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Il nuovo fenomeno nell’editoria si chiama “graphic novel”: si tratta di romanzi narrati attraverso immagini a fumetti e realizzati grazie al talento di scrittori e illustratori. A parlarci di questa nuova dimensione del racconto è il bravissimo Riccardo Falcinelli, che di grafica e illustrazione ha fatto la sua professione: dal 2000 cura infatti l’immagine grafica di Minimumfax, di Laterza, Carocci e della collana Stile Libero Einaudi, e dal 2002 è professore universitario di grafica e comunicazione visiva.
Quale esperto nel campo, ci chiarisci una volta per tutte cosa differenzia un graphic novel da un fumetto o da un romanzo illustrato?
In verità non credo di essere un esperto, ho scritto e disegnato alcuni graphic novel come pezzi di un progetto più ampio di ragionamenti sulla grafica e sulla comunicazione visiva, ovvero i miei libri sono soprattutto degli esperimenti per vedere cosa è possibile fare di una narrazione visiva. Le nomenclature sono – come è noto – convenzionali: fumetto sarebbe quello tradizionale e seriale (strisce o albi con personaggi ricorrenti), graphic novel invece l’opera unica in forma di libro più simile come impianto concettuale alla narrativa tout court, romanzo illustrato poi può essere qualsiasi unione di testi e immagini ma che abbia un “respiro” romanzesco, che si distenda per più pagine con un impianto narrativo largo e non necessariamente concentrato sulla trama. Ma appunto sono convenzioni.
Una ricerca dell’AIE attesta che questo genere copre il 10,8% della produzione di fiction. Come spieghi tale grande successo? Lo ritieni un “fuoco di paglia” o un risultato destinato a perdurare e magari crescere nel tempo?
Difficile fare previsioni. Francamente mi pare un numero enorme, in libreria non sembra così massiccia la loro presenza. Però di sicuro i lettori vanno aumentando. Le generazioni più giovani sono più disposte al visivo ma non vuol dire che lo capiscano davvero, anzi alle volte lo danno per scontato, non sono consapevoli dei meccanismi in atto. Quello di cui mi accorgo sempre più spesso è come un grande numero di persone subisca le immagini anziché capirle, ma di questo è anche responsabile la scuola che non allena abbastanza al pensiero critico: si insegna la storia dell’arte (quando lo si fa), si parla di film e di design come elenco di cose belle senza concentrarsi sul ruolo che questi artefatti giocano nella nostra vita quotidiana. Un ruolo che spesso è anche politico, indirizzando gusti e comportamenti.
Come prende forma un graphic novel nel tuo studio? Da dove si comincia e dell’aiuto di chi ti avvali?
I libri che ho scritto fino a oggi li ho fatti tutti con Marta Poggi. Mesi e mesi di infinite discussione su come raccontare. Poi a lei il compito delle parole, a me quello delle figure. Come dicevo sono degli esperimenti, nel senso che quello che ci è sempre interessato, oltre la trama, era capire come mettere il relazione testi e immagini in maniera inconsueta. E infatti le nostre storie sono fondamentalmente metalinguistiche: tutte le trame parlano di mass media e di comunicazione globale. Grafogrifo è un rinascimento che funziona come Matrix o come un pamphlet di McLuhan, Cardiaferrania racconta del rapporto tra la nostra identità e quella degli oggetti industriali, cos’è originale e cosa è una copia? L’allegra fattoria è una parodia dell’informazione giornalistica, dei fatti che si pretendono “veri”. Sono tutte storie che parlano della complessità di vivere nella società delle immagini. E poi volevamo fare libri “difficili”, oggi tutto è entertainment, volevamo scrivere libri che chiedono una partecipazione forte del lettori, anche al punto da metterli in difficoltà, di spaesarli, di fargli chiedere dove si stesse andando a parare.
“L’Arte delle Felicità” di Alessandro Rak o “La vita di Adele” di Abdellatif Kechiche sono stati graphic novel riprodotti sul grande schermo. Se dovessi trasporre cinematograficamente una delle tue creazioni, quale sceglieresti? Perché?
La risposta è facile: nessuno. Ho sempre voluto scrivere graphic novel che non fosse possibile trasformare in film e per una ragione precisa: trattandosi di lavori concentrati sul codice narrativo volevo trovare un modo di raccontare che non fosse trasferibile facilmente in un altro linguaggio. Quello che trasponi in un film è la trama e niente altro, forse un po’ dell’atmosfera. Ma se la trama è tutt’uno con le strutture visive allora questo diventa difficile. In verità la maggior parte dei graphic novel mi annoia perché sono testi scritti con aggiunte le immagini, i due pezzi sono disgiunti e possono appunto vivere l’uno senza l’altro.
Da insegnante di Psicologia della percezione, come leggi questa preponderanza dell’immagine nella comunicazione odierna? Oltre al graphic novel, si è assistito infatti all’exploit delle info grafiche e di social dedicati a foto e immagini. Come mai al giorno d’oggi diamo la precedenza al senso della vista?
Non credo che diamo precedenza alla vista, gli diamo il giusto spazio. La nostra ci sembra una società molto visiva solo perché facciamo il confronto con la cultura ottocentesca che ci ha preceduti e che era maggiormente incentrata sul verbale. Però proprio perché tante immagini ci circondano bisogna stare in guardia, come dicevo non c’è nulla di più pericoloso di quello che diamo per scontato, che ci pare ovvio e innocente. Anzi proprio perché viviamo nella “civiltà delle immagini” dovrebbe essere responsabilità un po’ di tutti saperne di più. Se uno vive in una foresta con animali feroci si munisce di armi adeguate, sarebbe sciocco il contrario. Eppure in tanti vivono circondati dalla comunicazione visiva in ogni momento della loro vita senza nessun tipo di strumento di difesa o di comprensione.
