiudere la graduatoria troviamo il Petruzzelli di Bari, il Verdi di Trieste e il Maggio Fiorentino.
Per singolo parametro, invece, il record di abbonati spetta al Regio di Torino (12.372 abbonati), maggior numero di titoli e rappresentazioni operistiche (rispettivamente 14 e 109) alla Fenice di Venezia, maggior percentuale di riempimento (90%) all’Opera di Roma mentre il bilancio più florido è quello del Teatro Massimo di Palermo (oltre 1 milione di euro in attivo).
Una fotografia delle istituzioni teatrali che sicuramente fa ben sperare, viste anche le difficoltà gestionali e amministrative attraversate da molti ma che comunque va considerata in rapporto anche ai finanziamenti ricevuti: come fa notare il Corriere della Sera di oggi, infatti, un teatro come quello dell’Opera di Roma, con ingenti capitali pubblici dovrebbe fare di più così come maggiore impegno, da parte di tutte le realtà prese in considerazione, dovrebbe essere speso per l’attivazione di sponsorizzazioni private.