Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
Partita IVA 03068171200 | Codice Fiscale/Numero iscrizione registro imprese di Roma 03068171200
CCIAA R.E.A. RM - 1367791 | Capitale sociale: €10.000 i.v.
Fino ad un po’ di tempo fa si protestava contro il capitalismo e le multinazionali, possibilmente incatenandosi sotto la sede di un’azienda incriminata. Oggi lo si può fare iscrivendosi ad un social network: Sixth Continent. Il Sesto Continente è quello proposto da Fabrizio Politi, l’ideatore del sito, che si basa su un sistema diverso di commercio. In base ad un algoritmo, il Mo.Mo.Sy. (Moderate Monetary System), si dividono le aziende mondiali in verdi e in rosse, in virtuose e in dannose, in realizzatrici di ricchezza e in produttrici di impoverimento. Calcolando il rapporto tra l’utile netto e il numero dei dipendenti si scopre quali aziende producono un profitto che è in equilibrio con gli utili dei propri dipendenti e del resto della comunità. Le aziende che, invece, sono in rosso (ad esempio Google, Amazon o Ikea), producono un profitto troppo maggiore che genera una concorrenza sleale: in sostanza molta ricchezza nelle mani di pochi, contro ricchezza equamente distribuita.
Entrando a far parte del Sesto Continente si può interagire con il nuovo modello economico a vari livelli. Lo scopo, in ogni caso, è quello di consumare, agevolando, però, i produttori che rispettano un tipo di economia virtuosa.
Si può interagire con il social network a diversi livelli.
1) Semplice cittadino: al momento dell’iscrizione a Sixth Continent si diventa cittadini e si ha accesso all’app gratuita, in versione web e mobile, Mo.Mo.Sy., che permette di vedere quali imprese e quali prodotti sono verdi e quali rossi. Ogni cittadino riceve, inoltre, un Reddito di Cittadinanza assegnato in maniera progressiva e in base alla Nazione di residenza: si tratta di un reddito che deriva dagli acquisti fatti da tutti i cittadini. Il 3% dei proventi di imprese e negozi che aderiscono al Sesto Continente vengono ridistribuiti secondo una serie di regole spiegate a fondo nel sito. Tale reddito, se utilizzato, rientra nella categoria fiscale della Provvigione Indiretta e può essere speso nei negozi affiliati, coprendo fino al 50% dei costi. Inoltre, se si invitano altri amici si ha la possibilità di aumentare il proprio credito.
2) Manager: si può diventare Marketing Manager di Sixth Content promuovendo l’iniziativa e affiliando negozi e imprese, ottenendo un guadagno per provvigione. Si può anche ricoprire il ruolo di Store Manager che, rispetto al Marketing Manager, ha la possibilità di formulare proposte sulla piattaforma e-commerce.
3) Aziende e Imprese: imprenditori e commercianti (che devono rientrare in area “verde” secondo l’algoritmo Mo.Mo.Sy.) possono decidere di aderire al modello economico del Sesto Continente, pagando al momento dell’affiliazione, in cambio di vantaggi quali l’attrazione di nuovi clienti, la possibilità di rendere competitivi i propri prezzi e di avviare anche un vendita e-commerce tramite la piattaforma.
Se il modello economico di Sixth Continent, magari ulteriormente affinato e implementato, dovesse prendere piede a livello globale, si tratterebbe davvero di una bella risposta, competitiva, alla voracità della multinazionali. In ogni caso è un buono strumento per fare acquisti in maniera più consapevole.
I meccanismi di Sixth Continent non sono immediati. Il social è abbastanza complesso e per sfruttarlo e capirlo al meglio bisogna esplorarlo, studiarlo e navigarci molto su.
In poco più di un mese il social ha totalizzato circa 10.000 cittadini e più di 110.000 like sulla pagina Facebook.
Imprenditori, commercianti, aziende, consumatori, appassionati di finanza ed economia, promotori dello sviluppo sostenibile, detrattori delle multinazionali, idealisti, sognatori.
C’è chi da bambino sogna di fare l’astronauta, il dottore, il calciatore, chi di ricevere una bici nuova, di andare alle giostre, di avere un cucciolo. Anche Miles ha un sogno, ha espresso un desiderio ben preciso: vuole essere Batman. Se tuo figlio è malato di leucemia dall’età di 20 mesi e adesso, dopo lotte, cure e sacrifici, sta per cominciare una vita normale, la frase “ogni tuo desiderio è un ordine” diventa realtà.
A realizzare il sogno del piccolo Miles ci ha pensato la fondazione no-profit Make-A-Wish, che ha come scopo proprio la concretizzazione dei desideri di tanti altri bambini che si trovano in situazioni particolari. Solo che la vicenda di Miles ha avuto una risonanza incredibile sui social, ha fatto il giro del mondo, e si appresta ad essere un evento davvero indimenticabile non solo per il piccolo Miles.
Oggi, 15 novembre, San Francisco si trasformerà in Gotham City, il mitico scenario delle avventure del supereroe alato. Il valoroso Batkid verrà convocato durante un notiziario tv dal Capo della Polizia in persona; poco dopo Batman in carne ed ossa andrà a prelevarlo a casa e sulla sua batmobile lo porterà con sé per vivere strabilianti avventure. Batkid salverà un donzella in pericolo, sventerà rapine e altre malefatte, e sfiderà uno dei più temibili nemici di Batman, Pinguino. La città lo ringrazierà radunata nella City Hall dove il Sindaco e il Capo della Polizia in persona gli consegneranno le chiavi della città.
Migliaia di persone si sono mobilitate per aiutare Batkid. È nato anche un progetto fotografico per supportare le sue mirabolanti gesta: con un cartellone in mano con su scritto “We love Batkid”, in costume da supereroe o in abiti civili, chiunque può fotografarsi per dimostrare di essere fan del coraggioso Miles.
In moltissimi parteciperanno attivamente anche all’evento, radunandosi a Union Square per chiedere a Batkid di salvare la mascotte di San Francisco dalle grinfie di Pinguino, e poi nella City Hall dove festeggeranno il piccolo supereroe.
Oggi la giornata di un bambino sarà costellata di sorrisi ed emozioni. Tanti altri piccoli soffrono ancora, da soli, ma la felicità di uno di loro basta già a illuminare un po’ di più la vita di tutti.
Per condividere o seguire l’evento, tenetevi aggiornati con l’hastag Twitter #SFBatKid
Lucrezia Borgia, Artemisia Gentileschi, Galileo, la principessa Sissi, Claretta Petacci e Mussolini, si possono incontrare tutti in questo sito che permette di vedere documentari di tipo storico. È un marchio di “La storia in rete”, una società di produzione indipendente che si occupa di storia attraverso diversi canali, web e cartacei. Il portale dà accesso a documentari di storia, letteratura e arte, a pagamento, visibili in streaming, attraverso il supporto della piattaforma vimeo.com.
Usufruire del portale è molto semplice. I documentari sono divisi per epoche storiche dal “Mondo antico” al “Novecento”, più altre tre sezioni dedicate alle biografie, alle figure femminili e ai grandi enigmi della storia. È possibile vederne un trailer e leggerne un breve riassunto, in modo da avere un’anteprima del prodotto prima di acquistarlo. Una volta scelto il documentario è necessario comprarlo appoggiandosi alla piattaforma Vimeo. Questa richiede una breve registrazione e il pagamento nella valuta americana, in dollari. Il costo del video, che si può visualizzare per un periodo di 48 ore, è di 4.99 dollari, ovvero 3.65 euro. È poi possibile commentare il documentario e condividerlo attraverso i social.
Costituisce un modo piacevole e divertente per istruirsi, per conoscere, per appassionarsi di storia. Come specificato dai creatori stessi dell’idea, può anche essere un innovativo strumento da usare a scuola per supportare l’apprendimento di bambini e ragazzi.
È ancora ristretta la scelta di documentari visualizzabili, soprattutto nella sezione “Mondo Antico” e “Novecento”. Rappresenta un limite anche la fruibilità del prodotto solo per tempo limitato. Magari si potrebbe pensare a due fasce di prezzo, a seconda che si voglia acquistare il video, o solo “affittarlo”. Per far saggiare la qualità del prodotto, si potrebbe anche prevedere qualche articolo gratuito.
