Dada Masilo, coreografa e interprete sudafricana, con Swan Lake, in programma al teatro Argentina di Roma fino al 10 novembre, ci ricorda un assunto universale, mai scontato: l’arte, la musica, la danza non hanno età, sesso o razza, ma sono patrimonio dell’umanità. Lo spettacolo è un’ora di contaminazioni culturali, musicali, coreutiche, artistiche, etniche, sessuali che ti fa dimenticare la nazione di appartenenza, il colore della pelle e ti fa sentire abitante del pianeta con la sua danza dionisiaca, gioiosa e seduttiva, che ricorda “La danse” di Henri Matisse del 1910.

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Ma lo spettacolo è dirompente soprattutto per i suoi contenuti. Partendo dai temi di fondo del Lago dei cigni, quali l’amore e l’iniziazione sessuale, Dada Masilo non sdogana solo il tutù ma anche, con delicata sensibilità ed ironia, il tema dell’omosessualità e omofobia: il principe Siegfried non sposerà la prescelta dalla famiglia perché è innamorato di un uomo, il Cigno Nero. Il finale rimane drammatico: è impossibile dimenticare che in Sudafrica l’AIDS è ancora una emergenza.
Il melange di una coreografa, che padroneggia linguaggi contemporanei e internazionali, ha superato il rischioso confronto con uno dei capolavori della danza classica.

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Un altro messaggio di uguaglianza scorre nella scelta dei costumi identici per i 14 danzatori a piedi nudi della Dance Factory di Johannesburg: un tutù bianco per uomini e donne o, come nel finale, veli neri fino alle caviglie e busti nudi. La danza classica, dei bianchi occidentali, è spiegata e illustrata in scena con ironia: i fianchi bloccati, i movimenti ondulatori come le alghe di un lago, quelli controllati con i muscoli in tensione etc. I corpi flessuosi dei danzatori, belli nella loro diversità, vibrano animati dal profondo e ancestrale bisogno di danzare. Dalle posizioni canoniche della danza classica all’improvviso emerge la potenza energica della danza afro, quella tradizionale Zulu sudafricana, e i fianchi e le anche ondeggiano in modo ritmico.
Lo stesso balletto romantico di Tchaikovsky presenta questi contrasti, contrapponendo le danze di corte a quelle dei contadini, e Dada Masilo riesce ad attualizzarne i contenuti con una riuscita operazione di integrazione culturale, coreografica e musicale.
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Stai passeggiando per le strade di New York, la città in cui tutto – ma davvero tutto – accade e può accadere. Ti trovi a Times Square, detta anche l’ombelico del mondo, quando d’un tratto il flash di una macchina fotografica ti cattura. Ti giri di scatto, giusto in tempo per vedere una figura angelica librarsi in volo, in una posa plastica. No, non si tratta di una visione mistica di fantozziana memoria, ma di un set fotografico vero e proprio, quello di Dancers Among Us” di Jordan Matter.

 

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Per tre anni questo fotografo statunitense ha immortalato ballerini, “congelati” in pose meravigliose, non dentro una sala da ballo o una palestra, ma nelle strade, nelle piazze, nei luoghi pubblici, sotto gli occhi ammirati della gente comune. Sono immagini fresche, gioiose, che esprimono la magia della dinamica e del movimento, l’eleganza e la bellezza delle forme del corpo umano. Tutto è cominciato con degli scatti per Jeffrey Smith, un ballerino della Paul Taylor Dance Company al quale Jordan ha confessato il suo progetto di fotografare danzatori in luoghi comuni, di raccontare storie attraverso i loro passi di danza e le loro movenze. Jeffrey è riuscito a coinvolgere altri dieci membri del suo corpo di ballo, i primi protagonisti di quello che è diventato un progetto durato quasi tre anni.

 

Rockefeller_Center_NYC

 

Elemento fondamentale di questo lavoro è lo scenario, all’inizio costituito principalmente dalle strade di New York. Le foto di “Dancers Among Us” sono tutte naturali, e la posa che il fotografo coglie è reale, non è il frutto di modifiche apportate con programmi grafici. Jordan gira per la città alla ricerca della location adatta a far emergere in maniera più potente la natura dell’artista che posa per lui. Al ballerino è richiesta solo molta pazienza. Si tratta di un processo creativo che ha i suoi tempi e che artista e fotografo devono compiere assieme. L’ultimo anno Jordan ha cominciato a girare anche per altre città americane, come Philadelphia, Washington o Santa Monica. Prima di recarvisi, twittava e postava su Facebook la sua prossima destinazione, chiamando a raccolta i ballerini interessati. E le risposte alla sua chiamata sono state numerose, tanto che i soggetti immortalati arrivano a più di 200.

 

Dancers_Among_Us_Sun_Chong_Washington_DC

 

Da questa incredibile esperienza, portata avanti con pazienza e tenacia, è nato un libro, dal titolo omonimo al progetto, “Dancers Among Us”, che ha raccolto gli scatti migliori dei tre anni vissuti dal fotografo accanto ai suoi ballerini. L’ostacolo più difficile per Jordan è stato fare una cernita delle foto create, e dover così escludere alcuni danzatori dal suo progetto.
Il volume pubblicato è divenuto in pochissimo tempo New York Times Bestseller e ha ottenuto l’Oprah Magazine Best Book 2012 e il Barnes & Nobles Best Book 2012. Il segreto del suo successo, a detta di critici e lettori, sta nel suscitare in chiunque guardi quelle immagini un sorriso, un lampo di meraviglia, un pensiero positivo, un sospiro felice. Jordan Matter ha raggiunto il suo scopo, insomma: quello di far rivivere a tutti lo stupore divertito che prova un bambino davanti alle cose semplici e belle, lo stesso stupore che dimostra di avere suo figlio quando, giocando con una macchinina, immagina storie e avventure grandiose

 

Dancers-Among-Us-in-Columbus-Circle-Michelle-Fleet

 

La vicenda di Jordan Matter non finisce qui, però. Dalla prima esperienza con i ballerini è nato il sequel Athletes Among Us, che si concentra stavolta sulla potente fisicità degli sportivi, degli atleti, anche loro immersi in contesti ordinari. D’altra parte neanche “Dancers Among Us” è giunto al suo ultimo capitolo. Anzi, quei tre anni girando per l’America sono stati solo un inizio, e adesso il progetto vuole piroettare verso altri lidi, verso altri continenti, verso nuovi scenari.

 

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Dancers Among Us goes around the USA in Ninety Seconds from Jordan Matter on Vimeo.

emanuelgatEmanuel Gat ha inaugurato con The Goldlandbergs, ispirato al mondo sonoro di Glenn Gould, la sezione ‘danza’ del Roma Europa Festival.

Il coreografo israeliano ha disegnato il delicato intreccio delle relazioni umane inserendole nel mondo sonoro del grande perfezionista del pianoforte, Glenn Gould, e del suo documentario sonoro, The quiet in the land, del 1977, in cui viene ritratto un gruppo religioso mennonita che vive isolato sulle sponde del Fiume Rosso, a Manitoba nel nord del Canada, e che tenta di confrontarsi con le inevitabili pressioni a cui il mondo contemporaneo lo sottopone.
Alcuni estratti di questo lavoro, brani musicali, voci, Janis Joplin, una cerimonia religiosa, si intersecano agli estratti delle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach, eseguite dallo stesso Gould, costituendo il tal modo un tappeto sonoro, polifonico e contrappuntistico, dei movimenti e degli intrecci dei ballerini. Non una danza univoca, ma diversi punti di fuga, un moltiplicarsi di suoni e di direzioni come la molteplicità delle vita e dei rapporti umani. Ciò che vuole raffigurare Gat è l’intimità che lega persone diverse e le relazioni diverse tra di loro.

Gat lavora da 4-5 anni con gli stessi danzatori, fatto che si riflette nel loro affiatamento e che costituisce una scelta ben precisa “basata su incontri personali. Loro trovano interessante il mio lavoro e io trovo interessante il modo in cui lavorano. Un periodo lungo di lavoro insieme ci consente di fare un lungo percorso e quindi di osare ancora di più”.

La danza di Gat è spirituale e minimalista, nella sua capacità di sintesi, fluidità, armonia dei gesti, frutto del ripetersi quasi all’infinito di movimenti collaudati, azzeramento di ogni scenografia, assenza dei costumi, se non l’indispensabile, sensibile agli stati d’animo, al mutare dell’ambiente, delle sue luci e ombre, a volte i movimenti si librano nel silenzio, senza musica.

Imperdibile, all’interno del ciclo Appena Fatto!, in collaborazione con Rai Radio3, l’incontro dell’artista, in questo caso Emanuel Gat, con il pubblico del Romaeuropa Festival, al termine dello spettacolo. Un’occasione per comprendere la genesi di un lavoro e le pulsioni artistiche che lo hanno mosso.

Durante l’intervista Gat ha raccontato come: “Dopo aver creato una coreografia su sole voci e senza pianoforte su The quiet in the land mi sono accorto che quel documentario e le Variazioni Goldberg avevano la stessa durata: 52 minuti. Allora, per provocare un po’ i miei danzatori, ho chiesto loro di creare una nuova coreografia sulle Variazioni Goldberg. Abbiamo quindi sovrapposto le due pieces e il risultato è The Goldlandbergs, titolo che comprende la musica e le parole”. Non sempre, infatti, nello spettacolo la continuità è garantita, ma probabilmente anche questo rientra nelle intenzioni di Gat. Il coreografo tende a: “una sonorità che diventa visiva e una coreografia che diventa sonora. Cerco di sviluppare un working in progress, la coreografia di stasera sicuramente sarà diversa dalle prossime volte”.

