Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Cambiamo tutto! La rivoluzione degli innovatori
“Innovazione” è un termine spesso inflazionato, usato molto di frequente all’interno del vocabolario odierno. Nel saggio Cambiamo tutto! “innovazione” è una parola usata con cautela, e collegata principalmente ad uno strumento che si offre a coloro che non vogliono restare con le mani in mano di fronte alla crisi: internet. Il World Wilde Web viene indicato come la causa della “terza rivoluzione industriale” che stiamo vivendo; è il luogo in cui le cose accadono, il banco di prova per eccellenza per coloro che credono che nella vita si va avanti con il merito e con le intuizioni. Il lavoro non va più cercato, va creato, e internet – rete immensa di persone, non di computer – è lo strumento più democratico per dare vita a una società globale che si basi su “la trasparenza, la collaborazione, la partecipazione”. L’autore accredita questa tesi presentando esempi di start up, imprese o semplici individui che partiti da un’idea astratta, l’hanno perseguita e sviluppata, fino a farne un business di successo.
Il saggio si snoda in una serie di capitoli che esplorano, con freschezza e curiosità, testimonianze concrete di come il web sia davvero la chiave per una rivoluzione positiva non solo per la vita quotidiana del singolo, ma anche per la società, la politica, la scienza, l’istruzione.
Sono storie modernissime, come quella di Vito Lomese, un giovane pugliese che ha creato il motore di ricerca globale per il lavoro, Jobrapido; o più datate, come quella del team di Perotto della Olivetti che nel 1964 presentò all’Esposizione Universale di New York, il primo “computer fai-da-te”, quando ancora l’affermazione “vedremo un computer su ogni scrivania prima di vedere due macchine in ogni garage”, sembrava una profezia strampalata. Si parla anche di idee attualissime che oggi ci sembrano assurde e ci fanno sorridere, ma che un giorno, chissà, forse avranno costituito il primo passo verso un’altra rivoluzione epocale. È il caso, ad esempio, delle stampanti 3D e della intuizione di un certo Enrico Dini di utilizzarne una versione gigante per costruire case: il rapid building. Staremo a vedere…
Non è il solito manuale che ti consiglia come uscire dalla crisi con una brillante idea geniale che per magia ti renderà il nuovo Zio Paperone. È una collezione di storie reali, effettivamente accadute a gente normale, a italiani. È un saggio che serve all’Italia, un paese spesso troppo radicato in convenzioni e schemi desueti e timorosi, un paese che ha bisogno di aprirsi al nuovo con coraggio, freschezza e convinzione, preferibilmente col supporto delle istituzioni che ci governano.
“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” e le idee geniali, purtroppo, non nascono tutti i giorni sul davanzale delle nostre finestre. Gli esempi di successi sono tanti, ma per riuscire bisogna perseverare molto e non arrendersi al comparire dei primi ostacoli
Riccardo Luna, l’autore del libro, giornalista di Repubblica, direttore delle riviste Campus, Romanista e Wired, ha candidato Internet nel 2010 al premio Nobel per la Pace, e ha fondato Wikitalia, associazione che promuove la partecipazione e la trasparenza politica in Italia, attraverso la rete. Per Cambiamo tutto! ha creato un sito in cui interagire con i lettori, dando vita a un libro “in progress”, che permetta di partecipare al progetto di una “rivoluzione dell’innovazione”.
Chi è in cerca di ispirazione per un’idea innovativa. Chi è pessimista e vuole smettere di esserlo. Chi è ottimista (con raziocinio) e vuole una conferma alle sue convinzioni.
Cambiamo tutto! La rivoluzione degli innovatori di Riccardo Luna, Laterza 2013, 14 euro.
Hegel nelle sue “Lezioni sulla filosofia della storia” nega all’Africa un posto e un ruolo all’interno della cultura affermando che “…essa non è una porzione storica del Mondo; non ha alcun movimento o sviluppo da esibire”: niente di più sbagliato. Come tristemente ci ricorda la cronaca, in Mali, paese dell’Africa occidentale a sud del Sahara afflitto da alcuni mesi da una guerra civile causata da estremisti islamici, sono molti i siti e le opere che rischiano di sparire per sempre o che purtroppo sono già stati colpiti.