Il materiale che costituisce il sito proviene dal catalogo della società, che si basa su lavori documentari prodotti in maniera autonoma e mandati in onda dai programmi di reti come La7, Rai, History Channel e Mediolanum Channel.
Amanti di storia, appassionati di documentari, insegnanti, studenti, semplici curiosi.
A quanto pare la diceria che dai momenti di crisi si viene fuori più forti, nuovi e positivamente resettati, non è finzione ma realtà. Il collasso economico che ha interessato l’Europa negli ultimi anni sta rivelando sorprese impensabili riguardo alle direzioni che l’economia e la società contemporanee stanno prendendo.
Abbiamo passato una fase di capitalismo sfrenato, di predominanza dell’egoismo e dell’individualismo, di chiusura verso il prossimo. Ancora adesso subiamo gli strascichi di questo stadio, che potrebbero sembrare acuiti dalla crescente predominanza della realtà virtuale sulle vite di ciascuno di noi. In realtà è proprio dal mondo della tecnologia e del virtuale che stanno nascendo i primi germogli di quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione sociale. Un nuovo cambio di rotta nel modo di vivere i rapporti individuali e comunitari.
Uno startupper bolognese, di origini fiorentine, Federico Bastiani, un bel giorno si è reso conto di ignorare l’identità dei suoi vicini di casa. Se un tempo il quartiere era la comunità per eccellenza, luogo di pettegolezzi e piccoli sgarbi, ma anche di condivisione e comunione, oggi, chiusi nei nostri piccoli o grandi appartamenti, viviamo giornate isolate, costellate da cenni del capo e freddi convenevoli. Bastiani ha pensato di voler modificare questo status di cose, quantomeno nel suo quartiere e, quasi per caso, ha dato il via al primo esempio di social street.
A settembre ha creato un gruppo chiuso su Facebook – strumento tra i più semplici e democratici, anche perché gratuito – per chiamare a raccolta gli abitanti della via Fondazza di Bologna. Ha stampato dei volantini per dare notizia della sua iniziativa e li ha distribuiti nei condomini del quartiere. In più di 300 hanno risposto, creando la prima comunità cittadina che nasce con l’intento precipuo di “scollare” dagli schermi di un pc le stesse persone con le quali condividiamo un pianerottolo e che non abbiamo mai conosciuto, per avviare forme di collaborazione, di sostegno, di aiuto reciproco, di scambio di idee, socialità e quando serve, anche di merci.
Non si tratta solo di un esperimento sociale, infatti, ma anche dell’incarnazione di un sistema economico che sta prendendo sempre più piede in diverse forme. Teorizzata qualche anno fa dalla studiosa Loretta Napoleoni, la pop economy sta diventando la risposta più concreta alle magagne della crisi, che fa un baffo alle spesso finte riforme dei politici. È l’economia del popolo, quella basata sullo scambio, sul baratto, sul dare e sul ricevere, gratis o in cambio di qualcos’altro. È l’evoluzione di eBay, che evita lo spreco, incentiva il riciclo e assicura il risparmio. Lo spiegano bene sul sito che è nato dall’esperienza di Bastiani, www.socialstreet.it: “Dovete cambiare il frigorifero? Perché metterlo su ebay, creare un annuncio, pagare una commissione, pagare un trasporto quando magari il vostro vicino di casa ne sta cercando proprio uno come il vostro?”. Lo stesso vale se non si vogliono buttare le uova prima di partire per le vacanze, se serve l’aiuto di una baby sitter, se si cerca un appassionato di cinema con cui condividere il proprio hobby, se si vuole trovare una comitiva di amichetti al proprio bambino, e così via. Dalla rete, da internet, dai social, si passa di nuovo alla realtà, alla strada, al quartiere.
Di esempi di pop economy ce ne sono molti altri: dal bike e car sharing, al cohousing, dal couchsurfing al baratto turistico in cambio di cultura, dalle comunità ormai diffusissime in tutta Italia “Te lo regalo se vieni a prenderlo”, fino agli swap parties nel quale scambiarsi vestiti e altri oggetti.
Di necessità si fa virtù e l’unione fa la forza, l’uomo ha una grande capacità di adattamento e si è stancato di vivere da solo. Non semplici luoghi comuni, ma un ritorno vero e istintivo al branco.
C’è voluta tutta l’estate per metabolizzare il Datagate e tutte le sue conseguenze. Nonostante le rivelazioni di Snowden sembrassero preoccupanti sin dall’inizio, l’effetto iniziale è stato di qualche timida interrogazione da parte di alcuni stati Europei, e il problema si è scaldato solo quando sono fuoriusciti i nomi dei Vip presi di mira dal sistema realizzato dall’Nsa.
Già, perché inizialmente il sempreverde leit motiv del terrorismo sembrava giustificare un programma così vasto e “invadente”, d’altronde perché preoccuparsi di un controllo a tappeto su migliaia di cittadini quando in gioco c’è la sicurezza nazionale? Ma se poi il controllo fuoriesce dalla mischia di quelle entità grigie e poco interessanti che popolano le nostre città, ecco che scatta lo scandalo internazionale.
Lo ha capito subito Obama che prima dell’estate ha ordinato l’interruzione immediata delle attività di monitoraggio sulla Merkel e su altri 34 leader mondiali, perché è facile spiegare il perché su Mario Rossi. Un po’ più complicato se si parla di politici o personaggi di spicco che, in teoria, non dovrebbero avere niente a che fare con terroristi o cospirazioni anti-Stati Uniti.
Quindi, mentre i giornali e il pubblico si confortano sul solito stereotipo del Grande Fratello (ricordate Echelon?), nessuno ci spiega cosa potevano trovare di interessante gli Stati Uniti su quei 35 leader mondiali e su svariate altre personalità chiave, soprattutto se ci continuano a propinare la favola del terrorismo.
Ma la domanda non può rimanere a lungo non risposta, soprattutto perché non è di Mario Rossi che stiamo parlando. Da una parte l’Nsa grida all’emergenza internazionale perché la rivelazione integrale del (costoso) sistema di protezione che è stato realizzato per proteggere l’intero pianeta, è un duro colpo al bene e un vantaggio notevole per i nemici. “Conosci il tuo nemico” diceva Sun Tzu e ora sono i nemici a conoscere meglio gli Stati Uniti.
Dall’altra parte c’è la vecchia Europa, da lungo tempo solidale con l’alleato oltreoceano, che si sente tradita da questa mancanza di fiducia. Certo potremmo discutere a lungo sul come mai un sistema di protezione così complesso abbia potuto essere installato senza che nessuno se ne accorgesse e, forse, arrivare alla conclusione di molti esperti che oggi sghignazzano perché tutto sa di scoperta dell’acqua calda.
E per ultimo arriva in soccorso il vecchio nemico di sempre, che proprio ad ottobre sale alla ribalta per aver regalato chiavette spia durante il G20 tenuto a San Pietroburgo. Un evento piuttosto insolito e rozzo che dovrebbe riportare parità sul male comune, garantendo per tutti un mezzo gaudio.
Cosa accadrà? L’ipotesi più probabile è che tra rassicurazioni e accordi di cui non avremo mai evidenza, alla fine concluderemo lo scandalo tra abbracci e ritrovata fiducia. Ma tutto dipende dalle parole che verranno usate, pesate e, soprattutto, concordate.
Andrea Pompili è un informatico ex coordinatore del “Tiger Team” di Telecom
Caso 1. Primo appuntamento. Stasera verrà a cena il presunto amore della vostra vita. Tutto è pronto, le candele sul tavolo, il servizio buono. Ma… avete dimenticato un piccolo particolare: sapete cucinare solo l’uovo sodo. Caso 2. Il vostro computer è impazzito, nonostante la vostra necessità impellente di inviare la più importante e-mail di lavoro della vostra carriera professionale. Caso 3. Il rubinetto del bagno si è rotto irrimediabilmente e voi non avete idea di come ripararlo prima che casa si allaghi.