A proposito dei suoi studi musicali Gat precisa: “Il mio lavoro ricorda quello musicale ma la coreografia ricorda la natura musicale. Musica e movimento in uno spazio e tempo preciso. La coreografia è fatta come una partitura musicale, secondo un meccanismo che mette i danzatori in relazione come in una partitura”.
Attraverso le sue dichiarazioni si comprende il perché in alcuni momenti dello spettacolo i ballerini danzano nelle zone d’ombra del palcoscenico: “Ho creato strutture indipendenti: luci, sonoro e danza. Nessuna traduce o illustra l’altra. Nessuna asserve ad un’altra forma artistica. Le tre strutture fluttuano liberamente. Abbiamo lavorato in uno studio con grandi finestre e luci pessime, con effetti di luce particolari, in evoluzione e continuo cambiamento (come le nuvole etc.). Quindi ho deciso di presentare questo lavoro in questo modo”.
Riguardo le sue modalità di lavoro Gat racconta: “Di solito non dico cosa fare, propongo ambienti, pensieri e guardo come i danzatori reagiscono all’ambiente e ai pensieri che ho proposto, da questo nasce la coreografia. Mi piace la possibilità di riproporre il processo creativo ma non il risultato finale. Quindi ballerini diversi daranno risultati diversi.”

Al coreografo israeliano piace tornare negli stessi luoghi per presentare i suoi spettacoli: “Mi sento a disagio a proporre al pubblico un solo spettacolo, voglio proporre il processo del mio lavoro. E’ la quarta volta che torno al Roma Europa Festival, così il pubblico avrà un’idea più variegata e più completa del mio lavoro”.
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La V° edizione del Festival del Flamenco all’Auditorium Parco della Musica di Roma è stata inaugurata dall’anteprima di FLA-CO-MEN di Israel Galván.

Galván, figlio d’arte – madre, della famiglia de Los Reyes, ‘bailaora’ (ballerina di flamenco) e  padre ‘bailaor payo’ (ballerino non gitano) – ha reinterpretato la danza flamenca, grazie alla sua creatività, stimolata dai rapporti fecondi con artisti e coreografi internazionali, e alle contaminazioni con i vari stili di danza contemporanea. L’artista sivigliano rappresenta la perfetta fusione tra la precisione tecnica payo e la dirompente energia emozionale gitana, come da lui stesso dichiarato, essere entrambe le cose gli ha dato maggiore fiducia in se stesso.

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Senza mai abbandonarne le radici, ha rivitalizzato la tradizione flamenca (influenzata dalla cultura araba, ebrea e cristiana) inserendola nel panorama coreografico contemporaneo e internazionale, per questo ha conseguito diversi premi sia in Francia che in Spagna.
Fla-co-men è forse, tra i titoli degli spettacoli del coreografo sivigliano, quello che meglio esprime il suo stile: la parola ‘flamenco’ è frammentata nelle sue sillabe e ricomposta in un diverso ordine, fla-co-men.

Potremmo definire lo stile del flamenco di Galván ‘cubista’, squaderna il ‘baile’ (flamenco tradizionale), lascia che sia contagiato da altri stili musicali e coreutici, poi lo ricompone dandogli una diversa fisionomia. Il maestro ‘cantaor’ (cantante) Enrique Morente diceva che nel flamenco si doveva tradurre la tradizione ed essere coscienti del ‘tradimento’ che è sempre implicito in tale operazione. Il ‘montaggio’ coreografico (scomposizione-contaminazione-ricomposizione) è la cifra stilistica e la chiave interpretativa della danza di Israel Galván. Allo stesso tempo quest’ultimo riconduce spesso il flamenco, riconosciuto patrimonio culturale immateriale dell’Umanità dall’UNESCO nel 2010, alla sua purezza originaria, quando era ballo individuale e non era accompagnato da strumenti musicali ma soltanto dai ‘toque de palmas’ (il ritmo del battito delle mani).
In Fla-co-men il corpo statuario di Galván è apparso in controluce sul palco come una star del rock. La musica  durante lo spettacolo è stata spesso sottrazione, riduzione a suono e ritmo, accompagnando la libertà espressiva ed emozionale di Israel, oppure densa di riferimenti come alla tarantella, ai tangos, al jazz o a sonorità orientali. La gamma espressiva-emozionale è andata dalla tristezza e malinconia della soleá e seguiriya, alla gioiosità dell’alegría, Già nel primo brano è stato subito riconoscibile il suo stile, il ritmo è nel suo respiro, nel battito delle mani, nel suo corpo usato come uno strumento di percussione. Il suono del sax è diventato un lamento. I suoi movimenti delle braccia spesso evocano movenze del mondo animale, sono puri, precisi, velocissimi. Il basso elettrico ha scandito il ritmo come un pendolo e le braccia di Galván hanno disegnato nell’aria geometriche oscillazioni. Ad un tratto il palcoscenico si è trasformato in arena e il ballerino in un torero.
Il corpo di Galván riesce a vibrare insieme a una campana tibetana. La sua danza sprizza energia, emozioni perfettamente controllate, come le sue impeccabili piroette. Ad un tratto si pone davanti ad un microfono ma è il suo corpo a cantare e non la sua voce, così come davanti ad un leggio è il suo corpo ad eseguire la partitura.
La sua danza ha ipnotizzato il pubblico, che sembra aver assistito in apnea e che generosamente si è prodigato in applausi senza riuscire però ad ottenere un bis dal ballerino ormai a piedi nudi.
Bella la voce del cantaor Tomás de Perrate e l’esecuzione di Antonio Moreno alle percussioni.

Il Festival proseguirà il 10 ottobre con l’anteprima mondiale di Homenaje flamenco a Verdi, interpreti: lo straordinario cantaor Arcángel, la bailaora Patricia Guerrero, con accompagnamento di chitarra, contrabbasso e percussioni; l’11 ottobre sarà la volta della cantante andalusa Carmen Linares insieme al trio formato da Jorge Pardo al sax, Carles Benavent al basso e Tino Di Gerlado alla batteria.
Il concerto prevede l’esecuzione di brani classici e originali su testi dei famosi poeti: Federico Garcia Lorca, Horacio Ferrer e Miguel Hernández; il 12 ottobre, Mercedez Ruiz presenterà: Baile de palabra, confluenza di tradizione e innovazioni, in cui la ballerina andalusa sperimenta nuove coreografie e il 13 ottobre Eva Yerbabuena presenterà: Ay!
Ad arricchire il programma le 32 immagini dei fotografi Pablo Jiménez e Mikel Alonso che illustreranno la festa religiosa che si tiene ogni anno a maggio: El Rocío, piccolo villaggio andaluso di Almonte (Huelva), dove si trova l’immagine della Virgen del Rocío. Oltre cento confraternite dell’Andalusia con i loro vestiti tradizionali, a maggio, si mettono in cammino, con buoi, muli, carri e ogni mezzo per raggiungere La Blanca Paloma, una delle denominazioni della Madonna del Rocío.

Da remix di successo di Baauer, a comedy sketch rielaborato da un giovane studente di comunicazione, per trasformarsi poi in fenomeno virale del web, che in questi giorni ha raggiunto ben 31 milioni di visualizzazione su Youtube. La ricetta dell’Harlem Shake, come quella di molte altre manifestazioni virtuali, è semplice ma efficace. Si concretizza in un video ironico di circa 30 secondi, in cui, in un primo momento, un solo soggetto balla passivamente, in una situazione ordinaria, circondato da persone immobili che sembrano ignorarlo. Ad un tratto, però, la situazione si evolve, il ritmo esplode e tutti i presenti si lasciano andare in una danza movimentata, trascinante e apparentemente senza senso.

Filthy Frank, vlogger diciannovenne di Youtube e studente di comunicazione, il 30 gennaio pubblica sul suo canale, da 13 mila follower, un video girato con un gruppo di amici nella sua stanza. Quella sera stava ascoltando Harlem Shake di Baauer con alcuni compagni quando, d’un tratto, presi dal ritmo, decidono di travestirsi da supereroi, mettere in piedi una sorta di flashmob e condividerlo attraverso il web.

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Il video da subito cattura l’attenzione degli internatuti, ma la vera svolta avviene il 7 febbraio, quando viene diffuso Harlem Shake v3, un video in cui un individuo a volto coperto inizia a ballare in un ufficio open space, mentre gli altri impiegati sono intenti a lavorare. Ad un tratto, secondo la formula nota, il ritmo sale e il gruppo si scatena in una danza tribale collettiva, senza alcun freno.

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Di qui il fenomeno esplode e iniziano a diffondersi sulla rete imitazioni e rivisitazioni. Dai nuotatori della George University, che ripropongono la scena sul fondale di una piscina, all’esercito norvegese in abito mimetico, da Ada Reina con la sua Milano Shake, prima rielaborazione marcatamente italiana, ai giocatori della Biancoblù Basket di Bologna nello spogliatoio. Il tormentone impazza e ormai sul web si contano decine e decine di video.

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Baauer stesso sta bene beneficiando del fermento virale di queste ultime settimane, dopo aver prodotto remix per gruppi come i The Prodigy e i No Doubt, viene ora riportato prepotentemente sotto i riflettori dal nuovo meme. La canzone Harlem Shake è ora in prima posizione nelle classifiche Nielsen e Billboard e il nuovo tour dell’artista è già tutto esaurito.
Il pezzo, di per sé, s’inserisce nell’hip hop di fine anni Novanta, primi anni Duemila, e unisce atmosfere trap all’elettronica del dubstep di derivazione inglese. Creandolo, Baauer ha remixato una canzone del 2001 dei Plastic Little, i quali si sono rivelati poi entusiasti della scelta, non avrebbero di certo potuto immaginare che il mash up avrebbe poi fatto da colonna sonora ad uno dei fenomeni di costume più virali della rete.

Ad oggi sembra che Do the Harlem Shake stia, in breve tempo, prendendo il posto precedentemente occupato da GanGnam Style nell’immaginario ironico e paradossale del web. Chissà se anche questo nuovo meme riuscirà a sedurre vip, artisti contemporanei e professionisti affermati a lasciarsi andare al suo ritmo. I presupposti sembrano esserci tutti.

