Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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#svegliamuseo! No, non è il claim di una nuova “notte al museo” ma un progetto giovane e ambizioso che guarda lontano e lo fa da vicino. Come si fa?
Prendete l’energia di tre fanciulle con studi e passione per l’arte, un’idea buona e generosa e il giusto mix di tecnologia… E’ quanto basta per comunicare al mondo la propria “chiamata alle “arti””.
Sì, sveglia museo è una vera e propria call to action nata da un forte spirito digitale e da una ricerca condotta nell’ambito dei musei sull’utilizzo degli strumenti di comunicazione più in voga: i social network!
Si potrebbe pensare ad un progetto estemporaneo che sfrutta la nuova onda di canali come Twitter quotati in borsa o acclamati da un quotidiano passaparola e, invece no, l’idea alla base potrebbe promuovere collaborazioni e sinergie naturali nel Bel Paese dei campanilismi: nuovi stimoli per musei troppo spesso inchiodati al passato.
Sveglia museo, infatti, non è solo uno spazio web di informazione, ma un vero e proprio esperimento che nasce dalla volontà di riunire attorno ad un cinguettio le migliori esperienze museali social provenienti da tutto il mondo. Scomoderei volentieri la tecnica internazionale del buzz marketing per riassumere in due parole #svegliamuseo ma lascio a Francesca De Gottardo, ideatrice del progetto, il racconto di un’esperienza tutta italiana.
Come nasce #svegliamuseo? Quali le basi e quali le prospettive future?
Il progetto è nato da un’osservazione: quest’estate ho svolto per lavoro una mappatura delle strutture culturali del Nord Est e mi sono accorta di come in Italia molti musei, anche importanti, fossero assenti dai social media e comunicassero online con siti antiquati e poco aggiornati. C’era, quindi, un problema e c’erano alcuni articoli che lo evidenziavano, ma non c’era nessun progetto specifico che provasse a dare una soluzione. Ho coinvolto due amiche – Aurora, che ha lavorato al Getty Museum, e Federica, appassionata di social media – e mi hanno aiutata a dare vita a #svegliamuseo. Speriamo serva a creare maggior consapevolezza e a spingere professionisti e appassionati del settore a confrontarsi in un dialogo costruttivo sull’argomento.
Qual è l’obiettivo primario e come pensate di raggiungerlo?
#svegliamuseo vorrebbe aiutare i musei italiani a migliorare la comunicazione online, da un lato chiedendo suggerimenti e best practice ai colleghi stranieri, dall’altro intervistando i musei che sono “già svegli” in Italia. Entrambi gli approcci servono ad accendere i riflettori sul problema e a fornire possibili idee su come affrontarlo. Stiamo inviando email ai community manager stranieri e Aurora ha già ottenuto l’ok di 4 grandi realtà. La piacevole sorpresa è stata che alcuni piccoli musei italiani si stanno offrendo volontari per essere consigliati ad hoc dai professionisti d’oltreoceano, a dimostrazione che la volontà di crescere c’è e che stiamo andando nella direzione giusta!
Come definiresti #svegliamuseo? Un’open call, un contest o un possibile format per il futuro dei musei?
In cuore mio, spero davvero che #svegliamuseo diventi un format da replicare in futuro! Il progetto è nato quasi per caso, spinto da una forte passione personale. Abbiamo invece scoperto che questa passione è condivisa e che le persone hanno sempre a cuore i musei e vorrebbero parlare più direttamente con loro, ma non vorremmo limitarci a chiedere consigli all’estero. Stiamo cercando anche noi di capire in che direzione muoverci. Ad esempio, ci sono ragazzi laureati in materie umanistiche come me che vorrebbero fare questo mestiere e musei che vorrebbero avere qualcuno che si occupi dei loro social: perché non mettere in contatto questi due mondi, magari fornendo la formazione adeguata tramite workshop?
Consulta il sito di #svegliamuseo
C’è chi da bambino sogna di fare l’astronauta, il dottore, il calciatore, chi di ricevere una bici nuova, di andare alle giostre, di avere un cucciolo. Anche Miles ha un sogno, ha espresso un desiderio ben preciso: vuole essere Batman. Se tuo figlio è malato di leucemia dall’età di 20 mesi e adesso, dopo lotte, cure e sacrifici, sta per cominciare una vita normale, la frase “ogni tuo desiderio è un ordine” diventa realtà.
A realizzare il sogno del piccolo Miles ci ha pensato la fondazione no-profit Make-A-Wish, che ha come scopo proprio la concretizzazione dei desideri di tanti altri bambini che si trovano in situazioni particolari. Solo che la vicenda di Miles ha avuto una risonanza incredibile sui social, ha fatto il giro del mondo, e si appresta ad essere un evento davvero indimenticabile non solo per il piccolo Miles.
Oggi, 15 novembre, San Francisco si trasformerà in Gotham City, il mitico scenario delle avventure del supereroe alato. Il valoroso Batkid verrà convocato durante un notiziario tv dal Capo della Polizia in persona; poco dopo Batman in carne ed ossa andrà a prelevarlo a casa e sulla sua batmobile lo porterà con sé per vivere strabilianti avventure. Batkid salverà un donzella in pericolo, sventerà rapine e altre malefatte, e sfiderà uno dei più temibili nemici di Batman, Pinguino. La città lo ringrazierà radunata nella City Hall dove il Sindaco e il Capo della Polizia in persona gli consegneranno le chiavi della città.
Migliaia di persone si sono mobilitate per aiutare Batkid. È nato anche un progetto fotografico per supportare le sue mirabolanti gesta: con un cartellone in mano con su scritto “We love Batkid”, in costume da supereroe o in abiti civili, chiunque può fotografarsi per dimostrare di essere fan del coraggioso Miles.
In moltissimi parteciperanno attivamente anche all’evento, radunandosi a Union Square per chiedere a Batkid di salvare la mascotte di San Francisco dalle grinfie di Pinguino, e poi nella City Hall dove festeggeranno il piccolo supereroe.
Oggi la giornata di un bambino sarà costellata di sorrisi ed emozioni. Tanti altri piccoli soffrono ancora, da soli, ma la felicità di uno di loro basta già a illuminare un po’ di più la vita di tutti.
Per condividere o seguire l’evento, tenetevi aggiornati con l’hastag Twitter #SFBatKid
A quanto pare la diceria che dai momenti di crisi si viene fuori più forti, nuovi e positivamente resettati, non è finzione ma realtà. Il collasso economico che ha interessato l’Europa negli ultimi anni sta rivelando sorprese impensabili riguardo alle direzioni che l’economia e la società contemporanee stanno prendendo.
Abbiamo passato una fase di capitalismo sfrenato, di predominanza dell’egoismo e dell’individualismo, di chiusura verso il prossimo. Ancora adesso subiamo gli strascichi di questo stadio, che potrebbero sembrare acuiti dalla crescente predominanza della realtà virtuale sulle vite di ciascuno di noi. In realtà è proprio dal mondo della tecnologia e del virtuale che stanno nascendo i primi germogli di quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione sociale. Un nuovo cambio di rotta nel modo di vivere i rapporti individuali e comunitari.
Uno startupper bolognese, di origini fiorentine, Federico Bastiani, un bel giorno si è reso conto di ignorare l’identità dei suoi vicini di casa. Se un tempo il quartiere era la comunità per eccellenza, luogo di pettegolezzi e piccoli sgarbi, ma anche di condivisione e comunione, oggi, chiusi nei nostri piccoli o grandi appartamenti, viviamo giornate isolate, costellate da cenni del capo e freddi convenevoli. Bastiani ha pensato di voler modificare questo status di cose, quantomeno nel suo quartiere e, quasi per caso, ha dato il via al primo esempio di social street.
A settembre ha creato un gruppo chiuso su Facebook – strumento tra i più semplici e democratici, anche perché gratuito – per chiamare a raccolta gli abitanti della via Fondazza di Bologna. Ha stampato dei volantini per dare notizia della sua iniziativa e li ha distribuiti nei condomini del quartiere. In più di 300 hanno risposto, creando la prima comunità cittadina che nasce con l’intento precipuo di “scollare” dagli schermi di un pc le stesse persone con le quali condividiamo un pianerottolo e che non abbiamo mai conosciuto, per avviare forme di collaborazione, di sostegno, di aiuto reciproco, di scambio di idee, socialità e quando serve, anche di merci.
Non si tratta solo di un esperimento sociale, infatti, ma anche dell’incarnazione di un sistema economico che sta prendendo sempre più piede in diverse forme. Teorizzata qualche anno fa dalla studiosa Loretta Napoleoni, la pop economy sta diventando la risposta più concreta alle magagne della crisi, che fa un baffo alle spesso finte riforme dei politici. È l’economia del popolo, quella basata sullo scambio, sul baratto, sul dare e sul ricevere, gratis o in cambio di qualcos’altro. È l’evoluzione di eBay, che evita lo spreco, incentiva il riciclo e assicura il risparmio. Lo spiegano bene sul sito che è nato dall’esperienza di Bastiani, www.socialstreet.it: “Dovete cambiare il frigorifero? Perché metterlo su ebay, creare un annuncio, pagare una commissione, pagare un trasporto quando magari il vostro vicino di casa ne sta cercando proprio uno come il vostro?”. Lo stesso vale se non si vogliono buttare le uova prima di partire per le vacanze, se serve l’aiuto di una baby sitter, se si cerca un appassionato di cinema con cui condividere il proprio hobby, se si vuole trovare una comitiva di amichetti al proprio bambino, e così via. Dalla rete, da internet, dai social, si passa di nuovo alla realtà, alla strada, al quartiere.