Per chi ancora non conoscesse questo genere letterario, quali titoli consiglieresti?
Asterios Polyp di Mazzucchelli e Jimmy Corrigan di Chris Ware. Però bisogna prima aver letto tutto Carl Barks, “Paperino e la scavatrice” è la più grande storia mai disegnata: c’è una finezza psicologica rarissima nei fumetti e c’è quella verità umana di cui sono capaci solo i grandi artisti.
C’erano una volta un fratello e una sorella, Pellegrino e Margherita, che amavano la creatività e la magia. Pellegrino disegnava, creava, illustrava, Margherita scriveva storie, racconti favolosi per bambini, fiabe avventurose e delicate.
Per fortuna quella dei fratelli Capobianco non è solo una bella storia, ma una realtà esemplare, la storia vera di giovani artisti italiani che, tra alti e bassi, tra delusioni e gratificazioni, alla fine ce la fanno.
Margherita ha esordito come autrice nel 2011 pubblicando “Le avventure di Holly” per Tabula Fati. Nel corso dell’anno successivo è una delle vincitrici del 1° Festival nazionale di scritture per ragazzi “Astolfo sulla Luna” di Manocalzati (AV). Nel settembre del 2013 ha pubblicato per NarrativaePoesia Editore, “Holly e il trofeo dell’estate”, un altro racconto che ha come protagonista il folletto di Tulipandia, sempre illustrato dal fratello Pellegrino. Questi ha esordito nel 2009 come illustratore, collaborando con varie case editrici (Musso, Gruppo Editoriale Tabula Fati, etc.). Pellegrino, conosciuto con lo pseudonimo di Crinos, non è solo illustratore, ma anche artista e pittore a 360 gradi. Il suo stile personalissimo e innovativo gli ha meritato molti riconoscimenti nel campo della pittura.
Con il patrocinio del MiBAC, il romanzo di Margherita Capobianco, “Le avventure di Holly”, sarà presentato il 18 ottobre alle ore 10,00, nell’ambito della rassegna “Note e voci d’autore”, che si tiene presso la Biblioteca Statale di Montevergine ad Avellino, un incontro coinvolgente e interattivo per grandi e piccini.
Il suo nuovo romanzo, “Holly e il trofeo dell’estate”, verrà presentato prossimamente in diverse librerie irpine e romane. Non perdete d’occhio, quindi, il sito di Margherita e Pellegrino.
Se fino a poco tempo fa il mercato dell’arte era una prerogativa esclusiva degli intenditori più raffinati, delle famiglie facoltose, dei collezionisti di generazione in generazione, ultimamente sembra che si stia aprendo sempre di più ad un pubblico maggiormente diversificato. Dopo le fiere d’arte che propongono creazioni accessibili, o le aste per tutti i portafogli, è arrivato anche Artuner, il portale dov’è possibile comprare opere d’arte online, a prezzi speciali, in una sorta di asta web rivolta anche ai meno esperti. Lo scopo è quello di incrementare la conoscenza e l’apprezzamento dell’arte contemporanea internazionale, e allo stesso tempo, di stimolare la nascita di una nuova generazione di collezionisti, giovani e appassionati.
Artuner è una vera e propria galleria online che, per periodi limitati, espone le opere d’arte che mette in vendita ad un prezzo conveniente, ridotto. L’esposizione è tematica e scelta dai curatori e dagli esperti stessi del sito ed è chiamata “curation”. Come specificato dal creatore del sito, Eugenio Re Rebaudengo, in un primo momento i lotti proposti saranno principalmente di fotografia. I prezzi partono dalle 2,000 sterline. Per acquistare bisogna registrarsi online, ma prima di compiere il passo decisivo del pagamento, si può usufruire del consiglio degli advisors messi a disposizione dal portale, contattabili tramite email o Skype. Il sito offre, poi, per ogni artista e opera messa in vendita, informazioni bibliografiche di approfondimento, come in ogni catalogo d’asta che si rispetti. Una volta terminato il periodo della “curation”, è possibile trovare le precedenti esposizioni allestite su Artuner cliccando su “All Art”. Delle sezioni specifiche, contenenti articoli e testimonianze, aiutano infine l’utente a muoversi nel mondo del mercato dell’arte e della tutela delle opere.
La grafica è elegante e curata, il sito è di facile navigazione e comprensione. Al di là della possibilità di acquistare realmente un’opera d’arte, la piattaforma potrebbe rivelarsi un mezzo utile per affacciarsi sul mondo del collezionismo, uno strumento didattico per aggiornarsi sulle tendenze dell’arte contemporanea.
Artuner è stato messo online di recente, quindi al momento contiene esposizioni di un solo artista, il fotografo Luigi Ghirri. Nonostante ci sia la possibilità di vedere il quadro posizionato all’interno di una stanza, o dotato di cornice, il fatto di non poter analizzare l’opera da acquistare dal vivo sicuramente costituisce un limite.
Il portale è stato creato da Eugenio Re Rebaudengo, giovane collezionista, esperto d’arte anche grazie all’esperienza nella Fondazione di famiglia, la Sandretto Re Rebaudengo. Gli altri membri del team, Nicolas Epstein e Muna Rabieh, anche loro giovanissimi, hanno una formazione internazionale.
I collezionisti in erba, gli appassionati di storia dell’arte, mercato dell’arte, economia della cultura.
Giovanni Muciaccia e Art Attack impalledirebbero di fronte a quello che sa fare solo con della semplice carta Jaroslav Mishchenko.