Anche la redazione di TAFTER non è rimasta immune dal fenomeno: ecco il nostro Harlem Shake!
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Se il lavoro fagocita il vostro tempo libero e non riuscite a dedicarvi a voi stessi, andando in palestra o uscendo con gli amici, la soluzione per riconquistare i propri spazi arriva dal nord Europa. Forse stenterete a crederlo ma, nella laboriosa Germania, locomotiva dell’economia del vecchio continente, la pausa pranzo la si trascorre in discoteca. Non è uno scherzo: il fenomeno del Lunch Beat è nato un paio d’anni fa su iniziativa di una ventottenne svedese, Molly Ränge, che non riusciva a conciliare vita privata e lavoro. Il risultato è stato sorprendente.

Di cosa si tratta esattamente? Che siate dipendenti d’azienda, banchieri o operai, invece di recarvi in mensa, portate con voi colleghi e capi sulla pista da ballo. Le danze durano sessanta minuti e tutti possono partecipare. L’entrata è gratuita e, per quanti non sanno resistere alla fame è possibile acquistare un panino.

Al termine della pausa si torna tutti in ufficio, sudati, contenti ma, soprattutto, più produttivi. Sembra infatti che trascorrere la pausa pranzo, ballando senza sfiorare nessun argomento di lavoro, ma sgombrando la mente da ogni pensiero e preoccupazione, sia proficuo per l’attività lavorativa.

Il Lunch Beat è divenuto un autentico fenomeno di massa sia in Svezia che in Germania e si sta espandendo in diverse città. Attenendosi alle dici regole base del manifesto, tutti possono organizzare una pausa pranzo ballerina e molti hanno accolto l’iniziativa con entusiasmo.

Il prossimo evento in Italia è previsto per il 21 marzo a Torino. Qui potrete consultare l’intera lista delle città di tutto il mondo in cui si svolgono i Lunch Beat: ovunque voi siate e qualsiasi professione facciate, tenetevi pronti a trascorrere pause pranzo a ritmo di dance!

 

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Nato fra le sfide di danza delle Houses statunitensi, il voguing (o vogueing) si è sviluppato a partire dagli anni ‘60 ed è stato consacrato sulla scena internazionale dal noto video di Madonna, da cui prende il nome. I suoi movimenti precisi, geometrici e stilizzati, prendono ispirazioni dalle pose delle modelle, immortalate come dive sulle più importanti riviste di moda.

Dal punto di vista culturale, sono molteplici le istanze che si fondono in questo stile, di vocazione marcatamente urbana: dalla reinterpretazione dell’immaginario del mondo della moda, alla competizione creativa fra gruppi di minoranza, all’universo underground di New York e dei collettivi LGBT.
Negli ultimi vent’anni le linee e gli angoli tipici delle movenze vogueing si sono trasformate in vero e proprio fenomeno di costume, che ha rilanciato con forza lo stile dei club afro e latinoamericani, arrivando fino in Europa e contribuendo a formare il movimento electrodance. Mixando movimenti delle arti marziali, della ginnastica e dell’house dancing e inseguendo un percorso di continua evoluzione, il vogueing, dopo essere stato inserito nel documentario Paris is burning, inizia ad essere preso come riferimento importante anche dalle accademie di moda e di belle arti.

Presso la NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano -, uno dei poli formativi più interessanti nel panorama italiano degli ultimi anni, il fenomeno underground è stato infatti integrato nel corso di studi triennale in Fashion Design ed è stato protagonista del primo appuntamento della settima edizione di Mercoledì da Naba. Il progetto prevede l’organizzazione settimanale di una serata aperta alla città e dedicata all’approfondimento di tematiche culturali.
Protagonisti dell’evento Benny Ninja, icona del vogueing nonché erede del titolo di Father da Willi Ninja, uno dei creatori dello stile, e Javier Ninja, promessa della danza fin dall’infanzia e artista di spicco nel panorama underground. Tutti i ballerini citati provengono da quella che è forse la più importante delle houses statunitensi, la house of Ninja, distintasi in numerose competizioni formali.
Lo spirito di rivalità affonda radici profonde in questo stile, nato dai contest delle ballroomscenes più famose degli States, dalla già citata New York City a Los Angeles, da Philadelphia a Miami, da Detroit a Chicago.

Nel mondo vogueing, per segnare ogni passo nella scalata al successo, vengono utilizzati una serie di status, vere e proprie tag a cui si ha diritto progressivamente, a seconda della propria bravura e dell’affermazione sulla scena underground. Le prime vittorie ripetute all’interno della categoria fanno del giovane voguer una Star, dopo cinque anni di successi si diviene Statement, giunti a dieci anni Legend e a venti Icon. Per gli artisti che riescono a lasciare un segno profondo nella storia del movimento, e che quindi saranno ricordati fra i migliori in assoluto, esiste la categoria Hall of former. Inutile aggiungere che Benny Ninja è candidato a quest’ultimo titolo.

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Da oldway a new way, passando per Vogue Femme e Dramatics, il genere ad oggi può contare ben quattro diversi stili, quando poco più di vent’anni fa non godeva di una definizione compiuta, ma veniva introdotto semplicemente come performance. Quale sarà la prossima evoluzione del vogueing e quali altre celebrità sedurrà con le sue pose? Ad oggi non c’è dato sapere, ma sicuramente la danza contemporanea non smetterà di stupirci con le sue proposte e le sue trasformazioni.

Venerdì 13 luglio parte a Viterbo, con l’opera “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini, il sesto Tuscia Operafestival, che quest’anno sarà affiancato dal Festival Barocco, giunto invece alla quarantunesima edizione.
L’intelligente scelta di operare questo connubio, come ci spiega il Maestro Stefano Vignati, Direttore artistico della kermesse, deriva da esigenze di ordine economico e pratico: “Tutti dovrebbero ricorrere a cooperazioni e coproduzioni, dagli enti alle fondazioni liriche, a finire con le associazioni: questo dà la possibilità di giungere a produzioni migliori abbattendo i costi.  E’ inoltre necessario ottimizzare ogni risorsa, come abbiamo fatto con il Tuscia Operafestival e il Festival Barocco a livello di pubblicità: li abbiamo promossi separatamente pur presentandoli congiuntamente”. Il Maestro Vignati ha inoltre voluto ribadire il ruolo importante ricoperto dalle istituzioni: “Il Festival si regge anche grazie alle amministrazioni, perché il nostro evento porta fondi dall’estero, da progetti di formazione, con un mosaico complesso e variegato fatto di cooperazioni, ricerca di sponsor anche minimi e finanziatori dall’estero. La leva economica che generiamo sul territorio tra l’indotto diretto e indiretto è considerevole: ogni investimento ha un ritorno pari a dieci volte tanto. Dinanzi a tali risultati, come si fa a non parlare di economia in ambito culturale!”.
Madrina di questo appuntamento viterbese è la grande Lina Wertmuller che ha così rinnovato il proprio sostegno all’evento: “E’ un bellissimo festival, così come la città. Ho avuto piacevoli esperienze per cui torno sempre con piacere”, pregiandolo anche dello spettacolo “Giamburrasca”, da lei diretto e interpretato da Elio de “Le storie tese”.
Il Tuscia Operafestival si appresta infatti a debuttare con un programma variegato e articolato, nonostante il periodo economico non proprio favorevole. Il Direttore Stefano Vignati ha così commentato il tentativo di democratizzare l’evento: “Il costo dei biglietti è stato abbassato drasticamente e progressivamente in questi ultimi anni perché ci rendiamo conto delle difficoltà delle famiglie. Abbiamo inserito alcuni spettacoli gratuiti perché era la modalità giusta per questa tipologia di appuntamenti che sono di natura popolare e partecipativa. Tutto ciò è volto a mantenere questa cultura realmente viva e non farla solo sopravvivere, non deve essere un accanimento terapeutico, ma un vero impegno per quanto difficile”.
Il programma è infatti ricco non solo di importanti appuntamenti musicali, come il concerto di Ramin Baharami previsto il 17 agosto per il Festival Barocco, ma anche di momenti più ludici come quelli inseriti nella sezione “Pagine Parole & Musica”, che prevede incontri con importanti nomi dello spettacolo come Giovanni Allevi, o i “Concerti Aperitivo” a Palazzo del Drago.
Insieme alla musica ed al teatro, protagonista sarà la danza, sotto l’egregia guida dei Maestri Raffaele Paganini e Luigi Martelletta, anche loro conferme delle precedenti edizioni. La loro autorevole presenza rende lustro a questo evento di cui il Maestro Martelletta ha così parlato, accennando anche a progetti futuri: “Il Tuscia Opera festival sotto l’aspetto qualitativo è sicuramente un evento importantissimo con autorevoli partecipazioni nazionali e internazionali per cui ci teniamo ad essere presenti ogni anno. Per la prossima edizione vorremmo inserire, affianco al programma dei professionisti già affermati, anche un quindici giorni di stage e laboratori per giovani talenti che, all’interno di un’accademia, lavoreranno alla preparazione di uno spettacolo tutto dedicato a loro: un’operazione di certo complessa ed ancora da definire, ma che sarà utile per i giovani che si avvicinano a questa disciplina desiderando renderla la loro professione”.
Gli appuntamenti da segnalare per gli appassionati del balletto non mancano, come lo spettacolo “Unica Passione” del 3 agosto, che vedrà sul palco Samuel Peron insieme al Maestro Paganini il quale si è mostrato forte sostenitore di tale commistione tra generi: “Non eseguendo nel festival la danza classica di repertorio, che solitamente appartiene agli enti lirici istituzionali, con i trenta cigni e compagnie corpose, le aperture di porta ad altre discipline di ballo sono in questo caso un completamento, un luogo comune in cui ci si aiuta a vicenda per creare qualcosa di alto livello”.
Anche la danza è tuttavia interessata alla carenza di fondi che sta interessando il mondo della cultura e dello spettacolo. Secondo il Maestro Martelletta, tuttavia “in questo contesto di grande crisi forse la danza subisce di meno rispetto a chi è abituato a far affidamento su finanziamenti più consistenti, muovendo migliaia di euro” e aggiunge “Chi come noi è solito arrangiarsi con pochi euro, continua a farlo anche ora: la danza sente la crisi ma senza particolari traumi perché per noi è cambiato molto poco”.
I ballerini che si esibiranno al festival hanno voluto a loro volta sottolineare l’importanza di questa vetrina, mostrandosi onorati di prestare la loro arte a tale iniziativa culturale fortemente legata al territorio. Simona De Nittis ha comunque messo in luce le difficoltà che anche i danzatori stanno affrontando: “Siamo coinvolti in questa crisi del mondo dello spettacolo. La disoccupazione per requisiti ridotti ci coinvolge insieme ad altre figure: il vecchio adagio che il ballerino è bistrattato non è un falso. Abbiamo un forte spirito di sacrificio, continuiamo a ballare nonostante i problemi, ma questa disponibilità ci si sta ritorcendo contro”.
Nonostante questo, la passione e l’amore nei confronti di questa disciplina è tale che Stefano Muià ha dichiarato: “Ci impegniamo sempre a portare i nostri coetanei in questo mondo, per rompere lo stereotipo che la danza classica sia riservata ad un’élite, invece non è così: questi spettacoli che prevedono una commistione di generi servono proprio a far integrare un pubblico variegato”.
E la giovane collega De Nittis aggiunge: “Facciamo inoltre un appello ai genitori di iscrivere i bambini ai corsi di danza, perché è una disciplina che forma fisicamente e mentalmente i ragazzi, al di là della carriera che potranno o meno intraprendere”.
Queste sono le voci del Tuscia Operafestival e del Festival Barocco: tante persone, ognuna con il proprio excursus professionale e la propria carriera, ma tutte accomunate  dal desiderio di mantenere viva una cultura che, nonostante tutto, è anche, a quanto pare, vegeta.