Di esempi di pop economy ce ne sono molti altri: dal bike e car sharing, al cohousing, dal couchsurfing al baratto turistico in cambio di cultura, dalle comunità ormai diffusissime in tutta Italia “Te lo regalo se vieni a prenderlo”, fino agli swap parties nel quale scambiarsi vestiti e altri oggetti.
Di necessità si fa virtù e l’unione fa la forza, l’uomo ha una grande capacità di adattamento e si è stancato di vivere da solo. Non semplici luoghi comuni, ma un ritorno vero e istintivo al branco.
C’è voluta tutta l’estate per metabolizzare il Datagate e tutte le sue conseguenze. Nonostante le rivelazioni di Snowden sembrassero preoccupanti sin dall’inizio, l’effetto iniziale è stato di qualche timida interrogazione da parte di alcuni stati Europei, e il problema si è scaldato solo quando sono fuoriusciti i nomi dei Vip presi di mira dal sistema realizzato dall’Nsa.
Già, perché inizialmente il sempreverde leit motiv del terrorismo sembrava giustificare un programma così vasto e “invadente”, d’altronde perché preoccuparsi di un controllo a tappeto su migliaia di cittadini quando in gioco c’è la sicurezza nazionale? Ma se poi il controllo fuoriesce dalla mischia di quelle entità grigie e poco interessanti che popolano le nostre città, ecco che scatta lo scandalo internazionale.
Lo ha capito subito Obama che prima dell’estate ha ordinato l’interruzione immediata delle attività di monitoraggio sulla Merkel e su altri 34 leader mondiali, perché è facile spiegare il perché su Mario Rossi. Un po’ più complicato se si parla di politici o personaggi di spicco che, in teoria, non dovrebbero avere niente a che fare con terroristi o cospirazioni anti-Stati Uniti.
Quindi, mentre i giornali e il pubblico si confortano sul solito stereotipo del Grande Fratello (ricordate Echelon?), nessuno ci spiega cosa potevano trovare di interessante gli Stati Uniti su quei 35 leader mondiali e su svariate altre personalità chiave, soprattutto se ci continuano a propinare la favola del terrorismo.
Ma la domanda non può rimanere a lungo non risposta, soprattutto perché non è di Mario Rossi che stiamo parlando. Da una parte l’Nsa grida all’emergenza internazionale perché la rivelazione integrale del (costoso) sistema di protezione che è stato realizzato per proteggere l’intero pianeta, è un duro colpo al bene e un vantaggio notevole per i nemici. “Conosci il tuo nemico” diceva Sun Tzu e ora sono i nemici a conoscere meglio gli Stati Uniti.
Dall’altra parte c’è la vecchia Europa, da lungo tempo solidale con l’alleato oltreoceano, che si sente tradita da questa mancanza di fiducia. Certo potremmo discutere a lungo sul come mai un sistema di protezione così complesso abbia potuto essere installato senza che nessuno se ne accorgesse e, forse, arrivare alla conclusione di molti esperti che oggi sghignazzano perché tutto sa di scoperta dell’acqua calda.
E per ultimo arriva in soccorso il vecchio nemico di sempre, che proprio ad ottobre sale alla ribalta per aver regalato chiavette spia durante il G20 tenuto a San Pietroburgo. Un evento piuttosto insolito e rozzo che dovrebbe riportare parità sul male comune, garantendo per tutti un mezzo gaudio.
Cosa accadrà? L’ipotesi più probabile è che tra rassicurazioni e accordi di cui non avremo mai evidenza, alla fine concluderemo lo scandalo tra abbracci e ritrovata fiducia. Ma tutto dipende dalle parole che verranno usate, pesate e, soprattutto, concordate.
Andrea Pompili è un informatico ex coordinatore del “Tiger Team” di Telecom
New York ha scelto il suo nuovo sindaco: si tratta di Bill de Blasio, democratico italoamericano, classe ’61, che ha sbaragliato l’avversario repubblicano Joseph J. Lotha con il 73% delle preferenze. I sondaggi già lo davano vincente, nonostante un democratico non avesse ricoperto il ruolo di primo cittadino da ben 20 anni.
De Blasio succede a Michael Bloomberg, da 12 anni a capo della Grande Mela e già braccio destro di Rudolph Giuliani, il sindaco dell’attentato alle Torri Gemelle.
Il successo di questo 52enne si deve in gran parte alla sua campagna politica, incentrata su una forte comunicazione della propria identità familiare. Tutti i newyorkesi sanno infatti che de Blasio è sposato con Chirlane McCray, scrittrice attivista contro il razzismo e sostenitrice dei diritti delle donne omosessuali. Dalla loro unione, avvenuta nel 1994, sono nati due figli: Chiara e Dante. Tutti i membri della famiglia de Blasio hanno partecipato e sostenuto pubblicamente la corsa di Bill a sindaco della città, comparendo in video, talk show e in comizi per promuovere le proposte del candidato.
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Bill de Blasio ha dunque giocato la carta dell’emozionalità, mostrando al pubblico votante quanto fosse progressista anche nella sua quotidianità, con una famiglia moderna e mista, come molte ormai a New York: l’impegno nell’affermazione dei diritti civili della moglie e la sua italianità, esaltata dalla scelta di mantenere il cognome materno e di chiamare Dante e Chiara i figli, hanno poi giocato un ruolo preponderante per aggiudicarsi le preferenze della comunità LGBT e delle minoranze ormai decisive nelle elezioni.
La sua sensibilità nei confronti dei cosiddetti “latini” è ad esempio dimostrata dal fatto che il suo sito ufficiale è tradotto in inglese e spagnolo, senza contare poi l’utilizzo vasto dei social network per diffondere le sue proposte e per chiedere ai sostenitori di votarlo, senza mancare mai di pubblicare foto dall’album di famiglia. Una sorta di Obama ancor più diretto e genuino.
Altro elemento da non sottovalutare nella comunicazione messa in atto dal suo staff è anche la forte appartenenza al quartiere di Brooklyn, dove è nato. Qui, a pochi passi dalla sua abitazione, c’è infatti il cuore strategico del suo entourage e proprio al Park Slope Armory, l’ex caserma della Guardia Nazionale, convertita ora ad ostello giovanile, sta festeggiando insieme ai suoi sostenitori e vecchi amici, molti dei quali hanno contribuito finanziariamente alla sua corsa a sindaco: Bill ha potuto infatti contare su corpose donazioni.
Molti poi i giovani volontari che hanno collaborato per la campagna elettorale, con entusiasmo e fiducia, guardando a de Blasio come alla svolta politica e sociale che da tempo i newyorkesi attendevano. Del resto, anche nel video di lancio della candidatura, Bill de Blasio è presentato come il “cambiamento” necessario per ritrovare l’unità tra i cittadini e, soprattutto, l’uguaglianza.
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Caso 1. Primo appuntamento. Stasera verrà a cena il presunto amore della vostra vita. Tutto è pronto, le candele sul tavolo, il servizio buono. Ma… avete dimenticato un piccolo particolare: sapete cucinare solo l’uovo sodo. Caso 2. Il vostro computer è impazzito, nonostante la vostra necessità impellente di inviare la più importante e-mail di lavoro della vostra carriera professionale. Caso 3. Il rubinetto del bagno si è rotto irrimediabilmente e voi non avete idea di come ripararlo prima che casa si allaghi.
Che si tratti di arte e musica, di informatica, di salute, di fitness, di didattica, lingue straniere o make-up, Google ha pensato ha un modo probabilmente innovativo per risolvere i vostri problemi. Helpouts è una piattaforma online che permette di mettervi in contatto video con una persona reale che, anche istantaneamente, vi spieghi come cucinare un manicaretto, come risolvere un problema informatico, come riparare un elettrodomestico e molto altro. È un’evoluzione del classico tutorial che vi assicura aiuto diretto e specifico in real time, con la formula del soddisfatti o rimborsati.