Che si tratti di arte e musica, di informatica, di salute, di fitness, di didattica, lingue straniere o make-up, Google ha pensato ha un modo probabilmente innovativo per risolvere i vostri problemi. Helpouts è una piattaforma online che permette di mettervi in contatto video con una persona reale che, anche istantaneamente, vi spieghi come cucinare un manicaretto, come risolvere un problema informatico, come riparare un elettrodomestico e molto altro. È un’evoluzione del classico tutorial che vi assicura aiuto diretto e specifico in real time, con la formula del soddisfatti o rimborsati.
Helpouts è una creazione di Google e per accedervi è necessario avere un account Google +. Entrati sul sito, il motore di ricerca (ovviamente sempre collegato a Google) vi permette di indicare il problema che volete risolvere o il campo sul quale volete consulenza, assistenza, aiuto. Gli “Helpout providers” ai quali potete rivolgervi sono impiegati di grandi o piccole aziende, o privati, che sono stati selezionati appositamente da Google per offrire questo servizio. Possono essere contattati immediatamente, se disponibili, o per appuntamento. È possibile anche inserirsi in una lista d’attesa nel caso non si voglia perdere l’occasione di interagire con un determinato Helpout provider. Il servizio è a pagamento: le tariffe sono indicate dai providers stessi che possono decidere se farsi pagare al minuto, a “lezione”, o se far scegliere all’utente la modalità di pagamento che preferisce. Si può pagare solo tramite Google Wallet e il 20% del prezzo di vendita va a Google. L’incontro avviene via video e il cliente può stabilire se mostrarsi in telecamera o no. Alla fine dell’esperienza è richiesto un feedback perché è importantissimo garantire l’affidabilità del servizio ed evitare, in ogni caso, brutte sorprese. Helpouts garantisce, infatti, anche il servizio soddisfatti o rimborsati. Se non si è contenti della lezione video, si può richiedere un rimborso della quota versata. Il tutorial interattivo può anche essere registrato su Google Drive. Non manca ovviamente la parte social, dato che gli Helpout preferiti possono essere condivisi su Facebook, Twitter, Youtube e Google +.
È molto probabile che nel futuro sarà introdotta una connessione con alcuni dei tutorial reperibili su Youtube, rimandando direttamente da una piattaforma ad un’altra nel caso in cui si volesse un appuntamento privato e personalizzato col tutore prescelto.
I tutorial costituiscono una categoria video seguitissima e la possibilità di entrare in contatto diretto con una persona in carne e ossa con la quale interagire costituisce un evidente vantaggio. Un altro beneficio è anche la possibilità di avere disponibilità immediata di tutoraggio. Il nome Google, poi, aleggia a garante dell’affidabilità dei contenuti.
È quasi tutto a pagamento e i prezzi proposti non sono neanche dei più modici. Il fattore economico potrebbe far pendere l’ago della bilancia a favore dei tradizionali video tutorial, a volte incomprensibili, sì, ma gratuiti.
Helpouts è appena nato ed è al momento rivolto principalmente ad un pubblico anglofono.
Se l’Helpout provider richiesto ritarda più di 5 minuti sull’orario d’appuntamento, o dà la sua disponibilità per una certa ora in un certa data ma non si presenta, la sessione è gratuita. Efficienza è, infatti, la parola d’ordine alla base del servizio offerto. È quanto traspare chiaramente dalle parole del vicepresidente Google, Manber: “credo che la ragione per la quale internet è un mezzo così potente e di successo risiede nel garantire un livello completamente nuovo di efficienza e convenienza”.
I curiosi e coloro che vogliono apprendere sempre qualcosa di nuovo. A chi perde facilmente la pazienza e agli ansiosi. A chi crede che internet abbia la risposta a qualsiasi interrogativo. Ai socievoli e a coloro che preferiscono l’interazione, specialmente durante il processo di apprendimento.
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Una foto. Una storia. Un racconto di come eravamo, di cosa facevamo, delle persone che ci circondavano (canticchiatevi in testa una musica triste – e se non ve ne viene in mente nessuna, eccovela qua…). Parti di noi che compongono la nostra anima e…il nostro QR code.
Ebbene si, cari lettori, oggi vi parliamo di una tecnologia che dire creativa è dire poco.
Si chiama Rest in memory ed è un QR code da apporre su lapide, per una tomba all’ultimo grido e super geek.
Arrivo subito al dunque e vi spiego brevemente come funziona (anche se poi il video sotto sarà molto più esplicativo e divertente): si raccolgono le foto di momenti particolari, che vogliamo ricordare e traghettare con noi fino all’ultimo anelito, si mettono online in un apposito spazio dedicato e poi si aderisce al progetto. 60 euro e ti inviano una mattonella a casa, 130 per l’opzione famiglia.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=dWLVD0GpavM]
Poi si carica tutto dentro la mattonella e si va dritti al cimitero.
Ovviamente il servizio non è da considerarsi riservato solo a se stessi ma anche a terze persone per le quali possiamo raccogliere foto e documenti.
Dunque, io ora ve lo ho spiegato così, che sembrerà anche un po’ blasfemo e riduttivo, però credo davvero sia una trovata geniale.
Sul sito si parla di password, foto, link e documenti da condividere con persone e parenti lontani che possono essi stessi contribuire a riempire quello spazio virtuale di ricordi da far conoscere ai cari del defunto.
Cioè praticamente, è come se il defunto avesse in allegato alla bara di legno anche una sorta di bara dropbox virtuale.
Ti porti nella tomba pure tutto il digitale accumulato in una vita.
Dai, non mi sembra una cattiva idea.
E i ragazzi di Rest in memory,per me, sono stati davvero bravi, anche nella presentazione. Se vi sembra facile esporre un servizio del genere con questa leggerezza, provateci, davvero.
Quindi…visto che io so quando morirò perché lo avevo scoperto con questo articolo, ora non mi rimane che aggiungere gadget super geek alla mia lapide.
E ovviamente, caricherò anche questo articolo nella mattonella.
Se li volete seguire su Facebook, questa la loro pagina
Fino a qualche decennio fa fare la spesa online sembrava una follia. Oggi, invece, e-Bay potrebbe essere considerato un sito sorpassato. G21 offre una piattaforma commerciale innovativa che addirittura permette di guadagnare acquistando. Si tratta, in gergo tecnico, di una social commerce, di un misto tra un social network e un sito di shopping online. È una community vera e propria tramite la quale fare acquisti, condividere le proprie azioni commerciali o le offerte del sito e risparmiare.
La pagina di presentazione di G21 è molto esaustiva riguardo al modo di usufruire della piattaforma. Il primo passo è iscriversi, gratuitamente. Il secondo passo è cominciare ad acquistare. Ogni acquisto prevede un risparmio del 20% sul prezzo della merce. La quota risparmiata verrà registrata in GPoint. Ogni GPoint equivale a un euro e, arrivati a quota 50, potrà essere richiesta la conversione in cash. In ogni caso i GPoint possono essere sfruttati per altri acquisti all’interno del sito. Una volta effettuati i primi acquisti, questi si possono condividere con la community, invitando nuovi amici a entrare a far parte del progetto. Ogni spesa effettuata da amici vale il 10% del prezzo della merce da loro acquistata. Questo processo può espandersi fino alla creazione di una propria rete commerciale che permette di iniziare un’attività di vero e proprio social franchising.
L’accesso alla piattaforma è sempre gratuito, anche quando il proprio status all’interno della community è avanzato. Le offerte proposte provengono da collaborazioni con grandi partner nazionali e internazionali.
Si tratta di una piattaforma di recente creazione che necessita di essere implementata.
La propria avventura commerciale all’interno di G21 è una vera e propria scalata verso il successo, che porta l’acquirente dallo status di Guest a quello di Social Executive. Un meccanismo strategico e divertente che stimola la partecipazione al processo di acquisto, risparmio e guadagno.
Gli aspiranti imprenditori, gli shopaholic, gli amanti dei social network e degli acquisti online.
L’idea primigenia di Zuckeberg quando ha ideato Facebook era di creare un portale tramite il quale socializzare e fare rete. Oggi Facebook è diventato una realtà molto più articolata e complessa, e gli usi che se ne fanno si sono a dir poco moltiplicati. Facebook è diventato anche uno strumento per promuovere l’arte e la cultura, per curare la brand image di un’istituzione culturale o di un museo.