 

Sembra non conoscere limite alla creatività e all’inventiva e il pubblico da parte sua risponde positivamente ad ogni nuova uscita nelle sale. L’industria cinematografica indiana, ribattezzata Bollywood, ha ufficialmente superato per gli incassi della patinata Hollywood americana. Complice la recessione, che in Europa ha portato ad un calo degli spettatori nelle sale cinematografiche e lo scarso successo dei film americani nel mercato asiatico, la produzione di Bombay, con le sue musiche e le sue danze colorate ha surclassato i box office occidentali.

I maestri della prossima edizione di The Rolex Mentor and Protégé Arts Initiative, proclamati al Lincoln Centre di New York, da Bertrand Gros, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Rolex,  avranno l’opportunità di svolgere un importante ruolo per quanto riguarda il futuro della produzione artistica internazionale.
Il progetto si pone infatti come una generosa possibilità per i giovani talenti di fare tesoro dalle esperienze artistiche dei personaggi considerati come i più rappresentativi dei giorni d’oggi, e per apportare originalità e nuova linfa creativa al mondo artistico. Un po’ come avveniva nelle botteghe artistiche di un tempo.
Ogni due anni un Consiglio Consultivo seleziona i maestri e sceglie una rosa di candidati tra i quali ciascun maestro indica l’allievo prescelto. Le discipline artistiche che caratterizzano l’iniziativa sono sei (danza, film, letteratura, musica, teatro e arti visive), e saranno almeno sei le settimane che i maestri e gli allievi trascorreranno insieme.
I maestri scelti per il prossimo biennio di lavoro sono: il coreografo proveniente dal Taiwan, Lin Hwai-Min; l’esperto statunitense di montaggio cinematografico e sound designer, Walter Murch; la scrittrice canadese Margaret Atwood; il cantante e compositore brasiliano Gilberto Gil, il regista di teatro francese Patrice Chéreau; l’artista figurativo sudafricano William Kentringe.
The Rolex Mentor and Protégé Arts Initiative è un’iniziativa filantropica internazionale creata nel 2002 per assistere artisti emergenti al fine di esaltarne le potenzialità. Rolex provvede infatti agli aspetti logistici e finanziari. Ciascun alunno riceve una borsa di studio di 25.000 dollari (oltre ad un rimborso spese) e 25.000 dollari per la realizzazione di un’opera; mentre il maestro riceve 50.000 dollari come compenso per il lavoro svolto.
Il legame tra cultura e potere economico e politico ha origini antiche ma oggi come allora è sentito il bisogno di utilizzare, oltre alle forme di comunicazione più immediate, canali di divulgazione in grado di distinguere e qualificare un determinato marchio rispetto alla concorrenza. La creazione cosiddetta “in house” di progetti culturali diviene dunque un valido strumento di marketing per arricchire di valore aggiunto l’identità aziendale.
Negli Stati Uniti, come nel mondo anglosassone, il mecenatismo da parte dei privati è alla base del sistema del finanziamento di arte e cultura e ne rappresenta la fetta più considerevole.
Anche in Italia si inizia a considerare l’investimento in cultura da parte di aziende come un meccanismo virtuoso, soprattutto in un momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo. Naturalmente, nel contesto italiano, dove la presenza statale è stata sempre molto incisiva per quanto riguarda la promozione e la valorizzazione del patrimonio artistico e delle attività culturali, sono  sempre state le aziende di grandi dimensioni o le aggregazioni di piccole e medie imprese, i cosiddetti distretti produttivi, ad avere un interesse alla realizzazione di progetti culturali in termini di competitività, e soprattutto un budget adeguato ad affrontarne le spese. Le ultime misure in materia di defiscalizzazione, approvate all’interno del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici sembrano però cercare di porre un freno a questo limite: le aziende, infatti, a partire dal 2012, possono beneficiare di sgravi fiscali al 100%, un aiuto concreto per gli investimenti in cultura.
L’iniziativa di Rolex può essere dunque considerata come un esempio per molte realtà industriali italiane e una buona opportunità di crescita professionale per i giovani talenti artistici.

Approfondimenti:
www.rolexmentorprotege.com/

Antico e moderno si fondono nel leggendario teatro moscovita restituito alla città dopo un controverso restauro durato 6 anni, con costi lievitati all’inverosimile. Il tempio della danza dove sono nati Nijinsky e Baryshnikov ha alle spalle una lunga storia segnata da incendi, ricostruzioni, chiusure, riaperture gloriose.
Ma il “grande teatro” non è immune ai mali che affliggono la Russia contemporanea. Così, in un susseguirsi di dimissioni, imputazioni, sfide architettoniche e scandali per l’aumento dei costi sino a 16 volte il budget previsto, la magia del Bolshoi si rinnova. La superficie calpestabile è raddoppiata, la fossa dell’orchestra è ampliata, sostituiti la falce e martello con l’aquila bicefala zarista tornata a volare dopo il crollo dell’Urss, ripristinati i mosaici veneziani e le tappezzerie in seta ricamata, ricoperti con cinque chili d’oro i decori. Ma non basta. Il palcoscenico è dotato di due piattaforme mobili, necessarie per migliorare la capacità produttiva del teatro; l’isolamento acustico è realizzato con lana minerale a base di vetro riciclato che assicura eccellenti performance acustiche ed è incombustibile e riciclabile al 100%. Finanziato all’80% dalle casse dello Stato, il tempio del balletto russo, che fu dapprima palcoscenico-vetrina dell’Impero e poi svago per la nomenklatura, diventa oggi il simbolo identitario per eccellenza della nuova Russia, in grado di posizionare il ricco patrimonio musicale nazionale nel contesto del cambiamento culturale della società russa. Nonostante le pesanti ombre e la permanenza di una forte influenza politica nell’andamento gestionale, negli ultimi anni il Bolshoi ha stabilito collaborazioni produttive con l’Opera di Parigi, la Scala di Milano, il teatro d’Opera polacco e la Bayerische Staatsoper. Ha indotto il pubblico ad assistere a progetti educativi; ha adottato nuovi sistemi di comunicazione, diffusione della musica ed espansione del pubblico, in linea con il suo ruolo sociale. Già nel 2010 una collaborazione con il gigante mondiale della produzione filmica Gaumont-Pathé gli aveva assicurato la presenza in 300 sale cinematografiche in 12 Paesi, tra cui Canada, Stati Uniti, Italia, Repubblica Ceca, Germania e Francia. Così il Teatro si appresta ad essere un nuovo centro internazionale di cultura musicale.
Il Bolshoi riserva sempre sorprese. Staremo a vedere.

Alessandra Puglisi è economista della cultura

Primo festival in Italia dedicato al rapporto tra danza contemporanea e architettura urbana, nel suo lungo cammino Danza Urbana ha saputo raccontare Bologna con le fascinazioni di numerosi spettacoli e le suggestioni degli eventi unici, creati per valorizzare e svelare i molteplici volti della città. In occasione dell’inaugurazione del festival, abbiamo avuto una piacevole chiacchierata con il direttore artistico, Massimo Carosi, che ha illustrato il progetto raccontandoci le modalità di interazione tra spazio-corpo e spazio-urbano.
Da dove nasce l’idea di un’iniziativa in cui la danza sia strettamente collegata al tessuto urbano e come mai si è sviluppata proprio nella città di Bologna?
Danza Urbana nasce 15 anni fa come iniziativa di un circolo universitario studentesco in un momento storico in cui era stata fondata a Bologna la prima cattedra di storia della danza. Il festival vuole essere una riflessione sul rapporto tra corpo e spazio urbano-pubblico,  oltre ad una forma di democratizzazione della cultura, portando la danza in mano alla gente.