Helpouts è una creazione di Google e per accedervi è necessario avere un account Google +. Entrati sul sito, il motore di ricerca (ovviamente sempre collegato a Google) vi permette di indicare il problema che volete risolvere o il campo sul quale volete consulenza, assistenza, aiuto. Gli “Helpout providers” ai quali potete rivolgervi sono impiegati di grandi o piccole aziende, o privati, che sono stati selezionati appositamente da Google per offrire questo servizio. Possono essere contattati immediatamente, se disponibili, o per appuntamento. È possibile anche inserirsi in una lista d’attesa nel caso non si voglia perdere l’occasione di interagire con un determinato Helpout provider. Il servizio è a pagamento: le tariffe sono indicate dai providers stessi che possono decidere se farsi pagare al minuto, a “lezione”, o se far scegliere all’utente la modalità di pagamento che preferisce. Si può pagare solo tramite Google Wallet e il 20% del prezzo di vendita va a Google. L’incontro avviene via video e il cliente può stabilire se mostrarsi in telecamera o no. Alla fine dell’esperienza è richiesto un feedback perché è importantissimo garantire l’affidabilità del servizio ed evitare, in ogni caso, brutte sorprese. Helpouts garantisce, infatti, anche il servizio soddisfatti o rimborsati. Se non si è contenti della lezione video, si può richiedere un rimborso della quota versata. Il tutorial interattivo può anche essere registrato su Google Drive. Non manca ovviamente la parte social, dato che gli Helpout preferiti possono essere condivisi su Facebook, Twitter, Youtube e Google +.
È molto probabile che nel futuro sarà introdotta una connessione con alcuni dei tutorial reperibili su Youtube, rimandando direttamente da una piattaforma ad un’altra nel caso in cui si volesse un appuntamento privato e personalizzato col tutore prescelto.
I tutorial costituiscono una categoria video seguitissima e la possibilità di entrare in contatto diretto con una persona in carne e ossa con la quale interagire costituisce un evidente vantaggio. Un altro beneficio è anche la possibilità di avere disponibilità immediata di tutoraggio. Il nome Google, poi, aleggia a garante dell’affidabilità dei contenuti.
È quasi tutto a pagamento e i prezzi proposti non sono neanche dei più modici. Il fattore economico potrebbe far pendere l’ago della bilancia a favore dei tradizionali video tutorial, a volte incomprensibili, sì, ma gratuiti.
Helpouts è appena nato ed è al momento rivolto principalmente ad un pubblico anglofono.
Se l’Helpout provider richiesto ritarda più di 5 minuti sull’orario d’appuntamento, o dà la sua disponibilità per una certa ora in un certa data ma non si presenta, la sessione è gratuita. Efficienza è, infatti, la parola d’ordine alla base del servizio offerto. È quanto traspare chiaramente dalle parole del vicepresidente Google, Manber: “credo che la ragione per la quale internet è un mezzo così potente e di successo risiede nel garantire un livello completamente nuovo di efficienza e convenienza”.
I curiosi e coloro che vogliono apprendere sempre qualcosa di nuovo. A chi perde facilmente la pazienza e agli ansiosi. A chi crede che internet abbia la risposta a qualsiasi interrogativo. Ai socievoli e a coloro che preferiscono l’interazione, specialmente durante il processo di apprendimento.
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L’epopea di Banksy a New York è finita. 31 giorni trascorsi nella Grande Mela sono bastati all’anonimo artista di strada per far parlare di sé la stampa internazionale e la gente comune che ne ha seguito l’eroiche gesta da supereroe graffitaro.
Alla fine della sua vicenda americana, quello che resta è la sensazione, spiacevole e rassicurante insieme, che l’arte di strada si conferma un outsider rispetto al senso comune e ai cliché precostituiti. Il rischio corso dallo street artist di Bristol era quello di piegarsi alle leggi di mercato con delle operazioni di marketing plateali, con delle “performance” che poco avessero a che fare con l’arte e con la strada.
E invece no. L’ultimo messaggio di Banksy è stato molto chiaro: un palloncino svolazzante sulla Long Island Expressway che raffigura le lettere bombate della sua firma, e un appello a salvare 5Pointz, un capannone nel Queens le cui pareti sono ricoperte dalle firme creative di straordinari graffitari che rischia di essere demolito per lasciare spazio a un residence di lusso.
Nell’ultima audio guida, posta a commento della sua esibizione del 31 ottobre, Banksy invita a non istituzionalizzare l’arte demandandola a chiese, istituzioni o cartelloni pubblicitari. L’arte vera è quella fatta in strada, libera e anticonformista, l’arte che non serve a decorare ma che semplicemente e con potenza “è”.
New York è una città audace, ma rischia di essere inghiottita anch’essa dal perbenismo e dall’ipocrita buon senso. Banksy aveva già espresso questo parere sulla città che non dorme mai il 27 ottobre, scrivendo un articolo mai pubblicato per il New York Times: il One World Trade Center, il grattacielo in costruzione che sostituisce le Torri Gemelle dopo la tragedia dell’11 settembre 2001, non è che una dichiarazione della “perdita di nervi” di una città che dovrebbe puntare su ben altro per attestare la propria capacità di ricrescita e la propria coraggiosa natura.
E così, anche dopo il bagno di popolarità newyorchese, Banksy si conferma un personaggio scomodo. Le sue opere sono state cancellate e denigrate, la sua identità è stata ricercata con morbosa curiosità, il suo nome e la sua attività sono diventate per un mese le sorvegliate speciali della polizia di New York. Il sindaco Bloomberg ha definito l’arte di Banksy uno dei tanti modi con cui deturpare delle proprietà private. L’artista mascherato ha eluso, però, tutti gli ostacoli che si sono frapposti al suo traguardo e ne è uscito vincitore.
Oltre a dare una bella lezione di stile e humor a critici bigotti e ortodossi, è riuscito anche nell’intento di prendere in giro il mercato dell’arte. Lo ha fatto prima vendendo originali delle sue opere a Central Park, senza che nessuno ne fosse a conoscenza, poi dando in dono al negozio dell’usato per beneficenza, Housing Works, un suo lavoro che è stato messo all’asta online per più di 600 mila dollari. Si tratta di un quadretto pastorale che l’artista aveva acquistato dal negozio stesso a 50 euro, e che aveva rivisitato inserendovi un soldato nazista che siede pensieroso su una panchina. I soldi ricavati dalla vendita andranno a senzatetto e malati di Aids.
A conclusione di questi 31 giorni di creatività, ironia, originalità, arte, mistero e anticonformismo non possiamo che sperare in una nuova serie di irriverenti performance artistiche ad opera di Banksy o di un suo coraggioso imitatore… chissà dove, chissà quando.
TAFTER aspira a diventare sempre più come voi lo volete, per questo non ha paura di cambiare, crescere ed evolversi.
Tra le sue prerogative c’è l’attualità, l’attenzione rivolta alle nuove tendenze e alle forme culturali emergenti, per questo non poteva tradire la sua natura restando immutabile.
I cambiamenti che interesseranno oggi TAFTER coinvolgono soprattutto l’aspetto della sua homepage.
Poiché si tratta di piccole grandi rivoluzioni, che potrebbero passare inosservate agli occhi dei meno attenti, vogliamo illustrarvele una ad una in modo da poterne giovare tutti, lettori affezionati e nuovi adepti.
Vi dimostreremo che accorgimenti in apparenza minimi, possono rivelarsi importanti novità.
Il menu di TAFTER è il primo ad essere rinnovato e si farà in due per offrirvi sempre maggiori possibilità di navigazione. Alla consueta barra con l’elenco delle sezioni di TAFTER, direttamente cliccabili, se ne aggiunge una seconda che vi consentirà di filtrare i contenuti per temi.
Arte, lavoro, nuove tecnologie, musica, cinema, moda, beni culturali: potrete scegliere di trasformare TAFTER come meglio vi si addice, scegliendo di vedere per ciascuna sezione i contenuti legati ad uno specifico tema.
Per rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità di TAFTER potete ricorrere all’utilissima newsletter, che giungerà comodamente sulla vostra casella di posta elettronica una volta a settimana. Come fare per iscriversi? Semplice! Trovate il form nella nuova homepage, proprio come indicato dalla freccia.
La principale novità che vogliamo presentarvi è però la Settimana di TAFTER: un divertente mosaico di immagini che vi fornirà con un unico colpo d’occhio, tutte le notizie, gli articoli, le opportunità e gli appuntamenti di maggior rilievo pubblicati nell’arco degli ultimi sette giorni.
Passando il cursore su ciascuna delle cornici, vedrete la foto in chiaro e apparirà il titolo del contenuto selezionato.
Ultima trasformazione, sotto la nuvola dei temi tramite cui navigare su TAFTER, troverete il plug-in per la fan page Facebook di TAFTER: la community di “tafteriani” è già folta ma vogliamo ampliarla ancora di più per commentare insieme l’attualità culturale, scambiarci punti di vista, idee o semplicemente per darci il buongiorno la mattina! TAFTER vuole infatti essere per i suoi lettori un punto di riferimento in ambito culturale, ma anche un piacevole interlocutore con cui interagire.
In questo new look di TAFTER noterete l’assenza della nostra cara Miss Marple: vogliamo però rassicurare i suoi fan! La nostra investigatrice non ci ha abbandonati! Tornerà prossimamente più attenta e curiosa che mai per continuare a svelare le malefatte nel campo culturale. Lo farà però sotto nuove spoglie…perché “Niente è duraturo come il cambiamento”.