In particolare, la città di Timbuctu, caduta nelle mani dei ribelli jihadisti e poi liberata dall’esercito maliano e francese, ha subito gravissimi danni.
Crocevia di diversi popoli già nel Medioevo, quando si trovava al centro delle rotte per il commercio del sale e dell’oro, Timbuctu ha rappresentato un vivace centro di diffusione della religione e della cultura islamica, in cui confluirono molteplici saperi, stili e conoscenze.
L’attacco da parte degli estremisti dello scorso gennaio alla Biblioteca Baba Ahmad, istituita nel 1973 dal Governo del Mali su richiesta dell’Unesco come centro per la conservazione e la ricerca, ha arrecato una profonda ferita all’intero paese e non solo.
Il tesoro culturale conservato a Timbutcu e nei territori vicini comprende circa 300 mila manoscritti risalenti a un periodo compreso tra il XII e il XVI secolo e redatti in lingua araba e nelle lingue locali songhai, tamashek e bambara. I testi abbracciano i temi più svariati dalla filosofia, all’astronomia, dalla musica alla matematica, dalla medicina alla poesia, fino alla sharia, al diritto islamico e ai diritti delle donne. L’intera collezione offre quindi un quadro fondamentale per la comprensione dello sviluppo intellettuale e scientifico dell’Africa, fornendo, attraverso le competenze specialistiche e calligrafiche, una panoramica sul contesto storico della regione.
Fortunatamente gran parte delle opere, poco prima che i militanti prendessero il controllo della città, sono state messe in salvo trasportandole in luoghi segreti e sicuri. Gli jihadisti, in fuga di fronte all’avanzata delle truppe alleate francesi e maliane, hanno però dato fuoco alla Biblioteca Baba Ahmad e si stima che circa il 5% del patrimonio sia andato perso, trafugato o distrutto e con esso parte della storia dell’umanità.
Gli antichi manoscritti non sono stati però l’unico bersaglio delle offensive degli estremisti, undici dei sedici mausolei dedicati ai santi musulmani sono stati travolti dalla furia ribelle e con essi anche la Tomba di Askia, gravemente danneggiata. Il monumento dalla spettacolare struttura piramidale, eretto nel 1495 in onore dell’imperatore Askia Mohammed, è un tipico esempio delle tradizionali costruzioni in fango della regione del Sahel.
Già all’inizio della crisi in Mali la tomba di Askia insieme ai manoscritti e ai mausolei erano stati inseriti nella lista del patrimonio mondiale in pericolo dell’Unesco, che si era mostrata particolarmente preoccupata per la difficile situazione, che nel corso dei mesi è andata precipitando. In seguito ai numerosi attacchi alla realtà intellettuale e artistica del paese poche settimane fa l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura ha istituito a Parigi la ”Giornata di sostegno al Mali” alla quale hanno partecipato diversi esperti internazionali tra cui i Ministri della Cultura del Mali e della Francia. Durante l’incontro è stato presentato un “Piano d’azione per la riqualificazione del patrimonio culturale del Mali e la salvaguardia dei manoscritti antichi” per il quale si stima un costo di circa undici milioni di dollari. Gli obiettivi principali del piano sono definiti da tre parole chiave: valorizzazione, protezione e formazione. Valorizzazione del patrimonio devastato dalla guerra civile grazie anche all’aiuto diretto della popolazione locale; protezione dei manoscritti e dei beni scampati alla distruzione; formazione della comunità nei settori della conservazione in modo che i primi due punti possano essere adeguatamente attuati. L’Unesco ha inoltre rinnovato il suo impegno nella tutela e nella cura del patrimonio promettendo il suo appoggio nel restauro e nella ricostruzione degli edifici distrutti o danneggiati e nella lotta contro il traffico illecito dei beni culturali.