Quindi c’è un desiderio di portare la danza “fuori” dai cosiddetti luoghi culturali per eccellenza, quali ad esempio i teatri,  e renderla più “popolare”, facendo diventare la città un centro di produzione e di fruizione culturale?
Certamente, Danza Urbana vuole uscire dalla scatola scenica che implica una frontalità nella visione e un rapporto già predeterminato tra danzatore e spettatore, per diventare un vero e proprio laboratorio per gli artisti, avvicinando il pubblico ai linguaggi contemporanei e risvegliando una riflessione sull’interazione tra corpo e spazio urbano.

Quali sono le peculiarità e gli elementi identificativi della danza urbana?
La Danza Urbana non è un genere ma un modo di proporre la danza e di generare una profonda riflessione sul nostro habitat.  Si compone di due elementi, la danza e lo spazio urbano e quindi si pone da un lato in relazione al pubblico, dall’altro al contesto in cui viene proposta. Elementi fondamentali sono: l’attenzione ai nuovi linguaggi, alle nuove realtà artistiche del territorio e a tutto ciò che è emergente.

Che rapporto esiste con le istituzioni cittadine e il terzo settore?
Il rapporto di partnership con le istituzioni cittadine è fondamentale per la realizzazione dell’iniziativa, così come pure il contribuito proveniente da sponsorizzazioni e autofinanziamenti che rendono possibile la gratuità degli spettacoli proposti. L’iniziativa inoltre è inserita nel circuito “Anticorpi”, un network di festival, rassegne e teatri della Regione Emilia Romagna che promuove la giovane danza d’autore con particolare attenzione alle realtà locali.

Il festival fa parte del network “Ciudades que danzan”, in che ottica si muove rispetto al contesto internazionale nel quale viene inserito?
Il network Ciudades que danzan conta 42 festival dislocati dal Sud America, all’Asia passando per l’Europa e promuove realtà artistiche del territorio attraverso differenti progettualità, nazionali e internazionali. In quest’ottica all’interno del festival Danza Urbana, viene anche ospitata Masdanza, la piattaforma internazionale per la promozione in Europa e nel Mondo degli autori vincitori dell’omonimo concorso coreografico. Tramite partnership e network riusciamo ad ospitare realtà emergenti molto importanti, dal momento che in qualità di operatori culturali non dobbiamo essere solo curatori, ma anche promotori, intervenendo in modo attivo all’interno del contesto per rafforzarlo, valorizzarlo e promuoverlo grazie a collaborazioni reciproche.

Quali obiettivi di sviluppo futuro si pone il festival?
Uno dei nostri propositi per le prossime edizioni è legato alla possibilità di riuscire a creare maggiori site-specific in prospettiva di un coinvolgimento complessivo dell’intera città, dal centro alla periferia, dalla casa privata alla piazza, senza gerarchia di luogo. Qualsiasi spazio può essere abitato dalla danza, quindi anche una parete di un palazzo può diventare luogo scenico. La danza diventa architettura in movimento e sovrascrive lo spazio urbano.

Repetite iuvant. Lo affermavano i latini ed è un punto di vista condivisibile e da mettere in pratica: con la cultura si mangia.
Non è stata dimenticata la negazione nella frase, come potrebbero pensare molto economisti e politici di italica provenienza, ma si è inteso semplicemente ribadire un fatto reale, a tutto giovamento delle nostre scelte strategiche come Paese.
L’occasione è fornita da una recente ricerca condotta da due docenti della Bocconi, Giuseppe Attanasi (docente di Economia politica presso la Bocconi) e Filippo Giordano (docente presso la Sda Bocconi), sul Festival della Taranta.  I due professori che hanno promosso la ricerca sono anche membri di un gruppo che prende parte al Festival: “gli Sciacuddhruzzi”.
Lo studio ha dimostrato come per ogni euro impiegato per organizzare l’evento vi sia un ritorno di circa tre euro.  Negli ultimi quattro anni (2007-2010) sono stati, infatti, spesi circa quattro milioni di euro a fronte di un ritorno economico di circa undici milioni.
Un Roi (return on investment) di circa 2,7 il capitale investito non è male per un evento caratteristico, popolare e culturale.
Il successo è dovuto a diversi fattori.
I due docenti hanno sottolineato l’intelligenza dell’organizzazione temporale: undici tappe in piccole cittadine e poi altre quattro a Lecce, Cursi, Alessano e Galatina.
Un fattore di rilievo, già posto in evidenza su questo sito, è sicuramente la portata dei nomi degli artisti che prendono parte ogni anno a questo festival e si impegnano nel rinnovare e rinforzare la tradizione salentina.
Ulteriore elemento di forza è stato anche tentare la sintesi tra generale e particolare, tra locale e globale, tra tradizione e innovazione. Il Festival ha, infatti, visto ospiti internazionali alternarsi a dilettanti di gran talento, nomi noti del nostro Paese si sono cimentati insieme ad artisti locali, tutti uniti dall’obiettivo di portare avanti la tradizione, mantenendola viva anche attraverso l’arricchimento che ogni nuova interpretazione canora e musicale riesce ad apportare.
La sovrapposizione e l’intersezione di diverse dimensioni territoriali risulta essere un suggerimento forte per tutta l’economia, anche a livello nazionale.
La storia del Festival è già stata raccontata: è un percorso peculiare iniziato con l’idea di agire come area superando sterili campanilismi e puntando sulle antiche tradizioni territoriali, sul canto e sulla musica tradizionale.
Da sottolineare come le cifre presentate riguardino inoltre solo gli introiti direttamente generati dall’evento, senza considerare, per esempio, le altre ricadute economiche quali l’aumento del flusso turistico in genere, gli effetti su tutto il sistema ricettivo e dei servizi e la rinascita degli investimenti locali. Tali ulteriori benefici del Festival della Taranta sembrano essere quantificabili in circa venticinque milioni di euro.
Più il Festival sarà capace di proseguire nel tempo sulla strada intrapresa, maggiore sarà anche la fidelizzazione di molti turisti al territorio salentino, di cui potranno apprezzare anche ciascuno degli altri numerosi aspetti, fino a desiderare di tornare a visitarlo quanto prima.
Ulteriore riprova che con la cultura, se vi si investe con intelligenza, si mangia. E si balla.

Un’antica cittadina immersa nel verde dei Monti Cimini, dove ogni angolo profuma di storia e tradizione: siamo a Viterbo, provincia laziale anche nota come la Città dei Papi. E’ qui, tra i suoi palazzi e i suoi dintorni, che ha preso il via, l’8 luglio, la quinta edizione del Tuscia Operafestival, illustre evento di musica, danza e spettacolo, che si chiuderà il 15 agosto. La manifestazione sarà animata da ben 35 eventi, che spaziano su vari generi, dall’opera all’operetta, dalla musica sacra a quella jazz, dalla danza classica al flamenco. Ad orchestrare, è il caso di dirlo, tutti questi appuntamenti, è la sapiente regia del Maestro Stefano Vignati, direttore artistico, oltre che d’orchestra, del festival, affiancato da Raffaele Paganini, Luigi Martelletta, Antonino Fogliani, e molti altri.
Proprio dal Maestro Vignati siamo stati calorosamente accolti, il 5 luglio scorso, in occasione della conferenza stampa di presentazione del Tuscia Operafestival, e a lui abbiamo chiesto quanto l’evento sia importante per la provincia di Viterbo.

Dopo le smentite della crisi per il Festival Barocco, la troviamo intento a lanciare il Tuscia Operafestival, un evento davvero rilevante per la provincia di Viterbo. Che tipo di sostegno ha ricevuto il Festival da parte della città? Quale ruolo hanno svolto le aziende private locali? Che tipo di sinergie avete cercato?
Sono cinque anni che siamo “sulla piazza” con la musica, gli eventi, non solo in estate, ma anche in inverno, con “Impariamo l’opera” per i bambini, con i concerti di capodanno, per coinvolgere in ogni maniere e a tutti i livelli la cittadinanza. Cerchiamo dunque la massima collaborazione con gli assessorati: si parla di giovani e interagiamo con l’assessorato alle politiche giovanili. A livello di turismo portiamo 200-300 persone dall’Italia e dall’estero che fanno parte delle compagnie, delle orchestre e che soggiornano in  città per oltre un mese, con impiego di alberghi, servizi, ristoranti, creando un indotto importante per l’economia locale. Stimoliamo l’interazione a tutti i livelli, considerato che siamo presenti anche in provincia, dove attiriamo molto pubblico. Per questo troviamo il sostegno del potere commerciale locale, anche se siamo in un periodo di crisi. Facciamo fatica con i fondi che abbiamo per organizzare il Festival: 20 anni fa il Festival con il budget che si ha a disposizione qualunque grande Festival avrebbe organizzato pochi giorni di programmazione Noi però continuiamo perché riteniamo che Viterbo, con la sua arte, storia, cultura e architettura, sia un luogo splendido e ideale per questo genere di evento, una città che non ha nulla da invidiare ad altri centri che ospitano festival già affermati.

In che modo intendete promuovere il Festival e Viterbo all’estero? Pensa di portare questa provincia ai livelli delle altre grandi città, sedi di eventi internazionali?
Ci sono due aspetti su cui stiamo lavorando: il primo è quello della promozione, che stiamo portando avanti soprattutto negli Stati Uniti. Quale direttore artistico del Tuscia Opera Festival e del Festival Barocco, il primo giugno scorso ho presentato questi eventi a Los Angeles, per mostrare agli americani che abbiamo intenzione di portare queste nostre produzioni culturali anche da loro. Il Los Angeles Times, che vanta ben 6 milioni di lettori, ha recensito per ben due volte i nostri Festival, mentre il Tg1 ha documentato questa uscita internazionale con tre servizi, illustrando l’incontro avvenuto all’Istituto italiano di cultura, con il console generale e le autorità. C’è quindi un tentativo concreto di portare Viterbo al di fuori dell’Italia.
Il secondo aspetto, che è ancora in via di definizione, intende, sia per il Festival Barocco che per il Tuscia opera Festival, avviare delle coproduzioni con altri teatri e altri eventi importanti. L’obiettivo è quello di diventare un polo di coproduzione sia di musica barocca che di opera.