L’idea primigenia di Zuckeberg quando ha ideato Facebook era di creare un portale tramite il quale socializzare e fare rete. Oggi Facebook è diventato una realtà molto più articolata e complessa, e gli usi che se ne fanno si sono a dir poco moltiplicati. Facebook è diventato anche uno strumento per promuovere l’arte e la cultura, per curare la brand image di un’istituzione culturale o di un museo.
L’ha ben capito l’Essl Museum di Vienna, il museo a venti minuti dal centro della città, che raccoglie la collezione di arte contemporanea dell’austriaco Karlheinz Essl. Si tratta di un museo all’avanguardia, che basa la sua policy sul coinvolgimento diretto dei visitatori. Questi non sono semplici fruitori passivi delle opere esposte, ma sono protagonisti, soggetti direttamente coinvolti nelle attività del museo. Persino nelle sue scelte curatoriali.
La mostra LIKE IT!, inaugurata il 23 ottobre, nasce proprio seguendo i gusti degli utenti dell’Essl Museum che hanno scelto le opere da esporre tramite Facebook. L’esperienza social di LIKE IT! si è sviluppata in due fasi. Dal 30 settembre all’8 ottobre, i fan della pagina ufficiale dell’Essl Museum hanno avuto la possibilità di votare, attraverso un like, tra circa 120 opere, di varie tipologie – pitture, fotografie, video – tutte appartenenti ad artisti della collezione, nati a partire dal 1973. Le più votate sono andate a costituire la mostra allestita nella Great Hall del museo. Una volta scelte le opere era necessario dare inizio alla seconda fase del processo: a tutti gli “Amici” Facebook del Museo è stata data la possibilità di candidarsi come curatori della mostra. 5 elementi sono stati scelti per collaborare con Andreas Hoffer, critico professionista del museo. E così, dopo un workshop intensivo di due giorni, l’allestimento ha avuto inizio e i curatori in erba hanno potuto occuparsi anche dei testi di commento a corredo delle opere.
Un’opera fra tutte è stata scelta ad emblema della mostra, sia perché la più votata, sia perché effettivamente rappresentativa della natura della mostra: Estrella di Patrìcia Jagicza. Si tratta di un dipinto raffigurante una donna che si specchia in un bagno per uomini mentre si sta mascherando. È stata individuata come un simbolo del problema della privacy, del dilemma tra pubblico e privato di cui sono appunto espressione i nuovi mezzi di comunicazione digitale.
L’esperimento con la mostra LIKE IT! è continuato anche durante la Vienna Fair, tenutasi dal 10 al 13 ottobre. I visitatori della fiera sono stati chiamati a votare, stavolta, le 5 opere che costituiscono la parte speciale della mostra “Vienna Fair – The New Contemporary Special Selection”. Il parere degli utenti di Facebook, inoltre, è richiesto per tutto il corso della mostra – che si terrà fino al 6 gennaio – attraverso commenti e like che possono determinare cambiamenti nell’allestimento.
Andreas Hoffer stesso ha spiegato la necessità di portare avanti questo esperimento di curatela social partecipata: è inutile per un museo avere una pagina Facebook, un’identità sui social network, se questi devono essere usati passivamente. I social vanno considerati uno strumento professionale vero e proprio, indispensabile se sfruttato in tutte le sue potenzialità.
Ed effettivamente un prima esperienza del genere l’Essl Museum l’aveva già sperimentata con il progetto “Festival of Animals”. In quel caso erano quattro gruppi a scegliere le opere, a contribuire al catalogo della mostra e a interagire direttamente con gli artisti: i bambini di due scuole, un gruppo di donne della Caritas e i fan Facebook del museo.
Sempre Andreas Hoffer ci ha tenuto a precisare, però, che quello di LIKE IT! sarà un evento “one shot”: è assolutamente vietato ripetersi nel mondo dei social e le domande da porre al pubblico devono variare di continuo. Il caso di questo museo di Vienna va sicuramente tenuto in conto come esempio intelligente di uso dei social media, un modo interattivo e dinamico per coinvolgere pubblici sempre più vasti, soprattutto giovani, all’interno di strutture e processi che spesso sono percepiti troppo settoriali o elitari. Uno sguardo fresco e nuovo sulle cose, specialmente nel mondo dell’arte e della creatività, non fa mai male.
Grazie al web, moltissime sono le iniziative che permettono a lettori, scrittori, appassionati di arte cultura e letteratura di tutto il mondo di incontrarsi e conoscersi; ora anche i Comuni fanno Reti per dare vita a idee e percorsi creativi volti a valorizzare il loro territorio e i loro illustri antenati.
A Certaldo, piccolo ameno paesino della provincia di Firenze in Toscana, lunedì 21 ottobre è stata presentata in maniera solenne l’iniziativa del “Progetto Europeo Città dei Grandi Letterati”.
Alle ore 9.30, nel Palazzo Pretori a Certaldo Alto, si è illustrato il progetto che coinvolge diverse città gemellate, accomunate dalla prestigiosa peculiarità di aver dato i natali a grandi insigni letterati: Certaldo stesso patria di Giovanni Boccaccio; Canterbury (UK) di Geoffrey Chaucer, autore dello storico ‘Canterbury Tales’; Chinon, piccola cittadella sulla Loira, culla dell’umanista Francois Rabelais, celebre per Pantagruel e Gargantua; Neuruppin, in Germania, casa natale di Theodore Fontane, di cui tutti conosciamo la raccolta di favole.
Situato al centro della Valdelsa, Certaldo con i suoi 15.791 abitanti si è sbizzarrito per valorizzare il proprio territorio stringendo ormai da 50 anni forti legami di amicizia e di scambio con diversi comuni gemellati, dall’Europa al Giappone. Quest’anno, per festeggiare in modo speciale i 700 anni dalla nascita di Giovanni Boccaccio, il calendario di iniziative si è presentato assai ricco e ben organizzato.
Tantissimi eventi si sono susseguiti fin dall’inizio di quest’estate, come istallazioni, mostre itineranti, letture spettacolo, convegni e concerti che hanno coinvolto molte personalità ed artisti di rilievo; oltre a festival, seminari, iniziative, premi e concorsi che hanno contribuito ad avvicinare il giovane pubblico.
Numerosi turisti locali e stranieri hanno avuto occasione di partecipare agli ‘Itinerari culturali’ ideati per valorizzare il paesaggio storico, letterario e artistico di circa trenta Comuni toscani di tutte le province, attraverso i luoghi del Decameron: quattro percorsi nella Toscana del Trecento, passando per piccoli paesi, città importanti, colline, fiumi, boschi e montagne, guidati dalle novelle di Boccaccio.
Proprio in questi ultimi giorni, da venerdì 18 ottobre a martedì 22, nel centro storico si sono festeggiati i tradizionali gemellaggi con degustazioni di prodotti tipici tedeschi e menù cucinati dall’Accademia dei Cuochi di Neuruppin (Germania), l’apertura della mostra omaggio degli artisti stranieri a Giovanni Boccaccio con opere di pittura, grafica, scultura e si è concluso martedì con l’inaugurazione degli alberi dedicati a Kanramachi, paese gemellato del Giappone.
Con il “Progetto europeo Città dei grandi letterati”, questa rete di entusiasti Comuni propositivi si vuole impegnare ad unire forze ed idee creative per studiare possibili itinerari turistici al fine di valorizzare le opere dei loro illustri letterati attraverso percorsi, mostre, spettacoli e altre iniziative da pensare insieme.
Ed è il Web lo strumento fondamentale per la gestione e realizzazione di queste reti, grazie al quale è possibile stringere contatti e creare iniziative che coinvolgono diversi angoli del globo; rimane il problema della modalità di utilizzo dei network, in modo che siano capaci di garantire sempre qualità ed efficienza anche e soprattutto dal punto di vista culturale.
Nel grande mare magnum del web infatti sono centinaia le riviste culturali on-line, community e blog ma è di certo ben più raro incontrare piattaforme qualificate, dove celebri scrittori si aprono al grande pubblico per consigliare, invitare alla lettura e a un confronto critico, come è il caso di ClubDante, primo social network italiano dedicato alla cultura narrativa, strutturato in diverse sezioni tra cui l’Agorà, ossia l’area del forum, e l’angolo delle recensioni che ospitano nomi di scrittori importanti dall’Italia, la Spagna e paesi dell’America Latina quali Marcello Fois, Domenico Starnone, Roberto Saviano, Carlo Lucarelli, Paolo Giordano, Luis Sepùlveda, Paco Ignacio Taibo II e molti altri. O anche HALMA, rete letteraria pan-europea fondata nel 2006 dall’associazione Literary Colloquium Berlin che coinvolge una fitta rete di scrittori, traduttori ed editori perlopiù provenienti dall’est Europa, ma da poco conosciuta anche in Italia.
Nonostante la cosiddetta crisi, a livello locale sono per fortuna ancora tante le iniziative organizzate per conoscere e scambiarsi idee e progetti per valorizzare il proprio patrimonio storico-artistico-culturale, oltre che incentivare la scoperta e la creatività delle nuove generazioni.
