primavoltascarduelliIntervista Matteo Scarduelli, responsabile marketing e comunicazione del  Filmmaker Festival

 

Dal 1980 esiste a Milano questo festival straordinario che si chiama Filmmaker Festival. Eppure, c’è qualcuno che forse ancora non lo conosce. Spiegaci di cosa si tratta.
Quando la realtà è in continuo movimento, solo l’arte può anticipare i cambiamenti, intuire le svolte, individuare le tendenze o le eccezioni. Le narrazioni possibili che si nascondono sotto la superficie degli accadimenti devono essere scovate e riconosciute, e diventare oggetto di una scommessa difficile e affascinante: devono prendere una forma. Questa serie di passaggi – che è la pratica corrente dei cineasti che lavorano con la realtà – è un processo che Filmmaker conosce bene: il nostro festival oltre a mostrare i film (in concorso e fuori) si è sempre occupato del processo creativo e produttivo del film, seguendo lo sviluppo di progetti e finanziandone la realizzazione.
A partire dal 1980 Filmmaker, con il contributo di enti pubblici, sponsors privati ed istituzioni culturali, promuove sul territorio milanese la cultura cinematografica indipendente, sostenendo al tempo stesso la ricerca e l’innovazione nella produzione audiovisiva.
La caratteristica che più di tutte ha contraddistinto Filmmaker rispetto ad altri festival è da sempre stata l’azione tesa a favorire la produzione di nuove opere. Ad oggi più di ottanta film e video sono stati realizzati con il sostegno dell’associazione.
Nell’annuale sostegno alla produzione audiovisiva sono sempre stati privilegiati i giovani, i nuovi autori e tutti coloro che scelgono di realizzare un cinema “fuori formato”.

 

Ma poi, alla fine, chi ci lavora dietro? Insomma, chi siete?
Persone che credono e hanno creduto che il cinema possa essere realmente una forma di educazione e di confronto sociale e politico. Con il tempo l’associazione ha subito diversi mutamenti e negli ultimi anni sono entrate nuove generazioni che hanno nuove energie ed idee per parlare di cinema oggi. Il festival durante l’anno ha sempre cercato di organizzare laboratori e seminari accessibili a tutti per promuovere la critica e la regia cinematografica. L’anno scorso grazie a Fondazione Cariplo abbiamo lanciato il progetto “Nutrimenti” mettendo insieme da tutta Italia trenta giovani filmmaker che hanno avuto l’opportunità di seguire una masterclass di un anno con i più importanti registi e produttori del cinema contemporaneo.
Quest’anno grazie alla costituzione di Milano Film Network, il network dei festival cinematografici milanesi, abbiamo avuto l’incarico di gestire e organizzare i laboratori di tutti i sette festival del circuito (Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, Festival MIX Milano, Filmmaker, Invideo, Milano Film Festival, Sguardi Altrove Film Festival e Sport movies & Fest.); una sfida e un’opportunità incredibile che porterà l’accento ancora di più sulla dimensione laboratoriale della nostra associazione. Luca Mosso direttore del festival da due anni, è coadiuvato dall’instancabile lavoro di Danila Persico ( responsabile della programmazione con Alessandro Stellino e Francesca Piccino). Per il secondo anno ho preso in gestione la parte di marketing e comunicazione della manifestazione; Cristina Caon è la nostra coordinatrice del programma e Ottavia si occupa della parte gestionale dell’associazione. Abbiamo anche uno chef, Andrea, e nuovi soci del calibro di Minnie Ferrara, Dario Zonta, Alina Marazzi e molti altri che quando possono ci dedicano le loro energie. Quest’anno abbiamo con noi anche Diego, tre Giulie e tutto lo staff del Network.

 

Per questa edizione avete deciso di pensare in grande e di chiedere aiuto a tutti coloro che hanno creduto, credono e vorranno credere nella magia di questo festival. Cosa bolle in pentola?
Come ben sai le pubbliche istituzioni sono in gravi difficoltà economiche ed è venuto il momento di coinvolgere il nostro pubblico, un pubblico forte che oltre trenta anni segue il festival nelle differenti location milanesi. Abbiamo costruito sulla piattaforma di crowdfunding Kapipal la nostra personale campagna. Per farlo e abbiamo pensato di creare un video lancio virale coinvolgendo tra i più importanti registi del che sono passati attraverso le produzioni di Filmmaker o che hanno vinto alcune edizioni del festival. Gianfranco Rosi, Alina Marazzi, Michelangelo Frammartino, Silvio Soldini sono solo alcuni dei nomi che hanno partecipato a questo progetto sposando il claim del festival: la prima volta non si scorda mai.
La campagna sarà accompagnata da una serie di attività off line e una serie di interviste che pubblichiamo settimanalmente sui nostri canali social in cui i vari registi ci raccontano le loro prime volte. Piccoli tuffi emotivi nel passato e momenti ispiratori per tutti i futuri registi.

 

Quindi, state diventando sempre più grandi e sempre più famosi. Quali sono le principali novità di questa edizione?
L’intenzione è questa, anche perché con l’entrata all’interno del festival network si presuppone che molte risorse possano essere condivise. Lo staff del festival in effetti si è decisamente ingrandito. Quest’anno oltre al concorso internazionale ci sarò una retrospettiva dedicata al documentarista americano Ross Mcelwee. Avremo una sezione fuori formato in cui saranno presentate in anteprima alcuni lavori italiani molto interessanti. La novità più grande però è ancora una sorpresa per l’intera città di Milano e non potremmo parlarne fino al 19 di novembre. Ci stiamo lavorando assieme al Comune di Milano.

 

3 buoni motivi per cui bisogna essere a Milano dal 29 novembre all’8 dicembre al Filmmaker Film Festival (non basta dire che TAFTER è media partner dell’evento)
1. Perché saranno presentate opere da tutto il mondo introvabili nei circuiti commerciali
2. Perché faremo l’Opening night in un luogo bellissimo e segreto
3. Perché durante il festival organizzeremo brunch, laboratori e workshop
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=X0TTpVZOZ0w?rel=0]

 

L’immagine di Filmmaker Festival è stata realizzata da Arianna Vairo

nutriamolidarteQuando sentiamo parlare di Vietnam, due sono le immagini cui subito ci rimanda la memoria: il ‘made in Vietnam’ che abbiamo visto mille volte sui nostri capi di abbigliamento, chiedendoci –forse senza troppa cura- come saranno le condizioni e la qualità della vita delle persone che l’hanno prodotto; e la famosa ‘Guerra del Vietnam’, che ci ricorda anni 70, USA, hippy.

La realtà attuale in qualche modo comprende questi aspetti, anche se di certo in modo più profondo e complesso.
Il sistema capitalista portato dall’Occidente si è mescolato senza un apparente senso logico alle tradizioni antiche, creando situazioni ibride dove lusso, grattacieli e centri commerciali si affiancano a zone rurali e di estrema povertà.
La popolazione ingenuamente vive e si conforma alla schizofrenia urbana e agli effetti sociali della rimozione collettiva, mostri generati dal progresso e dall’idea distorta di sviluppo.

Al grigiore delle fabbriche e dell’aria inquinata si contrappongono le strade brulicanti di odori suoni, clacson, motociclette, taxisti ufficiali e non, ambulanti, bancarelle straripanti di cibo, uova di tutti i colori, decine di tipi di zucchero e pepe, motorini stracarichi di mercanzie, macellerie open air ed eleganti signore che suonano affascinanti strumenti tradizionali.
Fulcro brulicante di umanità è Saigon, come si chiamava prima della Guerra, oggi Ho Chi Min, dopo la vittoria nel Nord comunista e la costituzione della Repubblica Socialista del Vietnam.
Ufficialmente ci vivono 5 milioni di abitanti, ma dalle campagne si riversano in città circa 3 milioni di pendolari ogni giorno, ovviamente tutti muniti di rumorose motociclette, mascherine antismog e guanti al gomito antiabbronzatura.

Il calore dell’accoglienza saigonese con la sua innocenza e naturalezza, tipica delle persone che vivono per strada, stupisce e coinvolge il riservato turista italiano che non può che restare fortemente toccato dal senso di umanità di queste persone, forse più sfortunate ma di grande dignità.
Saranno stati i sorrisi dei bambini o la stravaganza delle tradizioni vietnamite a far innamorare della città e della sua gente Anna Borghi, artista diplomata all’Accademia di Brera, che ha deciso dal 2011 di fermarsi nella piccola scuola di Pho Cap, nel Binh Thanh District e far nascere il suo progetto di arteterapia “Nutriamoli d’arte”.

Nel 2001, tre insegnanti vietnamiti (Doan, Trang e Khanh) con l’aiuto delle autorità cittadine, un dirigente di un’azienda italiana e il consolato italiano decidono di aprire questa scuola per offrire istruzione gratuita ai bambini di strada del quartiere. La casa abbandonata venne restaurata interamente dagli stessi insegnanti, con l’aiuto di volontari e studenti del luogo, nonché grazie a fondi provenienti da contributi di solidarietà. Fino al 2010, l’insegnamento di Pho Cap ha avuto luogo solo per un paio di ore al mattino e un paio d’ore nel primo pomeriggio; il resto del tempo i bambini lo trascorrevano giocando per strada, quasi sempre alla ricerca di cibo.