Un cobra rosso fuoco, un’aquila maestosa, un gufo con le ali spiegate, un piccolo scarabeo o persino un unicorno. Tutto può essere riprodotto con delle mani abili a modellare della buona carta. E la scelta dei colori adatti fa sembrare ogni soggetto ancora più realistico e naturale.
Il fatto divertente è che questo mago degli origami si definisce in realtà un semplice creatore amatoriale e le foto delle sue opere sono scattate utilizzando solo uno smartphone.
Ecco qui la sua pagina Flickr.
Se vi capita spesso di girare per negozi e di essere stufi delle solite marche e dei soliti prodotti, se cominciate a sudare freddo ogni volta che è il compleanno di qualcuno a voi caro perché incapaci di trovare un regalo originale, bene, allora dovreste dare un’occhiata a Buru Buru. Si tratta di uno store online dedicato esclusivamente all’artigianato contemporaneo. Si possono vendere o acquistare prodotti fatti a mano, di alta qualità, ma con un brand moderno, fresco e divertente… Persino a costi abbastanza contenuti!
È anche una community di crafter che ricerca e seleziona artigiani e creativi che necessitano di assistenza e supporto per far decollare la propria produzione, il proprio “piccolo brand”. Le parole chiave di Buru Buru sono sostenibilità, creatività, valore.
Buru Buru funziona un po’ come Ebay, nel senso che è possibile sia vendere dei prodotti, sia comprarli. Solo che il mercato di Ebay prevede merci di tutti i tipi e qualità. Per vendere su Buru Buru, invece, bisogna “candidarsi”, cioè sottoporre le proprie creazioni al giudizio dello store che valuta la compatibilità con la linea e il gusto adottati dal resto degli articoli.
Per acquistare basta solo registrarsi, scegliere tra abbigliamento, accessori, gioielli, cartolerie, prodotti per bambini, green, poster, ovviamente pagare e aspettare l’arrivo dell’agognato pacco a casa. È possibile anche personalizzare i propri acquisti, scegliendo l’illustrazione da abbinare all’accessorio o alla t-shirt preferiti. C’è anche una sezione “Offerte” per scoprire i prodotti scontati del momento. Per le fashion blogger sulla cresta dell’onda è, poi, possibile diventare “Ambasciatrici” Buru Buru e portare alto il vessillo della cultura artigianale indipendente.
Infine, è possibile navigare sulla sezione “Magazine” dello store, il blog di Buru Buru che contiene news, articoli, interviste sul mondo del design, della grafica, della moda.
Il sito ha una grafica adorabile, semplice e divertente. Muoversi all’interno della pagina web, alla ricerca del prodotto giusto, è facile e veloce.
Il tipo di merce messa in vendita potrebbe essere gradito maggiormente da chi ha un determinato tipo di stile, “alternativo”.
Il nome, “Buru Buru”, si ispira al linguaggio dei bambini che, pur farfugliando, riescono a fare capire cosa vogliono, soprattutto quando qualcosa li cattura, li attrae, li stupisce. Buru Buru quindi è volontà, entusiasmo, stupore.
I/le fashion victim, i/le fashion blogger, i designer, i creativi, gli artigiani 2.0, gli imprenditori fantasiosi, tutti coloro che hanno letto e amato “I love shopping”.
Vi presentiamo Cesare Bellassai, giovane siciliano che ha fatto il giro del mondo per trovare la sua strada: tra Noto, Milano e Londra si muove alla ricerca di ispirazioni e intuizioni per creare i suoi poster “ideas on walls“.
Come inizia la tua carriera di designer e illustratore? Come è nato il progetto di ideas on walls?
Tutto è partito nel 2006, quando mi sono trasferito in Inghilterra, dove ho cominciato disegnando biglietti d’auguri, i famosi “greetings card”, per clienti privati. Ero dedito a pittura e scultura, ma disponevo solo di un piccolo spazio, con un tavolo da campeggio, e perciò potevo al massimo disegnare, la mia passione di sempre. Da lì è stato facile, perché l’Inghilterra è un mercato molto ampio e gradisce humor e tratto semplice. Io avevo entrambi, perché venivo da un’esperienza di clown per bambini negli ospedali e il disegno, come ho detto, è da sempre una mia propensione. Ho creato biglietti d’auguri fino al 2011 e dall’anno successivo è nato il marchio ideas on walls: un amico inglese mi ha chiesto un disegno da appendere in camera da letto e da lì ho creato il mio primo poster. Ho cominciato a pensare al progetto, mentre proseguivo la carriera di illustratore con agenzie francesi, grazie anche alla collaborazioni di molti altri colleghi inglesi e americani che mi hanno spinto a creare nuovi poster per altre stanze. Da lì in poi ho compreso che quella era la strada da seguire, poiché era un percorso ancora mai battuto: nessuno aveva pensato di dividere i poster a seconda degli ambienti, seguendo una linea semplice, che lasciasse apparire la realtà così com’è, senza ricorrere ad immagini astratte, con colori vivaci e allegri, mettendo un pizzico di ironia.
Questi gli elementi principali del progetto ideas on walls, che se per ora dispone solo di una piattaforma e-commerce, sarà presto lanciato attraverso dei franchising presenti in diverse città italiane.
Da cosa si differenzia la tua attività da quella di un grafico tradizionale? Quali le peculiarità delle tue creazioni?