È importante però che non solo dal mondo di privati e associazioni ma anche da parte dei Comuni si stiano investendo molte risorse per organizzare tanti piccoli eventi culturali, di cui le “Notti della letteratura europea” e il “Festival dei blog letterari” sono esempi importanti di scelte che appaiono controcorrente rispetto al patetico adagio che si ostina a sostiene che con la cultura non si mangia.
Mettendosi insieme si può mangiare, e bene, come sembrano dimostrarci le numerose iniziative promosse dall’Associazioni e Reti di Comuni in Italia, dove Comuni uniti da identità culturali, sapori tipici, bellezze naturali, arte, storia, tradizioni o ideali, anche attraverso il web, fanno Rete per valorizzare e incentivare le proprie bellezze e potenzialità.
È tutto un susseguirsi di “pare che” e “sembrerebbe”. La notizia della nascita di un nuovo portale di informazione basato sul giornalismo investigativo è ancora fumosa e avvolta nel mistero.
È solo di ieri, d’altra parte, la conferma ufficiale che due personaggi molto in vista del mondo del business e dell’informazione statunitense hanno deciso di unirsi per dare vita ad uno strumento potenzialmente pericoloso, di sicuro molto intrigante, che potrebbe costituire una svolta epocale nel modo di fare giornalismo. Eppure, qualche “soffiata” di approfondimento in materia è possibile riuscire a reperirla per saziare i primi morsi della curiosità, o alimentarli con interrogativi che si spera abbiano presto risposta. Vediamo insieme chi sono i protagonisti di questa avventura giornalistica e cosa hanno in mente di fare:
PIERRE OMIDYAR: imprenditore e filantropo americano di origini iraniano-francesi, è meglio conosciuto come il fondatore di eBay, grazie al quale è diventato milionario all’età di trent’anni. Di recente, si è dedicato al giornalismo investigativo e alla comunicazione fondando il giornale hawaiano, Honolulu Civil Beat. Quest’estate ha provato ad acquistare il Washington Post, ma poi ha lasciato l’onore e l’onere a Jeff Bezos, il creatore di Amazon. L’esperienza lo ha, però, stimolato e un’idea è balenata alla sua mente di benefattore milionario: investire in un canale di informazione totalmente nuovo, rivoluzionario, famoso prima ancora di nascere.
GLENN GREENWALD: giornalista, blogger, avvocato è – anzi era – una delle penne più chiacchierate del The Guardian. Il suo nome è stato illuminato dalle luci della ribalta nel momento in cui è scoppiato lo scottante Datagate. Si tratta di uno degli scandali più spinosi che hanno riguardato la NSA statunitense, opera di Edward Snowden. Questo giovane informatico, impiegato della CIA, nel maggio del 2013 ha rilasciato alla stampa britannica materiale top secret riguardante i programmi di sorveglianza di massa dei governi europei e americani. Snowden ha dichiarato di aver compiuto questo gesto perché non vuole vivere in un mondo in cui la privacy e la libertà dei cittadini sono seriamente compromesse e violate da quegli stessi governi che dovrebbero proteggerle. Le rivelazioni di Snowden sono passate attraverso gli articoli di Greenwald, che possiede ancora materiale inedito a riguardo.
Greenwald ha dichiarato ufficialmente di lasciare The Guardian per abbracciare il progetto di Omidyar. D’altra parte egli stesso, insieme alla collega documentarista Laura Poitras e all’esperto di sicurezza nazionale del The Nation, Jeremy Scahill, aveva maturato l’intenzione di creare uno spazio online dedicato al giornalismo indipendente.
IL NUOVO CANALE DI INFORMAZIONE: da quanto trapelato dalle prime informazioni, si tratterà di un canale interamente online che unirà i più dotati giornalisti indipendenti. Non avrà una linea politica, ma il suo scopo sarà far trapelare la verità. Una parola difficile e spesso spaventosa che, però, Gleenwald e Omidyar non hanno paura di associare al loro progetto. Il fondatore di eBay investirà inizialmente un budget di 250 milioni di dollari (l’offerta che aveva avanzato per acquistare il Washington Post). Per scrivere per il nuovo potente colosso investigativo è necessario essere giornalisti indipendenti, dalle forti opinioni, esperti nel proprio campo e con un buon seguito di lettori. Il punto di forza che sbaraglierà la concorrenza starà nel combinare il giornalismo tradizionale con le nuove frontiere del blogging e con le potenzialità infinite del mondo digitale. Tre ingredienti ne faranno uno strumento potente: validi editori e “investigatori”, il supporto tecnologico, un ottimo ufficio legale. Sebbene, infatti, il nuovo portale si occuperà di tutto – sport, economia, intrattenimento, nuove tecnologie – il suo “core business” sarà il giornalismo investigativo e non si esclude che il resto delle informazioni concesse da Snowden non possa costituire il primo tassello di questo nuovo canale di informazione. Tutto ciò non lo renderà uno strumento di nicchia, anzi, il proposito dei suoi ideatori è proprio quello di iniziare un tipo di giornalismo personalizzato, ispirato alle aziende della Silicon Valley che puntano e investono sullo studio dei gusti e delle esigenze dei consumatori e soprattutto sul loro engagement.
I dettagli sul progetto si interrompono più o meno qui, nello stesso punto in cui comincia la sfilza di interrogativi sul suo senso ultimo. I contorni per definire i “buoni” e i “cattivi” sono ancora troppo sfumati e non ci resta che stare a vedere.
Amanti dei libri e della lettura, segnate questa data sul calendario perché non potete perdervela!
Il 17 ottobre è il Social Book Day, iniziativa lanciata da Libreriamo, che vuole coinvolgere tutti gli appassionati attraverso ogni canale social disponibile.
Crescono infatti forum, gruppi di discussione, fan page, profili, blog e quant’altro dedicati a libri e lettura: la rete si sta dunque rivelando un catalizzatore per lo scambio di testi e consigli, suggerimenti e lancio di iniziative che ruotano attorno al tema.
Giovedì prossimo siamo perciò tutti invitati a esprimere la nostra personale dichiarazione d’amore verso la cultura utilizzando tutti gli strumenti virali di cui disponiamo.
“Basta twittare o pubblicare su Facebook e su tutte le altre piattaforme una frase personale, un pensiero, una citazione del proprio autore preferito, un claim a sostegno della lettura e dei libri e in cui sia sempre presente l’hashtag #socialbookday”: queste le semplici istruzioni lanciate da Libreriamo per partecipare a questo primo Social Book Day. Le testimonianze più significative verranno poi raccolte per redigere un vero e proprio manifesto che verrà diffuso con ogni mezzo, anche attraverso l’aiuto della carta stampata.
C’è chi poi ha deciso di promuovere la lettura alla vecchia maniera, affidandosi alla più tradizionale biblioteca; “tradizionale” si fa per dire, ma pur sempre social. Si tratta infatti di spazi adibiti a raccogliere libri, cd e dvd da mettere a disposizione della comunità… condominiale.
Accade ad esempio a Roma, nel cuore di Trastevere, in Via Giovanni da Castelbognese 30, alla Scala C. I condomini si sono uniti per tramutare la stanza utilizzata per le assemblee in un vero e proprio luogo di incontro e aggregazione: le pareti sono infatti coperte di scaffali colmi di libri, fumetti, riviste, cd e tutto ciò che fa cultura. A gestire questo spazio idilliaco, chiamato la Biblioteca Al Cortile, due signore volontarie e il portiere, che garantiscono la fruizione del materiale due giorni a settimana per due ore.
Anche a Milano c’è un condominio in Via Rembrandt 12 che, nei suoi spazi al pian terreno, ospita la sua biblioteca. Libri donati dagli abitanti del palazzo anni ’50 sono stati resi disponibili alla comunità insieme a volumi salvati dal macero, i primi entrati a far parte della collezione.
Il prestito è anche qui gratuito e può avvenire per un tempo massimo di un mese. Non manca una sezione dedicata appositamente ai più piccoli e possono consultare i testi condomini e non.
Miracoli dei libri che, oltre a rappresentare un grande patrimonio culturale, rappresentano evidentemente veri e propri strumenti di condivisione e comunicazione, oggetti di riflessione e discussione, motivi di incontro tra utenti virtuali e vicini reali.
Laddove nemmeno la modernità del 2.0 riesce a far conoscere dirimpettai di appartamento, la passione e la curiosità che un testo può generare è capace di abbattere ogni barriera che i tempi moderni hanno imposto.
Ai più di ottant’anni (l’età di una signora non si specifica mai) e sono le 4 del mattino. A quell’età due sono le possibilità: o sei già sveglio perché l’insonnia è ormai parte di te, o dormi profondamente come un bambino. Se stai ronfando come tutte le notti, lo squillare del telefono difficilmente riuscirà a svegliarti. Anche se a chiamare è nientepopodimenoche l’Accademia di Svezia. E anche se quello che vuole annunciarti è che… hai vinto il Premio Nobel per la Letteratura (insieme a circa 900mila euro)! È successo proprio questo, poche ore fa, alla scrittrice canadese Alice Munro, Nobel per la Letteratura 2013. Scopriamo insieme chi si cela dietro il sorriso aperto di questa donna dai capelli argentei.