Nel 2011, grazie a fondi privati e istituzioni italiane, il progetto si è ampliato, aprendo una mensa in modo da potersi prendere maggiormente cura dei bimbi durante tutto l’arco della giornata; l’anno seguente è stato ristrutturato l’ultimo piano del palazzo per diventare un asilo. Oggi la scuola accoglie più di 90 bambini (16 dai 4 ai 5 anni nella scuola dell’infanzia; 45 dai 6 ai 10 anni nella scuola primaria, e 30 dagli 11 ai 18 anni nella scuola secondaria).

Dopo aver visitato la scuola, Elisabetta Susani dell’Accademia di Belle Arti di Brera ha deciso di farsi coinvolgere con entusiasmo e pubblicizzare l’iniziativa online (su Facebook ed Eppela) per far conoscere l’attività e dare vita a una rete di solidarietà collettiva.
Carte, cartoni e cartoncini; pennelli, chine, inchiostri, matite e pastelli: queste le armi con cui Anna e i suoi piccoli amici viet combattono l’indifferenza, il disagio e le paure per liberare la speranza, la fantasia e i sogni che gli vengono purtroppo spesso negati.
E mentre giocano i bimbi esprimono le loro speranze e paure, imparando a conoscere le loro emozioni e le potenzialità, lo spazio che li circonda, gli oggetti e gli altri; ed anche un po’ di inglese.
Un disegno, un racconto, una maschera improvvisata, bastano per far scoppiare il sorriso sul volto di quei piccoli che in cambio di un poco di attenzione e cura sono capaci di regalare il loro grazie sincero che sprigiona una bomba di energia e tenerezza capace di commuovere anche i nostri occhi assonnati e indifferenti.

 

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=xwsNChGwZHc?rel=0]

Alla fine, chi l’avrebbe mai detto, ci sono riusciti: hanno raggiunto l’obiettivo di 10 mila sterline e ora sono pronti ad avviare il loro innovativo progetto.
Non stiamo parlando dell’ultima startup presentata al Techrunch, né di opere d’arte all’asta. Oggi andiamo oltre e vi raccontiamo la storia di quattro ragazzi che ora cominceranno un nuovo business. Costruire code per le persone.
Vi sembrerà paradossale ma uno dei più grandi desideri di questo team era proprio quello di vedersi crescere una coda. Andrew Shoben, Neil Gavin, Fabio Lattanzi Antinori e Daniel Clarkson sono un gruppo di artisti, scultori, tecnici informatici e creativi che hanno dato vita, 15 anni fa, a Greyworld, società che si occupa principalmente di installazioni urbane sul territorio. Qualche anno fa hanno realizzato un prototipo di coda, scolpito e sono rimasti sorpresi dal numero di richieste di vendita che hanno ricevuto dalle persone.

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Quindi, l’idea. Cercavano qualcosa di originale che unisse il loro lato geek alla loro vena creativa. Che doveva essere allo stesso modo qualcosa di mai provato prima, di inconsueto e paradossale. E così il 13 agosto parte, in sordina, la raccolta fondi su Kickstarter, piattaforma internazionale di crowdfunding.
La stravaganza del progetto fa sì che le persone lo condividano, i più curiosi chiedano maggiori informazioni, e che le donazioni comincino ad arrivare. La stampa comincia a parlarne e a seguirne l’andamento fino al 12 settembre, ieri, giorno che segna la fine della loro raccolta.
12 mila sterline il ricavato (di 10 mila sterline era il goal per avviare il progetto) con il quale cominceranno a costruire i primi prototipi di coda.

“La coda permette di esprimere il nostro lato bizzarro e ingenuo. Dà voce alle nostre emozioni anche quando non parliamo e restiamo immobili con il corpo – afferma con serietà il team-  Riteniamo diventerà la moda del momento, perché ci farà divertire e sarà bellissima”.

Per capire come funziona la coda, personalizzabile in lunghezza, pelo e tipologia (più da cane, da gatto, da dinosauro o da drago), ecco un divertente video esplicativo.

[vimeo 24466707 w=400 h=300]

Dietro quello che potrebbe sembrare un progetto troppo eccentrico per poter andare avanti, c’è comunque un grande lavoro di ricerca tecnologica che i quattro ragazzi sono riusciti a sviluppare dopo anni di studi e solo grazie alle ultime innovazioni di stampa in 3D.
Lo scheletro della coda, infatti, è realizzato in plastica ABS e contiene elementi di giuntura studiati al millimetro affinché tutte le parti riescano a muoversi con naturalezza senza far rumore.
La coda si inserisce nella cintura ed è dotata di un contenitore per le pile. Colui che la indossa azionerà poi un piccolo controller per selezionare i movimenti da fargli compiere. 4 i pulsanti a disposizione: Slow Moves (tremolio, scodinzolio, rotazione lenta), Fast Moves (rotazione veloce, sbattimento a terra, scodinzolio veloce) Super Mix (un mix di tutti i movimenti random) e Dancing (premi il pulsante a ritmo di musica e balla!).

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Ora, arrivati a questo punto e soprattutto dopo aver visto il video, vi verrà da sorridere (anzi forse sarete proprio piegati dalle risate) e forse questa è l’unica reazione possibile vista l’assurdità della cosa. Fatto sta che 12 mila sterline sono state raccolte e che circa 80 persone hanno ordinato una coda da indossare.
Se le vedete in giro, sapete da dove provengono e, nel caso sentiste anche voi l’esigenza di dialogare tramite una coda, questo il link dove è possibile acquistarle.

Dal 12 al 25 agosto l’arte inglese invaderà il Paese!
Per chi fosse dunque in terra britannica in questo periodo sarà un piacere scovare negli spazi pubblici poster con capolavori firmati Bacon, Turner, Parker e tanti altri. Ogni angolo della nazione sarà infatti coinvolto dal progetto “Art Everywhere”, lanciato da Richard Reed e sostenuto da istituzioni culturali di grande rilievo come l’Art Fund, la Tate, Posterscope, Vizeum, 101 Creative Agency, Easyart, Blippar e ArtsMediaPeople.

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L’esibizione “live” è in realtà la terza ed ultima fase di una campagna cominciata già lo scorso 7 giugno, quando è partita la raccolta fondi necessaria per sostenere la realizzazione di “Art Everywhere”. Attraverso una piattaforma on line gli amanti dell’arte hanno avuto la possibilità di donare una somma minima di tre sterline, ricevendo in compenso un gadget realizzato dalla coppia di artisti Bob e Roberta Smith. Il denaro raccolto, oltre ad essere impiegato per il noleggio degli spazi pubblicitari in cui mostrare i capolavori dell’arte e per la realizzazione dei manifesti, andrà a beneficio di musei e gallerie inglesi.

 

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Il pubblico è stato inoltre coinvolto nella selezione delle opere d’arte da distribuire e mostrare in giro per la Gran Bretagna: ne è nata una vera e propria classifica, stilata attraverso il conteggio dei “like” ricevuti da ogni singola tela proposta, che ha decretato i 57 capolavori protagonisti di “Art Everywhere”. Il podio è stato conquistato da “The Lady of Shalot” di John William Waterhouse, risalente al 1888 e visibile, in originale, alla Tate Britain di Londra. A seguire l’Ofelia di Millais e “Head IV” di Bacon.

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Sono 22 mila gli spazi pubblicitari su cui campeggeranno le opere prescelte per questa esibizione outdoor, che coinvolgerà fermate di metro e bus, strade, parcheggi, supermercati, centri commerciali, cinema e centri benessere, tanto che si stima sarà raggiunto il 90% della popolazione. La pagina Facebook dedicata all’iniziativa ha superato i 30 mila fan e le donazioni individuali sono state un migliaio.

E’ stata inoltre realizzata un’app dedicata, scaricabile gratuitamente, che fotografando i poster consente di accedere alle informazioni relative a ciascuna opera.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=sOV4JG0mMJE?list=UUqVQO2fO4tKeg-1ucI_Mzmw]
“Art Everywhere” oltre al successo riscosso nelle prime due fasi e il plauso ricevuto da curatori, artisti e critici, sembra anche un’ottima idea, utile ad educare i cittadini all’arte, coinvolgendoli e avvicinandoli a quei capolavori che fanno parte del patrimonio culturale inglese.

Consulta il sito

 

 

 

Questa è la storia di una favola che potrebbe diventare realtà. E a cui tutti possiamo partecipare.
Così nasce l’avventura di due ex animatori della Disney, Aaron Blaise e Chuck Williams i quali stanno tentando di finanziare un progetto fantastico, in tutti i sensi, tramite la piattaforma di crowdfunding Kickstarter.

