fildelcoMilano, centro nevralgico della produzione culturale italiana, città di riferimento per l’editoria, così come per l’arte contemporanea e per la moda. Per molti la più internazionale delle province italiane,  il capoluogo meneghina è alla vigilia di un biennio fitto di impegni e di difficoltà, che si concluderà con un Expo che ha già attirato critiche e disappunti. Abbiamo parlato di questo, e di molto altro, con Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano.

 

Qual è il rapporto tra cultura e spazio urbano?
La relazione tra cultura e spazio urbano è centrale, soprattutto in una città come Milano, che ha una caratteristica molto particolare, e forse non ancora del tutto compresa e valorizzata ma che, di fatto, la contraddistingue da molte città italiane ed europee: è, infatti, una città che vanta una presenza molto diffusa di centri di creazione culturale. La pianta della nostra città, costruita intorno ad un centro immediatamente riconoscibile che, con un movimento quasi spiraliforme, va verso i confini, consente la diramazione di nuclei diffusi in cui la cultura si espande, nuclei che non sono collocati in zone circoscritte o in singoli quartieri. Ciascuno di questi luoghi intesse ha, infatti, un rapporto molto forte con lo spazio urbano circostante, diventando anche luogo di integrazione e aggregazione per i flussi sociali della città. Credo che la prima considerazione da fare sia proprio questa: essendo la cultura, uno strumento valido per la creazione di ponti di dialogo, di rapporti sociali e di aggregazione, quanto più questa riesce ad essere diffusa in maniera capillare, tanto più dispone il territorio a vivere lo spazio urbano in maniera diversa. Da questo punto di vista, ritengo che non ci sia miglior presidio di legalità per un territorio che una serie di luoghi che diffondano e promuovano la cultura.

 

Milano città della moda ma Milano è anche città dell’arte contemporanea: ritiene che quest’aspetto sia ben comunicato all’estero?
Sì, ritengo sia ben comunicato all’estero, almeno per quanto riguarda gli operatori del settore. A Milano c’è una rete molto fitta di gallerie private e varie manifestazioni, come la Fiera Internazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (MiArt), recentemente rilanciata grazie alla nuova direzione che ha sicuramente fornito un respiro più internazionale rispetto alle edizioni che l’hanno immediatamente preceduta. Però il grado di diffusione raggiunto nei confronti degli operatori, non è altrettanto diffuso presso il pubblico. Ciò nonostante, le ultime analisi inerenti il turismo rivelano che sempre di più questa città sta diventando una meta importante per il turismo culturale.

 

Cosa, secondo il suo parere personale, manca a Milano dal punto di vista culturale?
È molto difficile rispondere, perché a mio avviso, Milano è una città che non ha forti mancanze dal punto di vista culturale. Più precisamente credo che Milano abbia sempre saputo sopperire con grande capacità, ingegnosità e laboriosità ai vuoti di offerta culturale. Come uomo di cultura, e meglio ancora come cittadino, non ho mai avvertito una grave o forte mancanza. Quello su cui sicuramente Milano è in ritardo rispetto ad altre città, è la scarsa presenza di luoghi deputati alla produzione culturale rivolti ai giovani: credo che facciano molta fatica a trovare luoghi fisici e spazi istituzionali nei quali lasciar emergere il proprio potenziale creativo.

 

Questo è un problema comune a tutto il Sistema Paese, del resto
È vero, è un problema che riguarda tutto il Sistema Paese e che affonda le sue radici in due fattori principali: da un lato il Paese soffre della mancanza di un ricambio generazionale ai vertici, per cui ci troviamo con Istituzioni Culturali dirette da attori che non riescono ad intessere un dialogo fertile con le nuove generazioni, e a questo punto stiamo cercando di porre rimedio; l’altro fattore è che, ritornando all’esempio di Milano, la riconversione di spazi che il Comune potrebbe mettere a disposizione di questa emergenza culturale giovanile fatica a trovare le risorse necessarie per trasformare questi luoghi in locali agiati ed agibili.

 

In merito a questa tematica, si parla molto di collaborazione tra pubblico e privato. Il dibattito ha interessato tutte le possibili collaborazioni che si possono intessere tra queste categorie di attori, dalla partecipazione diretta alla co-gestione. Lei ritiene che questo connubio (le famose 3P) possa riguardare tutti i campi della cultura o crede ci siano dei settori che per loro natura non interessano il privato?
La collaborazione deve essere assolutamente estesa a tutti i campi, altrimenti si verrebbero a creare delle sacche di esclusione che porterebbero inevitabilmente a fenomeni di inefficienza e di recessione. Ritengo che la strada che bisogna intraprendere passi attraverso lo sviluppo di un’alleanza tra utilità pubblica e utilità privata. Il privato va coinvolto in conformità a un principio condiviso, ossia che il patrimonio cognitivo di una comunità ne innalza le potenzialità di sviluppo sociale ed economico. In questo senso il privato deve intervenire nei progetti di sviluppo culturale non tanto, o non esclusivamente, nelle forme del mecenatismo, o nelle forme del mero ritorno di visibilità, ma spinto dalla consapevolezza di investire anche sul proprio futuro. Questa consapevolezza è alla base di qualunque tipo di collaborazione, perché non si può chiedere ad attori privati di sopperire alla contrazione di finanziamenti di cui soffre il settore pubblico, senza che ci sia la certezza che ad una comunità con un alto patrimonio culturale corrisponda un terreno fertile per nuovi progetti di innovazione e di spirito di imprenditorialità, nonché slancio all’internazionalizzazione, fattori questi che si rivelano sempre più importanti per la crescita di un’utilità privata. Da questo punto di vista la grande sfida che stiamo affrontando oggi è quella relativa ai modelli di gestione: è ormai in crisi, direi in tutto il mondo, l’idea di una gestione diretta da parte del Pubblico dei luoghi produttori di cultura. Il Pubblico deve stimolare il Privato ad essere un alleato nella creazione di modelli di gestione che siano in grado di rendere questi luoghi sostenibili: è la sostenibilità, ormai, il principio fondamentale della capacità della cultura di generare un valore positivo per la comunità. Si tratta di un’idea ottima, ma è molto difficile riuscire a concretizzarla.