VITA (e qualche spettegolezzo): Alice Munro si chiamava Alice Laidlaw prima di sposare James Munro, compagno di Università alla Western Ontario, lavorava in biblioteca e per arrotondare serviva ai tavoli come cameriera e raccoglieva tabacco. Eppure la passione per la letteratura fermentava in lei, tanto che il primo racconto, “The Dimensions of a Shadow”, lo scrisse a 19 anni. James non fu l’unico uomo della sua vita, però, e un altro compagno dei tempi dell’università fece breccia nel suo cuore, Gerald Fremlin, che condivise con lei gioie e dolori fino alla sua scomparsa, in una casa in Ontario che pare sia deliziosa quanto le villette degli Hobbit nella Terra di Mezzo di tolkeniana invenzione.
OPERE: dopo quel primo racconto, “The Dimensions of a Shadow”, la vena letteraria della Munro produsse senza sosta opere entrate nella storia della letteratura anglofona. A partire da La danza delle ombre felici (Dance of the Happy Shades) del 1968, per continuare con Chi ti credi di essere? (Who Do You Think You Are?) del 1995, passando per Nemico, amico, amante… (Hateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage) del 2001, fino ad arrivare a La vista da Castle Rock (The View from Castle Rock) del 2006, la Munro ha suscitato il favore del pubblico e della critica, ottenendo premi prestigiosi e riconoscimenti internazionali. La chiave del suo successo sta nella semplicità complessa, nella capacità di raccontare con profonda intensità le vicende di uomini e donne comuni dell’Ontario, senza cadere mai nello stucchevole o nel banale. I suoi sono personaggi nei quali tutti possono rispecchiarsi e magari trovare quel senso di ambiguità, incertezza, instabilità che costella la vita di ciascuno di noi.
LATI OSCURI: l’unica ombra nella carriera della Munro potrebbe essere il rimpianto di non aver mai scritto un vero e proprio romanzo. Il suo editore, Doug Gibson, ha raccontato che durante i loro primi incontri la scrittrice si sentiva terribilmente sottopressione proprio perché desiderava “diventare seria” e scrivere un romanzo. Fu lo stesso Gibson, però, a riconciliarla con la sua natura creativa: il suo punto di forza era proprio quello di essere una velocista e non una maratoneta. Da parte nostra possiamo dire che Gibson ci aveva visto benissimo, considerate le innumerevoli soddisfazioni che la scrittura di racconti ha riservato alla Munro nel corso degli anni, fino all’ambitissimo Nobel.
LA CITAZIONE: Il racconto non è una strada da seguire, è più una casa. Ci entri e ci rimani per un po’, andando avanti e indietro e sistemandoti dove ti pare, scoprendo come le camere e i corridoi sono in relazione tra loro, e come il mondo esterno viene alterato se lo si guarda da queste finestre. E tu, il visitatore, il lettore, sei cambiato, allo stesso modo, dal fatto di trovarti in questo spazio chiuso, che può essere ampio e semplice da percorrere, o pieno di svolte improvvise, scarno o sontuosamente decorato. Puoi tornarci tutte le volte che vuoi, ma la casa, la storia, conterrà sempre qualcosa in più di quello che ci hai trovato l’ultima volta.
Alice Munro ha risposto con deliziata sorpresa all’annuncio della vittoria del Nobel per la Letteratura, onore che ha definito “quite wonderful” e si augura che questo suo successo possa ridare meritato lustro all’intera letteratura canadese. Noi non passiamo che farle i più sentiti auguri e… tutto il resto è storia.
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Nel nostro Paese, ancora oggi, si realizzano spot o campagne pubblicitarie in cui si tende a rappresentare la famiglia in modo molto tradizionale, come era negli anni ’50 o ’60: il papà che lavora fuori casa, la mamma casalinga, i figli che studiano e hanno necessità di ricche colazioni e sostanziose merende (benché l’obesità infantile sia piaga riconosciuta).
Questi stereotipi non sono più totalmente in linea con la nostra società, che è cambiata, si è evoluta e in cui i ruoli si sono modificati: il papà oggi cambia i pannolini, la mamma lavora anche fuori casa, ecc. Non siamo certo ai livelli del nord Europa, ma ritengo giusto che la pubblicità rifletta la società contemporanea.
E’ quindi corretto che si tenga conto anche delle situazioni non tradizionali (se vogliamo usare questa terminologia), delle diversità (tema che sarà proprio al centro della Nona Conferenza Internazionale della comunicazione sociale che come Unicom stiamo organizzando al fianco di Pubblicità Progresso per il prossimo 18 novembre a Milano, dedicata a “Il valore della diversità – Verso una nuova cultura di genere”).
Ben venga, dunque, se la pubblicità adeguandosi ai tempi, contribuisce ad un cambio di mentalità.
Non trovo invece che sia corretto strumentalizzare questi temi (omofobia, violenza sulle donne ecc.) perché, purtroppo, fanno scalpore e quindi fanno sì che si parli di quello o quell’altro spot.
Riguardo all’infelice affermazione di Guido Barilla, si può leggere in due modi differenti. Può essere stata frutto di una svista, carpita a tradimento da un abile conduttore. Diciamo che da un capitano d’azienda ci si aspetterebbe più capacità di reazione e più prontezza, invece sembra sia caduto molto ingenuamente nella trappola che gli era stata tesa.
Viceversa potremmo sospettare che si sia voluto esprimere in questi termini proprio per sfruttare lo scalpore che ne è derivato, ma in questo caso si è rivelata un’arma a doppio taglio, un vero boomerang.
Un ultimo commento lo lascio alla nuova comunicazione di Enel “#Guerrieri”: trovo l’idea creativa interessante, capace di generare il coinvolgimento e di far sentire protagonista la gente comune con i suoi problemi quotidiani, a patto che non sia un modo di accattivarsi questo target in vista di future operazioni finanziarie.
… quindi sì alla vita reale, no alle strumentalizzazioni.
Donatella Consolandi è Presidente Unicom – Unione Nazionale Imprese di Comunicazione
È un canale Youtube, una app su Spotify e anche un blog. Official Comedy è il nome giusto da digitare se si vuole ridere, sorridere, ritrovare il buonumore gustandosi gli sketch dei migliori attori comici del panorama americano e internazionale. Dietro Official Comedy si “nasconde” Bedrocket, l’azienda americana di media e comunicazione che si occupa di intrattenimento e video story telling.
Iscrivendosi al canale Youtube o scaricando l’app su Spotify – gratuitamente – si ha accesso al database della Bedrocket che offre a disposizione un ricco programma di interpretazioni comiche, da quelle storiche risalenti a Bill Cosby e ai Monty Python, alle più recenti tratte da sit-com di ultima tendenza, o a debuttanti nel panorama comico internazionale. Le sezioni messe a disposizione degli utenti sono, infatti, Funny Now, Comedians, One-Liners e Playlists.
Avere un canale a tema comicità, i cui contenuti sono stati selezionati da un referente autorevole in materia, come Bedrocket, è sicuramente un bel punto di forza.
Gli utenti italiani potrebbero essere indispettiti dalla esclusività della lingua inglese all’interno del canale. Ma si potrebbe anche trattare di un buon pretesto per fare un po’ di listening di lingua inglese divertendosi, nell’attesa che sia disponibile un canale simile in versione italiana.
Lo slogan di Official Comedy volendo si può riadattare alla vita di tutti i giorni: “Watch. Laugh. Repeat”.
Chi è appassionato di cinema, serie televisive, comicità; a chi ama ridere e concedersi qualche minuto al giorno di buonumore.
http://open.spotify.com/app/officialcomedy
http://www.youtube.com/user/OfficialComedy
http://officialcomedy.tumblr.com/
Facebook si sta preparando a una nuova battaglia per la gestione dei dati personali dei suoi utenti con le sei principali organizzazioni americane che difendono la privacy. I legali delle associazioni hanno infatti inviato una lettera alla Federal Trade Commission (Ftc), l’ente governativo per la protezione dei consumatori, e ai politici degli Stati Uniti sostenendo che i recenti cambiamenti fatti dal colosso dei social network violano i termini di un accordo del 2012 siglato da Facebook con la stessa Ftc.
In pratica Facebook, nel nuovo accordo che fa firmare ai suoi utenti, sostiene di avere il diritto di usare le informazioni dei profili e le immagini dei suoi iscritti per fare campagne pubblicitarie agli amici senza chiedere alcun consenso e senza dare alcun compenso agli interessati. Secondo le associazioni invece l’accordo stipulato con la Ftc un anno fa prevede che Facebook non possa condividere informazioni dei suoi utenti senza chiedere ogni volta il permesso in modo esplicito e senza pagare per l’uso dei dati. Presupposti che, nelle nuove regole che entreranno in vigore nei prossimi giorni, sono del tutto assenti.