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Già disegnatori di personaggi di successo per Pixar, Walt Disney e Dreamworks (loro i disegni di Pocahontas, Fratello orso, il Re Leone, Alladin , La bella e La Bestia e Mulan), Aaron e Chuck hanno deciso di imbarcarsi in un nuovo progetto, del tutto indipendente dalle grandi case produttrici di cartoni animati.
“Art Story” il titolo del film  che vorrebbero creare, un cartone animato in cui protagonisti sono un curioso ragazzo di 11 anni, Walt, e suo nonno: due personaggi molto diversi per età e attitudini che insieme si ritroveranno ad esplorare il magnifico mondo dell’arte, vestendo i panni dei protagonisti dei grandi capolavori artistici di tutti i tempi.

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“Grazie alla tecnologia unita ai disegni a mano libera – spiegano i due produttori – siamo in grado di ricreare lo stile di grandi artisti come Degas, Roy Lichtenstein, Van Gogh o Michelangelo e quindi inserire Walt e suo nonno all’interno dei principali capolavori realizzati nella storia dell’arte”.

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L’obiettivo? Quello di avvicinare i giovani all’arte, facendoli entrare nelle tele e spiegando loro cosa si cela dietro questi tesori di cui molto spesso non comprendono la grandezza e l’importanza.

Il progetto, che ad oggi ha raggiunto i 35 mila dollari, necessita di circa 300mila dollari per la sua realizzazione. Con il denaro ottenuto tramite il crowdfunding, che comunque non riuscirà a coprire tutte le spese di produzione, Aaaron e Chuck hanno però intenzione di dar vita ad un plot chiaro e definito, ingaggiare uno storico e un critico dell’arte per farsi aiutare nella linearità della storia, realizzare un trailer che illustri il cartone animato e pubblicare un libro per ragazzi.

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Un vero e proprio film collaborativo, non solo per il metodo di finanziamento ma anche per il coinvolgimento richiesto tramite i social network. Sulla pagina Facebook del progetto, infatti, viene richiesto agli utenti di postare il loro dipinto preferito indicando la motivazione della scelta. Chuck e Aaaron si impegneranno a far confluire all’interno del dipinto Walt e suo nonno e ad inserirlo all’interno del cartone.

E voi, cosa aspettate? Vi piacerebbe vedere un cartone animato in cui è l’arte ad esser protagonista? Oppure vi piacerebbe farlo vedere ai vostri figli? Basta anche solo 1 dollaro, che potrete donare qui

[vimeo 70530834 w=500 h=367]

Approfondimenti:
https://twitter.com/artstoryfilm#

 

sammasterclassA Bologna (8 e 9 novembre)  e  Roma (23 e 24 novembre)

Dopo il successo della Strategic Arts Management master class che si è svolta a Milano il 4 e 5 maggio scorsi, Tools for Culture approda con il progetto SAM in altre due città italiane, Bologna e Roma, portando il suo format inconfondibile ad affrontare due  temi cruciali nel contesto dell’economia della cultura.
Mantenendo un’attenzione costante allo scenario in cui nuovi mercati culturali e nuove esigenze sociali si interfacciano con l’economia dei territori, SAM master class “L’impresa sociale e culturale“, che si svolgerà nel cuore culturale di Bologna (Urban Centre-Piazza Maggiore) l’8 e il 9 novembre 2013, intende esplorare in modo efficace il ruolo che la cultura e l’impegno verso il sociale ricoprono come driver strategico capace di ridefinire processi, prodotti e azioni dell’impresa che pone la propria infrastruttura tecnica al servizio della domanda crescente di condivisione e partecipazione.

Le imprese oggi desiderano  produrre valore per sé e per il contesto in cui si collocano, concependo il proprio rapporto con stakeholder interni ed esterni in termini di Corporate Social Responsibility. La master class bolognese vuole fornire, tanto ai professionisti della cultura quanto agli imprenditori, l’approccio strategico e gli strumenti operativi necessari all’ideazione, implementazione, finanziamento e  comunicazione di progetti di responsabilità sociale, abbandonando le nicchie e le etichette per enfatizzare le connessioni e le sinergie.

E a Roma?
Nella Capitale fanno da padrone i temi legati al marketing culturale; il sistema culturale tende sempre di più a creare un nuovo approccio strategico che parta dal confronto con i mercati , dall’analisi e comprensione delle esigenze di fruitori potenziali e reali e dalla capacità di creare un dialogo flessibile con i propri interlocutori. Il percorso di SAM master class “branding, crafting, funding the Arts”, che si terrà a Roma il 23 e 24 novembre, propone un serrato confronto tecnico che partendo dall’analisi dei mercati della cultura e dalla definizione delle componenti di un prodotto culturale, e passando per l’analisi critica del concetto di brand culturale e delle norme in materia di proprietà intellettuale e creative commons, si concluderà con i temi del crafting (la costruzione accurata dei progetti artistici), del fundraising / crowdfunding e dela comunicazione del prodotto. Lo spazio che ospiterà la master class, l’Opificio Telecom è, non a caso, un esempio di assoluto successo rispetto i temi affrontati, essendo modello di co-branding tra la Fondazione Romaeuropa e Telecom italia.

A prestissimo i programmi delle due SAM master class che renderanno Bologna e Roma arene di discussione intelligente e proficua sui temi della progettazione e gestione culturale.
“Metodi più che contenuti, approcci più che trucchi”
(M. Trimarchi)

Stay tuned!

donazioneberniniContinua la campagna di raccolta fondi online che MiBAC, Friends of FAI, numerose realtà culturali e imprese private italiane e statunitensi promuovono nel contesto delle attività per l’Anno della Cultura Italiana negli Stati Uniti 2013. L’obiettivo è di finanziare la costruzione di un piedistallo antisismico per il Busto di Francesco I d’Este, capolavoro del Bernini conservato nella Galleria Estense di Modena, attualmente non esposto al pubblico a seguito delle pericolose scosse che ne hanno minacciato l’incolumità nella primavera del 2012.

La campagna è indirizzata al pubblico intercontinentale, attraverso l’utilizzo parallelo di due website per il crowdfunding. L’andamento della raccolta fondi ha raggiunto, sul portale italiano ForItaly.org, più della metà della quota prefissata di €60.000; la restante parte della somma potrà essere collezionata entro il 2 luglio. Più discreti invece i risultati sul portale americano Indiegogo.com, dove al momento sono stati collezionati meno di 3.000 $.

A prescindere dai riscontri più o meno incisivi dell’operazione bilaterale, la campagna in se stessa segna un importante passaggio per la pratica del crowdfunding tra nazioni. Lo sforzo per mettere in atto questa operazione è, al di là degli obblighi celebrativi istituzionali, manifestazione diretta di una necessità inequivocabile: quella di trovare strategie alternative per tutelare e promuovere il patrimonio storico-artistico italiano, le cui spese non sono più sostenibili internamente. Queste strategie alternative per la sostenibilità, di cui il crowdfunding è sicuramente un importante prototipo ispiratore, possono avere esiti ancora più interessanti delle, seppur centrali, motivazioni finanziarie che le muovono.

Il contributo minimo richiesto al donatore su Indiegogo.com o ForItaly.org dà accesso a molto più che ad un perk (nel caso dei 2 €, un’immagine digitale della statua del Bernini), bensì al mondo semi-inesplorato dei distretti culturali periferici, solitamente disconosciuti dalle rotte più classiche del turismo culturale di massa. La promozione di una raccolta fondi è sicuramente un ottimo modo per penetrare nuovo pubblico, fidelizzandolo alla causa della salvaguardia dei beni storico-artistici attraverso l’opportunità di contribuire al raggiungimento di un obiettivo specifico.

Oltre al perseguimento di queste finalità, ne esiste una ulteriore: la promozione di una nuova pratica di monitoraggio degli interventi a sostegno della tutela delle opere e dei luoghi di conservazione. La campagna di raccolta fondi è una leva che catalizza l’attenzione del pubblico, in questo caso amplificata a livello sovra-nazionale attraverso il web. Contribuire con una donazione liberale alla tutela del patrimonio artistico italiano significa creare un legame con esso, partecipare ad un processo in evoluzione. Ancora di più presso l’utenza americana, il significato di value-for-money va ben al di là di una semplice lascito e non costituisce un gesto autoconclusivo. Contribuendo alla raccolta fondi il donatore sposa il progetto, sostiene l’intento e, soprattutto, monitora la qualità dell’investimento attuato (oggi ancora più estensivamente, grazie ai social network).