Insieme al Tuscia Operafestival si terranno in Italia altri importanti festival, come per esempio quello di Ravello e quello dei Due Mondi a Spoleto. Pensa che sia possibile avviare una sorta di collaborazione con questi palinsesti?
Lo spererei, nel senso che con il tempo credo sia un progetto realizzabile. Anni fa ho avuto modo di conoscere il Prof. De Masi, ideatore ed ispiratore del Festival di Ravello, con cui avviai a suo tempo un bel dialogo che spero di poter riprendere anche nel senso di una collaborazione. Con il Festival di Spoleto credo che la cosa sia più difficile, perché è troppo vicino a noi, e c’è una bella concorrenza, o meglio, aspiriamo a poter diventare quel che è ora il festival umbro. Siamo nati anche in modi similari perché il Festival dei Due Mondi ha avuto origine in America ed è stato portato in Italia ad opera di Menotti; noi, inversamente, siamo nati qui e intendiamo esportarci all’estero.

La musica classica è spesso tacciata di non essere vicina ai giovani. Eppure è di questi giorni la notizia che La Fenice ha nominato come suo direttore principale il ventisettenne Diego Matheuz. Cosa pensa delle nuove leve del settore? Che programmi avete per avvicinare le generazioni future alla musica classica?
Noi già facciamo questo tipo di attività. Parte in questi giorni un corso di alta formazione per trenta giovani musicisti indetto dalla Regione Lazio e cofinanziato dal fondo sociale europeo. Li avremo qui per un anno a contatto con grandi artisti e professori, come le prime parti del Teatro dell’Opera. Da parte nostra c’è l’intenzione di promuovere i giovani in ogni momento dell’anno, come l’accademia internazionale che ospitiamo qui, che porta gli allievi sul palcoscenico e consente loro di esibirsi. Devo ammettere però che sono un po’ scettico nella scelta di affidare un ruolo così importante, come la direzione della Fenice, a professionisti troppo giovani. Le orchestre è bene che siano giovani perché c’è l’entusiasmo, la forza, anche quel non so che di naif che fa della musica una cosa interessante. Per la parte dirigenziale della musica, forse un po’ più di esperienza ci vorrebbe, dai direttori di orchestra ai direttori artistici, fino ai sovrintendenti dei teatri, considerato che hanno responsabilità abbastanza delicate.

Lei, Maestro, si trova a ricoprire due ruoli molto importanti: che tipo di similarità riscontra nel fare il direttore d’orchestra e il direttore artistico? Quali le difficoltà?
Lo dico da direttore di orchestra: la direzione artistica di un festival è una ‘via crucis’ che continua tutto l’anno. E’ molto interessante e dà tante soddisfazioni, ma è un lavoro massacrante. La direzione d’orchestra è per me il riposo: quando salgo sul palco e “lavoro” con l’orchestra è come se fossi in vacanza.

Il portale youteatro.it è la web tv dello spettacolo dal vivo. Il sito propone agli utenti una piattaforma ricca di immagini, video, videopromo, trailer e interviste riguardanti spettacoli teatrali, performance artistiche e musicali, live performance, danza contemporanea.
L’idea alla base del sito è che il teatro non è composto esclusivamente dal momento stesso dell’esibizione, dall’attimo “effimero” che si esaurisce in una serata, ma è anche l’espressione di individui, storie, creazioni e azioni collettive, attori ed errori che lo hanno generato: “Youteatro sarà là dove il teatro rapisce la sostanza! Nei momenti più inaspettati…in diretta!” si dice nella sezione “speciale”dedicata proprio alla trasmissione in diretta degli spettacoli.
Sul sito si possono guardare i trailer degli spettacoli e i dietro le quinte della stagione teatrale 2010-2011 in Italia, una programmazione eclettica e multiforme di esibizioni; nella sezione “teatro e dintorni” si possono invece visionare i racconti e le esperienze peculiari e personali degli attori legate al mondo dello spettacolo; ci si può fare un’idea di ciò che rappresenta il mondo del teatro in Italia, attraverso le testimonianze dirette dei suoi protagonisti. Il sito rappresenta un nuovo modo di vivere il palcoscenico attraverso un’interazione immediata tra individuo, immagine e suono, in cui lo show è interattivo e il pubblico protagonista. Youteatro può essere definito un “esperimento teatrale” di grande innovazione, in cui i contenuti multimediali, tutto quello che succede prima e dopo che uno spettacolo venga messo in scena, vengono esplicitati in maniera nuova, senza l’ausilio della parola scritta.
Alessandro Bergonzoni, Ottavia Piccolo, Claudio Santamaria, Paolo Rossi, Elio e le Storie Tese, Gene Gnocchi e altri artisti raccontano se stessi e il teatro di fronte ad una telecamera, a tu per tu con il fruitore. Curiosità e chicche del mestiere vengono dispensate in maniera assolutamente dialogica: il fruitore  si diverte sentendosi partecipe di un mondo performativo fatto anche di esperienze personali. In un certo senso è come se le distanze tra spettatori e palcoscenico fossero minimizzate, è come se gli attori strizzassero l’occhio agli spettatori coinvolgendoli nel loro mondo. Tuttavia, nonostante il sito si proponga di perseguire un rapporto d’interazione con i propri utenti,  la sezione dedicata alla registrazione non prevede dei visibili vantaggi per i fruitori del servizio.

Lo scorso 30 giugno la città di Milano è stata protagonista di un flash mob danzante. 50 ballerini hanno infatti interpretato sequenze musicali di famose arie liriche, riarrangiate in stile funky, lasciando a bocca aperta i presenti in Galleria Vittorio Emanuele e alla Stazione Centrale. La maggior sorpresa però è stata scoprire che dietro a questa innovativa forma di comunicazione c’era la Fondazione Arena di Verona a promuovere la stagione lirica 2010, che giunge quest’anno alla sua 88ª edizione.

Perché si è scelto proprio questo tipo di iniziativa, così innovativa e fuori dagli schemi, per promuovere un evento autorevole e rinomato come la stagione lirica all’Arena di Verona?
L’opera lirica è uno degli elementi distintivi della cultura italiana del mondo, appartiene al nostro passato ma anche al nostro presente e ha molto da dire anche per il futuro.. abbiamo scelto di dimostrarlo attraverso un linguaggio diverso in grado di avvicinarsi con facilità e freschezza, di stupire e coinvolgere. L’obiettivo dei “Mobbers” quando si radunano ad un flash mob è quello di “rompere gli schemi della quotidianità”. Comunicare il Festival Lirico dell’Arena di Verona è un modo per cercare di dare nuovi punti di vista su questo genere, rompere i preconcetti che lo considerano un genere elitario e un po’ ingessato, e avvicinare nuovi potenziali spettatori

La città protagonista del flash mob è stata Milano. Come mai si è prediletta questa sede?
Non è stato facile scegliere la città in cui realizzare il primo flash mob: all’inizio avevamo pensato a Verona, ma la scelta sarebbe stata troppo autoreferenziale.  Milano ci piaceva per l’eterogeneità che rappresenta, per la sua essenza di città della cultura nella sua accezione più ampia, e poi perché è una vetrina eccezionale.

Il 18 giugno è stata la serata inaugurale dell’88° Festival dell’Arena di Verona, che si protrarrà fino al 29 agosto. Come si articola quest’anno il Festival?
La serata inaugurale ha visto quest’anno la rappresentazione di Turandot. Le altre opere in programma sono Aida, Madama Butterfly, Carmen e Il Trovatore, tutte con regia e scene del grande Maestro Franco Zeffirelli, che negli anni ha instaurato con l’Arena di Verona un rapporto speciale. Sono tutte opere di grande richiamo e di forte attrattiva, ma una nota particolare va fatta per Il Trovatore, che vanta quest’anno un cast d’eccezione (Dmitri Hvorostovsky, Marianne Cornetti, Marcelo Alvarez solo per dare alcuni nomi) ed un allestimento davvero meraviglioso.

Per il flash mob le musiche de Il Trovatore, della Carmen e di Madama Butterfly sono state riarrangiate in versione funk. Non avete temuto reazioni di riprovazione da parte dei puristi? E perché è stato scelto proprio questo genere?
Qualche purista avrà trovato sicuramente qualcosa da ridire su quest’operazione che, lo ammetto, può sembrare una “violenza” nei confronti dell’originale, ma è pur sempre vero che innovare a partire dalla tradizione, ovvero ispirarsi a opere scritte più di cent’anni fa per creare qualcosa di nuovo resta la chiave di volta per continuare a “rinfrescare quello che queste opere hanno ancora da dirci. Il funk è stato scelto perché è un genere vicino ai giovani, che può coinvolgerli facilmente e che dunque si presta bene ad attirare l’attenzione. Questo evento non aveva nessuna ambizione di tipo artistico, la finalità era semplicemente creare curiosità e interesse per il Festival Lirico Areniano.

Che tipo di rapporto hanno i giovani con il Festival Lirico dell’Arena?
Il Festival Lirico dell’Arena di Verona può contare su un numero consistente di giovani: le nostre indagini statistiche ci dicono che il 10,7 % del nostro pubblico è al di sotto dei 25 anni e un altro 12,6% va dai 26 ai 35 anni.
Molti giovani però percepiscono la lirica come un genere “vecchio” e poco comprensibile: ricorrere al flash mob dal nostro punto di vista era un modo per avvicinare questa fascia di pubblico.

Quali sono state le reazioni dei presenti al flash mob?
I presenti al flash mob sono rimasti molto colpiti e sorpresi! Soprattutto quando al termine della performance i ballerini si sono dileguati tra la folla velocemente e in silenzio.  Per quasi 4 minuti sembrava che Milano si fosse fermata e che tutto quello che avveniva altrove non avesse più nessuna importanza. E’ stato particolarmente affascinante vedere come lo stupore colpisse tutti i presenti: dai pendolari ai turisti, dalle commesse in pausa pranzo agli uomini d’affari di passaggio.