Le associazioni hanno espresso indignazione anche per un cambiamento apportato alle politiche sulla privacy per i minori di 18 anni. Dando il loro consenso alle nuove regole, infatti, i giovani user dichiarano che anche i loro genitori sono concordi con quanto firmato.
La nuova polemica che si è innescata sull’utilizzo dei dati personali e sulle privacy policies di Facebook (soggette a cambiamenti e integrazioni con cadenza ormai frequentissima) costituiscono l’occasione per una riflessione – che possiamo definire “filosofica” – riassunta dalla domanda: quale è oggi il senso ultimo delle rivendicazioni circa la tutela della privacy nel mondo digitale iperconesso, globalizzato e tecnologizzato?
Ha in parte affrontato la questione – partendo dal caso Snowden e dal ruolo della NSA americana – Evgeny Morozov nel suo interessante articolo “Addio privacy” (pubblicato su “Internazionale” del 6 settembre 2013). In questa sede appare significativo – della vicenda Facebook – che le sei associazioni USA a tutela della privacy abbiano contestato il mancato pagamento degli utenti per l’uso dei dati che il social network intende fare inviando alla rete di loro amici messaggi promozionali e commerciali. Emerge cioè nel dibattito un aspetto spesso sottaciuto nelle “crociate” a tutela della riservatezza: quello del valore commerciale dei dati personali come merce primaria nel mercato globalizzato.
Non si è contestato a Facebook (solamente) l’utilizzo senza consenso dei dati: si è contestata la violazione (commerciale) di un uso gratuito delle informazioni. Non si è contestata la violazione della riservatezza come indebita invasione in una sfera privata e intima (concetto novecentesco e ante Terza Rivoluzione Industriale di Internet), ma si è contestato il fatto che gli utenti di Facebook (e i loro amici) perdono il potere di libera e autonoma auto-determinazione (anche di tipo economico-commerciale) sui propri dati. E’ esattamente questo il senso ultimo – diremmo quasi la ontologia – della privacy nell’attuale Società della Informazione Globale: il senso del diritto alla riservatezza non è più quello – come qualcuno ha detto – di “farsi Robinson Crusoe nel mondo iperconesso”, ma è il potere di controllo (mediante corrette e preventive informative) che ciascuno deve avere sulle informazioni che lo riguardano. E solo da questo potere di controllo – che sia però effettivo e concreto – può nascere la libera e consapevole autodeterminazione circa l’autorizzazione a terzi (mediante i meccanismi di consenso) a fare uso dei nostri dati personali. E’ solo con la certezza di poter controllare i nostri dati (decidendo anche di farne oggetto di transazioni commerciali, di vera e propria vendita) che ci rendiamo disponibili a diffondere, condividere, trasmettere, comunicare nel mare magnum della Rete una massa enorme di informazioni, nell’ambito di un fenomeno (quello dei social network) che appare caratterizzato dalla volontà degli stessi utenti di cancellare la propria privacy, rendendo partecipi i terzi (sia pure “amici”) di ogni minuto della nostra vita (digitale e reale).
Ogni privacy policy che ci sottragga il controllo (anche economico) sulle nostre informazioni, non potrà che scatenare polemiche: ma non perché viene violato “the right to bel et alone” di ottocentesca memoria (prima teorizzazione del right to privacy nel 1896), ma perché ci viene tolta appunto la condivisione su scelte primarie e su beni economici primari quali sono i dati nella società del XXI secolo.
Alessandro del Ninno è avvocato presso la Tonucci &Partners e professore universitario
Finalmente la Commissione europea ha dato il via libera al pacchetto di misure inerenti le misure tlc in tema di roaming. Effettuare e ricevere chiamate all’estero diventerà molto meno caro abbattendo di fatto le frontiere territoriali che oggi vigono in tema di telecomunicazioni.
Basta quindi ai rincari non appena varchiamo la soglia nazionale: il presidente della Commissione Jose Manuel Barroso ha infatti stabilito che dovranno essere abbattuti tutti i costi extra in Europa per le chiamate in entrata da luglio 2014 e per quelle in uscita da luglio 2016.
Gli operatori potranno quindi decidere di proporre ai loro clienti delle formule di abbonamento per l’estero in linea con le tariffe dei paesi stranieri oppure lasciare che i propri utenti, una volta arrivati a destinazione, decidano di passare ad un altro operatore più conveniente senza bisogno di cambiare Sim.
In ogni caso nessun operatore telefonico potrà sforare la soglia prevista dei 19 centesimi al minuto (iva esclusa).
Un balzo in avanti dunque per la mobilità e la concorrenza che si traduce nell’annullamento anche dei blocchi e delle limitazioni della rete internet. Secondo il “principio della neutralità di internet”, infatti, gli utenti potranno recidere più facilmente dai contratti con i fornitori mentre questi ultimi avranno sempre la possibilità di fornire servizi specializzati, a prescindere dal device e dal territorio in cui i clienti si collegano.
Le porte delle TLC cominciano quindi ad aprirsi ad un mondo più vasto in cui i confini (economici, territoriali e aziendali) piano piano vanno sparendo.
Curiosa e accattivante la sfida lanciata dalla Società Dante Alighieri, tramite la redazione di madrelingua, di “riscrivere” il Decameron in una modalità da terzo millennio. Un omaggio certo particolare a Boccaccio che devoto alla tradizionale retorica dei classici latini e affascinato dalla letteratura cortese dei versi d’amore e dei romanzi cavallereschi, scrisse la famosa raccolta di novelle (Decameron in greco significa di dieci giorni) in cui si cela una profonda riflessione sulla realtà terrena, attraverso cui l’autore celebra l’intelligenza umana che per mezzo della parola è capace di plasmare e dominare la realtà e superare gli ostacoli della natura e della vita, il tutto sempre condito dal motivo amoroso, spesso ironico e licenzioso.
Così come 700 anni fa si rivolgeva alle donne, tradizionalmente escluse dagli studi e dall’alta cultura, così oggi attraverso la rete è ancora la parola la chiave per la sopravvivenza della passione per la letteratura intesa come piacevole intrattenimento per un pubblico non composto solo da eruditi o professori.
Dal 1° agosto 2013 infatti gli utenti della rete sono chiamati a contribuire liberamente attraverso tweet di 140 caratteri precisi (twoosh), uno in rima e uno in prosa, al commento di ogni novella.
100 giorni dunque per leggere e lanciarsi in questo simpatico gioco 2.0. su Twitter indirizzato a @la_dante: hashtag del progetto #14000DB.
Numerosi sono ormai gli esempi di letteratura, lettura condivisa e raccolta di commenti e critiche online, dove l’uso dei social network è pane quotidiano.
Twitter, considerato come una nuova pratica letteraria, ospita da un paio d’anni diversi esperimenti “cinguettanti” come il racconto “Black Box” del premio Pulitzer Jennifer Egan, raccontato in spezzoni da 140 caratteri tramite l’account del “The New Yorker”; il progetto #Leucò della Fondazione Cesare Pavese che invitava a commentare riscrivendo e reinventando in 140 caratteri i romanzi classici, o ancora l’esempio di Serial TW che ha coinvolto lo scrittore Marco Belpoliti nella riscrittura di 100 fiabe italiane in 100 giorni.
Slogan comune: less is more, ovvero scrivere testi chiari, concisi, comprensibili ed essenziali, inserire immagini ben definite e originali e video brevi. Le potenzialità della comunicazione consentono di creare relazioni e interazioni su una scala mai vista, sviluppare promozione, coinvolgere direttamente gli utenti e creare partecipazione; la finalità è quella di informare, promuovere, vendere e consolidare il proprio brand reputation, la reputazione, la notorietà, l’immagine che si dà, il consenso che si ottiene.
Facebook, Twitter, Youtube sono diventati oggi social network importanti anche per la cultura, all’interno di un sistema globalizzato dove spesso la terminologia e le modalità discendono dal marketing.
È interessante considerare come questo approccio discenda dalla mentalità anglosassone, abituata a leggere ed insegnare la letteratura puntando al significato e all’utilità del messaggio contenuto nel testo rispetto alla realtà attuale, diversamente dall’impostazione storica basata sulla contestualizzazione spazio-temporale di autore e opera.
Oggi internet è lo strumento che permette a chiunque di avere un contatto diretto e immediato con la conoscenza e l’informazione e può dunque aiutare a trasmettere ai giovani la passione e il piacere della letteratura e della cultura. Di certo però non può considerarsi un tweet esaustivo della profondità e complessità di un libro, si voglia in formato cartaceo o e-book, ma certamente questo può essere un ottimo mezzo per raggiungere la società più multiforme, incuriosire e spingere poi alla ricerca, alla lettura e alla riflessione.
Bell’idea quindi la proposta lanciata dalla Dante, dove sfida il pubblico di appassionati e non a rileggere le novelle di Boccaccio ripensandole nella nostra realtà e riscrivendole con il linguaggio breve e puntuale del tweet. Un simpatico esercizio per mettersi in gioco, liberare la creatività e sguinzagliare la curiosità che ieri come oggi ci rende esseri umani, liberi e pensanti.