Alla Galleria Estense di Modena va il privilegio, e l’onere, di essere primo oggetto di questo delicato esperimento, e agli enti promotori il compito di saperne comunicare efficacemente i risultati alla varietà del pubblico coinvolto.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=LTtxUurGtrw?list=PLCivKKeDXS5MWd4BnMtuabnsWIM1qbl4g]

Chi ha detto che con la cultura non si mangia, si sbaglia. Lo dimostra il food raising -si scrive così, in assonanza con il fund raising-, un sistema di finanziamento dal basso che raccoglie fondi per sostenere progetti culturali attraverso l’organizzazione di pranzi e cene.
L’idea nasce nel 2007 a Chicago, dal collettivo Incubate, che lanciò le Sunday Soup, pranzi domenicali nei quali un gruppo libero di partecipanti si raduna per condividere il pasto e per votare una serie di progetti culturali e artistici. Chi raccoglie il maggior numero di consensi ottiene il ricavato del pranzo, al netto delle spese per le materie prime, e può realizzare la propria proposta.
Il format ha subito riscosso un notevole successo ed è stato esportato in tutto il mondo, tanto che oggi gode di un network globale.
Nel nostro Paese si è diffuso grazie a Katia Meneghini, coordinatrice dello studio milanese di design Cntrlzak, che ha dato vita, per l’occasione, a Tavola Periodica. La piattaforma ha sviluppato, in location e città sempre diverse -da Milano a Siracusa-, brunch domenicali ad ingresso libero. In ciascun luogo si è guardato alle esigenze locali, raccogliendo e selezionando quei progetti di artisti o di creativi che proponessero una ricaduta positiva sul territorio.
I potenziali fruitori possono partecipare al pranzo come commensali con una quota minima di 20 euro e assegnare il proprio voto al progetto che preferiscono. Il numero ridotto di partecipanti, tra le 50 e le 90 persone, non favorisce un ricavato in grado di coprire tutte le spese per la realizzazione dei progetti, ma garantisce comunque una fonte di finanziamento, oltre a creare una rete di contatti e a inaugurare spazi in cui la discussione e il confronto si uniscono alla convivialità.
Un simile esperimento si è verificato anche a Bologna con Cosa bolle in pentola?, una rete locale nata in seno all’organizzazione culturale Ossigeno, che ha fatto della sostenibilità la chiave di volta della propria attività. Le iniziative, temporaneamente sospese nell’attesa che nuove forze si uniscano al collettivo, fino all’anno scorso riscuotevano il successo di un pubblico ampio sia per la qualità delle pietanze, realizzate con materie prime a chilometro zero, sia per i progetti, vicini alle esigenze del territorio. Le proposte premiate rispondevano infatti a criteri di sostenibilità, coinvolgimento della comunità e miglioramento delle condizioni di vita. Tra i vincitori Trame Urbane, progetto di Guerrilla Gardening, o Film Voices, servizio che aiuta i non vedenti a fruire di film attraverso il racconto orale.
Queste iniziative che dialogano con il territorio si rivelano alternative valide nel momento economico attuale, in cui il contributo pubblico alle sperimentazioni artistiche è scarso e il supporto privato viene per lo più indirizzato al finanziamento di strutture già istituzionalizzate. Il food raising trova al contrario la sua specificità nella partecipazione collettiva di un’utenza diversificata e stimola la creatività di chi vi prende parte tramite processi informali di socializzazione e coinvolgimento. Se da un lato cerca di far muovere risorse, dall’altro costruisce rapporti e legami tra persone e si dimostra piattaforma di condivisione comunicativa e collaborativa. Un modello che può e deve trovare maggiore spazio nel nostro Paese, non solo per ragioni di opportunità e contingenza, ma proprio in virtù del fatto che la cultura del cibo e dello stare insieme a tavola è qui di casa.

 

La società Tribewanted Limited è stata fondata dall’inglese Ben Keene e dall’italiano Filippo Bozotti per sviluppare realtà eco-sostenibili in diverse parti del mondo e dal 2006 fino ad oggi ne sono state create ben tre: la prima nell’isola di Vorovoro (Fiji), la seconda nella John Obey Beach (Sierra Leone) e la più recente a Monestevole (Perugia).

La comunità dell’isola di Vorovoro è nata e si è sviluppata grazie all’unione di un migliaio di persone provenienti da ogni parte del mondo, che hanno donato in media 250 dollari ciascuno, per la realizzazione del progetto. Il risultato? Una nuova comunità eco-sostenibile ora gestita da proprietari terrieri locali, 1 milione di dollari investiti nell’economia locale, 25 posti di lavoro, 1200 visitatori (Tribe members) tra i 2 e i 75 anni. Inoltre si è notato che il contatto diretto con queste realtà sensibilizza notevolmente le persone, poiché dopo aver visitato l’isola il 66% dei membri della tribù acquista prodotti locali, stagionali e biologici, il 71% produce meno rifiuti ed il 76% fa la raccolta differenziata. La creazione e la fruizione di queste comunità può dunque avere ripercussioni davvero ampie, permettendo lo sviluppo di abitudini in una direzione sostenibile e a impatto zero.

La forza della community si è poi spostata in Sierra Leone lungo la spiaggia di John Obey, dove nel 2010 è nata una nuova comunità anche grazie alla collaborazione del villaggio dei pescatori locale. In questo angolo dell’Africa Occidentale sono stati costruiti edifici in legno e bambù, è stato realizzato un sistema per la produzione di energia solare e una struttura per il riciclo dell’acqua. Si è poi dato vita a giardini in grado di soddisfare i bisogni della collettività attraverso il metodo di permacultura che sfrutta in maniera sostenibile la terra.

Ora Tribewanted tocca l’Italia e arriva nelle colline umbre per trasformare Monestevole in una comunità sostenibile. Le risorse sono impiegate per modificare le infrastrutture presenti sul territorio in modo da garantire l’eco-sostenibilità e le parole d’ordine diventano energia verde, raccolta e riciclaggio delle acque, riscaldamento a biomassa, gestione dei rifiuti, permacultura, agricoltura biologica. Da marzo 2013 la struttura è ufficialmente operativa e visitabile con l’obiettivo di promuovere la cultura e le tradizioni locali, oltre alla sostenibilità del luogo. La comunità di Monestevole si offre infatti come modello alternativo di vita possibile, proponendo un turismo diverso che non distrugge ambiente e tradizioni, ma li valorizza e ne fa i suoi punti di forza.

Ogni comunità reale è sostenuta da una tribù online, la Tribewanted Sustainable Communities, che finanzia i progetti con un contributo mensile di circa €12 a membro per la durata di un anno. Con la raccolta di questi finanziamenti e con la collaborazione delle popolazioni locali, Tribewanted ha l’obiettivo di sviluppare fino ad un massimo di dieci comunità e i prossimi luoghi coinvolti verranno scelti proprio dalla community online con un’apposita votazione.
Ma per far parte della tribù il finanziamento non è l’unica via che si può percorrere: si può contribuire al progetto facendone parte dall’interno, soggiornando nella comunità per aiutare nella realizzazione delle strutture necessarie alla sostenibilità e nelle attività quotidiane di gestione.

Ma perché è così necessario cambiare stile di vita? Il Rapporto 2012 del WWF Living Planet è tremendamente chiaro: l’umanità utilizza il 50% delle risorse in più rispetto a quelle che la Terra può fornire e nel 2030 non basteranno nemmeno due interi pianeti per soddisfare le nostre “esigenze”. Il nostro capitale naturale è in continuo declino.
Una possibile soluzione per attenuare le conseguenze dei nostri comportamenti arriva dal web, da una community online che sfrutta la potenza della rete per smuovere le coscienze di ogni individuo, proponendo iniziative concrete per un eco-turismo possibile.
Tribewanted può essere uno strumento utile a sensibilizzare la popolazione, poiché la rende parte integrante di un processo di condivisione e di responsabilità. Con il crowdfunding si diventa membri di un progetto che coinvolge in prima persona, per un ritorno alle tradizioni locali e ad uno sviluppo sostenibile in grado di non intaccare il nostro pianeta, già profondamente segnato.

Al Palazzo di Vetro di New York, le Nazioni Unite discutono per giungere allo storico accordo relativo alla compravendita internazionali di armi, volto a regolamentare tale mercato multimilionario nel rispetto dei diritti umani.
Interessi economici e politici rendono tuttavia ancora difficile la conclusione di questo trattato, che avrebbe almeno il merito di impedire l’esportazione di armi verso Paesi in stato di guerra, dove sono in atto genocidi o vi sono attività terroristiche.

In attesa che l’ONU compia questo primo importante passo verso la limitazione dell’utilizzo di armi, c’è chi crede che lo scoppio dei fucili e le esplosioni dei vari strumenti di morte possano tramutarsi magicamente in musica.


Si tratta di otto visionari, grandi esperti delle sette note, che si fanno chiamare Post War Orchestra e realizzano strumenti musicali attraverso il riciclo di armamenti vari: il loro progetto nasce nel 2009 da un’idea dell’artista Hilary Champion e sta raccogliendo il plauso di un pubblico sempre più ampio, sorpreso nel vedere un’orchestra suonare chitarre costituite da fucili o bonghi ricavati da componenti di vario genere come elmi e parti di cingolati.

La loro prima esibizione si è tenuta all’UCA, University for Creative Arts, nel Surrey, in Inghilterra, riscontrando un grande successo e portandoli ad esibirsi più volte per diffondere il loro messaggio positivo.
Trattandosi tuttavia di un gruppo di volontari, il reperimento di armi, la lavorazione necessaria per modificarle e le altre attività volte a portare avanti il progetto costano loro, oltre che impegno, che sembrano mettere con grande entusiasmo, anche denaro.
Hanno dunque lanciato una raccolta fondi per sostenere l’iniziativa della Post War Orchestra attraverso Kickstarter, la più grande piattaforma on line di fundraising.
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La Post War Orchestra è del resto la dimostrazione che creatività, arte e, soprattutto, buon senso possono davvero cambiare il mondo e far suonare musica con i cannoni.