Ritenete che questo esperimento pubblicitario avrà seguito nel settore teatrale?
Perché no? L’opera lirica, come il teatro, è stata storicamente considerata lontana dal mondo giovanile. In realtà sia la Lirica che il Teatro hanno molto da dire e da dare ad ogni tipo di pubblico. Comunicare questo messaggio attraverso gli strumenti e i canali  più vicini ai giovani aiuta a far entrare questi storici capolavori musicali nella vita di tutti i giorni in modo divertente e curioso. Molti teatri, oltre a Fondazione Arena stanno cercando nuovi modi di comunicare, e non disdegnano mezzi meno classici, quali ad esempio face book.

La tecnologia sposa lo spettacolo dal vivo; e il balletto, la musica e il teatro sperimentano una nuova dimensione in cui la passione e il coinvolgimento emotivo trovano un senso di realismo ed esperienziale mai provato prima. Il 3D entra anche nel mondo delle arti performative.
Il debutto della nuova tecnologia nello spettacolo dal vivo risale allo scorso anno quando, in occasione del Sat Expo Europe 2009, a Roma l’esibizione di una band jazz, avvenuta in un vero e proprio set, è stata trasmessa in 3D live stereoscopico via satellite. Il concerto è stato non solo proiettato in una sala cinematografica ma anche riprodotto in uno dei televisori di ultima generazione che pare stiano per rivoluzionare l’intrattenimento domestico. Si è trattato di un assaggio speciale di una tecnologia che può offrire all’appassionato di danza, teatro e musica e, soprattutto, ai giovani un nuovo modo di vivere lo spettacolo dal vivo.
Poco dopo, è il grande evento capitolino “La Festa dell’Acqua e dell’Energia”, organizzato per festeggiare in piazza il centenario dell’azienda romana di multiservizi Acea, a ricorrere alla messa in onda tridimensionale di una performance live. Lo straordinario spettacolo “Roma città d’acqua e di luce”, tenuto su un grande palcoscenico tra il Pincio e l’obelisco di Piazza del Popolo è stato, infatti, trasmesso e riprodotto su un maxischermo 3D al Pontile di Ostia.
Quasi contemporaneamente è il festival “Les Nuits de Fourvière”a offrire agli appassionati della voce dell’artista Julien Clerc, che non si sono potuti recare a Lione, la possibilità di assistere in diretta 3D allo spettacolo da quattro sale cinematografiche dislocate nelle più importanti città francesi. Un successo palpabile, prova della prontezza del grande pubblico nel recepire la nuova tecnologia.
Ultimo, in ordine cronologico, il mondo del balletto. Risale allo scorso 15 Aprile, in concomitanza con l’Anno della Russia in Francia e della Francia in Russia, la visione tridimensionale al cinema e in televisione di uno spettacolo coreutico. È stato il Teatro Mariinsky di San Pietroburgo il protagonista di quest’iniziativa che promuove l’utilizzo delle nuove tecnologie 3D nell’ambito dei progetti artistici di un teatro. Una prima eccezionale di uno spettacolo del Corpo di Ballo del prestigioso teatro russo, una rappresentazione di altissimo livello sul piccolo e  grande schermo.
La visione al cinema o comodamente nel salotto di casa di un’opera, di un balletto, di un concerto?
Il 3D è una modalità nuova ed emozionante per coinvolgere un pubblico sempre più esigente e pronto ad accogliere le nuove sfide tecnologiche. E  non solo.
La nuova tecnologia rappresenta una vera e propria svolta, sia per la promozione degli artisti e delle arti performative, sia  per le sale cinematografiche che potrebbero di fatto trasformarsi in degli innovativi centri multimediali dello spettacolo dal vivo in grado di diffondere in tempo reale musica, balletto, teatro .
Il 3D la nuova frontiera dello spettacolo dal vivo?
Una dimensione tutta da scoprire, ma che promette scintille.

artisti in piazza montecitorio contro tagli al FUS

La riduzione dello stanziamento complessivo del Fondo Unico per lo Spettacolo, resa nota con il Decreto Ministeriale emanato il 13 febbraio 2009, ha portato i protagonisti dei mondi del cinema, del teatro, della danza e della musica, a manifestare lunedì 20 luglio in piazza Montecitorio, di fronte alla Camera dei deputati, per chiedere il reintegro del FUS ed evitare così la “morte della cultura italiana”.
I tagli previsti ammontano a 130 milioni di euro, portando i fondi messi a disposizione del settore dello spettacolo dai 456 milioni di euro stanziati nel 2008 ai circa 380 milioni di euro da attribuire nel corso del 2009 a fondazioni lirico-sinfoniche, cinema, attività teatrali di prosa, attività musicali, danza, circhi e spettacolo viaggiante. I margini d’azione per evitare tale manovra sembrano essere davvero pochi, se si considera che la riduzione del FUS rientra tra le misure finanziarie fissate dal decreto anti-crisi, giunto ormai al rush finale alla camera e vicino alla sua approvazione.
A sostegno di tutti coloro che a vario titolo lavorano in quest’ambito è sceso in campo anche il presidente Napolitano, il quale condivide la preoccupazione degli artisti per i tagli a cinema, teatro, danza, musica, invitando alla riflessione e ad ogni possibile ripensamento. Inoltre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, fa sapere che si sta battendo con tutte le sue forze per far cambiare idea a Giulio Tremonti, ma che questa volta la battaglia è davvero dura, in quanto il ministro dell’Economia non è intenzionato a tornare sui suoi passi.
Intanto il ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi, di cui i manifestanti hanno chiesto le dimissioni per non aver mantenuto fede alle promesse fatte, dichiara – attraverso una lettera aperta pubblicata oggi sul Corriere della Sera -, di conoscere le difficoltà evidenti del mondo della cultura e dello spettacolo e si mostra “propenso a favorire una vasta politica di defiscalizzazione […], che aiuti a superare il centralismo dirigistico che ha contraddistinto il settore dello spettacolo, con sprechi e storture che in parte giustificano un diverso utilizzo dei fondi pubblici”.
Come messo in evidenza dalla “Relazione sull’utilizzazione del Fondo Unico per lo Spettacolo – Anno 2007”, il FUS ha conosciuto nel corso degli anni che vanno dal 1985 al 2007 una riduzione del 43,7%, tenuto conto del mutato potere d’acquisto della moneta. In particolare a partire dal 2003, il FUS ha subito vistosi tagli tornando ai valori registrati alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. Inoltre l’andamento del rapporto tra il Fondo Unico per lo Spettacolo ed il Prodotto Interno Lordo, che evidenza la porzione di reddito che nel nostro paese è destinata allo spettacolo, mostra come nel periodo che va dal 1985 al 2007 tale porzione si sia fortemente ridotta fino a raggiungere la quota dello 0,00028% nel 2007, contro lo 0,00085% registrato nel 1985, equivalente ad una diminuzione del 66,2% e dello 0,8% rispetto al 2006. Mentre nello stesso periodo il Prodotto Interno Lordo si è quasi quadruplicato crescendo mediamente del 3% annuo, la quota destinata allo spettacolo è progressivamente diminuita.
Forse, come già qualcuno suggeriva un po’ di tempo fa, viste le ridotte dimensioni del Fondo Unico per lo Spettacolo, che incide per una frazione infinitesimale del bilancio pubblico, è davvero giunto il momento di prendere in considerazione la possibilità di rendere la spesa per lo spettacolo, e per la cultura in generale, una spesa in conto capitale che abbia le caratteristiche di stabilità nel tempo, al fine di dare maggiore certezza agli operatori e di slegare l’andamento dell’investimento in cultura dal ciclo economico.

I tagli del FUS su Tafter

onda-emotiva_watching-the-dancersUn gran fermento in sala. Si abbassano le luci. Nella penombra si intravedono le sagome di sei ballerini che dai lati della scena attendono tesi. Parte la musica, muovono rapidi i primi passi verso il centro del palco. Crescono le luci di scena: quattro fuggono e due sono già lanciati in un volteggio atletico, armonico che sfida la legge di gravità, sostenuto solo dal pentagramma. Una prima emozione per un battito d’ali che in musica disegna l’aria. Senza dubbio il mondo della danza moderna contemporanea, a suon di applausi dei numerosi spettatori, ha lasciato a Ravenna un vigoroso segno grazie agli Hubbard Street Dance.
Sabato 11 luglio al XX Ravenna Festival, Pala de Andrè, la compagnia Hubbard Street Dance Chicago (HSDC) sotto la direzione artistica di Jim Vincent si è confermata una delle realtà più innovative nel panorama della danza contemporanea. Gli oltre venti ballerini che sono impegnati per i tre tempi proposti, articolati in quattro coreografie di Alejandro Cerrudo (Lickey-Split), Ohad Naharin (Passomezzo), Jim Vincent (Slipstream), Nacho Duato (Gnawa), nell’esprimere versatilità e virtuosismo, consentono al gruppo di esporre tutto il proprio eclettismo nell’interpretare quasi due ore di emozioni con un dinamismo deciso ma leggero impresso a tutto lo spettacolo.
L’alto profilo di una rappresentazione che consente ai corpi di disegnare quelle emozioni che la musica affida alle note è evocativamente chiusa con una coreografia complessa e corale, con tutti i ballerini in scena, in intricate armoniose movenze che sembrano richiamare, su musiche mediterranee sostenute da incalzanti tamburi, l’orizzonte, il dialogo, il tramonto -grazie anche ad un sapiente gioco di lanterne- e col giungere della notte un preludio d’alba di speranza.
L’Hubbard Street Dance Chicago nasce oltre trenta anni fa per soddisfare un’esigenza di comunione artistica e culturale. Forte è il legame con la propria città, Chicago, dove identifica l’emblema di un profilo culturale internazionale. La compagnia, che del resto rappresenta un modello di eccellenza nel mondo della danza, oggi è una delle più prestigiose d’America. Il fondatore, nel 1977, è il ballerino e coreografo Lou Conte, che resta direttore artistico fino al 2000, e che attiva, fino dagli anni Ottanta, collaborazioni sia con affermati coreografi sia con virtuosi emergenti sulla scena internazionale. Così, grazie ad un progetto in passaggi successivi, al lavoro e al contributo creativo di esperienze e di saperi, a coreografi come Lynne Taylor-Corbett, Margo Sappington, Daniel Ezralow, Twyla Tharp, Jiri Kyliàn, Nacho Duato, oggi il direttore artistico Jim Vincent può presentare al mondo uno sguardo della danza moderna che è davvero contemporaneo e si “proietta oltre”, parla a tutti e grazie al costante dialogo con l’alterità anche di futuro.
Foto di Flavio Milandri