Io non sono un grafico e nemmeno un illustratore: in realtà non sono una gran cima nel disegnare. Vivo di intuizioni e di visioni. Tutto quello che creo è frutto di studio, di notti passate a pensare o da improvvise illuminazioni: si tratta di una sovrapposizione di pensieri, di idee che emergono mentre guido, faccio la doccia e conduco le mie attività quotidiane. Non disegno dei bozzetti, ma il più delle volte registro le mie idee in maniera vocale. Per certi aspetti l’idea nasce già finita nella mente e solo successivamente diventa grafica. L’importante è che il disegno abbia un’armonia, un centro dal quale farlo partire, e soprattutto che venga partorito col cuore. Io non posso definirmi un grafico, ma un designer che entra nelle case e nei luoghi; non sono nemmeno un illustratore, che disegna su libri e fogli di giornale; si tratta per lo più di etichette. Io arredo gli ambienti con i miei disegni.
Come scegli i soggetti dei tuoi poster? Quanto e cosa c’è di Cesare Bellassai in quello che crei?
I soggetti vengono scelti dopo un accurato studio: tento di capire come rappresentare determinati elementi facendo indagini anche su motori di ricerca on line. Se il poster è per la cucina mi ingegno ad esempio a raffigurare una forchetta o un piatto tradizionale. Le “penne all’arrabbiata” è nato da un forchetta trovata su Google e poi, studiando la forma della pasta infilzata ho avuto l’intuizione di vederci una bocca aperta, evocativa della fame e della rabbia che il languore genera. E’ un gioco di visioni, un cercare di guardare le cose al di là, da un altro punto di vista, da una diversa postazione, che consente di vedere altro. Un disegnatore è abituato a guardare il foglio dal tavolo da disegno o dal computer, sempre nella stessa direzione, ma se ci girasse intorno, alzandosi, riflettendo, socchiudendo gli occhi, farebbe più un lavoro da artista, abituato a muoversi attorno al cavalletto. Questa propensione mi deriva proprio dal passato di pittore e scultore, come anche i colori che utilizzo, di una tavolozza ben più ampia rispetto alla gamma cui ricorrono i grafici.
C’è stata una telefonata o un contatto che ti ha svoltato la carriera?
Nel 2010 sono stato a New York dove ho incontrato l’ideatore del famoso logo d’artista “I love NY”, Milton Glaser, il più grande grafico e designer vivente al mondo, che mi ha accolto nel suo studio. C’è stata una sorta di benedizione da parte sua e una collaborazione per un logo destinato a Miami. Mi ha dato dei consigli e mi ha rassicurato dicendomi che la strada che stavo percorrendo era quella giusta.
Come lui, altri grafici, designer, artisti e creativi mi hanno dato delle utili indicazioni spronandomi a provarci. Ci vuole poi tanta testardaggine e curiosità per fare questo lavoro: bisogna guardarsi attorno, conoscere i colleghi, scambiandosi idee, senza rivalità, perché è talmente vasto questo settore che c’è posto per tutti. Non credo vi sia concorrenza. Nel mio caso, a dimostrazione di ciò, sono il primo in Italia ad aver fatto questo tipo di attività, proponendo poster per ciascun ambiente della casa, con tutte queste categorie e forme, dalla cucina alla camera per i bambini, cercando di prendere soggetti precisi da reinterpretare in chiave umoristica e metaforica. Si tratta soprattutto di un gioco, nel senso che è un lavoro perché è fonte di rendita, ma per me è un’attività continua che mi diverte.
Chi sono i tuoi principali committenti? Come influenzano le tue creazioni? Quale la richiesta più particolare che hai ricevuto?
I committenti sono privati e pubblici, dai ristoranti ai liberi professionisti, italiani e stranieri. Mi mandano delle e-mail con suggerimenti su cui io cerco di costruire l’immagine. Ci sono coppie che magari mi inviano riferimenti di lui o di lei per poster di anniversari o magari genitori che vogliono un’immagine da appendere nella cameretta del bambino e bar che chiedono elementi evocativi come ad esempio i croissant; poi lavoro io sull’idea da sviluppare: nessuno dei committenti comunque ha mai rifiutato l’opera.
La più particolare è stata la richiesta di un signora inglese che voleva un poster da regalare al suo compagno per appenderlo sopra una grande vasca da bagno: mi ha infatti scritto via e-mail che per loro il momento del bagno era una sorta di rituale, in cui lei si presentava in autoreggenti e decolleté con tacco a spillo, attorniata da candele e musica. Ho allora pensato di realizzare questo poster erotico con una calza a rete blu, che indossa una scarpa con tacco rossa, e all’interno della gamba ci sono i pesci, che rappresentano i pensieri di entrambi, racchiusi in questo ambiente acquatico d’amore. Un omaggio di lei per lui e per il loro amore.
Un designer e illustratore come te, risente della crisi economica? In che modo si reagisce?
Quando nel 2012 ho ideato il marchio ideas on walls ho pensato subito ad un qualcosa di low cost. Avere dei brand con una buona qualità, con idee belle ed innovative, ma a prezzi giusti, è un concetto che dovrebbe essere sempre valido, non solo nel mio settore. La crisi economica si può sentire, ma considera che i costi dei poster non sono eccessivi. La gente abita la casa e vuole farlo in maniera armonica, perciò non rinuncia ad arredarla, per sentirsi a proprio agio e affinché rispecchi chi ci vive. Per quel che riguarda l’illustrazione lascio la parola ai colleghi, perché nel campo dell’editoria le condizioni sono diverse. Dal mio frangente posso dire che non subisco contraccolpi perché le persone hanno bisogno di nutrirsi di immagini e sembrano esorcizzare la crisi economica proprio con i miei poster.
Tre “dritte” che daresti a chi intende intraprendere la tua stessa professione.
Innanzitutto bisogna capire qual è il proprio talento, ma soprattutto è bene affacciarsi al mondo, uscendo dalle quattro mura italiane e proporsi verso altri luoghi. Si faccia poi la differenza: è bene scegliere la strada meno battuta che consenta di far emergere la peculiarità che contraddistingue ciascuno di noi. Se non si trova la propria originalità e la propria unicità, ci si ripeterebbe solamente.