 

Un tentativo di questa collaborazione è però l’Expo: dal punto di vista culturale, ho notato che c’è molta difficoltà a creare un’empatia tra ciò che sarà l’Expo e la Città di Milano. Qual è la più grande difficoltà che si incontra nel comunicare un evento di questo tipo?
Credo ci sia una difficoltà quasi ontologica, perché è estremamente difficile immaginare e raccontare qualcosa che non c’è e che è ogni volta diverso. L’Expo è una grande manifestazione, ma ha ogni volta una declinazione così particolare legata al tema e al luogo in cui questa viene ospitata che è impossibile raccontarla secondo logiche comunicative seriali. Faccio un esempio banale: se Milano dovesse ospitare un grande evento sportivo (come i Mondiali di Calcio o le Olimpiadi) non ci sarebbero grandi difficoltà di comunicazione: la curiosità si concentrerebbe sui luoghi o sull’organizzazione scenografica, ma questi eventi sono immediatamente riconoscibili e riconosciuti. Un’esposizione universale è un grande evento culturale (e non solo) che assume ad ogni manifestazione forme diverse. La più grande difficoltà nella creazione di un immaginario legato a quest’evento è la totale assenza di termini di paragone forti. Ciò che però va assolutamente fatto è la costruzione di una narrazione dell’Expo come grande opportunità per Milano e per il Sistema Paese: ripensare al tema dell’alimentazione sotto i vincoli di sostenibilità, cooperazione e condivisione di strumenti e di conoscenza è fondamentale, e Milano 2015 può essere davvero l’occasione dalla quale veder nascere una nuova visione dell’alimentazione per l’intero pianeta. Questa è sicuramente un’opportunità di sviluppo che non va assolutamente sottovalutata.

 

 

 

 

 

Si è inaugurata sabato 4 maggio la mostra “Milano: Memoria Storica e rinnovo urbano. Dalle periferie all’expo universale 2015”.
La mostra, organizzata dalla Fondazione Perini, dà ufficialmente il via alla kermesse di convegni prevista dalla maratona di eventi ed interventi degli Expo Days: una serie di appuntamenti che spaziando dall’arte agli incontri pubblici, vuole coinvolgere cittadini e territorio nel “viaggio” che porterà all’Esposizione Universale.
Senza ombra di dubbio, l’Expo 2015 è un tema che richiama una certa attenzione. In quest’evento la città di Milano può trovare un forte slancio economico in un periodo in cui ce n’è davvero bisogno. Ma oltre a tutte le tematiche legate allo sviluppo economico, emerge anche la possibilità di vedere in questa manifestazione una nuova marcia per la costruzione di un’identità culturale.
Per il grande evento del 2015 si prevede che la città meneghina ospiti milioni di persone provenienti da tutto il mondo, occasione che può fornire alla più europea delle città italiane una vetrina dietro la quale mostrare le sue migliori potenzialità. Ma i riflettori sono un’arma a doppio taglio: il rischio è che la città si imbelletti nelle zone dove ci si aspetta un maggior afflusso di visitatori e che trascuri, come si fa con un ripostiglio quando arrivano ospiti inattesi, i quartieri a bassa attrazione turistica. La differenza è che qui gli ospiti sono tutt’altro che inattesi, ma tempo e denaro non bastano mai. Per questo è necessario che la mobilitazione non provenga solo dalla pubblica amministrazione, ma sia il risultato di un dialogo tra enti territoriali e tutte le parti sociali.
In un periodo in cui lo “sviluppo sostenibile” è divenuto il nuovo paradigma di sviluppo, Milano può fornire risposte che vadano al di là dei grandi investimenti immobiliari. La prima risposta, in questo senso, è proprio quella fornita dalla Fondazione Perini “che non solo è impegnata nel tema della cultura delle periferie, ma ha il pregio di aver storicamente introdotto questo tema”, queste le parole dell’assessore alla casa e al demanio Daniela Benelli, che ha aperto il dibattito inaugurale dell’esposizione. E la risposta è molto semplice: dall’archivio della fondazione una serie di fotografie e di tavole urbanistiche di Milano, illustrano l’evoluzione di alcune zone periferiche della città, illuminando di nuova luce il discorso relativo ai nuclei di identità locale.
Questi nuclei, sono stati introdotti dal piano di governo del territorio, e suddividono la città in ottantotto realtà in cui è possibile riconoscere i quartieri milanesi.
Con la Legge n. 135 del 7 agosto 2012, si è avviato un processo che vede la trasformazione di Milano in città metropolitana a partire dal 1 gennaio 2014. Questa trasformazione implica una maggiore estensione di confini amministrativi, e quindi, una maggiore necessità di decentramento. “Se non vogliamo che questa trasformazione sia soltanto formale, ? continua l’assessore Benelli ? è necessario fare sì che il comune di Milano abbia dei veri e propri Municipi deputati a svolgere servizio di vicinanza ai cittadini e destinati a sostituire le attuali zone amministrative, ridisegnandone i confini. Questa trasformazione ha, alla base, una ricerca sui quartieri storici di Milano, perché è necessario istituire degli accorpamenti coerenti con la storia e lo sviluppo della città”.
Le sfide che la città si trova a fronteggiare sono molteplici, ed è necessario che essa si sappia reinventare per riuscire a coniugare temi di normale quotidianità con una visione di lungo termine. L’esito di queste sfide è ancora incerto, e risposte efficaci non sono, di fatto, state ancora offerte. Il ruolo della società civile è sicuramente importante, ma non può certo sostituire quello della Pubblica Amministrazione, su cui grava l’onere di riempire di contenuti reali una trasformazione che, dichiarazioni pubbliche a parte, rischia di essere esclusivamente bidimensionale: una nuova intestazione sui documenti ufficiali, e nulla più.