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Seguendo un rituale che dal 1936 si ripete puntuale di anno in anno, martedì 25 giugno è stato presentato, presso la Biblioteca e Museo Teatrale del Burcardo, l’Annuario dello Spettacolo 2008, che raccoglie i risultati dell’attività di spettacolo svolta in Italia da gennaio 2008 a febbraio 2009, rilevati dai 650 uffici territoriali della Siae, la Società Italiana degli Autori e degli Editori.
Il volume, a cura dell’Osservatorio dello Spettacolo e dell’Ufficio Statistica della Siae, presenta quest’anno due importanti novità. Da una parte l’apertura verso un pubblico internazionale con la pubblicazione di una versione inglese del volume, che affianca per la prima volta quella italiana, entrambe disponibili sul web e scaricabili gratuitamente. Dall’altra lo sviluppo, in forma ancora sperimentale, di una piattaforma innovativa che permette, nell’area del sito Siae destinata alla Biblioteca dello spettacolo, di interrogare i dati in modo dinamico utilizzando una modalità altamente interattiva. Detto altrimenti grazie a questo nuovo dispositivo di ricerca, gli utenti hanno la possibilità di visualizzare, direttamente sul web, una serie di informazioni di dettaglio, in base ai parametri che, loro stessi, decidono di interrogare. In tal modo, il fruitore dei dati ha la possibilità di ottenere delle risposte immediate e di costruirsi un proprio punto di vista, senza dover cercare le informazioni di cui necessita scorrendo l’intero indice di una pubblicazione, con un ragguardevole risparmio di tempo.
I risultati contenuti nell’Annuario 2008 fanno riferimento ad 8 macro-aggragati – attività cinematografica, attività teatrale, attività concertistica, attività sportiva, attività di ballo e concertini, attrazioni dello spettacolo viaggiante, mostre ed esposizioni, attività con pluralità di generi -, investigati dal punto di vista degli eventi di spettacolo e dell’utilizzazione delle opere.
Nel corso del 2008 la Siae ha rilevato 2 milioni 788.190 spettacoli: il settore che ha fatto registrare il maggior numero di spettacoli è stato il Cinema con circa 1,514 milioni di eventi; il secondo macroaggregato in ordine di grandezza è l’Attività di ballo e concertini con 822 mila eventi. Nel settore del Teatro si sono contati 156,5 mila eventi di spettacolo, mentre lo Sport ha fatto registrare 144 mila eventi. Le Mostre ed esposizioni hanno prodotto 42,8 mila spettacoli; a cui seguono i macroaggregati delle Attività con pluralità di generi (39,3 mila), i Concerti (36,4 mila) e le Attrazioni dello spettacolo viaggiante (33,4 mila). Da un punto di vista territoriale, il numero maggiore di spettacoli è stato allestito nell’area di Nord-ovest con circa 806 mila eventi; seguono il Centro (706 mila), il Nord-est (650 mila) il Sud (421 mila) e le Isole (205 mila). Le Regioni nelle quali è stata rilevata la massima concentrazione di spettacoli sono la Lombardia (471 mila), il Lazio (314 mila) e l’Emilia-Romagna (281 mila).
Per ciò che concerne la spesa al botteghino, nel 2008 il pubblico ha speso, per l’acquisto di titoli di accesso (biglietti ed abbonamenti), 2,2 miliardi di euro. La spesa maggiore per l’acquisto dei biglietti ed abbonamenti si registra nel settore del Cinema (637 milioni di euro); seguono il comparto del Teatro (365 milioni di euro), lo Sport (356 milioni di euro), l’Attività di ballo e concertini (322 milioni di euro), i Concerti (236 milioni di euro), le Attrazioni dello spettacolo viaggiante (169 milioni di euro), le Mostre ed esposizioni (111 milioni di euro) e le Attività con pluralità di generi (8,5 milioni di euro).
Il settore dello spettacolo ha generato nel corso del 2008 un volume d’affari pari a 5.669.318.331,16 euro, in aumento dello 0,80% rispetto all’anno precedente.
Dal confronto dei dati rilevati nel corso del 2008 con quelli registrati nel 2007, si evince una flessione del 2,47% per quanto riguarda l’offerta di spettacoli: tutti i macroaggragati, infatti, hanno riportato un andamento negativo tranne il comparto Mostre ed esposizioni che ha avuto un incremento del 7,36%. Anche gli ingressi segnano, nel complesso, una flessione del 3,18%, con un andamento negativo nei macroaggregati del Cinema (-4,65%), del Teatro (-7,41%) dell’Attività di ballo e concertini (-4,89%), delle Mostre ed esposizioni (-1,23%) e delle Attività con pluralità di generi (-27,27%), a fronte di una tendenza positiva nei Concerti (+0,68%), nello Sport (+2,88%) e nelle Attrazioni dello spettacolo viaggiante (+8,37%).
Se la spesa al botteghino è in leggero aumento (+0,60%), la spesa del pubblico, rispetto al 2007, registra una flessione del 6,89% dovuta una minore disponibilità degli spettatori ad impegnare somme per la fruizione di “ulteriori prestazioni”, quali la prenotazione dei posti, le consumazioni al bar, l’acquisto dei cataloghi, il guardaroba. A questo proposito Giorgio Assumma, presidente della Siae, ha affermato che “i dati in generale sono negativi, ed è la prima volta che si verifica una inversione di tendenza. Finora si era sempre verificato un aumento di incassi e di ingressi nonostante la crisi; nell’ultimo anno invece la situazione è cambiata, il pubblico si è allontanato dallo spettacolo. Anche se la crisi riguarda di più le consumazioni che i biglietti. Ciò significa che c’è quindi molta attenzione e ponderazione sulle spese inutili. Il dato che deve farci riflettere è comunque un altro: anche l’industria dello spettacolo risente della crisi, quindi non si può più ritenere questo settore una industria marginale”.
Pertanto l’aumento del volume d’affari dell’0,80% messo prima in evidenza può essere dovuto, secondo le analisi condotte dagli uffici della Siae, ad una maggiore rigidità dell’investimento dei soggetti terzi rispetto alle altre voci di spesa, in quanto le erogazioni dei non partecipanti hanno solitamente una durata pluriennale e risentono meno delle fluttuazioni economiche di breve periodo; oppure l’incremento degli investimenti nel settore dello spettacolo nasce, in un periodo caratterizzato da tassi di interesse molto bassi, dalla ricerca di forme di investimento più redditizie rispetto ai rendimenti garantiti dai consueti canali finanziari.
In sintensi, secondo i dati riportati nell’Annuario dello spettacolo 2008:
– l’attività cinematografica, a parte l’incremento del numero di spettacoli (confermato, in misura più contenuta, anche dall’incremento delle giornate di attività), lamenta l’andamento negativo di tutti gli altri indicatori;
– l’attività teatrale evidenzia una tendenza decisamente negativa, sia negli indicatori numerici
(spettacoli, ingressi e presenze), sia in quelli economici (spesa al botteghino, spesa del pubblico, volume d’affari), anche se non tutti gli aggregati del settore hanno fatto registrare un andamento negativo;
– l’attività concertistica registra una contrazione nell’offerta (numero di spettacoli), un leggero aumento degli ingressi e una rilevante espansione degli indicatori economici. In questo macroaggregato, il settore trainante è stato l’aggregato dei Concerti di musica leggera;
– l’attività sportiva presenta una flessione nell’offerta di spettacoli e un incremento degli ingressi. In questo settore, crescono la spesa al botteghino ed il volume d’affari; in flessione la spesa del pubblico. Di particolare rilievo, la crescita del volume d’affari rilevata nel calcio (+7,23%, equivalente a oltre 100 milioni di euro);
– l’attività di ballo e concertini mostra tutti gli indicatori con segno negativo. La flessione risulta distribuita in modo omogeneo tra le due componenti;
– le attrazioni dello spettacolo viaggiante registrano la diminuzione del numero di spettacoli e l’aumento degli ingressi. In deciso aumento gli indicatori economici (spesa al botteghino, spesa del pubblico, volume d’affari). In questo macroaggregato, si sottolinea il peso determinante dei Parchi da divertimento;
– le mostre ed esposizioni siglano una tendenza positiva nel conteggio degli Eventi e nella rilevazione della spesa al botteghino. In questo settore, il segno negativo precede gli ingressi, la spesa del pubblico ed il volume d’affari. La flessione registrata in questi due ultimi indicatori è conseguenza, probabilmente, dell’assestamento verificatosi dopo la registrazione, avvenuta nel 2007, di introiti, molto consistenti ma di natura assolutamente occasionale, in Veneto;
– nelle attività con pluralità di generi, gli indicatori sono tutti preceduti dal segno negativo.
Quest’ultimo dato rappresenta, infine, un ulteriore indizio registrato nel 2008, della diminuita attitudine delle Amministrazioni locali ad investire nell’allestimento di spettacoli.

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