L’ha ben capito l’Essl Museum di Vienna, il museo a venti minuti dal centro della città, che raccoglie la collezione di arte contemporanea dell’austriaco Karlheinz Essl. Si tratta di un museo all’avanguardia, che basa la sua policy sul coinvolgimento diretto dei visitatori. Questi non sono semplici fruitori passivi delle opere esposte, ma sono protagonisti, soggetti direttamente coinvolti nelle attività del museo. Persino nelle sue scelte curatoriali.
La mostra LIKE IT!, inaugurata il 23 ottobre, nasce proprio seguendo i gusti degli utenti dell’Essl Museum che hanno scelto le opere da esporre tramite Facebook. L’esperienza social di LIKE IT! si è sviluppata in due fasi. Dal 30 settembre all’8 ottobre, i fan della pagina ufficiale dell’Essl Museum hanno avuto la possibilità di votare, attraverso un like, tra circa 120 opere, di varie tipologie – pitture, fotografie, video – tutte appartenenti ad artisti della collezione, nati a partire dal 1973. Le più votate sono andate a costituire la mostra allestita nella Great Hall del museo. Una volta scelte le opere era necessario dare inizio alla seconda fase del processo: a tutti gli “Amici” Facebook del Museo è stata data la possibilità di candidarsi come curatori della mostra. 5 elementi sono stati scelti per collaborare con Andreas Hoffer, critico professionista del museo. E così, dopo un workshop intensivo di due giorni, l’allestimento ha avuto inizio e i curatori in erba hanno potuto occuparsi anche dei testi di commento a corredo delle opere.
Un’opera fra tutte è stata scelta ad emblema della mostra, sia perché la più votata, sia perché effettivamente rappresentativa della natura della mostra: Estrella di Patrìcia Jagicza. Si tratta di un dipinto raffigurante una donna che si specchia in un bagno per uomini mentre si sta mascherando. È stata individuata come un simbolo del problema della privacy, del dilemma tra pubblico e privato di cui sono appunto espressione i nuovi mezzi di comunicazione digitale.
L’esperimento con la mostra LIKE IT! è continuato anche durante la Vienna Fair, tenutasi dal 10 al 13 ottobre. I visitatori della fiera sono stati chiamati a votare, stavolta, le 5 opere che costituiscono la parte speciale della mostra “Vienna Fair – The New Contemporary Special Selection”. Il parere degli utenti di Facebook, inoltre, è richiesto per tutto il corso della mostra – che si terrà fino al 6 gennaio – attraverso commenti e like che possono determinare cambiamenti nell’allestimento.
Andreas Hoffer stesso ha spiegato la necessità di portare avanti questo esperimento di curatela social partecipata: è inutile per un museo avere una pagina Facebook, un’identità sui social network, se questi devono essere usati passivamente. I social vanno considerati uno strumento professionale vero e proprio, indispensabile se sfruttato in tutte le sue potenzialità.
Ed effettivamente un prima esperienza del genere l’Essl Museum l’aveva già sperimentata con il progetto “Festival of Animals”. In quel caso erano quattro gruppi a scegliere le opere, a contribuire al catalogo della mostra e a interagire direttamente con gli artisti: i bambini di due scuole, un gruppo di donne della Caritas e i fan Facebook del museo.
Sempre Andreas Hoffer ci ha tenuto a precisare, però, che quello di LIKE IT! sarà un evento “one shot”: è assolutamente vietato ripetersi nel mondo dei social e le domande da porre al pubblico devono variare di continuo. Il caso di questo museo di Vienna va sicuramente tenuto in conto come esempio intelligente di uso dei social media, un modo interattivo e dinamico per coinvolgere pubblici sempre più vasti, soprattutto giovani, all’interno di strutture e processi che spesso sono percepiti troppo settoriali o elitari. Uno sguardo fresco e nuovo sulle cose, specialmente nel mondo dell’arte e della creatività, non fa mai male.
Grazie al web, moltissime sono le iniziative che permettono a lettori, scrittori, appassionati di arte cultura e letteratura di tutto il mondo di incontrarsi e conoscersi; ora anche i Comuni fanno Reti per dare vita a idee e percorsi creativi volti a valorizzare il loro territorio e i loro illustri antenati.
A Certaldo, piccolo ameno paesino della provincia di Firenze in Toscana, lunedì 21 ottobre è stata presentata in maniera solenne l’iniziativa del “Progetto Europeo Città dei Grandi Letterati”.
Alle ore 9.30, nel Palazzo Pretori a Certaldo Alto, si è illustrato il progetto che coinvolge diverse città gemellate, accomunate dalla prestigiosa peculiarità di aver dato i natali a grandi insigni letterati: Certaldo stesso patria di Giovanni Boccaccio; Canterbury (UK) di Geoffrey Chaucer, autore dello storico ‘Canterbury Tales’; Chinon, piccola cittadella sulla Loira, culla dell’umanista Francois Rabelais, celebre per Pantagruel e Gargantua; Neuruppin, in Germania, casa natale di Theodore Fontane, di cui tutti conosciamo la raccolta di favole.
Situato al centro della Valdelsa, Certaldo con i suoi 15.791 abitanti si è sbizzarrito per valorizzare il proprio territorio stringendo ormai da 50 anni forti legami di amicizia e di scambio con diversi comuni gemellati, dall’Europa al Giappone. Quest’anno, per festeggiare in modo speciale i 700 anni dalla nascita di Giovanni Boccaccio, il calendario di iniziative si è presentato assai ricco e ben organizzato.
Tantissimi eventi si sono susseguiti fin dall’inizio di quest’estate, come istallazioni, mostre itineranti, letture spettacolo, convegni e concerti che hanno coinvolto molte personalità ed artisti di rilievo; oltre a festival, seminari, iniziative, premi e concorsi che hanno contribuito ad avvicinare il giovane pubblico.
Numerosi turisti locali e stranieri hanno avuto occasione di partecipare agli ‘Itinerari culturali’ ideati per valorizzare il paesaggio storico, letterario e artistico di circa trenta Comuni toscani di tutte le province, attraverso i luoghi del Decameron: quattro percorsi nella Toscana del Trecento, passando per piccoli paesi, città importanti, colline, fiumi, boschi e montagne, guidati dalle novelle di Boccaccio.
Proprio in questi ultimi giorni, da venerdì 18 ottobre a martedì 22, nel centro storico si sono festeggiati i tradizionali gemellaggi con degustazioni di prodotti tipici tedeschi e menù cucinati dall’Accademia dei Cuochi di Neuruppin (Germania), l’apertura della mostra omaggio degli artisti stranieri a Giovanni Boccaccio con opere di pittura, grafica, scultura e si è concluso martedì con l’inaugurazione degli alberi dedicati a Kanramachi, paese gemellato del Giappone.
Con il “Progetto europeo Città dei grandi letterati”, questa rete di entusiasti Comuni propositivi si vuole impegnare ad unire forze ed idee creative per studiare possibili itinerari turistici al fine di valorizzare le opere dei loro illustri letterati attraverso percorsi, mostre, spettacoli e altre iniziative da pensare insieme.
Ed è il Web lo strumento fondamentale per la gestione e realizzazione di queste reti, grazie al quale è possibile stringere contatti e creare iniziative che coinvolgono diversi angoli del globo; rimane il problema della modalità di utilizzo dei network, in modo che siano capaci di garantire sempre qualità ed efficienza anche e soprattutto dal punto di vista culturale.
Nel grande mare magnum del web infatti sono centinaia le riviste culturali on-line, community e blog ma è di certo ben più raro incontrare piattaforme qualificate, dove celebri scrittori si aprono al grande pubblico per consigliare, invitare alla lettura e a un confronto critico, come è il caso di ClubDante, primo social network italiano dedicato alla cultura narrativa, strutturato in diverse sezioni tra cui l’Agorà, ossia l’area del forum, e l’angolo delle recensioni che ospitano nomi di scrittori importanti dall’Italia, la Spagna e paesi dell’America Latina quali Marcello Fois, Domenico Starnone, Roberto Saviano, Carlo Lucarelli, Paolo Giordano, Luis Sepùlveda, Paco Ignacio Taibo II e molti altri. O anche HALMA, rete letteraria pan-europea fondata nel 2006 dall’associazione Literary Colloquium Berlin che coinvolge una fitta rete di scrittori, traduttori ed editori perlopiù provenienti dall’est Europa, ma da poco conosciuta anche in Italia.