Per saperne di più consulta il sito www.cesarebellassai.com
La sfida per aggiudicarsi il titolo italiano di Capitale Europea della Cultura 2019 si fa sempre più serrato, tra new entry e uscite di scena.
Il termine per presentarsi ed entrare in lizza è fissato al 20 settembre 2013 e nello stesso giorno verrà fatta una preselezione. Questa prima fase sarà seguita da un periodo di nove mesi entro cui le finaliste dovranno presentare un dossier più dettagliato dei progetti volti a conquistare il titolo.
Per “ripassare” insieme quali sono le aspiranti Capitali della Cultura italiane abbiamo voluto presentare una carrellata dei loro loghi, per cui i vari comitati promotori hanno indetto molti concorsi.
Mancano all’appello i loghi di Amalfi, Aosta, Pisa e Taranto.
Questa domanda ve la sarete posta milioni di volte: “E’ possibile l’amicizia tra uomo e donna?”.
E, insieme a voi, anche due giovani ragazzi di New York, entrambi professionisti della comunicazione, Jessica Walsh e Timothy Goodman che, per tentare di rispondervi hanno deciso di condurre un esperimento, che in poche settimane è diventato uno dei progetti più virali e social degli Stati Uniti. Non sono da soli: assieme a loro un creativo, un video maker, un tecnico del suono.
Si chiama “Forthy days of dating” ed è il progetto attraverso il quale proveranno a rispondere a questo sempiterno quesito.
Se siete degli appassionati di web serie, dei romantici, dei single, dei creativi, dei grafici, dei sociologi, degli psicologi o degli esperti di comunicazione, prendetevi almeno un pomeriggio off perché rimarrete incollati allo schermo del pc per seguire le loro vicende e rifarvi gli occhi con la bella grafica e l’originalità dei loro video. Se poi siete tutte quelle cose elencate sopra e non avete ancora pianificato le ferie, ecco come trascorrerete almeno i primi 3 giorni di vacanza.
Il progetto consiste infatti in un blog e in una serie di video che documentano lo stato d’avanzamento dei loro incontri.
Ma facciamo un passo alla volta: Jessica e Tim sono due amici storici alla soglia dei trent’anni che, per motivi diversi, hanno vissuto storie complicate e fallimentari con i rispettivi partner. Ritrovatisi single nello stesso periodo hanno deciso che fosse giunta l’ora di auto analizzarsi per capire come mai le loro storie non andavano a buon fine. Diversissimi da tutti i punti di vista, l’unica cosa che li accomuna è l’affetto che nutrono nei confronti l’uno dell’altra e gli stessi identici problemi di coppia. Tim è spaventato dalle relazioni durature, frequenta spesso più di una donna alla volta e sta perdendo di vista il significato della parola “amore”. Jessica è un’inguaribile romantica, salta da una relazione all’altra perché mai abbastanza soddisfatta ed è alla continua ricerca del suo Lui perfetto.
40 giorni possono cambiare il loro atteggiamento nei confronti dell’altro sesso e, insieme possono prendere l’uno ciò che manca all’altro.
Riusciranno alla fine di questo periodo a cambiare le loro prospettive? Cominceranno una vera relazione? Lo faranno tra di loro o con altre persone? Rimarranno ancora amici o si innamoreranno?
Sei le regole fondamentali che dovranno seguire:
1 – Si incontreranno una volta al giorno per 40 giorno
2 – Usciranno almeno tre volte a settimana
3 – Vedranno un terapista di coppia una volta la settimana
4 – Partiranno per un weekend
5 – Compileranno il questionario giornaliero su come vanno i loro incontri e filmeranno il tutto
6 – In questi 40 giorni non usciranno né avranno rapporti sessuali con altre persone
[vimeo 69904652 w=400 h=225]
Un modo creativo e originale, quindi per documentare, come fosse una web serie, uno dei problemi che maggiormente attanaglia la società dei single: “sono io il problema o sono le persone che frequento?”
Per il momento i due sono in pausa. Sono al 36esimo giorno e riprenderanno ad aggiornarci sullo stato della loro relazione il 3 settembre.
E visto che non sanno a quale risposta li porterà il loro esperimento, potete anche contattarli privatamente sui loro profili social. Chissà che l’anima gemella di uno dei due non siate proprio voi.
“Ma che parlo cinese?”: è l’esclamazione tipica di quando ci sono problemi di comprensione tra persone. La lingua mandarina è infatti da sempre ritenuta particolarmente ostica per gli occidentali, abituati ad utilizzare l’alfabeto latino, ben diverso dagli ideogrammi cinesi.
In nostro aiuto giunge però il progetto di SahoLan, nata a Taiwan e figlia di una calligrafa che, amante della propria cultura, avvia il progetto Chineasy: servendosi della grafica pittrogrammatica punta infatti ad abbattere la “grande muraglia” rappresentata dai caratteri, per molti incomprensibili, della sua lingua.
Scopri Chineasy
Thomas Lamadieu, alias Roots Art, è un artista davvero trasversale: nelle sue opere c’è street art, grafica, fotografia e illustrazione, tutto mixato in scorci urbani.
Il suo talento sta infatti nello scovare gli spazi giusti per radicare i suoi soggetti: è così che nel lembo di cielo tra i palazzi si staglia una grande civetta, da una pozzanghera tra i tombini spunta il muso di un gatto e sui profili dei grattacieli trova posto una combriccola di amici.