Ricordiamo che nel mese di novembre, durante un evento speciale su Boccaccio le versioni più efficaci, divertenti o insolite saranno premiate con un dizionario Devoto-Oli e con la tessera della Società Dante Alighieri per il 2014.
Nascondono il loro volto, restano nell’anonimato o si appropriano di visi non loro. Sono artisti, cantanti, gruppi musicali, scrittori o performer che hanno deciso di mandare avanti le loro opere senza che queste vengano collegate e possano essere collegabili ad una persona.
Così come il Trattato del Sublime rimase alla storia assieme all’Anonimo del Sublime, il suo incerto e discusso autore, molti potrebbero essere gli artisti, in diversi ambiti, di cui ricorderemo il creato senza possedere ricordo fisico del creatore.
Ce ne vuole al giorno d’oggi a sfuggire a internet, ai social network, alla stampa, ai blogger, alla tv, ai giornali, ma alcuni sembrano riuscirci sul serio. In questi anni in cui COME comunichi è più importante di COSA comunichi l’anonimato potrebbe a prima vista essere una scelta anacronistica.
Niente di più sbagliato. L’oblio è esso stesso comunicazione, un marketing efficace che permea un nome di aleatorietà e mistero, due caratteristiche difficilmente riscontrabili nei personaggi pubblici.
Meno ti vedo, più ti voglio vedere. Meno so di te, più ho brama di sapere.
Passiamo allora in disamina le figure più rappresentative di questa corrente:
BANSKY: street artist amatissimo e anticonformista le sue opere appaiono nel cuore della notte. Nessuno sa il suo nome, nessuno sa com’è fatto. E quelli che dicono di averlo visto all’opera hanno prontamente venduto queste informazioni su ebay.
Perché lo fa? Perché le sue opere di street art sono bellissime ma non sempre legali.
Durerà per sempre? Probabilmente no. Pur rimanendo anonimo, Bansky rilascia interviste a radio e giornali, senza però mai mostrare il suo viso e camuffando adeguatamente la sua voce.
GUERRILLA GIRLS: collettivo di artiste anonome, le Guerrilla Girls nascono a New York nel 2985. La loro arte consiste nel diffondere manifesti artistici con il fine di promuovere le donne e le persone di colore all’interno dell’arte contemporanea.
Perché lo fanno? Perché denunciano i rapporti corrotti nel grande mercato dell’arte, nei circuiti di Hollywood e hanno paura di ritorsioni nei loro confronti.
Durerà per sempre? Probabilmente sì perché allo stato dei fatti forse nemmeno loro sanno più chi sono. Nel 2001, infatti, il gruppo ha dato vita a tanti altri mini aggruppamenti tra cui le
Guerrilla Girls, Inc., le GuerrillaGirlsBroadBand e le Guerrilla Girls On Tour.
MINA: cantante italiana tra le più famose di sempre, di lei si conosce nome, cognome e volto ma dal 1978 non si esibisce più in pubblico e quindi nessuno sa che aspetto abbia oggi.
Perché lo fa? Perché ha deciso di congelare la sua figura a quella degli anni ’70 e desidera che di lei sia ricordata principalmente la sua voce.
Durerà per sempre? No. Le sue apparizioni sono sporadiche ma, continuando a cantare e ad incidere cd spesso si trovano in rete i dietro le quinte delle sue registrazioni.
GORILLAZ: i Gorillaz sono un vero e proprio progetto musicale virtuale. Definiti come una cartoon band, vendono milioni di dischi in tutto il mondo ma la loro composizione è ancora incerta. Di loro si conoscono solo Damon Albarn (leader dei Blur e dei The Good, the Bad and the Queen) e Jamie Hewlett, co-creatore del comic book Tank Girl. La band è poi costituita da quattro personaggi sotto forma di animazioni: 2D, Murdoc, Noodle e Russel. Recentemente è stato aggiunto un quinto membro, Cyborg Noodle.
Durante i loro live le luci sono soffuse e si riescono ad intravedere solo ombre. Quando le luci si alzano, la band si mostra a volto coperto.
Perché lo fanno? Per differenziarsi dagli altri e perché i membri della band cambiano in continuazione.
Durerà per sempre? Durerà finché continueranno ad incidere dischi. Una volta morto il “marchio” Gorillaz, non avranno più scuse e potranno svelare di più. Per il momento devono tener duro e stare al gioco, anche perché il primo album della band pubblicato nel 2001 ha venduto circa 6 milioni di copie in tutto il mondo e gli è valso l’entrata nel Guinness dei primati come band virtuale di maggior successo.
Tiriamo le fila: se l’anonimo uccide la propria identità fisica, è pur vero che spesso non ci riesce per sempre. La maggior parte degli pseudonimi e delle maschere sono stati abbandonati in punto di morte. Della persona o del personaggio. Nessuno riesce a resistere all’effetto che fa e tutti vogliono essere riconosciuti prima che sia troppo tardi.
Perché in fondi tutti siamo umani ed abbiamo diritto ai nostri 15 minuti di celebrità.
Anche chi è stato celebre per una vita intera, ad insaputa degli altri.
Ah, ovviamente siccome durante la scrittura di questo articolo mi sono appassionat* all’argomento, ho deciso di non firmare questo articolo e di prendere anche io parte, per poche ore, al regno incontaminato dei personaggi senza volto e senza nome.
Non tirate ad indovinare, non ci riuscirete. Un giorno magari, deciderò di uscire allo scoperto.
Chi l’avrebbe mai detto che nell’era del capitalismo più spietato e del consumismo più sfrenato il buon vecchio baratto sarebbe tornato di moda? E, invece, è successo davvero. Solo che ad essere barattati non sono più un chilo di zucchero in cambio di una dozzina di uova, una pelliccia di pecora in cambio di una lancia per cacciare. Adesso si baratta conoscenza, esperienza, cultura in cambio di vitto e alloggio in una città straniera, di viaggi e di turismo.
È questo il nuovo modello di attività turistica low cost e “social” proposto dalla nuova piattaforma Bed&Learn. Chi è desideroso di scoprire nuove cose e di imparare, o di trasmettere il proprio sapere, chi ama viaggiare o conoscere nuova gente è accontentato sotto tutti i punti di vista.
Iscrivendosi a Bed&Learn, infatti, è possibile pubblicare un annuncio sotto la voce “Voglio viaggiare insegnando” oppure “Voglio ospitare imparando”.
Tutti noi possediamo una dote particolare, coltiviamo un hobby o siamo ferrati in un campo specifico: con Bed&Learn è possibile mettere al servizio degli altri queste nostre abilità. Scegliendo l’opzione “Voglio viaggiare insegnando” si possono indicare le attitudini particolari che si posseggono, e specificare se le vogliamo esercitare “come insegnamento” o “come servizio”. Esempio: se ho una passione per la cucina e voglio trasmetterla a chi mi ospita, segnerò la casella “come insegnamento”. Voglio solo cucinare per gli altri, cliccherò sulla casella “come servizio”. Se sono molto disponibile e socievole, sbarrerò entrambe le caselle. E così via.
Le esperienze che si possono mettere a disposizione sono svariate e per tutti i gusti: si va dalla scrittura creativa al giardinaggio, dalla rilegatura di libri all’insegnamento della filosofia occidentale, dalla scultura alle tecniche di meditazione. Prima di annunciare le proprie doti, è necessario inserire il luogo che si vuole visitare e il periodo prescelto, sperando che le nostre perizie tecniche interessino a qualcuno.
Se si sceglie l’opzione “Voglio ospitare imparando” ci si dichiara disponibili a incontrare qualcuno che ci offra il servizio o l’insegnamento da noi richiesto. In cambio, chi ospita può mettere a disposizione vitto e alloggio, solo vitto, o un servizio da guida turistica per le via della città.
Questo innovativo portale, quindi, – opera di un gruppo di ingegneri di Chieti – ha lo scopo di mettere in stretta correlazione domanda e offerta, senza passare per terzi intermediari, permettendo, così, un notevole risparmio economico. Non a caso il sito è consigliato anche a Bed&Breakfast, associazioni culturali o ditte che lavorano molto con l’estero che, usufruendo della piattaforma, possono ricevere notevoli vantaggi, in maniera divertente e low cost.
Esempio: sono un B&B e decido di diventare un BeLearner. Potrei invitare a trascorrere, gratuitamente, un soggiorno nella mia struttura qualcuno che mi possa insegnare una lingua straniera, che mi aiuti con dei lavori di manutenzione o riparazione, che spieghi a me e ai miei avventori come cucinare un piatto tipico del suo paese, e via dicendo.
D’altra parte iscriversi e pubblicare un annuncio è facilissimo, impiega davvero poco tempo ed è gratuito. Presto verrà introdotto un sistema di feedback post esperienza, per rendere l’avventura da BeLearner più sicura e controllata. Per cominciare, bisogna tenere in mente che, come scrivono sul sito, “essere un BeLearner è un modo di vivere” e il primo insegnamento da assimilare, se si vuole partecipare, è quello di Mark Twain: “Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite.”