La crisi in Mali ha mostrato da un lato la fragilità del patrimonio culturale, ma dall’altro la sua incredibile forza simbolica, evidenza del carattere intrinseco e distintivo di un popolo. Gli attacchi ai manoscritti, ai mausolei o agli altri monumenti non rivelano altro che la volontà di cancellare il passato e la storia maliana e con essa le tracce delle differenze culturali. Se Timbuctu è denominata la “perla del deserto” è come se alcuni degli strati più lucenti e preziosi gli fossero stati portati via, ad essere derubata di un’immensa ricchezza non è solo il Mali o l’Africa, ma l’umanità intera.
una piattaforma online in cui tutti gli utenti di internet possono partecipare a lezioni e seminari di formazione organizzati da docenti e professionisti. Registrandovi all’interno della community, entrerete a far parte di una classe multimediale a vostra scelta e potrete seguire ogni corso a prescindere dal luogo in cui vi troviate o da dove si trovi il vostro insegnante. Un modo innovativo di sfruttare il web per la formazione e ampliare le vostre conoscenze.
corsi di cucina, di pittura, scrittura, business e di tecnologia: le materie spaziano dal pratico alla teoria. L’homepage del sito è divisa in due parti: nella prima sono elencate le classi che hanno iniziato la propria attività e cui si può aderire, mentre nella seconda si trovano le foto dei progetti realizzati alla fine dei corsi che si sono conclusi, così da poter vedere il risultato finale degli insegnamenti impartiti.
internet è riuscito ad abbattere i confini tra culture e paesi lontani, mettendo in comunicazione in tempo reale persone a chilometri di distanza: riuscire a sfruttare le sue potenzialità per fini didattici dovrebbe essere una delle priorità. Skillshare sembra proprio essere in linea con questa prospettiva e non è escluso che il progetto possa ben presto divenire un modello da seguire anche per la formazione accademica ed essere adottato dalle più note università nel mondo.
unico punto debole potrebbe rivelarsi la selezione degli insegnanti. Non è chiaro se per essere arruolati si debba passare una selezione attraverso la quale vengano vagliate sia le competenze individuali che il valore del progetto proposto. Questa rappresenta una variabile importante per la qualità dei contenuti e degli insegnamenti ricevuti.
l’intero sito e tutti gli insegnamenti vengono impartiti rigorosamente in inglese. Pertanto è necessario possederne una buona conoscenza prima di prendere parte ad un corso.
tutti coloro che seguono il precetto “nella vita non si finisce mai di imparare”
Combattere l’analfabetismo prima causa di povertà e disoccupazione. Contrastarlo sin dalla tenera età con strumenti dedicati e confezionati appositamente e con l’ausilio di esperti e pedagoghi che apportano il loro contributo volontariamente. Sono questi gli ingredienti del progetto di educazione ed istruzione per bambini e ragazzi, Plain Ink, la onlus creata dalla volontà e la dedizione di una giovane italiana, Selene Biffi, la quale ha deciso di lanciare questa start up sociale per diffondere il diritto primario dell’istruzione. L’esperienza nel mondo del volontariato per Selene si sposta dall’India all’Afghanistan, entrambi paesi in cui questo principio fondamentale non rappresenta una priorità per le istituzioni. L’obiettivo è far crescere giovani e bambini consapevoli della loro educazione e dotarli di un’adeguata preparazione per costruirsi un futuro lavorativo. Un progetto agli inizi ma molto ambizioso che ha ricevuto il Rolex Awards – Young Laureate di quest’anno, il premio conferito ai progetti visionari sostenibili e volti a cambiare migliorando disagi e problematiche sociali. Abbiamo parlato del futuro e obiettivi del progetto con Selene Biffi.
Partiamo dalla fine: cosa ha significato per te vincere i Rolex Awards, e qual è stato il percorso che ti ha portato sino a qui?