 

Un concorso aperto a tutti per progettare un edificio che guardi al futuro dell’Italia in un momento di profonda crisi economica. È stato presentato stamane presso la Triennale di Milano il progetto vincitore del Padiglione Italia per l’atteso Expo 2015. Ricopre tutti i requisiti del bando internazionale, lo studio romano Nemesi&Partners insieme a Proger di Pescara e BMS Progetti di Milano. Su 68 progetti presentati vedremo quindi svettare il profilo di Palazzo Italia, che prenderà il nome di “The tree of life” e sarà composto da quattro strutture collegate tra loro attraverso alcuni elementi ponte, che affacceranno su un cortile vuoto centrale. I quattro blocchi principali suddivisi per tematiche ospiteranno l’Area Riunioni, gli Uffici, l’Auditorium e le sale espositive. Verrà inoltre realizzato in modo tale che sia del tutto indipendente dal punto di viste energetico.

Diana Bracco, presidente di Expo 2015, presente alla premiazione di stamattina ha mostrato la sua fiducia e positività nei confronti del progetto per il Padiglione Italia, in quanto vetrina fondamentale per le eccellenze del nostro paese.
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E’ di 60.000 euro l’ammontare del premio per i vincitori a cui saranno aggiunti 30 milioni di euro per il cantiere e la realizzazione dei lavori.

“Il Padiglione che costruiremo, così come progettato dal vincitore del Concorso Internazionale, offrirà ai visitatori di tutto il mondo la magia di un viaggio fra le caratteristiche peculiari del nostro Paese, facendo rivivere il mito del ‘Grand Tour’ del Settecento e dell’Ottocento. In conclusione, da oggi l’Italia inizia a costruire la sua ‘casa’. Dobbiamo tutti gettare il cuore oltre l’ostacolo nonostante la difficile situazione che stiamo attraversando. E anzi proprio per questo dobbiamo fare dell’Expo una grande missione-Paese in grado di restituire stima e orgoglio ai cittadini italiani, a cominciare dai più giovani, facendoci riscoprire il senso della nostra comunità e la fiducia nel futuro” ha affermato la Bracco al termine della presentazione.

 

 

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Milano 2015 non è un appuntamento così lontano e, per raggiungere un successo completo e sfruttare tutte le potenzialità per l’indotto e il settore turistico che porterà l’atteso evento dell’Expo, non è affatto presto per organizzarsi.

Il comitato Expo Venezia, presieduto da Laura Fincato, memore dell’esperienze maturata durante la scorsa Esposizione Universale che si è tenuta a Shanghai nel 2010, ha dato via ai preparativi già da molti mesi anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che non ha mai smesso di lavorare in attesa del 2015.

Fa gola a molti l’Expo 2015, in quanto vetrina internazionale che attira le attenzioni da ogni angolo del pianeta sulla città prescelta: pur non trattandosi di una fiera bensì di una esposizione a carattere non commerciale, gli investimenti e i ricavi che questo evento richiama sono notevoli e assicurano benefici per tutto il comparto turistico della fortunata metropoli destinata ad ospitarla. E proprio al turismo alla sua riqualificazione ed evoluzione si concentra l’attenzione rivolta dal Comitato Venezia Expo, verso l’opportunità rappresentata da Milano 2015.

L’evento dell’Esposizione Universale attirerà, infatti, diversi flussi turistici da tutto il mondo e rappresenterà un’occasione per rendere Milano la vetrina del made in Italy nostrano, al fine di attirare investimenti e ricerca aziendali. Ma soprattutto, durante i sei mesi che andranno dalla data di apertura, prevista per il 1° maggio 2015, e che termineranno il 31 ottobre, nel capoluogo lombardo sono attesi 20 milioni di turisti legati al mondo del business e della finanza, oltre ai rappresentanti istituzionali e capi di governo. Una bella boccata d’ossigeno per il settore turistico italiano e un’occasione che il territorio limitrofo di Milano non vuole di certo lasciarsi sfuggire. In prima linea c’è la Regione Veneto, che sta già programmando, nel segno dell’esposizione universale, i suoi fiori all’occhiello: il Vinitaly a Verona e la Biennale a Venezia. Ma nella città lagunare i preparativi vanno ben oltre: si stanno infatti elaborando diverse iniziative, che per adesso sono ancora idee progettuali in attesa di approvazione, al fine di essere realizzate in collaborazione con gli organismi di Milano.

“Sono diversi i progetti in fieri e tutti sono relazionati al tema scelto perché peculiare per la città di Venezia: l’acqua.” Così ci spiega Laura Fincato, presidente delegato del Comitato Venezia Expo “Gli obiettivi di questi piani sono molteplici: valorizzare i beni territoriali e ambientali, usufruire delle tecnologie smart, sviluppare la cultura e le colture locali, implementare le infrastrutture green e l’enogastronomia”.

A queste idee progettuali vengono affiancati quattro eventi culturali di cui la Biennale d’Arte di Venezia che inaugurerà contemporaneamente all’Expo, anticipando la sua apertura al 1° maggio 2015, sarà la capostipite: tra questi saranno programmati sulla scia dell’Expo la stagione della Fenice, l’apertura del Parco della Laguna, la Venice Marathon e il ciclo di conferenze, dedicate ai cittadini veneziani, che prenderà il nome di “Expo perché”. In forse c’è anche la possibilità che il Tour de France 2015 scelga come base di partenza proprio la città lagunare, ma questa proposta è ancora in fase di concretizzazione.

“Abbiamo come obiettivo quello di realizzare nuovi percorsi naturalistici che implementino il turismo di qualità, valorizzando il territorio cittadino e quello limitrofo, riprendendo le tematiche dell’Expo, in particolar modo quella dell’acqua, elemento predominante a Venezia – continua la Fincato -Abbiamo inoltre ampliato il nostro raggio di influenza territoriale includendo in questa logica di percorsi l’area termale di Abano Terme e Montegrotto appartenenti alla provincia di Padova, e il delta del Po, che invece fa parte della provincia di Rovigo: tutte zone limitrofe il territorio veneziano, anche esse con la caratteristica comune di essere profondamente collegate al tema dell’acqua, in quanto fattore produttivo e di sviluppo”.