Questo è il suo sito e questa la sua Pagina Facebook
L’amore per la musica non passerà mai di moda. Tra i corsi e i ricorsi di note e generi musicali, quelli che stiamo attraversando sono senza dubbio gli anni della riscoperta dei vinili. Che siano trentatré o quarantacinque giri, gli ingombranti ma affascinanti enormi dischi neri sono tornati in auge e vengono molto ricercati, soprattutto quando al loro interno racchiudono brani di musica indipendente.
Proprio per celebrare la musica indipendente e i negozi che la distribuiscono al grande pubblico, 700 solo negli Stati Uniti, un commesso di uno di questi store, Chris Brown, ha istituito il Record Store Day, una giornata dedicata a tali spazi, alle loro note in sottofondo e ai tanti appassionati che li frequentano quotidianamente. Quest’anno i festeggiamenti cadono il 20 aprile (la data coincide infatti ogni anno con il terzo sabato del mese di aprile) e il programma previsto in giro per il globo è denso di appuntamenti e mostre d’arte dedicate.
I negozi che parteciperanno all’iniziativa saranno riconoscibili grazie ad un timbro esposto in vetrina: l’elenco degli shop indipendenti che aderiranno in Italia è disponibile nel sito dedicato alla manifestazione; la maggior parte di questi sono concentrati nella città di Perugia.
A Napoli sarà proiettato, presso il Palazzo delle Arti, il film “Last Shop Standing – The Rise, Fall and Rebirth of the Independent Record Shop” di Pip Piper che racconta l’ascesa dei negozi dei dischi dagli anni sessanta ad oggi: musicisti d’eccellenza tra cui Paul Weller, Billy Bragg, Johnny Marr, Norman Cook, Nerina Pallot, Richard Hawley e Clint Boon; racconteranno la storia musicale dal rock’n’roll al punk.
L’appuntamento a Milano invece è presso il Teatro del Verme che si trasformerà in un’autentica piazza della musica: sarà allestito un Music Crossing Corner in cui sarà possibile dialogare con personalità del settore discografico ed esperti di vinili. Anche in questa occasione sarà proiettato “Last Stop Standing”.
Nella home page troverete invece la lista, decisamente più corposa, dei negozi partecipanti negli Stati Uniti, dove gli eventi organizzati sono variegati e prevedono premiere, concerti, proiezione di documentari. Tutte iniziative ad ingresso gratuito e che non si concentreranno solo nella giornata del 20 aprile, ma che si svolgeranno nell’arco di tutta questa settimana.
L’ambasciatore ufficiale di questa edizione 2013 sarà Jack White, dei White Stripes. Il gruppo ha deciso di ristampare per l’occasione, a dieci anni dall’uscita, il suo album Elephant, in versione LP in vinile nero e rosso da un lato e bianco dall’altro. Un’edizione speciale è prevista anche per il cd dei Pink Floyd, del disco “See Emily Play Pink Vinyl” che sarà venduto in edizione limitata, con una copertina realizzata da Syd Barrett.
Queste sono opere di Nazareno Crea, tratte dalla serie “Alpha Beuaties”, una raccolta di 45 celebri ritratti femminili della storia dell’arte occidentale.
Ognuna di loro ha rappresentato i canoni di bellezza dell’epoca in cui furono ritratte, ma Nazareno Crea ha voluto riproporle, in modo critico, ritoccandole secondo gli odierni standard fisici: servendosi di photoshop l’artista ha mostrato una Gioconda priva delle sue gote tonde, una Maya dalle labbra eccessivamente protuberanti, e una Venere del Botticelli che mostra una corporatura insolita. Crea ha agito su questi capolavori dell’arte come un chirurgo plastico, rimodellandone le forme, gonfiando qualche seno e sminuendo così la bellezza naturale di queste muse che ispirano da secoli l’umanità.
Per scoprire tutte le opere di “Alpha Beuaties” è possibile consultare il sito dedicato
Era il 1963 quando Lawrence Herbert ideò il Pantone, sistema di identificazione e comunicazione dei colori fondamentale per i grafici. Ogni supporto può infatti alterare la tonalità del colore prescelto, compromettendo il risultato finale desiderato: il Pantone Matching System ha invece risolto tale problematica.
Questa invenzione compie oggi 50 anni e, per ogni festa di compleanno che si rispetti, non può mancare la musica. I grafici Chic & Artistic hanno così voluto celebrare il mezzo secolo del Pantone con una serie di illustrazioni che mescolano colore e canzoni.
Un po’ vintage, un po’ sentimentali, dai colori tenui come immaginiamo le figure e i personaggi delle favole. Le illustrazioni della giovane Yelena Bryksenkova ci trasportano nelle atmosfere fantastiche, divertenti e rassicuranti delle storie che siamo stati abituati a sentire nella nostra infanzia e di cui ogni tanti sentiamo la mancaUn po’ vintage, un po’ sentimentali, dai colori tenui come immaginiamo le figure e i personaggi delle favole. Le illustrazioni della giovane Yelena Bryksenkova ci trasportano nelle atmosfere fantastiche, divertenti e rassicuranti delle storie che siamo stati abituati a sentire nella nostra infanzia e di cui ogni tanti sentiamo la mancanza. Anche le rappresentazioni della stessa vita reale sembrano prendere la forma di un racconto: nella galleria trovate una selezione dei suoi lavori tratti dal sito ufficiale.
Come sarebbero stati i maggiori capolavori della storia dell’arte se gli artisti avessero utilizzato i pixel invece dei pennelli? Certamente avrebbero perso sfumature, intensità, luci e ombre, ma sarebbero andate bene per un videogame alla Super Mario Bros.
Queste sono le reinterpretazioni del pixel artist Jaebum Joo.