Nonostante la cosiddetta crisi, a livello locale sono per fortuna ancora tante le iniziative organizzate per conoscere e scambiarsi idee e progetti per valorizzare il proprio patrimonio storico-artistico-culturale, oltre che incentivare la scoperta e la creatività delle nuove generazioni.
È importante però che non solo dal mondo di privati e associazioni ma anche da parte dei Comuni si stiano investendo molte risorse per organizzare tanti piccoli eventi culturali, di cui le “Notti della letteratura europea” e il “Festival dei blog letterari” sono esempi importanti di scelte che appaiono controcorrente rispetto al patetico adagio che si ostina a sostiene che con la cultura non si mangia.
Mettendosi insieme si può mangiare, e bene, come sembrano dimostrarci le numerose iniziative promosse dall’Associazioni e Reti di Comuni in Italia, dove Comuni uniti da identità culturali, sapori tipici, bellezze naturali, arte, storia, tradizioni o ideali, anche attraverso il web, fanno Rete per valorizzare e incentivare le proprie bellezze e potenzialità.
La storia dell’arte rischia di essere ridotta o addirittura eliminata dai programmi di formazione scolastica. La petizione per contrastare la decisione presa dal Governo con la Riforma Gelmini del 2010 raccoglie, specialmente negli ultimi giorni, sempre più firme, sempre più adesioni.
Anche Stefano Guerrera, giovane informatico pugliese di 25 anni, si è interessato al problema e ha pensato di risolverlo a modo suo. È nata così la pagina Facebook “Se i quadri potessero parlare” che, messa online solo il 18 ottobre, oggi conta già circa 180mila like. L’idea balenata in mente a Stefano è stata molto semplice, ma decisamente vincente: le opere d’arte più famose di artisti come Leonardo, Botticelli, Caravaggio, vengono corredate da una frase comica che ne stravolge totalmente il senso agli occhi dello spettatore. Il linguaggio usato è il dialetto romano che inevitabilmente fa ridere, come spiega lo stesso Stefano che da sei anni vive a Roma.
Il risultato ottenuto con questo esperimento è davvero esilarante e, effettivamente, conferma un’esigenza che si è venuta palesando altre volte negli ultimi anni: quella di rendere l’arte una materia comprensibile a tutti, un campo che deve vantare i suoi specialistici e i suoi studiosi, i suoi critici e i suoi esperti, ma che può anche rivolgersi ad un pubblico vasto e variegato.
Il blog “L’arte spiegata ai truzzi” di Paola Guagliumi, ad esempio, ha iniziato già un anno fa ad affrontare la questione, presentando spiegazioni in romanaccio dei più grandi capolavori dell’arte moderna e contemporanea. Anche in questo caso il risultato è divertentissimo, e al contempo anche abbastanza istruttivo. La Guagliumi è una studiosa di storia dell’arte e una guida turistica e le opere che presenta sono trattate attraverso un lato didattico serio, che si nasconde dietro alla forma faceta.
È del 2008 un altro tentativo di desacralizzare la storia dell’arte e di renderla familiare agli occhi dei più: “Understanding art for geeks”, un blog in cui ancora una volta quadri famosi vengono parodiati in versione “geek”, modificati appositamente per gli amanti di internet e della tecnologia.
Un esempio cartaceo che sperimenta un modo non convenzionale di spiegare la storia dell’arte è rappresentato, poi, dal volume di Mauro Covacich del 2011, “L’arte contemporanea spiegata a tuo marito”, un testo ironico, ma molto completo per approcciarsi all’arte contemporanea senza i pregiudizi che portano a non considerarla espressione artistica vera e propria, o comunque non al livello dei grandi maestri del passato, per perizia tecnica e comunicazione estetica.
Tornando al fenomeno degli ultimi giorni, “Se i quadri potessero parlare”, si tratta ovviamente di un gioco. Eppure, potrebbe rivelarsi non fine a stesso. Di sicuro serve ad avvicinare tutti, soprattutto i più giovani, ad un mondo dal quale spesso si sentono distanti, anche solo reintroducendo nella loro iconosfera rappresentazioni che al giorno d’oggi sono sempre più escluse dall’immaginario collettivo, perché sostituite da cartelloni pubblicitari, divi del cinema, o appunto, espressioni visive appartenenti al mondo web.
È tutto un susseguirsi di “pare che” e “sembrerebbe”. La notizia della nascita di un nuovo portale di informazione basato sul giornalismo investigativo è ancora fumosa e avvolta nel mistero.
È solo di ieri, d’altra parte, la conferma ufficiale che due personaggi molto in vista del mondo del business e dell’informazione statunitense hanno deciso di unirsi per dare vita ad uno strumento potenzialmente pericoloso, di sicuro molto intrigante, che potrebbe costituire una svolta epocale nel modo di fare giornalismo. Eppure, qualche “soffiata” di approfondimento in materia è possibile riuscire a reperirla per saziare i primi morsi della curiosità, o alimentarli con interrogativi che si spera abbiano presto risposta. Vediamo insieme chi sono i protagonisti di questa avventura giornalistica e cosa hanno in mente di fare:
PIERRE OMIDYAR: imprenditore e filantropo americano di origini iraniano-francesi, è meglio conosciuto come il fondatore di eBay, grazie al quale è diventato milionario all’età di trent’anni. Di recente, si è dedicato al giornalismo investigativo e alla comunicazione fondando il giornale hawaiano, Honolulu Civil Beat. Quest’estate ha provato ad acquistare il Washington Post, ma poi ha lasciato l’onore e l’onere a Jeff Bezos, il creatore di Amazon. L’esperienza lo ha, però, stimolato e un’idea è balenata alla sua mente di benefattore milionario: investire in un canale di informazione totalmente nuovo, rivoluzionario, famoso prima ancora di nascere.
GLENN GREENWALD: giornalista, blogger, avvocato è – anzi era – una delle penne più chiacchierate del The Guardian. Il suo nome è stato illuminato dalle luci della ribalta nel momento in cui è scoppiato lo scottante Datagate. Si tratta di uno degli scandali più spinosi che hanno riguardato la NSA statunitense, opera di Edward Snowden. Questo giovane informatico, impiegato della CIA, nel maggio del 2013 ha rilasciato alla stampa britannica materiale top secret riguardante i programmi di sorveglianza di massa dei governi europei e americani. Snowden ha dichiarato di aver compiuto questo gesto perché non vuole vivere in un mondo in cui la privacy e la libertà dei cittadini sono seriamente compromesse e violate da quegli stessi governi che dovrebbero proteggerle. Le rivelazioni di Snowden sono passate attraverso gli articoli di Greenwald, che possiede ancora materiale inedito a riguardo.
Greenwald ha dichiarato ufficialmente di lasciare The Guardian per abbracciare il progetto di Omidyar. D’altra parte egli stesso, insieme alla collega documentarista Laura Poitras e all’esperto di sicurezza nazionale del The Nation, Jeremy Scahill, aveva maturato l’intenzione di creare uno spazio online dedicato al giornalismo indipendente.
IL NUOVO CANALE DI INFORMAZIONE: da quanto trapelato dalle prime informazioni, si tratterà di un canale interamente online che unirà i più dotati giornalisti indipendenti. Non avrà una linea politica, ma il suo scopo sarà far trapelare la verità. Una parola difficile e spesso spaventosa che, però, Gleenwald e Omidyar non hanno paura di associare al loro progetto. Il fondatore di eBay investirà inizialmente un budget di 250 milioni di dollari (l’offerta che aveva avanzato per acquistare il Washington Post). Per scrivere per il nuovo potente colosso investigativo è necessario essere giornalisti indipendenti, dalle forti opinioni, esperti nel proprio campo e con un buon seguito di lettori. Il punto di forza che sbaraglierà la concorrenza starà nel combinare il giornalismo tradizionale con le nuove frontiere del blogging e con le potenzialità infinite del mondo digitale. Tre ingredienti ne faranno uno strumento potente: validi editori e “investigatori”, il supporto tecnologico, un ottimo ufficio legale. Sebbene, infatti, il nuovo portale si occuperà di tutto – sport, economia, intrattenimento, nuove tecnologie – il suo “core business” sarà il giornalismo investigativo e non si esclude che il resto delle informazioni concesse da Snowden non possa costituire il primo tassello di questo nuovo canale di informazione. Tutto ciò non lo renderà uno strumento di nicchia, anzi, il proposito dei suoi ideatori è proprio quello di iniziare un tipo di giornalismo personalizzato, ispirato alle aziende della Silicon Valley che puntano e investono sullo studio dei gusti e delle esigenze dei consumatori e soprattutto sul loro engagement.