 

 

Tafter incontra Lorenza Fruci, scrittrice e giornalista. Insieme parleremo di crowdfunding, di donne (normali ma speciali) e di futuro…

Hai da poco finanziato, grazie al crowdfunding, il tuo nuovo progetto editoriale “La Zibaldina Magazine”, il Web Magazine delle Wonder Women del 2000. Come mai hai scelto questo metodo di finanziamento e cosa ti proponi di realizzare su La Zibaldina?
Più che scegliere, ho voluto sperimentare il crowdfunding. Ne avevo sentito parlare e mi divertiva l’idea della folla che “finanzia” un progetto sulla spinta della passione, della fiducia, dell’investimento sulle idee e sulle nuove progettualità. E’ una grande dimostrazione dell’esistenza tangibile della generosità.
Sperimentare il crowdfunding è stato un modo anche per mettermi alla prova nel mondo del web e prendere le misure con i social network; poi ovviamente una piattaforma di crowdfunding mi è sembrato un luogo ideale sul quale lanciare un web magazine. Sono una grande curiosa di nuove esperienze e il crowdfunding ha superato tutte le aspettative che potevo avere a riguardo: si è rivelato una grande opportunità di comunicazione oltre che un’importante esperienza umana. Proprio per questo mi è venuta voglia di dedicargli un video-racconto; il documentario sarà online a gennaio insieme a La Zibaldina.

Prima di questa scommessa a livello editoriale c’è però il blog “Donna è bello…ma che fatica” su Style e la scrittura di diversi libri, di cui l’ultimo “Burlesque. Uno spettacolo chiamato seduzione” ha avuto grande successo. Una domanda sorge spontanea: come riesci a conciliare tutte queste attività? Sei anche tu una Wonder Woman?
E’ chiaro che Wonder Woman è un mio mito… è una donne forte, dinamica e terribilmente femminile. E’ un modello della fantasia che mi è piaciuto riproporre nella realtà e la metafora ha colpito: sono state molte le ragazze e le donne che si sono ritrovate in questa citazione delle Wonder Woman del 2000. Per quanto riguarda me, mi sarebbe piaciuto essere una superoina che salva il mondo… mi piacciono le sfide, raggiungere gli obiettivi, darmi da fare. Sono mossa sempre da passione e cerco di fare le cose che mi piacciono, questo non mi fa sentire la fatica dei numerosi impegni. E poi ci vuole molta molta organizzazione e desiderio di non perdere tempo.

Soprattutto sul tuo blog raccogli sfoghi e fatiche delle donne d’oggi. Ma chi sono le Wonder Women di cui parli?
Le Wonder Women di cui parlo sono le donne contemporanee. Le donne intelligenti, libere, colte e meno, che non rinunciano alla loro femminilità, a loro stesse, ai loro sogni, ai figli, al sesso, all’amore, alle loro idee e ideali, alla loro realizzazione… tutte quelle donne che hanno praticamente una vita impossibile perché una vera conciliazione della vita privata e lavorativa è molto difficile.
E’ arrivato il momento di affrontare seriamente, politicamente e civilmente, queste difficoltà che prima o poi si presentano nella vita di ogni donna. Non è possibile che una donna ad un certo punto della sua vita si trovi di fronte ad un bivio: o la famiglia o la carriera. Oggi Wonder Woman porterebbe avanti questa battaglia, non ne ho dubbi!
A proposito del mio blog “Donna è bello…ma che fatica”, si tratta della vetrina per un prossimo progetto editoriale che sfocierà in un libro-documentario.

Come ti vedi fra 10 anni?
Per ora mi vedo tra 5 anni… finora nella mia vita ho maturato la necessità di un cambiamento ogni 5 anni, il tempo giusto per raggiungere un nuovo obiettivo professionale. Credo che il mio “lungo periodo” sia naturalmente questo. Tra 5 anni mi vedo come un editore affermato, una scrittrice attiva e una donna felice.

Questo il link della raccolta fondi per La Zibaldina

Realtà poliedrica in continuo mutamento. Caleidoscopico terreno sperimentale in cui convergono, sempre più velocemente e, in apparenza, senza un comune filo conduttore, i differenti paradigmi che hanno fatto irruzione sul contemporaneo scenario internazionale.

Una città che porta in seno anime differenti, mutevoli, alle quali non è sempre facile trovare una puntuale declinazione. Sotto l’effige della grande metropoli troviamo ancora una realtà frammentaria, fatta di voci, insoliti scorci, colori, tradizioni, suoni e culture che quotidianamente ne animano le strade e i quartieri, da quelli a tutti noti del centro storico, fino ai più distanti, quelli di cui ormai si è persa memoria.

Da questa istantanea ha preso vita, prima progettualmente, e dallo scorso novembre anche operativamente, l’innovativo progetto promosso dall’Associazione no profit Podisti da Marte. All’iniziativa, articolata e declinata sulla base di plurime finalità, è stato attribuito un nome che sebbene celi molteplici rimandi concettuali, risulta estremamente chiaro e puntuale: Polifonia. Una sorta di viaggio itinerante tra dieci quartieri milanesi, dalla Stadera a Baggio, passando per la Barona, alla scoperta di quel sincretismo culturale, sociale ed artistico che definisce il presente della città.

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Fedele compagna di vita, una salutare droga quotidiana, un’amica che sa dare consigli e sa tirarti su di morale nei momenti più difficili… Si potrebbero usare queste e mille altre definizioni per parlare della musica, la forma d’arte più piacevole e utilizzata del mondo, l’unica a parlare un linguaggio universale che non conosce barriere e differenze di alcun tipo. Di fronte a un buon brano musicale siamo tutti esseri umani e proviamo tutti delle emozioni, belle o brutte che siano.

Come ogni forma d’arte, anche questa è andata incontro a una costante evoluzione di stili, di contenuti, di ricezione, di comunicazione, ma anche di servizi. È innegabile che l’innovazione investa anche questo mondo sterminato, di cui è difficile definirne i contenuti. Viene allora spontaneo chiedersi a che punto sia arrivato questo processo evolutivo oggi, sia perché mai come in questo periodo il mondo della musica è messo in discussione, sia perché la risposta alla domanda non è così scontata come può sembrare in apparenza.

A proposito dell’evoluzione stilistica, basta lanciare uno sguardo ai decenni immediatamente precedenti al nostro per scoprire che, quasi per convenzione, ogni decade ha incoronato un genere musicale specifico: l’elettro-pop negli anni ’80, il pop e la dance negli anni ’90, la musica commerciale agli inizi del nuovo millennio e così via. Definizioni opinabili, perché in fondo è sempre difficile tracciare le linee di confine tra uno stile e l’altro e anche perché è impossibile parlare di un taglio netto tra i decenni nel passaggio da uno stile all’altro. La gradualità dei cambiamenti e le progressive contaminazioni hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nella musica.

Questa che stiamo vivendo sembra essere un’epoca se non dominata, almeno pervasa dallo spirito della cosiddetta EDM, sigla dietro la quale si nasconde la definizione di musica dance elettronica. Un acronimo onnicomprensivo, che non raccoglie solo i generi più suonati e apprezzati nelle discoteche (house, techno, trance, dubstep, etc), ma anche variazioni stilistiche molto più rilassanti e d’accompagnamento, come la chill out, l’ambient e la lounge. Sembra che mai come in questo periodo il pubblico senta la voglia e la necessità di qualcosa di nuovo e di originale e la EDM, proprio grazie alla sua globalità e varietà, riesce a soddisfare in pieno questa esigenza.

 

Lo ha capito per tempo la rivista Forbes, che ha dedicato una delle sue prestigiose classifiche dei più ricchi al mondo ai DJ e produttori impegnati in questo delicato tipo di musica. Non solo, perché sull’onda di questa attenzione, evidenziata anche dal numero crescente di pubblico a festival ed eventi speciali (come la cerimonia annuale degli IDMA, i premi dedicati ai produttori dance), i DJ sono oggi considerati le rockstar del nuovo millennio. E non bisogna necessariamente storcere il naso di fronte a un tipo di musica che può sembrare difficile da ascoltare e che qualcuno paragona a “semplice rumore”… Anche la “fredda” elettronica è capace di suscitare forti emozioni (ascoltare An Angel’s Love di Alex M.O.R.P.H. per averne la conferma): basta solo non avere pregiudizi!

Accanto alla naturale innovazione degli stili, anche il mercato musicale è in trasformazione. Spesso si sente dire erroneamente che quello degli ultimi anni è un mercato in crisi, che non ha retto il peso del file sharing da quando il Web ha iniziato a entrare nelle nostre vite in modo sempre più prepotente. Nulla di più sbagliato… I dati IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) parlano chiaro: nel 2011 i ricavi discografici a livello mondiale (nel digitale) sono cresciuti dell’8.5% e il numero di download è in aumento ovunque (+10% negli Stati Uniti per i singoli e + 19% per gli album; +8% in Gran Bretagna per i singoli e +27% per gli album; + 23% in Francia per i singoli).