L’intento è dunque quello di creare percorsi turistici alternativi, riscoprendo la tradizione e combattere così il turismo “mordi e fuggi” da cui la città lagunare è afflitta.

“Milano rappresenta un’occasione per declinare sul e per il territorio veneziano i temi dell’Expo- precisa la Fincato -Per questo abbiamo deciso di non essere presenti con uno stand all’interno dell’esposizione milanese, come abbiamo fatto invece a Shanghai, perché in questo caso non avrebbe senso mostrare le nostre eccellenze solo attraverso delle immagini. La collaborazione con Milano prevede un passo successivo, che porti il turista in visita all’esposizione universale ad allungare il proprio itinerario, includendo anche il territorio veneziano perché, qui abbiamo intenzione di realizzare una parte integrante dell’Expo e delle sue tematiche, nel territorio d’origine”.

Concretamente, la collaborazione prevede ad esempio la possibilità di una bigliettazione congiunta, ovvero, comprare un biglietto per gli itinerari veneziani, direttamente presso la struttura dell’esposizione milanese, o fare in modo che i tour operator siano informati che Venezia è parte integrante dell’esposizione. Si vuole ribaltare il concetto stesso di Expo e far sì che non sia il territorio a rinchiudersi in uno stand per essere conosciuto, ma sia il turista ad andarlo a scoprire in loco, soprattutto quando le distanze non sono proibitive come nel caso di Venezia e Milano.

“Implementare quindi i flussi veneziani che già raggiungono i 24 milioni di presenze l’anno e pescare dal bacino dell’Expo. Ma si tratta di uno scambio reciproco di flussi: pensiamo ad esempio al turismo colto e economicamente influente che attrae ogni anno la Biennale. La coincidenza dell’inaugurazione il 1° maggio è stata decisa proprio per far in modo che le personalità istituzionali possano presenziare ad entrambi gli avvenimenti”.

Chissà come si svilupperà la Biennale 2015, ma è impensabile che gli artisti ed espositori non siano influenzati dalle tematiche dell’Expo.

 

 

 

 

 

La 47° edizione del Salone Internazionale dei vini e dei distillati può finalmente dirsi “social”. In vista della fiera vitivinicola più famosa al mondo, cantine, consorzi e associazioni si sono muniti di app, profili twitter e instagram. Anche il Vinitaly, in programma dal 7 al 10 aprile, si è adeguato. Quest’anno è nato, infatti, “Vinitaly Wine Club”, una piattaforma on line per scoprire e acquistare i migliori prodotti selezionati dalla fiera, che diventa piazza virtuale del mondo del vino: promozione, conoscenza, vendita on-line e confronto per opinion leader, buyer e consumatori. Ma Vinitaly non è solo prodotto e bottiglie, si tratta anche di persone e storie: 4200 espositori da 23 paesi, rappresentanze nazionali e internazionali di aziende di tutte le dimensioni, che insieme concorrono a costruire una storia più grande, quella del made in Italy. La fiera nasce come occasione di promozione di un’eccellenza italiana in giro per il mondo e l’export è la scommessa su cui puntare, nonostante la crisi non sia passata inosservata.

Il presidente di Veronafiere, Ettore Riello ha inagurato così la grande esposizione “Il ruolo delle fiere è strategico e non si può dimenticare che complessivamente durante le fiere si chiudono accordi per circa 60 miliardi di euro di fatturato e dalle fiere internazionali passa il 15 per cento dell’export italiano”. L’Italia si riconferma come primo produttore mondiale di vino e il settore può vantare delle cifre molto forti “Con 385mila imprese – afferma Riello – un fatturato aggregato di 10 miliardi di euro e un export che vale 4,7 miliardi, il settore vitivinicolo sta meglio di altri, ma non si deve pensare che questo sia sufficiente; c’è molto da fare per il mercato interno e l’export”.

Oltre alla neonata iniziativa di VinitalyWineClub, la fiera si arricchisce di attività legate al wine&food: Sol&Agrifood, Enolitech e Vinitaly International.

La Rassegna Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità Sol&Agrifood riconferma il suo ruolo determinante nella promozione di prodotti italiani, tra cui spicca su tutti l’eccellenza olivicola. Grande attenzione anche alle innovazioni tecnologiche nella produzione di vino e olio: Enolitech ospita aziende provenienti da tutto il mondo specializzate nell’applicazione efficiente di nuove teconologie sulla filiera produttiva.

Vinitaly International incarna, invece, il vero senso del made in Italy da presentare e promuovere nel mondo. I paesi target dell’export enologico internazionale più importanti sono rappresentati da Stati Uniti, Russia e soprattutto Cina: a Vinitaly è presente, per la prima volta, una delegazione ufficiale del Ministero del Commercio della Repubblica Popolare Cinese e per l’occasione è in programma un seminario sul futuro del vino italiano nel Paese asiatico. Il progetto rientra nell’iniziativa Digital Media Technology & Wine Series, finalizzata a conoscere il mercato cinese attraverso canali tradizionali e internet, come e-commerce e social media, ancora una volta nuovi protagonisti della fiera di quest’anno.

Il Vinitaly 2013 si propone un’ altra importante sfida che guarda già all’EXPO 2015: Verona e Milano hanno deciso di intraprendere un percorso di promozione e collaborazione che culminerà, nel 2015, con la realizzazione di “OperaWineExpo”, l’evento vitivinicolo più importante del calendario di appuntamenti di Expo Milano 2015, il cui tema sarà ‘Nutrire il pianeta. Energia per la vita’. Il punto di partenza è Palazzo della Gran Guardia a Verona, dove, dal 14 giugno al 6 settembre, in concomitanza non casuale con la stagione lirica, sarà allestita una mostra permanente e, naturalmente, degustazioni, show cooking e programmi di formazione e training sul vino. In autunno l’ “OperaWineExpo” si sposterà a Milano con un Grand Tasting finale in chiusura dell’EXPO 2015. Cultura ed enogastronomia: binomio indissolubilmente legato dalla firma del made in Italy d’eccellenza.