I dettagli sul progetto si interrompono più o meno qui, nello stesso punto in cui comincia la sfilza di interrogativi sul suo senso ultimo. I contorni per definire i “buoni” e i “cattivi” sono ancora troppo sfumati e non ci resta che stare a vedere.
Se fino a poco tempo fa il mercato dell’arte era una prerogativa esclusiva degli intenditori più raffinati, delle famiglie facoltose, dei collezionisti di generazione in generazione, ultimamente sembra che si stia aprendo sempre di più ad un pubblico maggiormente diversificato. Dopo le fiere d’arte che propongono creazioni accessibili, o le aste per tutti i portafogli, è arrivato anche Artuner, il portale dov’è possibile comprare opere d’arte online, a prezzi speciali, in una sorta di asta web rivolta anche ai meno esperti. Lo scopo è quello di incrementare la conoscenza e l’apprezzamento dell’arte contemporanea internazionale, e allo stesso tempo, di stimolare la nascita di una nuova generazione di collezionisti, giovani e appassionati.
Artuner è una vera e propria galleria online che, per periodi limitati, espone le opere d’arte che mette in vendita ad un prezzo conveniente, ridotto. L’esposizione è tematica e scelta dai curatori e dagli esperti stessi del sito ed è chiamata “curation”. Come specificato dal creatore del sito, Eugenio Re Rebaudengo, in un primo momento i lotti proposti saranno principalmente di fotografia. I prezzi partono dalle 2,000 sterline. Per acquistare bisogna registrarsi online, ma prima di compiere il passo decisivo del pagamento, si può usufruire del consiglio degli advisors messi a disposizione dal portale, contattabili tramite email o Skype. Il sito offre, poi, per ogni artista e opera messa in vendita, informazioni bibliografiche di approfondimento, come in ogni catalogo d’asta che si rispetti. Una volta terminato il periodo della “curation”, è possibile trovare le precedenti esposizioni allestite su Artuner cliccando su “All Art”. Delle sezioni specifiche, contenenti articoli e testimonianze, aiutano infine l’utente a muoversi nel mondo del mercato dell’arte e della tutela delle opere.
La grafica è elegante e curata, il sito è di facile navigazione e comprensione. Al di là della possibilità di acquistare realmente un’opera d’arte, la piattaforma potrebbe rivelarsi un mezzo utile per affacciarsi sul mondo del collezionismo, uno strumento didattico per aggiornarsi sulle tendenze dell’arte contemporanea.
Artuner è stato messo online di recente, quindi al momento contiene esposizioni di un solo artista, il fotografo Luigi Ghirri. Nonostante ci sia la possibilità di vedere il quadro posizionato all’interno di una stanza, o dotato di cornice, il fatto di non poter analizzare l’opera da acquistare dal vivo sicuramente costituisce un limite.
Il portale è stato creato da Eugenio Re Rebaudengo, giovane collezionista, esperto d’arte anche grazie all’esperienza nella Fondazione di famiglia, la Sandretto Re Rebaudengo. Gli altri membri del team, Nicolas Epstein e Muna Rabieh, anche loro giovanissimi, hanno una formazione internazionale.
I collezionisti in erba, gli appassionati di storia dell’arte, mercato dell’arte, economia della cultura.
A volte il passato può essere imbarazzante e creare ripercussioni nel presente. Nell’era dei social network, anche più del solito. Dal 2015, però, i minorenni californiani potranno cancellare foto, dati e informazioni ‘scomode’ facilmente. Come riportato da numerosi media in questi giorni è stata infatti approvata la cosiddetta ‘Eraser law’, la ‘Legge-gomma’, che permette di cancellare il passato digitale dei californiani under 18. La nuova normativa, più in dettaglio, riconosce ai minori di 18 anni il diritto di “ritirare o richiedere la rimozione di contenuti o informazioni scaricate da un sito web o applicazione”: una facoltà rilevante per eliminare dal web eventuali errori di gioventù, quelli che poi magari possono rovinare curricula da sogno e colloqui di lavoro solo per aver postato anni prima la foto della notte brava con gli amici.
La legge è stata emanata dal governatore della California Jerry Brown e entrerà in vigore il primo gennaio 2015, cioè il tempo necessario per consentire ai siti internet interessati di adeguarsi alla nuova normativa. Anche se Twitter e Facebook offrono già questa funzione sui loro siti web. “Gli errori di gioventù ti seguono per tutta la vita e le loro impronte digitali arrivano ovunque si va”, ha spiegato James Steyer , fondatore dell’associazione ‘Common Sense’. Ma i detrattori della legge protestano: “Oltre alla necessità di conoscere l’età degli utenti, i siti avranno bisogno di sapere se vivono o no in California”, sottolinea Stephen Balkam, presidente della ‘Online Family Safety Institute’.
La legge ha riacceso il dibattito circa una delle tematiche più delicate dei nostri tempi segnati dalla comunicazione globale: quella del rapporto tra il cosiddetto diritto all’oblio sulle reti di comunicazione elettronica e la libertà di informazione (sub specie informare ed essere informati). Il diritto all’oblio – soprattutto on line – è un fondamentale baluardo per la protezione della nostra identità persona-le (soprattutto digitale): è il diritto ad essere dimenticati non tanto per una quasi capricciosa volontà di impedire che si parli di noi, ma per evitare che informazioni risalenti, dati personali non aggiornati, fatti che appartengono al passato remoto (tutti facilmente reperibili sul web) determinino complessivamente un profilo della persona – attuale – non corrispondente alla reale identità e modo di essere dell’interessato. Se si pone difatti mente alle efficaci tecnologie e software di incrocio in tempo reale di una mole anche enorme di informazioni tratte dal web, si può intuire come sia reale il rischio di creare identità digitali delle persone con procedure di incrocio selettivo (ad esempio è in voga negli USA l’analisi delle pagine Facebook prima di svolgere colloqui di lavoro con gli interessati) che rivelano gli aspetti anche più intimi della persona, con il rischio di creare un profilo errato e inattuale. E’ una nuova tipologia di danno alla persona ed alla sua identità digitale (che ormai precede l’identità fisica reale nel mondo in cui viviamo).
E allora il diritto all’oblio è uno dei fondamentali diritti della Società dell’Informazione Globale del XXI secolo: è giuridicamente il diritto degli utenti – riconosciuto nel nostro Codice della privacy e rafforzato dal nuovo Regolamento UE sulla protezione dei dati personali che si applicherà dal 2016 – di richiedere ed ottenere (anche dai providers) che i propri dati personali siano cancellati e non siano più oggetto di trattamento laddove non più necessari in relazione alle finalità per cui erano stati raccolti. Il Regolamento UE sulla protezione dei dati personali in corso di approvazione stabilisce inoltre sul tema che spetterà ai social network l’onere di provare (e non all’utente dimostrare il contrario) che la conservazione di una certa informazione è necessaria (sono previste sanzioni economiche da 500 mila Euro all’1% del fatturato globale in caso di inottemperanza).
Come ha evidenziato Stefano Rodotà, che da tempo sottolinea l’importanza del diritto ad essere dimenticati, l’affermazione dell’oblio come diritto della persona è un elemento importante per quella che la nostra Costituzione definisce libera costruzione della personalità: essere prigionieri di informazioni del passato, magari secondarie può essere un ostacolo alla libertà. Ma lo stesso Rodotà ha anche segnalato i problemi applicativi di non facile soluzione pratica: in primo luogo bisogna garantire che questo diritto non diventi uno strumento di censura (si pensi all’oblio in rapporto ai blog o all’informazione giornalistica on line, vero nervo scoperto del rapporto tra due libertà ugualmente fondamentali, la libertà di informazione e la libertà di controllo sulle proprie informazioni); in secondo luogo c’è la difficoltà dell’applicazione pratica: una volta una volta che un’informazione entra in rete diventa difficile seguire il suo percorso. Vi è infine, solo per citare un ulteriore dei molti aspetti del dibattito, l’interesse dei grandi player dei mercati elettronici alle informazioni (ed ai profili) degli utenti: e se è vero – come ha affermato il Commissario UE Viviane Reding – che “i dati personali sono la valuta del mercato digitale”, ci si dovrà attendere una neanche tanto nascosta opposizione quando l’utente chiederà la cancellazione dei propri dati come forma di esercizio diretto dell’oblio (ora è possibile solo una diversa forma di opposizione al trattamento).