La vittoria dei Rolex Awards-Young Laureate, è stata un’emozione molto forte che ancora nello staff di Plain Ink non riusciamo a realizzare. È un sogno che si realizza, dal momento che è difficile ottenere un riconoscimento prestigioso da parte di un’istituzione disposta ad investire in un progetto considerato “visionario”. È sicuramente uno stimolo in più che ci spinge a portare avanti i nostri progetti che sono partiti quasi 10 anni fa. La prima start up che ho lanciato risale infatti al 2005: si tratta di Youth Action for Change, una piattaforma online gestita da giovani che forniscono online corsi gratuiti rivolti ad altri giovani. Un progetto nato con soli 150 euro, finanziamenti personali perché nessuna azienda o Ong ha voluto farsene carico.
I fondi raccolti grazie all’assegnazione del premio andranno al progetto della Qessa Academy a Kabul, una scuola dove i ragazzi afghani hanno l’opportunità di imparare la tradizione orale dei cantastorie. Perché hai scelto proprio l’Afghanistan per realizzarlo?
Plain Ink è la continuazione naturale di un impegno iniziato nel 2009 come consulente per le Nazioni Unite: l’incarico che mi era stato affidato era quello di realizzare un sussidiario per la sopravvivenza nei villaggi rurali, rivolto ai bambini afghani. Lo scopo era quello di spiegare in maniera pratica e concreta interventi che potessero aiutare a produrre sviluppo locale: argomenti quindi come salute pubblica, accesso all’acqua potabile, sicurezza alimentare. In un paese in cui il livello di alfabetizzazione è al 23% è stato subito chiaro che la struttura del sussidiario non era tuttavia quella più adeguata. Da questa considerazione è nata la mission di Plain Ink: quella di utilizzare le storie, servendosi del semplice layout del fumetto, per dare ai giovani e alle comunità tutte quelle conoscenze teorico-pratiche affrontando problemi legati alla povertà e all’esclusione sociale, in maniera flessibile a seconda di dove opera.
L’impronta innovativa del progetto è quella di portare istruzione di qualità con libri e materiali didattici creati appositamente per le zone dove sono destinati. Come vengono accolte le tue iniziative nei paesi in cui vengono realizzati?
Abbiamo scelto di operare in maniera differente rispetto alle altre associazioni, che in genere inviano i libri ormai in disuso da riutilizzare, innanzitutto perché in molti paesi l’inglese non è la lingua principale ed inoltre perché se si vuole realmente contribuire allo sviluppo dell’economia locale, bisogna produrre in loco, nella lingua autoctona e servirsi dell’ausilio di artisti e autori locali. Una sorta di editoria a kilometro zero. In India i nostri fumetti sono prodotti nelle Bidonville per i bambini che vivono in quel contesto e vengono distribuiti gratuitamente nelle scuole e nelle cliniche in quattro stati.
Diverso è il lavoro che faremo in Afghanistan con la Qessa Academy o Accademia delle storie (“qessa” in persiano vuol dire storie) che nasce con tre obiettivi: dare la possibilità ai cantastorie anziani di condividere la loro arte del sapere affinché questa possa essere preservata e tramandata alle generazioni più giovani; per le generazioni più giovani ( al momento abbiamo già una ventina di ragazzi disoccupati dai 18 ai 25 anni) offrire la possibilità di imparare lo storytelling tradizionale e di creare nuove storie nelle quali vengano contenuti messaggi di sviluppo; il terzo obiettivo è quello online. Oltre alla scuola vera e propria a Kabul esiste anche una piattaforma online sul sito di crowd sourcing in cui coinvolgere per la raccolta delle storie la diaspora afghana affinché possano raccontare e condividere le storie tradizionali che si sono portati dietro quando hanno lasciato il paese.
In che modo viene finanziato il tuo progetto? Il futuro del volontariato è il crowdfunding?
Il premio dei Rolex Award è finalizzato solo per la realizzazione della Qessa Academy e coprirà l’80% dei fondi necessari. Per quanto riguarda i finanziamenti, all’inizio siamo stati sostentati grazie all’aiuto della Only The Brave Foundation di Renzo Rosso, patron di Diesel. Tuttavia più che con il metodo del crowd funding (che rappresenta una delle tante modalità per reperire fondi, ma non deve essere considerata una panacea) per cercare di raccogliere fondi bisogna integrare la propria mission sfruttando molto la propria creatività per cercare tutti gli strumenti possibili, operando anche in partnership con altre associazioni.