Sarebbe più giusto dire che il mercato musicale sta subendo una evoluzione: la formula delle grandi case discografiche che si spartiscono tutte le fette del settore è scomparsa e ha lasciato il posto a un sistema in cui anche le labels indipendenti cercano di ritagliarsi uno spazio, talvolta anche con un discreto successo. Il Web non ha ridotto le possibilità di acquisto del pubblico; al contrario, ha ampliato le possibilità di conoscere anche artisti minori ed emergenti e stili musicali considerati “di nicchia”. Se le grandi case discografiche sono in crisi è anche perché non hanno saputo captare il vento di cambiamento che spirava dal Web e non hanno voluto investire in modo massiccio sulle nuove generazioni. Basti solo pensare alla giovanissima e talentuosa Adele, regina di vendite degli ultimi due anni (il suo ultimo album, “21”, secondo della sua carriera, ha superato le 20 milioni di copie), nata dal nulla e oggi diventata una delle cantanti più famose, premiate e amate dal pubblico e dai colleghi di tutto il mondo… E la sua casa discografica è la XL, etichetta indipendente nata nel 1989 in Gran Bretagna.

L’innovazione non risparmia neanche il settore dei servizi. Riprendendo i dati IFPI, anche qui si registra una crescita del volume di abbonamenti dei portali di streaming on demand, come Deezer e il ben più noto Spotify, molto utilizzato da musicisti e case discografiche e che arriverà presto anche in Italia. Inutile citare, poi, i numerosi social networks dedicati ai musicisti, come MySpace (un tempo punto di riferimento del settore, ma oggi obsoleto e largamente superato dai più noti colleghi), Jamendo, WMW e le tante altre vetrine che gli emergenti possono sfruttare per farsi notare da qualche manager o label discografica.

L’ultima frontiera del servizio musicale sul Web, in tema di new media e produzione, è quella del crowdfunding. Uno dei primi portali ad aver investito su questo modello di finanziamento è stato Sellaband, nato nel “lontano” 2006, mentre in Italia da circa un mese e mezzo ha fatto il suo ingresso in campo Musicraiser. Il meccanismo di funzionamento è simile ed estremamente semplice: un artista che intende sviluppare un progetto musicale (un album, un EP, un videoclip o un concerto) ma non ha i fondi necessari per farlo, può chiedere agli utenti di finanziare con microdonazioni il suo progetto, promettendo, in cambio, un qualcosa, sia esso un download gratuito della musica che verrà creata, un biglietto omaggio per un concerto, una T-Shirt e altro (l’importanza del premio dipende dalla somma donata). Un modello di successo, questo del crowdfunding, che fa proseliti ovunque, non solo nel mondo della musica… Basti pensare alla piattaforma americana Kickstarter, che vede nascere ogni giorno progetti di ogni tipo finanziati dal pubblico.

Basta davvero poco per innovare, ma bisogna sempre essere velocissimi: l’innovazione corre e la musica lo fa insieme a lei, cercando di tenere il passo. Molte sono le novità che hanno interessato il 2012 che si sta chiudendo e c’è da scommetterci che molte altre ce ne saranno nei prossimi 12 mesi che ci aspettano. Quello che abbiamo visto è solo l’inizio… La strada delle novità musicali, tanto negli stili quanto nel mondo dei servizi Web, è ancora inesplorata.

 

 

Il Natale si avvicina e come ogni anno è partita la corsa ai regali. Per chi fosse alla ricerca di idee culturali TAFTER ha raccolto per voi qualche proposta sfiziosa con cui farete sicuramente bella figura.

Il libro è il classico dono culturale, sempre azzeccato, ma la difficoltà sta nello scegliere il titolo giusto.
Per gli amanti dei fumetti sarà di certo un presente gradito ricevere il volume “Dylan Dog, 25 anni nell’incubo” pubblicato in occasione dell’omonima mostra al WOW Spazio Fumetto di Milano. Il libro celebra il successo del personaggio ideato da Tiziano Sclavi, ripercorrendo la sua storia e analizzandone la personalità, il suo rapporto con la musica, con numerose illustrazioni, anche inedite.
Per i bambini della generazione 2.0, è invece più adatto l’e-book, ancor meglio se solidale. Vi segnaliamo allora “Lino e Tina”, edito da Siska Editore, che raccoglie le favole scritte da mamme che hanno inviato i loro fantasiosi contributi a fin di bene: il ricavato delle vendite andrà infatti a sostegno della Casina dei Bimbi onlus di Bologna.

Per gli amanti del nostro patrimonio culturale sarà una grande sorpresa leggere il proprio nome tra coloro che avranno contribuito al restauro del Duomo. Attraverso il progetto “Adotta una Guglia”, versando una quota si potrà infatti dare il proprio nome, o di colui che riceverà questo dono originale, ad una delle 129 guglie individuate con anonimi numeri.

Se il regalo è destinato ad appassionati di cinema, allora l’idea giusta potrebbe essere la tessera “Cine Fans Natale” di UCI Cinemas. Al costo di 5 euro è possibile infatti acquistare un pacchetto di cinque ingressi spendibili nei 40 multiplex presenti in Italia.

Se volete regalare l’arte, personalizzandola, c’è invece Crearti. Un gruppo di disegnatori realizzerà per voi quadri pop, di arredo, in stile Mondrian, cartoon o graffiti, dove i soggetti ritratti li decidete voi. Per Natale poi è prevista la consegna veloce in cinque giorni. 

Il miglior regalo per chi ama la cultura rimane comunque la cultura stessa: perché allora non donare una visita speciale a qualche monumento, sito archeologico o museo?
Potrete trovare tantissimi musei e tour nella nostra sezione TAFTER SHOP. Qualche esempio?
La Campania Arte Card offre una selezione di tappe in questa splendida regione ricca di cultura e tradizione, mentre per gli amanti dell’archeologia sarà i certo graditissima una visita privata al Parco Valle dei Templi e Museo di Agrigento; per i più romantici, Venezia è la meta giusta, con l’itinerario dell’arte e degli antiquari.
Consultando l’apposita sezione troverete comunque tante altre idee e promozioni… e se volete approfondire la conoscenza dei luoghi, ci sono sempre a disposizione i nostri splendidi hotel.

 

 

 

 

I dati parlano chiaro: il 30% del traffico online worldwide è rappresentato dall’industria del sesso e i termini più digitati sui motori di ricerca sono legati a questo comparto, che ogni anno muove un business di oltre 100 miliardi.
Siti come Xvideos, il più grande e conosciuto sito porno del mondo generano oltre 4,4 miliardi di visite ogni giorno, cioè più di Youtube o di qualsiasi organo di informazione online.
Non stupisce quindi, a livello sociale ed antropologico, come ogni social network di successo abbia il suo oscuro lato B rappresentato dalla sua versione pornografica: ne sono un esempio YouPorn, Pornterest o Faceporn dove ogni giorno milioni di utenti pubblicano e condividono immagini e video sessualmente espliciti.
Sarà forse la voglia di apparire, il disagio sociale o il frutto di un’era tecnologica sempre più mirata verso l’hard, fatto sta che ogni anno aumentano a dismisura gli utenti in cerca di sesso online, disposti anche a pagare (in forma anonima, certo) una fee per abbonamenti, profili premium e accessi riservati in grado di garantire una porta aperta verso la pornografia 2.0.
E se pensate che tutto questo sia a dir poco deplorevole, avrete pure le vostre ragioni, ma in qualche caso potrete ricredervi.

Il fenomeno del momento è infatti l’abbinamento tra sex and charity, sesso e beneficenza che, a dispetto di quello che potrebbe essere ritenuto non propriamente “etico” sta facendo il giro del mondo, approdando anche in Italia.

L’ultima start-up nata proprio a settembre ad opera di una coppia di ragazzi italiani si chiama Come4.org e si prefigge di utilizzare il materiale pornografico condiviso in rete a scopi sociali. Come funziona? Sul sito gli utenti possono postare video o immagini a sfondo sessuale che altri utenti sono in grado vedere solo dietro pagamento di una tariffa standard. Con questo denaro, Come4 si prefigge di raggiungere degli scopi benefici alleandosi di volta in volta con associazioni interessate al progetto.
In questo momento, ad esempio, la fondazione Asta Philpot ha sposato la causa e si prefigge l’obiettivo di aiutare persone con disagi fisici e/o mentali ad avere una vita normale, anche a livello sessuale.
“Non ci interessa legittimare i contenuti per adulti con la charity – chiarisce Marco Annoni, uno degli ideatori della piattaforma – ma vogliamo creare uno spazio nuovo, ispirato dal basso che consenta di usufruire del materiale pornografico senza scendere a compromessi con un’industria che ha canoni etici di business non accettabili”.