Quante volte leggendo un libro o guardando un film in lingua originale avete pensato a quanto sia più incisivo e toccante non far travisare le parole, il significato di alcune scene ed immagini dalla traduzione di qualcun altro? Esistono alcune parole impossibili da riportare in altri idiomi, proprio perché peculiari della mentalità e dell’essenza di un popolo. L’artista Fuchsia Macaree ne ha “disegnate” in modo divertente alcune.
Sapete qual è il libro più letto negli ultimi cinquant’anni? Forse sì, ma non immaginerete sicuramente quale testo si piazza nelle posizioni subito successive. Ad illustrarci questa interessante classifica è il designer Jared Fanning, che ha interpretato attraverso l’immagine la statistica fornita da Squidoo. Così, a seguire la Sacra Bibbia ci sono, a sopresa e in antitesi, le citazioni di Mao Tse- Tung. Il maghetto più famoso del mondo conquista invece il bronzo alleggerendo la classifica che prosegue con altri libri fantastici come la trilogia di Tolkien e le congetture del Codice da Vinci. Per gli altri classificati, consultate l’illustrazione!
Sogna, tieni gli occhi ben chiusi. Poi sogna ancora, aprili, e continua a sognare. Perché essere un sognatore spinge a far diventare, ogni giorno, i propri sogni realtà.
E’ una ricetta semplice quella che propongono Rijko e Chris, gli ideatori di “The Visionaries“.
Alla base dell’iniziativa di questi giovani artisti olandesi c’è l’idea di creare una serie di ritratti in formato video che diano voce a persone, appassionate e creative, collegate fra loro dalla voglia di raccontare le loro vite e lasciarle condividere in rete.
Basta collegarsi al sito internet ufficiale, infatti, per tuffarsi in una manciata di minuti in queste biografie. Ogni “visionario” ci narra la sua storia, l’amore per il suo lavoro e per l’arte che produce. Da cosa è nato, ma soprattutto, come questa passione, il sogno di una vita, si sia trasformata in realtà.
Chi sono questi visionari?
Uno di loro è Dennis de Groot, illustratore e graphic designer. Creatore multidisciplinare, come ama presentarsi. Il suo processo creativo inizia già dall’infanzia. “Facciamo errori migliori domani” è la sua citazione preferita. Il primo libro che ha pubblicato, Bare Essential, si compone di una serie di illustrazioni che ripropongono soggetti tratti dalla cultura popolare, rivisitati in chiave minimalista tramite semplici colori e forme geometriche.
Dall’inizio della sua carriera ha lavorato per clienti come Tommy Hilfiger, Bacardi, Converse, Heineken. Ha collaborato con diversi eventi culturali, per l’ esibizione dell’Amsterdam 2.0 presso the Hub, per esempio, ha ideato sei illustrazioni sui luoghi e i simboli più caratteristici della capitale olandese.
Molto diversa è la storia e la visione del mondo di Sivanski, graphic designer e artista di strada. Iniziando con piccoli adesivi, poco alla volta si è accorta di come, questa forma d’arte, fosse diventata per lei una sorta di dipendenza. La sua tela è diventata la città intera. Ama la street art perché è qualcosa di temporaneo, che ha una fine, qualcosa che tutti possono vedere, che muta e che contemporaneamente la fa crescere come persona.
Ma c’è anche chi racconta come la sua attività sia nata in una sorta di ritorno al passato, alle origini, alla propria famiglia.
E’ la storia di Hollund, un marchio di fashion design creato da una coppia che, dopo esperienze con grandi compagnie in Finlandia, ha deciso di fondarne una propria ad Amsterdam. Lei ricorda come questa passione sia sorta probabilmente nell’adolescenza, quando vedeva la nonna e la madre cucirsi i vestiti da indossare. Così, dopo avere studiato in una scuola d’arte, ha creato la sua linea, confezionando abiti che dichiara essere ispirati al folklore olandese, al design scandinavo e all’internazionale streetwear.
Anche per il dj, musicista, produttore I.N.T. l’amore per il proprio lavoro ha un’origine ancestrale, comincia dal primo ricordo: la madre che ascolta musica in radio. Non solo è iniziata quel giorno la sua esperienza musicale, ma forse anche la sua vena hip-hop. Adesso è un artista riconosciuto, ha calcato la scena di festival di fama internazionale, ma il suo passato è presente ovunque. Un’antica passione per i videogiochi ci spiega da dove nasca il suo pseudonimo: nei giochi di un tempo era possibile inserire un nome composto solo da tre lettere. L’aspetto ludico come omaggio alla carriera. Questo artista, come tutti gli altri, si sente benedetto e felice, appagato di quello che fa.
Il filo rosso che unisce i visionari è la necessità umana di creare. La carrellata di questi ritratti multimediali vuole essere uno spunto di ispirazione e di motivazione per tutti quelli che non sono convinti che sia davvero possibile concretizzare i propri sogni artistici. Uno spiraglio di luce e una diversa prospettiva del mondo a tutti gli aspiranti visionari. Dalla potenza all’atto il passo è possibile. E auspicabile anche in questa parte dell’Europa.
36 anni, romano con origini sarde, Federico Mancosu è un giovane grafico e web designer che, grazie al suo talento e ad un pizzico di fortuna, ha conquistato uno dei registi più acclamati del cinema americano: Quentin Tarantino!
Federico, sei balzato alla cronaca per la storia della tua locandina, disegnata in occasione del lancio dell’ultimo film di Quentin Tarantino (Django Unchained, ndr) che, segnalata al regista americano attraverso Facebook, è stata poi scelta dalla produzione statunitense come immagine integrata della comunicazione. Come è andata esattamente?