 

Dietro agli eventi fieristici di oggi ci sono quasi mille anni di storia. Il salone italiano ha inizio nel 1177, quando il Papa Alessandro III decise di concedere l’indulgenza per i peccati a chiunque si fosse recato alla Basilica di San Marco a Venezia nel giorno dell’Assunzione. L’enorme massa di persone accorsa fu convogliata dai governanti della città lagunare nella neonata fiera in Piazza San Marco. Quasi mille anni dopo il primo grande esperimento espositivo del nostro Paese, il sistema fieristico italiano si prepara all’Expo 2015 di Milano: Genova si candida come porta sul mare. Torino con il Lingotto Fiere si propone per eventuali collaborazioni in ambito turistico. Verona mette a disposizione tutta l’esperienza internazionale accumulata negli ultimi anni nel settore del vino di qualità. E rimanendo nell’ambito del food, anche le Fiere di Bologna, Rimini e Parma sono pronte a giocarsi un ruolo in questo evento globale capace di esaltare ancora di più le potenzialità delle esposizioni italiane.

Negli anni, infatti, le fiere hanno assunto un significato e un’importanza sempre maggiore. Per alcuni settori la possibilità di essere presenti ad una salone internazionale è fondamentale per accedere al mercato. Oggi, non solo Europa e Stati Uniti, ma anche i Paesi dei Bric organizzano esposizioni di grande livello.? In Cina, le sedi fieristiche più rilevanti si concentrano nelle zone di Pechino, Shanghai, Canton, Shenzhen e naturalmente Hong Kong. Di maggior interesse sono le manifestazioni del settore tessile e del lusso, ma anche di quello enogastronomico. ?Anche le fiere russe, localizzate ancora prevalentemente a Mosca e San Pietroburgo sono un buon modo per farsi conoscere. Le maggiori riguardano i macchinari, come la Zolotoi Ocien, e l’edilizia, con Holzhaus, Mobibuild ed Expocem.? Anche l’India presenta casi interessanti di manifestazioni, a Mumbai, New Delhi e Bangalore. L’edilizia e l’arredo sono i settori più coinvolti, ma non mancano le iniziative dedicate all’energia e alle rinnovabili.? Infine, il Brasile, dove primeggiano le fiere dedicate all’agroalimentare e ai macchinari.

Come si vede da questo breve excursus, il numero di fiere emergenti sta crescendo in modo significativo. Questo perché oggi i centri fieristici non rappresentano soltanto straordinarie piattaforme d’affari e poli d’attrazione mondiale, ma sono ormai in grado di influenzare in maniera significativa lo sviluppo dei centri urbani e delle regioni nelle quali sono inseriti, contribuendo ad incoraggiarne lo sviluppo economico e commerciale. I sistemi fieristici richiamano ogni anno un ingente numero di organizzatori, espositori, visitatori ed offrono loro una variegata gamma di servizi, tra cui quello relativo all’accoglienza e alla scoperta dell’identità e delle tipicità del territorio che li ospita.

I vantaggi che offrono le fiere e i congressi al territorio ospitante sono, infatti, molto più importanti del valore del business fieristico del singolo organizzatore. In genere, il fatturato fieristico è limitato, ma il beneficio di tali attività sul territorio è molto elevato.

In questo contesto, il tema dei rapporti tra l’attività fieristica e lo sviluppo turistico appare fondamentale. Infatti, sono moltissimi i benefici che interessano coloro che offrono i servizi dell’area che ospita la manifestazione. Si tratta dell’indotto economico, della ricchezza che arriva a una regione per effetto delle spesa nel territorio di espositori e di visitatori. Nel caso di Milano, ad esempio, con il fatturato annuo di Fiera Milano pari a circa 300 milioni, l’indotto sull’area è di circa 3000 milioni, pari a più di 10 volte il fatturato del quartiere.

Nel corso degli anni il settore fieristico italiano è stato coinvolto in rilevanti cambiamenti: progetti di ampliamento, trasformazione giuridica degli enti fieristici in Spa, decentramento delle competenze inerenti le esposizioni a livello regionale, segnale della volontà di rispondere alla sfida dell’innovazione in chiave competitiva, per reggere il confronto a livello internazionale.

La crisi finanziaria si è abbattuta sull’economia reale e tuttavia, proprio in una congiuntura così negativa, le fiere italiane stanno dimostrando una buona tenuta, rispetto alle grosse difficoltà incontrate dal sistema industriale.

Per definizione le fiere sono lo specchio dell’attività economica e del corrispondente tessuto socio-economico, ma proprio in questo senso, bisogna dire che lo spettacolo offerto quest’anno dalla recente BIT (Borsa internazionale del Turismo) ci ha mostrato che questi dati non valgono per tutti i casi. Lontani sono i tempi in cui i padiglioni della fiera di Milano ospitavano centinaia di espositori e migliaia di professionisti del turismo, oltre che un pubblico ricco e interessato.

E se le fiere sono momenti utili per misurare il mercato, le prospettive per il grado di salute del settore non sono buone. Se la BIT è lo specchio del turismo italiano, ci ha mostrato un settore in forte crisi d’identità, senza idee né obiettivi e una generale mancanza di innovazione. Cambierà qualcosa in seguito alle elezioni politiche che si terranno fra qualche giorno? Noi ce lo auguriamo, perché il settore del turismo in Italia ha urgente bisogno di una direzione a breve e a lungo termine, di aspettative e di visione.