E se Come4 è il primo esempio italiano di “sesso a scopo benefico”, in altre parti del mondo il fenomeno è già bello che avviato.
In Norvegia, ad esempio, è attivo dal 2004 il sito “Fuck For Forest”, nato da un’organizzazione erotica ed ecologica no-profit. Al grido “Do not hide love, share love!” (che richiama il ben più vetusto “fate l’amore, non fate la guerra”), gli attivisti di FFF pubblicano sul sito immagini e video in cui sono ritratti a fare sesso in mezzo alla natura. Con lo stesso procedimento, cioè chiedendo del denaro per visualizzare i contenuti, sono riusciti a racimolare oltre 100 mila dollari nel primo anno di attività, raccolti con lo scopo di proteggere le foreste pluviali dal disboscamento.
Ovviamente problematiche etiche si pongono eccome, tanto che né il WWF, né la Rainforest Foundation Fund norvegese hanno accettato i loro fondi, che sono stati dirottati quindi verso una campagna a favore delle comunità indigene in Costa Rica.

Non solo le associazioni strutturate si cimentano però in questo genere di raccolte: anche i singoli, infatti, si danno da fare come possono. Nel 2007, una prostituta cilena ventisettenne, Maria Carolina, ha organizzato una raccolta fondi personale da destinare a Telethon impegnandosi nell’ardua impresa di fare sesso per 27 ore di fila. Per ogni ora di rapporto chiedeva 200 euro: alla fine della sua improbabile maratona, i fondi sono stati destinati a un’associazione che accudisce bambini poveri e disabili in Cile.

Last but not least: il Giappone, dove l’ultima settimana di agosto si è svolto un festival dal titolo “Erotica will save the world”  una kermesse a luci rosse al cui interno viene praticato l’Oppai Momi, una pratica già molto conosciuta nel paese (visto che si tiene anche in molti pub accompagnata da abbondanti bevute) che consiste nel palpeggiare il seno di porno star a pagamento.
Dieci palpazioni, una donazione. Anche in questo caso, il ricavato è stato devoluto all’associazione STOP!AIDS, organizzazione no profit che si occupa della sensibilizzazione, prevenzione e ricerca sull’AIDS.

Per Paolo Maria Veronica e Roberto Malandrino – il duo comico meglio conosciuto come “Malandrino e Veronica”– Bologna è un grande palcoscenico: i musei, le biblioteche universitarie e le ville sui colli delle antiche famiglie emiliane sono scenari naturali che neppure la migliore scenografia teatrale potrebbe superare; “l’idea” dice Paolo Maria Veronica, “è sempre stata quella  di portare il teatro fuori dal teatro”, questi luoghi “ trasmettono  una potenza ed un’espressività  impareggiabili”.
Da anni sono diventati così fra i principali animatori  delle serate estive e culturali di questa città, quando, accompagnando gli spettatori  all’interno di luoghi storici  , si trasformano da attori in ciceroni  e gli spettatori in turisti.

Il ciclo di spettacoli – al quale hanno dato l’evocativo nome “Visitors- il bello dei luoghi comuni” – ha avuto inizio qualche anno fa con “Paurosissime visite al museo di zoologia”; il museo in questione, sorto nel 1860, fa parte del prestigioso polo museale dell’Università degli Studi di Bologna, da molti anni ormai dimenticato dai cittadini e che proprio grazie a questa rassegna di spettacoli pare abbia rivissuto i fasti di un tempo lontano con un incremento esponenziale delle visite .
Successivamente   nasce “Insolitobus”, spettacolo itinerante,  ideato come un  viaggio a bordo di un autobus scoperto (stile inglese) a due piani , lo stesso che normalmente viene utilizzato per far visitare la città ai turisti stranieri.

Nelle loro pièces Malandino e Veronica inseriscono personaggi “storici” della loro carriera ma anche innovazioni coreografiche : sono infatti accompagnati da un corpo di ballo composto da ballerine/mimi poliedrici che opportunamente travestiti, diventano personaggi un po’ fantastici e un po’ coreografici, come accade  nello spettacolo “Le lucciole” a Villa Aldini ,una villa dell’epoca Napoleonica sui colli bolognesi. Qui la suggestione è soprattutto  visiva: le ballerine, indossando un costume nero e guanti con led colorati alle dita danzano nel parco attiguo alla Villa creando giochi di luce suggestivi che ricordano tante piccole lucciole in una notte estiva.

Naturalmente oggi gli istrionici Malandrino e Veronica hanno una loro pagina Facebook con migliaia di contatti; l’interattività con il pubblico – che è caratteristica del loro modo di recitare – si fa anche attraverso la scelta dei luoghi, quest’anno proposti e votati direttamente dai fan sul social network.

Se la città è un grande palcoscenico, la collaborazione con le istituzioni locali è stata sicuramente un elemento importante nella realizzazione di questo progetto e –  benchè Paolo Maria Veronica lamenti di avere avuto non poche difficoltà per poter avere le autorizzazioni necessarie ad utilizzare questi luoghi in un modo così “originale” –  sono riusciti a convincere ed andare oltre all’iniziale  rigidità burocratica dell’amministrazione.

Il loro contributo alla città di Bologna  va nella direzione della valorizzazione del territorio  ed in un periodo come questo di pesanti tagli alla cultura riaccende le luci sulla necessità di contribuire attivamente, con senso civico o semplice amore per l’arte, al mantenimento di questi beni che con il tempo vanno incontro ad inevitabile deterioramento;  quest’anno quindi gli spettacoli  “interviste a Quirico Filopanti” o “Visita al corpo italico” all’interno dell’antico Palazzo dell’Archiginnasio sono diventati anche occasioni per raccogliere  fondi: il ricavato viene infatti interamente devoluto al restauro delle opere della Biblioteca in esso ospitate.

Il Fundraising, come disciplina che promuove lo sviluppo economico e sociale di una comunità, genera i suoi effetti positivi, solo se attuata con passione civile e metodo professionale. Una sensata gestione di tale strumento incentiva un percorso di crescita culturale, progettuale ed economica del territorio. Qual è l’attuale ruolo della fondazioni bancarie e corporate nel suo utilizzo? Come incentivare le risorse economiche a disposizione del settore culturale e determinarne un forte impatto sociale basandosi sulla raccolta fondi?

It’s time to rethink

Su queste riflessioni si è incentrata una delle sessioni più riuscite ed intense della quinta edizione del Festival del Fundraising, svoltasi lo scorso mese (dal 9 all’11 maggio) a Castrocaro Terme, importante appuntamento a livello nazionale dedicato a chi lavora nel settore della raccolta fondi e del no profit.

L’iniziativa, diretta da Valerio Melandri e promossa dal Master in Fundraising dell’Università di Bologna, ha avuto come obiettivo la creazione di una community: uno spazio di confronto e condivisione di saperi ed esperienze sulle potenzialità di un settore professionale in continua evoluzione, in modo da favorire la circolazione di pratiche e tecniche di raccolta fondi, testate a livello internazionale e ancora poco conosciute in Italia, soprattutto nel settore culturale, ambito ancora poco sensibile a queste tematiche.

Promuovendo misure di green policy come il car-pooling (metodo low-cost per viaggiare e salvaguardare l’ambiente favorendo l’eco-mobilità), il festival, nel segno dell’eco sostenibilità, si è contraddistinto per 88 sessioni formative, che hanno riunito più di 600 fundraiser, con il contributo tecnico di 50 relatori, tra cui 12 esperti internazionali. Inoltre si sono tenuti Workshop sulle più importanti tematiche connesse alla raccolta fondi e al mondo del no profit; special workshop su argomenti mirati; case method, ovvero sessioni formative con esempi concreti, utili a far emergere metodi e strategie da adottare nel fundraising.

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Con l’introduzione della tecnologia 2.0, il web è divenuto una piattaforma di partecipazione per la condivisione di idee, notizie, contenuti audio e video.
Facilitando il passaparola e la collaborazione globale, la rete ha dato una voce sempre più influente agli internauti, arrivando a farne dei veri e propri co-produttori di beni e servizi.

Nell’ultimo decennio, l’evoluzione di internet ha consentito al consumatore di assumere un ruolo nuovo, quello del microinvestitore o del micromecenate a cui progettisti, artisti, imprenditori, sia debuttanti che affermati, si rivolgono con crescente fiducia. Questo fenomeno assume il nome di crowdfunding e può essere definito come l’appello ad uno sforzo collettivo per cui un ampio numero di persone versano una piccola quota di capitale a sostegno di progetti proposti da individui, gruppi o istituzioni.
Il micromecenatismo e il microinvestimento non sono delle novità, le collettività da sempre si sono mobilitate per il finanziamento di imprese caritatevoli o culturali. A rinnovare e a dare nuovo vigore al processo di finanziamento dal basso, è il ricorso alle comunità online e alle nuove tecnologie di pagamento telematico che, velocizzando il passaparola e facilitando le operazioni di versamento, agevolano la raccolta di capitali.

Una prima forma di crowdfunding è stata concepita nel 1997 quando i fan americani del gruppo rock inglese Marillion, a seguito di una campagna online, finanziarono con le loro donazioni un tour della band negli USA.
Da allora il sistema di raccolta fondi collettiva si è notevolmente evoluto: con l’applicazione in diversi campi -dal design alle arti visive, dalla scienza alla moda, dall’imprenditoria al non-profit- e con la nascita di siti internet che fungono da intermediari tra i depositari di progetti e gli investitori/mecenati.