In conclusione, per tornare alla legge-gomma californiana, verrebbe da chiedere al Governatore della California se i delicatissimi profili sopra appena evidenziati possano essere gestiti consapevolmente da minori e se forse – sapendo che gli “errori di gioventù” si potranno ora cancellare facilmente – la Eraser-law non rischi di diventare una legge-incentivo alle sciocchezze on line.
Alessandro del Ninno è avvocato presso la Tonucci &Partners e professore universitario
In principio era “Life in a day”. Un progetto monumentale, portato avanti da Youtube, prodotto da Ridley Scott e girato da Kevin Macdonald, premio Oscar per il miglior documentario nel 2010. Nell’arco di 24 ore, dalle 00:11 alle 23.59 del 24 luglio 2010, tutto il mondo è stato chiamato a filmare una porzione della propria vita. Le indicazioni date agli utenti dal regista erano semplici. Chiedeva di dare una sorta di uniformità al progetto cercando di filmare dei momenti che rispondessero principalmente a tre domande: qual è la vostra paura più grande di oggi? Che cosa amate? Che cosa vi fa ridere?
Il risultato sono stati 4500 ore di riprese, provenienti da 180 nazioni, che la bravura del regista è riuscito a condensare in un lungometraggio di circa 95 minuti, tuttora visibile sul canale Youtube del progetto, e la vittoria di alcuni premi cinematografici internazionali quali il Sundance Film Festival, il Krakow Film Festival e il Cinematic Vision Award di Discovery Channel, oltre che la presentazione al Festival Internazionale del Cinema di Berlino.
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Se vi capita spesso di girare per negozi e di essere stufi delle solite marche e dei soliti prodotti, se cominciate a sudare freddo ogni volta che è il compleanno di qualcuno a voi caro perché incapaci di trovare un regalo originale, bene, allora dovreste dare un’occhiata a Buru Buru. Si tratta di uno store online dedicato esclusivamente all’artigianato contemporaneo. Si possono vendere o acquistare prodotti fatti a mano, di alta qualità, ma con un brand moderno, fresco e divertente… Persino a costi abbastanza contenuti!
È anche una community di crafter che ricerca e seleziona artigiani e creativi che necessitano di assistenza e supporto per far decollare la propria produzione, il proprio “piccolo brand”. Le parole chiave di Buru Buru sono sostenibilità, creatività, valore.
Buru Buru funziona un po’ come Ebay, nel senso che è possibile sia vendere dei prodotti, sia comprarli. Solo che il mercato di Ebay prevede merci di tutti i tipi e qualità. Per vendere su Buru Buru, invece, bisogna “candidarsi”, cioè sottoporre le proprie creazioni al giudizio dello store che valuta la compatibilità con la linea e il gusto adottati dal resto degli articoli.
Per acquistare basta solo registrarsi, scegliere tra abbigliamento, accessori, gioielli, cartolerie, prodotti per bambini, green, poster, ovviamente pagare e aspettare l’arrivo dell’agognato pacco a casa. È possibile anche personalizzare i propri acquisti, scegliendo l’illustrazione da abbinare all’accessorio o alla t-shirt preferiti. C’è anche una sezione “Offerte” per scoprire i prodotti scontati del momento. Per le fashion blogger sulla cresta dell’onda è, poi, possibile diventare “Ambasciatrici” Buru Buru e portare alto il vessillo della cultura artigianale indipendente.
Infine, è possibile navigare sulla sezione “Magazine” dello store, il blog di Buru Buru che contiene news, articoli, interviste sul mondo del design, della grafica, della moda.
Il sito ha una grafica adorabile, semplice e divertente. Muoversi all’interno della pagina web, alla ricerca del prodotto giusto, è facile e veloce.
Il tipo di merce messa in vendita potrebbe essere gradito maggiormente da chi ha un determinato tipo di stile, “alternativo”.
Il nome, “Buru Buru”, si ispira al linguaggio dei bambini che, pur farfugliando, riescono a fare capire cosa vogliono, soprattutto quando qualcosa li cattura, li attrae, li stupisce. Buru Buru quindi è volontà, entusiasmo, stupore.
I/le fashion victim, i/le fashion blogger, i designer, i creativi, gli artigiani 2.0, gli imprenditori fantasiosi, tutti coloro che hanno letto e amato “I love shopping”.
Vi piacerebbe girare uno spot pubblicitario sulle vostre passioni?
Non affannatevi, la cinepresa è già all’opera da tempo! Il marketing comportamentale è questo: non uno scherzo, ma una call to action in piena regola che entra nelle nostre “case” virtuali, a volte, senza neanche bussare. Una sorte di grande fratello in rete in perenne modalità “on” che traccia la nostra navigazione in internet e ci regala quei consigli per gli acquisti che desideriamo, senza neanche saperlo.
Sulla scia del gettonato “like” di Facebook, il viaggio dei nostri interessi online è, difatti, iniziato da anni. Preziose informazioni sui nostri profili sociali vengono raccolte, catalogate e archiviate proprio come si fa nei musei; ma non basta, qualcosa è cambiato nel panorama pubblicitario odierno. Se ieri si parlava di broadcasting e di induzione applicata agli spot online, oggi le parole d’ordine sono narrowing e deduzione storica, o meglio, si assiste al passaggio da una targhettizzazione su larga scala a una segmentazione sempre più inversa e oculata che mira a monte, o meglio, all’analisi dei nostri comportamenti d’acquisto più specifici.
In altre parole, i sistemi informatici non tracciano più solo ed esclusivamente i nostri interessi ma misurano le nostre passioni. La linea di demarcazione è sottile, ma il raggio d’azione è illimitato quanto strategico è l’utilizzo sempre più frequente dei dati filtrati dalla nostra abituale navigazione in rete. Così anche in tempi di crisi, la macchina della pubblicità guadagna terreno sulle nostre stesse azioni, anticipando bisogni a noi sconosciuti, ma studiati grazie all’effetto del data mining prodotto per lo più dai cookie applicati al browser, che scavano in profondità nei nostri comportamenti online generando e registrando una vera e propria mappatura del singolo target di riferimento. Quindi, non si parla più di patrimonio di informazioni, ma di un vero e proprio bagaglio di dati che viaggiano con la stessa cifra evolutiva degli strumenti sempre più in voga di search advertising e web analysis: in trasformazione come la realtà!
Ma quali sono i rischi reali per il consumatore?
Ritrovarsi bersagli di un viaggio contromano dove si diventa registi e attori invisibili del proprio spot preferito interpellando se stessi in un curioso “sguardo in macchina” che desterebbe l’attenzione anche dell’artista più avvezzo Vito Acconci.
Del resto, il passaggio da consumatore a “consumattore” è breve quanto il salto alla profilazione di utente di un servizio. Se da un lato il marketing comportamentale colpisce dritto al cuore della nostra privacy, dall’altro ci offre senza dubbio la possibilità di pensare e scegliere con maggiore facilità e senza messaggi invasivi i nostri acquisti grazie all’interpretazione capillare dei nostri comportamenti “sedimentati”.
In Usa, dove il behavioural marketing è molto più diffuso, si registra non tanto il divieto di questo modello strategico quanto la maggiore informazione degli utenti e la conseguente regolamentazione della pratica di accettazione di termini e condizioni di utilizzo di servizi web anche attraverso l’estensione della definizione di “informazione sensibile”.