 

Il pubblico che nella giornata del 22 gennaio 2013 ha riempito l’auditorium di Palazzo Lombardia, è quello delle grandi occasioni. Questo perché in vista di Expo 2015, l’appuntamento dei primi stati generali del marketing territoriale, è quanto mai atteso come occasione per discutere del come risollevarsi da quello che è stato giudicato un approccio strategico troppo morbido.
Expo 2015 al centro della discussione: pone la sfida della realizzazione nei tempi programmati delle circa 60 infrastrutture avviate, per un valore di circa 20 miliardi, e rappresenta la chance per il rilancio del territorio, oltre che l’occasione per valorizzare le ‘eccellenze’ lombarde (dalla cultura all’arte, all’enogastronomia).
A guidare i lavori, l’assessore regionale al Commercio, Turismo e Servizi Giovanni Bozzetti: “Bisogna innestare una svolta – ha dichiarato in apertura nelle vesti di padrone di casa – “Occorre lanciare un nuovo patto per l’attrattività del territorio regionale. L’Expo è già cominciato, non dobbiamo sprecare un’occasione così importante”.
Il dubbio che sia ormai tardi per sviluppare politiche efficaci di marketing territoriale, è ammesso anche dal moderatore Giangiacomo Schiavi, editorialista del Corriere della Sera. Meglio tardi che mai, dice però la saggezza popolare, e sostengono in fondo la maggioranza dei relatori che si sono susseguiti ai microfoni.
Presente tra gli altri, Andrea Babbi, il neo direttore dell’Ente Nazionale per il Turismo: “L’Enit si fa carico da subito di promuovere l’Expo nei mercati più lontani: abbiamo già messo a disposizione 600mila euro per la promozione in tutto il mondo. Non molti, ma sono qualcosa se utilizzati bene. Dobbiamo lavorare insieme, Enit, operatori, enti locali: cinesi, brasiliani, in molti hanno fame e sete di Expo. Ecco perché bisogna dare una scossa concreta da subito. L’Expo deve essere il trampolino da cui far rinascere tutto il comparto turistico italiano”.
Molte le tematiche che si sono affrontate: dal turismo termale, tra salute e benessere, con Giorgio Matto, Vice Presidente Federterme; valorizzazione del comparto enogastronomico con Carlo Cracco, chef di fama internazionale; l’arte come volano delle destinazioni con Flavio Caroli, Storico dell’arte; moda eccellenza e turismo con Mario Boselli, Presidente Camera Nazionale della Moda Italiana; le fiere e l’attrattività del territorio con Gian Domenico Auricchio, Vicepresidente Unioncamere Lombardia e Presidente Comitato Fiere Industria; design tra fuori salone e nuove realtà architettoniche con Claudio De Albertis, Presidente Triennale Milano e molto altro ancora.
Questi primi Stati generali del marketing territoriale hanno stimolato idee, spunti, suggerimenti, cose da fare e pericoli da evitare. Emerge quindi una comunità d’intenti istituzionali timidamente rassicuranti, ma lontana da dare l’impressione che gli ingranaggi tra gli attori principali siano ben oliati.
Se alle parole seguiranno i fatti, infine, il convegno sarà servito davvero a imprimere una svolta, promuovendo il lavoro sinergico fra attori pubblici e privati intorno all’Expo. Se resteranno parole, invece, sarà l’ennesima occasione sprecata. L’amministrazione che uscirà dal voto delle regionali in Lombardia ha un compito importante quindi, e dovrà impegnarsi molto per il successo di questa sfida, senza perdere altro tempo. Con un milione di persone atteso solo su Milano, l’Expo 2015 rappresenta l’occasione unica per valorizzare i territori, la cultura e il Made in Italy, se riusciremo a facilitarne la fruizione con progetti condivisi, concreti e ben comunicati.

 

Il primo mattone per il suo restauro è stato posato il giorno in cui è stato pubblicato il Decreto Sviluppo: l’articolo 8 infatti è stato completamente dedicato alla crescita culturale della città di Milano, in vista dell’atteso evento dell’EXPO 2015. Così, mentre partivano i cantieri contemporaneamente veniva approvata la metamorfosi della Pinacoteca di Brera in Fondazione denominata “La Grande Brera, finalizzata al miglioramento della valorizzazione dell’Istituto nonché alla gestione secondo criteri di efficienza economica”. Al nuovo ente sono stati affidati dunque, sia il patrimonio immobile che la collezione di opere d’arte ospitata al suo interno.
Tuttavia si tratta solo del primo passo che presuppone un ideale disegno più ampio. I tratti di come evolverà questo progetto, sono stati delineati ieri dal Segretario Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, arch. Antonia Pasqua Recchia, dal Direttore Generale della Lombardia, dott.ssa Caterina Bon Valsassina, dal Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici, arch. Alberto Artioli e dalla Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici, dott.ssa Sandrina Bandera. Il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha confermato lo sblocco di 23 milioni di euro (un terzo dei fondi complessivi di quei 70 milioni che il Comitato ha destinato “a favore di interventi prioritari nel settore dei beni e delle attività culturali- sedi museali di rilievo nazionale”) per l’avvio dei lavori, che come primo obiettivo si concentreranno su Palazzo Citterio, reduce da un’occupazione la scorsa primavera. Il piano di riqualificazione del palazzo, che attualmente si sta fortemente deteriorando, prevede il restauro e rifunzionalizzazione dell’ala monumentale, riproponendo un progetto del soprintendente Franco Ruspoli che nel 1976 aveva auspicato un ampliamento della Pinacoteca di Brera, sfruttando gli spazi contigui di Palazzo Citterio. L’obiettivo è quello di predisporre questi spazi per le esposizioni temporanee e per le collezioni di Jesi, Vitali, Zavattini e il fondo delle opere fotografiche. Questo primo lotto di lavori dovrebbe terminare entro giugno 2015, in tempo per l’Expo, e comprende il finanziamento più consistente di 17 milioni di euro. Entro il 2014 invece dovrebbe essere terminato il rifacimento del tetto di Brera (costo 4,5 milioni di euro), mentre per la fine dell’anno prossimo verrà completata la predisposizione degli edifici destinati alla realizzazione del Campus didattico dell’Accademia delle Belle Arti di Brera. La caserma Caroccio di via Mascheroni e la caserma Magenta, infatti, verranno svuotate delle loro attuali funzioni militari che verranno riallocate e saranno trasformate in nuovi spazi accademici, in 18 mesi e con un impiego complessivo di 1,5 milioni di euro. Investimenti sostanziosi e tempi strettissimi per non perdere la grande occasione che rappresenterà il prossimo Expo. Fervono i preparativi e le attenzioni delle istituzioni, pronte a far ricorso a soggetti privati, come previsto dalle regole statutarie delle fondazioni, per coprire i costi aggiuntivi. Per adesso i progetti sono su carta ma le intenzioni sembrano ferree. E intanto però i lavori all’interno dei cantieri dell’Expo procedono a ritmi serrati. Chissà come si sveglierà Milano nel 2015.