La prima tra le piattaforme specializzate in questo settore è stata ArtistShare che ha creato nel 2003 il suo sistema di fan funding, dedicato ad artisti emergenti. Oggi sono numerosi i siti web per il crowdfunding e sono spesso rivolti a settori specifici: i)Sellaband, Slicethepie, PledgeMusic sono piattaforme rivolte all’industria musicale che permettono agli artisti di raccogliere fondi dai fan; ii) YourMajorStudio, PeopleForCinema sono specializzate nella raccolta fondi per la realizzazione di film; iii) DesignerProd.com, Catwalkgenius, Cameesa propongono il finanziamento di oggetti di design e moda; iv) da MyBar, TrampolineSystem, GrowVC si possono proporre progetti imprenditoriali; v) infine vi sono siti come Kapipal, CreateFund, Pleasefund.us da cui è possibile richiedere sostegno per i progetti più disparati da azioni caritatevoli a progetti personali (casa, matrimonio, viaggio).

Il ricorso al web consente dunque ad artisti ed imprenditori di rivolgersi direttamente al pubblico agevolando, così, l’incontro tra domanda e offerta al di fuori dei circuiti tradizionali. Il crowdfunding farebbe quindi parte del processo di democratizzazione della produzione e della promozione consentito dalla tecnologia 2.0 di cui però bisogna sottolineare anche i limiti. Se da un lato la tecnologia ha agevolato la visibilità di progetti e persone, dall’altro emergono due rischi: che il singolo talento si perda nel mare di proposte e che, in assenza di una valida protezione della proprietà intellettuale, si veda la propria idea copiata.

Nonostante queste problematiche, la diffusione delle piattaforme online per il crowdfunding continua, sintomo della rilevanza che il fenomeno sta assumendo nel sostegno alla creatività, un’importanza che potrebbe essere ulteriormente favorita dal periodo di crisi economica e dalla volontà di espressione e democratizzazione degli utenti.

In questi giorni, partenza avvenuta il 23 luglio, più di 440 squadre cominceranno ad affrontare un percorso di decine di migliaia di chilometri attraverso territori sconosciuti, alcuni pericoli e storie dimenticate, respirando polvere e odori di luoghi lontani, per arrivare fino a Ulaan Bataar, capitale della Mongolia.
Lo scopo di questo viaggio sarà non solo la ricerca dell’avventura e la scoperta di luoghi lontani e misteriosi ma anche e soprattutto la solidarietà verso territori dalla storia spesso tormentata.
La nascita del Mongol Rally risale al 2001 per iniziativa di due inglesi che decisero di partire all’avventura per la Mongolia, poco attrezzati ma pieni di entusiasmo.
La prima competizione a squadre è databile invece al 2004; da quel momento, ogni anno, sempre più persone si sono dimostrate interessate a partecipare alla gara.
Oggi il Mongol Rally è un’iniziativa bandita annualmente dalla League of Adventurists International Ltd, una grandissima società che organizza avventure a scopo benefico, di cui molti sono rally spericolati in giro per il mondo, cui si è aggiunto qualche anno fa, per esempio, anche il Rally d’Africa.
Ogni squadra partecipante al Mongol Rally è tenuta a raccogliere almeno 1000 sterline che vengono devolute ad associazioni di volontariato che si occupano principalmente delle comunità e dei bambini di etnia mongola, oppure che operano negli altri Paesi attraversati dalla corsa.
Quest’anno, ad esempio, l’associazione ufficiale che beneficerà di gran parte delle donazioni raccolte è la Christina Noble Children’s Foundation, con il suo Blue Skies Ger Village.
In questo villaggio vengono ospitati bambini orfani e non, ai quali manca il supporto familiare, con l’intento di dar loro un futuro migliore attraverso un posto sicuro dove vivere, un’istruzione scolastica e un luogo accogliente per sopperire alla mancanza di una famiglia.
Le condizioni per partecipare al rally sono un’ulteriore particolarità dell’iniziativa, oltre all’intento solidaristico, infatti alla corsa sono ammesse solamente auto che non superino i 1000 cc di cilindrata (sono vietate le 4×4) e oltretutto non esiste alcuna forma di assistenza lungo il percorso.
L’unica tappa obbligatoria, infine, è Praga, dove tutti i partecipanti dovranno transitare il secondo giorno, ma da lì in poi ogni squadra sarà libera di seguire un proprio percorso verso la meta finale.
Tutte le squadre si stanno organizzando per raccogliere aiuti sia per poter portare a termine l’impresa di terminare la corsa, sono svariate a tal proposito le necessità: da un kit di primo soccorso al carburante a qualche pit-stop lungo il percorso, sia per convogliare più denaro e beni possibile  nelle casse delle ONG che li utilizzeranno a favore delle comunità locali, in special modo dei bambini. E i mezzi per farlo, spesso, sono la versione semplificata della formula uno: pubblicità, tasselli, spazi e loghi sui veicoli che partiranno all’avventura.
Tra le squadre che stanno prendendo parte alla “gara” da segnalare anche una no-profit fiorentina che condurrà fino in Mongolia qualcosa di importante e lì molto raro: Carlotta.
Questo è il nome dell’auto-ambulanza, donata dalla Croce Verde Baggio di Milano, che l’associazione si è data il compito di far arrivare, insieme ad altri aiuti umanitari, fino a Ulan Baatar usandola come mezzo prescelto per il viaggio. Il livello delle prestazioni sanitarie locali è bassissimo e avere la disponibilità di  un mezzo speciale per le emergenze può davvero fare la differenza per qualche comunità del luogo.
Il Mongol Rally è un’iniziativa carica di tutto il fascino che porta inevitabilmente con sé un’avventura in terre lontane, soprattutto in un viaggio fitto di incognite e denso di incertezze, con però un importante punto fermo, essenziale per tutti i partecipanti: la consapevolezza di stare facendo del bene e di stare contribuendo ad aiutare una nobile causa.

Guida operativa

Elisa Bortoluzzi Dubach è l’autrice del volume dal titolo “Lavorare con le Fondazioni”, una guida operativa che delinea, con un approccio pragmatico e concreto, il rapporto che intercorre tra fondazioni erogative e soggetti richiedenti, quali artisti, operatori culturali e responsabili di istituzioni sociali, seguendoli nel complesso processo d’interazione con le fondazioni: dalla concettualizzazione alla post-produzione del progetto.
La ricerca si sviluppa mediante una dettagliata scansione del progetto di fund-raising che il richiedente deve attuare per operare in modo efficace e strategico. Partendo da una approfondita analisi della situazione di partenza, il richiedente è messo nella condizione di poter valutare in modo accurato la necessità o meno di attuare un piano di ricerca fondi. Una volta stabilita la natura e l’entità del bisogno, l’analisi permette al lettore di capire come scegliere tra le fondazioni operanti sul mercato, fornendo una tassonomia dei criteri da utilizzare. In questo contesto viene analizzato il panorama delle fondazioni in Italia, tratteggiandone le dinamiche, le principali caratteristiche, i fondamenti giuridici e proponendo alcuni casi di studio paradigmatici come: Fondazione Cariplo, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Fondazione Roma, Fondazione per il Sud.
Il volume entra poi nel merito della stesura di una richiesta di finanziamento in termini pratici, prendendo in analisi sia i criteri formali come linguaggio, dimensione e stesura, sia i criteri contenutistici finalizzati ad attrarre l’attenzione dell’interlocutore su coloro che avanzano la domanda di erogazione e sul progetto. Una volta che la richiesta è stata progettata nel migliore dei modi, l’autrice indaga le modalità decisionali attraverso le quali i consigli di fondazione selezionano i progetti da finanziare. Nel fortunato caso in cui questo venga approvato, la ricerca si concentra sulla realizzazione de facto del progetto, prendendo in considerazione aspetti come: l’organizzazione interna del team, la pianificazione, la verifica degli obbiettivi, le risorse tangibili e intangibili a disposizione, l’analisi dei rischi e la fase di realizzazione. È in questo contesto che si inserisce la disamina di aspetti determinanti come i fondamenti giuridici e gli aspetti fiscali in materia di fondazioni, con una valutazione delle opportunità e delle problematiche che li caratterizzano.
Un altro aspetto preso in considerazione riguarda la scelta, da parte del richiedente, di avvalersi della collaborazione di consulenti esterni. A questi soggetti può essere affidato un incarico di tipo strategico, volto cioè a stabilire le politiche e una progettualità di azioni di lungo periodo in collaborazione con la fondazione erogativa, oppure di reperimento informazioni o di tipo logistico come le trattative con le fondazioni o l’elaborazione delle richieste. L’ultima sezione, tratta l’aspetto strategico del controllo dei risultati che risulta essenziale per numerosi motivi: il controllo delle varie fasi del progetto, la comprensione del trade-off costi-benefici e la valutazione del risultato finale. In appendice il lettore può infine trovare una dettagliata lista delle principali fondazioni erogative attive in Svizzera, Germania, Austria e Liechtenstein, con la relativa analisi dei contesti nazionali di riferimento.

Elisa Bortoluzzi Dubach
Lavorare con le fondazioni
Guida Operativa
FrancoAngeli €28,00
ISBN: 9788846496003