Ci racconteresti qualche episodio in particolare che ti ha colpita durante la tua permanenza in India o in Afghanistan, che ti hanno confermato il valore e l’importanza di ciò che stai realizzando.
Ognuno dei progetti che si sono susseguiti in questi dieci anni mi ha riservato un episodio particolare: sapere ad esempio che grazie al lavoro che hai portato avanti dei ragazzi disabili in Ghana o in Nigeria sono riusciti ad aprire una cooperativa; oppure ritrovarti un villaggio in Afghanistan a tre giorni di macchina da Kabul, dove non ci sono insegnanti né libri ma delle ragazze intenzionate a studiare ingegneria o ostetricia per tornare un giorno in quello stesso villaggio e strapparlo alla povertà. Sono tanti gli episodi che ti fanno capire come l’istruzione può davvero aprire delle porte e dare la possibilità di creare qualcosa di meglio per se stessi e per gli altri. Penso sia questa la misura del successo.
L’istruzione e la formazione sono quindi perni fondamentali per far ripartire l’economia e lo sviluppo di un paese. Un concetto che forse l’Europa sta dimenticando?
In Occidente viene sottovalutata l’istruzione di base: è fondamentale non solo saper leggere e scrivere, che sono alla base dell’istruzione a livello primario, ma è necessario riuscire anche a diventare più attivi, capire che ognuno di noi ha un ruolo nel proprio villaggio e nelle proprie comunità di riferimento e che può esercitare nel suo microcosmo, al fine di contribuire al miglioramento del contesto in cui si vive. Il concetto fondamentale che fatica ad affermarsi è che l’istruzione è prima di tutto un diritto che spesso viene sacrificato per cause contingenti che ne impediscono la diffusione. L’istruzione (anche quella non formale) invece aiuta ad esprimere il proprio potenziale professionale. Le stime dell’indice di sviluppo umano redatto dalle Nazioni Unite, in cui sono riuniti vari indicatori di natura economica e sociale, affermano chiaramente che se l’alfabetizzazione di una paese è intorno al 23% se non addirittura più bassa, questa è correlata al livello di produzione e di possibilità economica del paese stesso. Più è bassa la correlazione, più il paese avrà difficoltà a svilupparsi a livello economico. È fondamentale avere delle capacità e delle conoscenze di istruzione base per poter partecipare attivamente nella società. Non si tratta solo di sapere leggere e scrivere, ma come il leggere e lo scrivere possono dare la possibilità di firmare contratti o capire la posologia dei farmaci. Attraverso l’acquisizione di abilità che sembrano banali, arrivano delle libertà professionali che forse si danno troppo per scontate. Noi di Plain Ink lavoriamo in dei paesi molto particolari, come l’India annoverato tra i Bric, la cui economia emergente ha avuto un boom ineguagliato negli ultimi anni, ma che è anche la patria in cui vive il 51% di analfabeti del pianeta, quasi 400 milioni di persone. O l’Afghanistan che, pur avendo il 23% di alfabetizzazione del pianeta, è considerata una delle cinque economie che crescono più rapidamente grazie agli investimenti stranieri.
Quale futuro avrà il progetto Plain Ink? Come ti auguri si evolverà e verso quali frontiere?
A me piace pensare che tra cinque o dieci anni ci venga chiesto di lasciare i posti dove lavoriamo perché non c’è più bisogno di noi. È importante non creare alcun tipo di dipendenza che sia economica, di conoscenza o di abilità. Vorrei che la scuola di Kabul venisse gestita in futuro dal Ministero dell’Istruzione e questo obiettivo cerchiamo di raggiungerlo, coinvolgendo le comunità locali e creando un senso di appartenenza: il progetto non deve essere costruito per loro ma con loro. Per questo noi formiamo insegnanti in loco. Per quanto riguarda la Qessa Academy questo obiettivo deve essere ancora più centrale perché nel dicembre 2014 le truppe Isaf e Nato lasceranno il paese, perciò la scuola dovrà avere almeno le basi per continuare ad operare in modo indipendente. L’accademia ufficialmente aprirà a marzo ma abbiamo già ricevuto molte domande di adesione.