Tutto è iniziato due anni fa, quando cominciai a realizzare queste locandine minimaliste dedicate al cinema, ancora poco diffuse in Italia, ma che già incominciavano a spopolare all’estero. Incominciai realizzandone alcune ispirate al cinema di genere italiano anni 60/70 e le pubblicai su Facebook, taggando una serie di amici, tra cui un amico regista che nel 2004 organizzò per il Festival di Venezia, insieme a Marco Giusti e Quentin Tarantino la rassegna Italian Kings of B’s, dedicata al cinema di genere italiano del passato. Il caso volle che proprio questo mio amico, avesse tra la sua lista di amici Facebook anche l’assistente personale del regista, il giorno dopo quindi, ricevetti una chiamata in cui mi comunicò che Tarantino aveva visto e apprezzato i miei poster e desiderava riceverne delle copie a Los Angeles.
A distanza di un anno, pubblicarono online il titolo del suo nuovo film: Django Unchained. Io, che nel frattempo avevo realizzato altri lavori, sempre ispirati alla stessa corrente ma dedicati a dei celebri videoclip musicali, pensai di approfittarne realizzando per il nuovo film, di cui avevo letto solo la sinossi, una locandina ispirata a quelle che già erano piaciute al regista.
Pubblicandola sul mio sito personale, l’effetto “cassa di risonanza” fu molto veloce: essendo infatti una delle pochissime immagini collegabili al titolo del film, molti quotidiani, blog e siti internet la ripresero, generando anche parecchia confusione su quale fosse la locandina ufficiale. La scorsa estate, una delle mie locandine dedicate a Django Unchained, fu pubblicata dal nostro amico in comune, sulla bacheca del profilo personale Facebook di Quentin Tarantino, che all’epoca frequentava il popolare social network.
Dopo pochi giorni mi arrivò una mail dalla produzione che mi chiedeva se fosse possibile cedere i diritti dei miei art works per utilizzarli a scopi promozionali per il film.
Fu allora che venni contattato dalla Sony Pictures e che firmai un contratto con il quale mi impegnavo a cedere i diritti alla produzione che in questo modo divenne libera di utilizzare il concept ed, eventualmente, modificarlo. Venne quindi realizzata la locandina ufficiale che si ispira molto al mio poster originale e alcune mie immagini sono state utilizzate per la comunicazione integrata come pass, avatar sui social network ufficiali, eventi promozionali ecc..
Da lì in poi, i successi sono stati altri. Mi giunge voce che tua sia anche la locandina realizzata per il MiBAC in occasione della Notte dei Musei del 19 maggio…
Anche in questo caso si tratta davvero di una coincidenza: invitato a casa del mio migliore amico, mi sono ritrovato a parlare con un dirigente del MiBAC che quella mattina aveva letto sul Messaggero una mia intervista sulla vicenda Tarantino. E’ così che abbiamo iniziato a parlare delle mie locandine, dei miei lavori per il cinema ed è così che poi, una volta osservati i miei poster, abbiamo deciso di sperimentare una nuova comunicazione per La Notte dei Musei 2012, che si discostasse da quella tradizionale fino a quel momento portata avanti dal MiBAC e che riprendesse il fil rouge del cinema secondo il mio stile.
Ho quindi pensato ad una citazione cinematografica, quella della Notte dei Morti Viventi, ispirandomi ai i vecchi flani che si vedevano nei quotidiani fino ad una ventina di anni fa nelle pagine dedicate agli spettacoli in sala.
Da “La Notte dei Morti Viventi” è nata quindi “La Notte dei Musei Aperti” con caratteri che riprendono molto lo stile dei vecchi film horror, e che attirano anche a livello cromatico con il giallo ed il nero e che si discostano completamente dalle precedenti campagne di promozione del Ministero per questo evento.
Quali sono le tue principali fonti di ispirazione a livello grafico?
Fin da bambino mi piaceva disegnare e sono cresciuto guardando cartoni animati giapponesi: questo lo ritengo il mio svezzamento creativo. Sono poi passato ai fumetti, tanto che a 17 anni ho frequentato una scuola di fumetto e mi sono poi laureato in Disegno Industriale con indirizzo in Comunicazione Visiva. Il mio quindi è un background fumettistico che poi si è evoluto verso tutt’altra direzione, da 11 anni ricopro il ruolo di art director all’interno di una new media agency. Essendo un appassionato di cinema e delle icone della cultura pop, nei miei poster cerco sempre di strizzare l’occhio a delle locandine o a dei poster del passato rielaborandone i font e la grafica utilizzata.
Quale consiglio ti sentiresti di dare ai giovani graphic e designer che vogliono intraprendere questo percorso professionale? Quali difficoltà hai incontrato tu nella tua carriera?
Se un giovane vuole farsi conoscere online il mio consiglio è quello di cominciare con qualcosa già popolare, già conosciuto dal grande pubblico. Questo rende le cose più semplici all’inizio perché rende i lavori più d’appeal e quindi più facilmente diffondibili online tramite social network oppure attraverso delle piattaforme specializzate nella promozione di artisti, che permettono a giovani creativi di caricare le proprie opere e farle giudicare dagli altri utenti. La parola d’ordine è quindi condivisione e interazione, soprattutto su internet dove, il mio caso lo insegna…tutto è possibile!
Tempo di elezioni e città tappezzate dai consueti cartelloni elettorali: alcuni di questi sono immancabilmente oggetto di rappresaglie da parte dei cittadini più ironici o contengono messaggi che giocano volontariamente sui doppi sensi. Come se non bastasse, grafici creativi hanno invece ideato manifesti che fanno satira politica tramite immagini. Nel Paese di “Vota Antonio” ogno chiamata alle urne viene così sdrammatizzata.
Ecco a voi i manifesti elettorali più divertenti!