Tra tre anni l’Italia ospiterà a Milano l’Esposizione Universale. L’impegno collettivo di Istituzioni ed Enti locali dovrebbe essere quello di tirare dritti sull’organizzazione dell’Expo Milano 2015, trasmettere un segnale positivo sull’ordine dei lavori sia agli attuali 89 Paesi aderenti che a quelli che ancora non hanno aderito, e rendere l’esposizione una concreta occasione di crescita e sviluppo.

A poco più di 1000 giorni dall’Expo Milano 2015 ci sono lussi che non ci si può più permettere. Uno di questi è il tira e molla tra comune, provincia, regione e governo che a botte di dichiarazioni, smentite e dimissioni (ritirate da parte di Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, da Commissario straordinario, e, attualmente confermate, di Luigi Roth da Commissario generale di sezione per il Padiglione Italia) stanno lasciando passare i giorni procedendo a passo di gambero.

Le ragioni delle dimissioni, per quel che è dato sapere, ruotano attorno alla disponibilità da parte del governo di mantenere gli impegni economici di spesa presi, alla non incidenza sul patto di stabilità, ed all’autonomia decisionale del Commissario che non avrebbe gradito la separazione dei ruoli tra chi gestisce il Padiglione Italia e chi appalta i lavori. Evidentemente, tutte ragioni comprensibili e, qualora fondate, condivisibili ma non sufficienti per mandare all’aria un progetto che pur avendo luogo a Milano è a vantaggio dell’intero Paese. A maggior ragione se si considera che il tema delle risorse è un falso problema in quanto a cercare bene nella contabilità di stato, rivedendo i meccanismi di spesa, ci sarebbero più di 90 miliardi di euro non spesi (400 miliardi di euro, se si considerano le risorse comunitarie) e, di certo su questo punto, il governo potrebbe fare di più. Potrebbe allargare la caccia a tutte le somme accreditate presso ministeri, regioni ed enti locali e mai impegnate, somme impegnate, stanziate e mai liquidate. Ci sarebbero le risorse per mantenere gli impegni presi con Expo 2015, per rivedere il patto di stabilità,  portare l’iva sotto il 20%, diminuire il carico fiscale sulle famiglie e sulle imprese, completare i cantieri avviati e metterne in piedi di nuovi, migliorare i servizi pubblici locali, sostenere la ricerca pubblica, rendere cultura e turismo un incredibile volano di sviluppo, spingere sull’innovazione (in ogni caso, alzare il livello occupazionale).

In breve, attraverso Expo Milano 2015 Istituzioni ed Enti locali avrebbero l’occasione di dimostrare di aver rivisto l’ordine delle priorità. Nello specifico, di aver puntato sulla capacità di creare, distribuire e sfruttare le conoscenze scientifiche e tecnologiche per il  miglioramento delle performance dei sistemi economici e della qualità della vita dei cittadini in armonia con lo slogan ‘Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita’ che accompagna l’esposizione del 2015. Una via intelligente per valorizzare tutte quelle risorse e competenze altamente qualificate – cui peraltro devono essere riconosciuti e assicurati rendimenti proporzionati ai costosi investimenti (personali e, molto spesso, familiari) in denaro e fatica che anni di studio e specializzazione esigono – in cui, ragionevolmente, si può rinvenire un enorme potenziale di crescita ad oggi calpestato.

Michele Gerace è  consigliere d’amministrazione dell’Azienda Speciale Palaexpo

I bookmaker internazionali l’avevano data come la favorita tra le altre 6 capitali internazionali, non facendo i conti però con le ristrettezze economiche che affliggono il nostro Paese.
Questa mattina, infatti, campeggia sui maggiori quotidiani nazionali la notizia di un possibile dietro-front di Roma alla candidatura per le Olimpiadi del 2020. Il premier Monti, che sta esaminando in questi giorni le carte ufficiali, dovrà prendere una decisione al riguardo entro il 15 febbraio ma già si vocifera che dai piani alti preferirebbero che la Capitale passasse questo turno per ripresentarsi direttamente alla selezione per i Giochi del 2024.
Il motivo? Il 2024 sarebbe un anno decisamente più simbolico per Roma e l’Italia visto che il 2025 sarà l’anno del Giubileo: questo vorrebbe dire eventi più concentrati, ravvicinati e spese ridotte ma anche maggior indotto economico per la Capitale che cavalcherebbe l’onda delle Olimpiadi per godersi gli introiti poi del Giubileo, accomunando sacro e profano e facendo anche quadrare i conti.
Questa, in effetti, l’ipotesi utopica abbozzata in prima istanza la quale però non prevede tutte le variabili del caso: come ricorda il Corriere della Sera, infatti, il rinvio al 2024 potrebbe essere applicabile solo nel caso in cui nel 2020 non vinca una capitale europea (Istanbul o Madrid, quindi). In caso contrario, il regolamento vuole che al turno successivo ad essere eletta sia la capitale di un diverso continente.
Il sindaco Alemanno spera a questo punto che Monti “non abbia un atteggiamento troppo professorale”, anche perché il primo cittadino si giocherà con questa mossa uno dei suoi cavalli di battaglia per la rielezione nel 2013.
Nel frattempo si attende il fatidico 15 febbraio, quando cioè si dovrà ufficialmente presentare al Comitato Olimpico Internazionale la lettera di garanzia siglata dal Comitato Olimpico nazionale, testimoniando cioè di avere la forza (economica e manageriale) per affrontare questo grande evento.
Il nodo cruciale è rappresentato proprio dalle risorse economiche: pur rimanendo scontato il fatto che Roma e l’Italia trarranno dai Giochi Olimpici una grande affluenza turistica, una spinta occupazionale e un ampio indotto economico, resta però lo spettro degli investimenti iniziali, circa 8 miliardi, che in questo momento mancano all’appello e che, nel peggiore dei casi, si ripercuoterebbero anche sull’organizzazione dell’Expo di Milano 2015.
Così come le infrastrutture: Sergio Rizzo rammenta che restano ancora da fare il villaggio olimpico, il velodromo, il bacino per il canottaggio e da terminare la città dello Sport di Calatrava a Tor Vergata.
Visto come è andata per le Olimpiadi di Nuoto le premesse non sono le migliori. Speriamo almeno che degli sbagli del passato si sia fatto tesoro.