In Italia, cresce la credibilità del web così come il mercato dell’online advertising ma ciò che avanza è proprio il mercato delle analisi. È, infatti, tutta italiana la start up Aida Monitoring che rende “umana” la business intelligence attraverso l’analisi del giusto mix di comportamenti e identità online degli utenti. Nata nel 2013, realizza dashboard personalizzate di monitoraggio in tempo reale delle conversazioni che si sviluppano sui Social e sul Web intorno a persone o a temi specifici e, integrandole con i dati relativi alle performance dei clienti online, offre alle aziende modelli interpretativi traducibili in azioni concrete.
E allora, ciak, si gira…che lo spot abbia inizio!
È un canale Youtube, una app su Spotify e anche un blog. Official Comedy è il nome giusto da digitare se si vuole ridere, sorridere, ritrovare il buonumore gustandosi gli sketch dei migliori attori comici del panorama americano e internazionale. Dietro Official Comedy si “nasconde” Bedrocket, l’azienda americana di media e comunicazione che si occupa di intrattenimento e video story telling.
Iscrivendosi al canale Youtube o scaricando l’app su Spotify – gratuitamente – si ha accesso al database della Bedrocket che offre a disposizione un ricco programma di interpretazioni comiche, da quelle storiche risalenti a Bill Cosby e ai Monty Python, alle più recenti tratte da sit-com di ultima tendenza, o a debuttanti nel panorama comico internazionale. Le sezioni messe a disposizione degli utenti sono, infatti, Funny Now, Comedians, One-Liners e Playlists.
Avere un canale a tema comicità, i cui contenuti sono stati selezionati da un referente autorevole in materia, come Bedrocket, è sicuramente un bel punto di forza.
Gli utenti italiani potrebbero essere indispettiti dalla esclusività della lingua inglese all’interno del canale. Ma si potrebbe anche trattare di un buon pretesto per fare un po’ di listening di lingua inglese divertendosi, nell’attesa che sia disponibile un canale simile in versione italiana.
Lo slogan di Official Comedy volendo si può riadattare alla vita di tutti i giorni: “Watch. Laugh. Repeat”.
Chi è appassionato di cinema, serie televisive, comicità; a chi ama ridere e concedersi qualche minuto al giorno di buonumore.
http://open.spotify.com/app/officialcomedy
http://www.youtube.com/user/OfficialComedy
http://officialcomedy.tumblr.com/
Facebook si sta preparando a una nuova battaglia per la gestione dei dati personali dei suoi utenti con le sei principali organizzazioni americane che difendono la privacy. I legali delle associazioni hanno infatti inviato una lettera alla Federal Trade Commission (Ftc), l’ente governativo per la protezione dei consumatori, e ai politici degli Stati Uniti sostenendo che i recenti cambiamenti fatti dal colosso dei social network violano i termini di un accordo del 2012 siglato da Facebook con la stessa Ftc.
In pratica Facebook, nel nuovo accordo che fa firmare ai suoi utenti, sostiene di avere il diritto di usare le informazioni dei profili e le immagini dei suoi iscritti per fare campagne pubblicitarie agli amici senza chiedere alcun consenso e senza dare alcun compenso agli interessati. Secondo le associazioni invece l’accordo stipulato con la Ftc un anno fa prevede che Facebook non possa condividere informazioni dei suoi utenti senza chiedere ogni volta il permesso in modo esplicito e senza pagare per l’uso dei dati. Presupposti che, nelle nuove regole che entreranno in vigore nei prossimi giorni, sono del tutto assenti.
Le associazioni hanno espresso indignazione anche per un cambiamento apportato alle politiche sulla privacy per i minori di 18 anni. Dando il loro consenso alle nuove regole, infatti, i giovani user dichiarano che anche i loro genitori sono concordi con quanto firmato.
La nuova polemica che si è innescata sull’utilizzo dei dati personali e sulle privacy policies di Facebook (soggette a cambiamenti e integrazioni con cadenza ormai frequentissima) costituiscono l’occasione per una riflessione – che possiamo definire “filosofica” – riassunta dalla domanda: quale è oggi il senso ultimo delle rivendicazioni circa la tutela della privacy nel mondo digitale iperconesso, globalizzato e tecnologizzato?
Ha in parte affrontato la questione – partendo dal caso Snowden e dal ruolo della NSA americana – Evgeny Morozov nel suo interessante articolo “Addio privacy” (pubblicato su “Internazionale” del 6 settembre 2013). In questa sede appare significativo – della vicenda Facebook – che le sei associazioni USA a tutela della privacy abbiano contestato il mancato pagamento degli utenti per l’uso dei dati che il social network intende fare inviando alla rete di loro amici messaggi promozionali e commerciali. Emerge cioè nel dibattito un aspetto spesso sottaciuto nelle “crociate” a tutela della riservatezza: quello del valore commerciale dei dati personali come merce primaria nel mercato globalizzato.
Non si è contestato a Facebook (solamente) l’utilizzo senza consenso dei dati: si è contestata la violazione (commerciale) di un uso gratuito delle informazioni. Non si è contestata la violazione della riservatezza come indebita invasione in una sfera privata e intima (concetto novecentesco e ante Terza Rivoluzione Industriale di Internet), ma si è contestato il fatto che gli utenti di Facebook (e i loro amici) perdono il potere di libera e autonoma auto-determinazione (anche di tipo economico-commerciale) sui propri dati. E’ esattamente questo il senso ultimo – diremmo quasi la ontologia – della privacy nell’attuale Società della Informazione Globale: il senso del diritto alla riservatezza non è più quello – come qualcuno ha detto – di “farsi Robinson Crusoe nel mondo iperconesso”, ma è il potere di controllo (mediante corrette e preventive informative) che ciascuno deve avere sulle informazioni che lo riguardano. E solo da questo potere di controllo – che sia però effettivo e concreto – può nascere la libera e consapevole autodeterminazione circa l’autorizzazione a terzi (mediante i meccanismi di consenso) a fare uso dei nostri dati personali. E’ solo con la certezza di poter controllare i nostri dati (decidendo anche di farne oggetto di transazioni commerciali, di vera e propria vendita) che ci rendiamo disponibili a diffondere, condividere, trasmettere, comunicare nel mare magnum della Rete una massa enorme di informazioni, nell’ambito di un fenomeno (quello dei social network) che appare caratterizzato dalla volontà degli stessi utenti di cancellare la propria privacy, rendendo partecipi i terzi (sia pure “amici”) di ogni minuto della nostra vita (digitale e reale).
Ogni privacy policy che ci sottragga il controllo (anche economico) sulle nostre informazioni, non potrà che scatenare polemiche: ma non perché viene violato “the right to bel et alone” di ottocentesca memoria (prima teorizzazione del right to privacy nel 1896), ma perché ci viene tolta appunto la condivisione su scelte primarie e su beni economici primari quali sono i dati nella società del XXI secolo.
Alessandro del Ninno è avvocato presso la Tonucci &Partners e professore universitario
Finalmente la Commissione europea ha dato il via libera al pacchetto di misure inerenti le misure tlc in tema di roaming. Effettuare e ricevere chiamate all’estero diventerà molto meno caro abbattendo di fatto le frontiere territoriali che oggi vigono in tema di telecomunicazioni.
Basta quindi ai rincari non appena varchiamo la soglia nazionale: il presidente della Commissione Jose Manuel Barroso ha infatti stabilito che dovranno essere abbattuti tutti i costi extra in Europa per le chiamate in entrata da luglio 2014 e per quelle in uscita da luglio 2016.
Gli operatori potranno quindi decidere di proporre ai loro clienti delle formule di abbonamento per l’estero in linea con le tariffe dei paesi stranieri oppure lasciare che i propri utenti, una volta arrivati a destinazione, decidano di passare ad un altro operatore più conveniente senza bisogno di cambiare Sim.
In ogni caso nessun operatore telefonico potrà sforare la soglia prevista dei 19 centesimi al minuto (iva esclusa).
Un balzo in avanti dunque per la mobilità e la concorrenza che si traduce nell’annullamento anche dei blocchi e delle limitazioni della rete internet. Secondo il “principio della neutralità di internet”, infatti, gli utenti potranno recidere più facilmente dai contratti con i fornitori mentre questi ultimi avranno sempre la possibilità di fornire servizi specializzati, a prescindere dal device e dal territorio in cui i clienti si collegano.
Le porte delle TLC cominciano quindi ad aprirsi ad un mondo più vasto in cui i confini (economici, territoriali e aziendali) piano piano vanno sparendo.