Chi sono le altre candidate alle Olimpiadi? Leggi l’articolo

“Questa mattina ho rimesso nella mani del Sindaco Pisapia le deleghe alla Cultura, Moda, Design ed Expo che mi erano state assegnate all’atto di costituzione della nuova Giunta comunale, nel giugno scorso. Una scelta difficile che ho voluto condividere ieri notte, nel corso di in una lunga riunione, con i consiglieri, gli assessori e i segretari milanesi del Partito Democratico e che va intesa come un atto distensivo e di fiducia nei confronti del Sindaco.”
Così scriveva lunedì scorso Stefano Boeri sul suo sito, dando notizia della remissione al sindaco di Milano Giuliano Pisapia dei suoi due incarichi.
Il motivo ufficiale di tale epilogo risiederebbe nel mancato accordo sul collocamento del Museo di Arte contemporanea: mentre il sindaco Pisapia ha sostenuto l’esigenza di inserire lo spazio a City Life, l’assessore Boeri premeva affinché fosse istituito all’ex Ansaldo.
La decisione dell’assessore è giunta tuttavia in modo imprevisto se pensiamo che, solo la scorsa settimana, Boeri ha illustrato presso la sala Weil Weiss del Castello Sforzesco, dieci prime proposte per rigenerare la cultura a Milano, mostrando un chiaro intento programmatico che non presagiva l’imminente rinuncia ai pubblici uffici.
L’opposizione ha però subito colto l’occasione per sottolineare che, in realtà, dissapori tra l’assessore e il sindaco serpeggiassero già da tempo: l’ultimo scontro sarebbe stato solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, dopo una serie di posizioni contrastanti assunte soprattutto riguardo l’importante evento dell’Expo 2015.
Dopo due giorni di attesa per la decisione riguardo la questione da parte del sindaco Pisapia, da Palazzo Marino giunge la conferma dell’architetto all’assessorato alla Cultura, Moda, Design, mentre viene meno proprio l’incarico all’Expo: la figura dell’architetto Boeri in un ambito simile era probabilmente di eccessivo peso per Pisapia il quale, sin dal principio del suo mandato, ha dovuto convivere con il rilevante ruolo giocato dal suo assessore nel partito che li accomuna.
Ora la delega relativa all’Esposizione universale del 2015 è rimessa ad un comitato interassessoriale coordinato dallo stesso sindaco, mentre l’architetto meneghino così si esprime sulla decisione: “Farò di tutto per trasformare questa vicenda in un moltiplicatore di energie e intelligenza politica per Milano e per la nostra Giunta”.
Se lo augurano in molti, anche perché la carta dell’Expo deve essere per Milano e per tutto il Paese quella vincente; per raggiungere tale obiettivo non si può prescindere da un’azione coordinata e condivisa, che non ammette strappi intestini.

 

Oltre ad avere ricevuto recente conferma della disponibilità delle risorse finanziarie stanziate da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dagli altri Soci (Regione Lombardia, Comune di Milano, Provincia di Milano, CCIAA Milano) l’Expo 2015 si accinge ad acquisire la disponibilità delle aree sulle quali sarà realizzato il sito espositivo, attività preliminare all’avvio delle procedure di gara per affidare i lavori di costruzione del sito stesso.
Allo stato attuale, il programma di sviluppo delle opere previste quindi potrà essere integralmente realizzato rispetto ai piani.
Il tema dell’Esposizione Universale – “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” – rappresenta inoltre una straordinaria opportunità per il nostro Paese di dimostrare che è oggi possibile garantire sicurezza, qualità alimentare e sviluppo sostenibile per l’intera umanità proponendo un modello di alimentazione identificabile con uno stile di vita (alimentazione-salute-benessere).
In quest’ottica, sarà possibile valorizzare le conoscenze e le eccellenze raggiunte nel mondo in ambito industriale, culturale, scientifico, tecnologico e sociale.
Oltre a proporre gli spazi espositivi dei Paesi espositori, Expo 2015 fornirà ai visitatori l’opportunità di vivere un’esperienza unica e indimenticabile fatta di dibattiti tra i più influenti leader e personalità del mondo sui “grandi temi”, scenografie e contributi estetici indimenticabili,  architetture e attrazioni, cibo del mondo nonché eventi e spettacoli.
Expo già oggi sta ricevendo contributi da maestri indiscussi del mondo della scienza, della moda, dell’architettura e dello spettacolo e, a quattro anni dall’evento, hanno già dato conferma di adesione quattordici Paesi, tra i quali Germania, Russia, Egitto e Turchia. Le partecipazioni finora raggiunte fanno ben sperare sulla possibilità di arrivare, alla fine di quest’anno, al numero di circa 50 Paesi iscritti che, insieme, contribuiranno alla perfetta riuscita di un grande evento internazionale.

Angelo Paris è Director Pianificazione Strategica, Procurement ed ICT di Expo Milano 2015