“Fanno casette di sabbia e si baloccano con vuote conchiglie.
Intessono barchette di foglie secche e sorridendo le fan galleggiare sull’immensità del mare.
I bimbi giocano sul lido dei mondi. Non sanno nuotare, non sanno gettar le reti.
I pescatori di perle si tuffano per raccogliere le perle, i mercanti veleggiano sulle loro navi,
mentre i bimbi raccolgono sassolini e poi li gettan via.
Non cercano tesori nascosti, non sanno gettare le reti.[…]
La tempesta erra per il cielo dalle molte vie,
naufragano i bastimenti nell’acqua dalle molte vie,
la morte è in giro e i bimbi si baloccano.
Sulla spiaggia di mondi infiniti è il gran convegno dei bimbi. “(1)
“Because of his profoundly sensitive, fresh and beautiful verse, by which, with consummate skill, he has made his poetic thought, expressed in his own English words, a part of the literature of the West”.
Questo il commento della Nobel Academy all’attribuzione del premio a Rabindranath Tagore; straordinario pensare che egli fosse un indiano e non esattamente un inglese. Era il 1913 e il Nobel per la letteratura andava per la prima volta a un non occidentale, per i versi poetici di Gitanjali (parola indiana composta da git = canzone, e anjali = offerta, di fatto significando una offerta in canti ). Tagore aveva già nel 1901 fondato una scuola per bambini in India, a Santiniketan (2), da cui irradiò la sua concezione innovativa di scolarizzazione ed educazione, che gli consentì di penetrare meglio nei movimenti sociali, culturali e politici del tempo. Si batté per il ritorno alle origini della cultura indiana attraverso una riforma scolastica progressista, rappresentando allo stesso tempo la quintessenza del misticismo orientale per gli occidentali.
Nelle parole di Tagore, ricche di immagini e sentimenti provenienti da una complessità del tutto estranea e distante, sconosciuta e misteriosa, l’occidente ritrovava inaspettatamente se stesso.
Come allora, adesso l’occidente si trova di fronte a vaste mutazioni, economiche, spirituali, etiche. Abituati come siamo agli slogan pubblicitari, ai richiami degli imbonitori, al fatto cioè che tutto, per attrarre la nostra attenzione, debba essere urlato, infiocchettato e ridotto a messaggio unidirezionale, abituati a fidarci di questo lavoro di postproduzione per credere nell’affidabilità di un progetto, nella sensatezza del suo contenuto, siamo disarmati di fronte al mondo oggettivo, quello che parla attraverso linguaggi multipli e idiomi diversi, quello che lancia messaggi infiniti, di cui possiamo comprenderne pochi, quello che sussurra dietro un sorriso, che nasce multiculturale per davvero, quello che si trova apparentemente lontano da noi.
Ripercorrendo il desiderio costruttivo di Tagore, c’è un nuovo posto in India, Pittmangarh, dove già 200 bambini provenienti da condizioni di partenza che possono compromettere seriamente il loro svilupp formativo, sono avviati all’istruzione grazie alla Helping Hands for India, una Onlus indipendente e neutrale, fondata da occidentali e orientali, insieme. Un progetto consapevole che si muove su più dimensioni. Tra i fondatori, lo Yoga Alliance (network internazionale per la formazione dei docenti di Yoga) attraverso il World Conscious Yoga Family, e l’ Anand Prakash Ashram di Rishikesh.
Helping Hands for India è composta da professionisti di diversa provenienza, del tutto indipendenti, che offrono il proprio lavoro affinché possano beneficiarne i bimbi, nelle loro case tra i propri affetti, dando loro istruzione, cibi e giochi.
” Quando ti porto giocattoli variopinti, mio bimbo, comprendo perché c’è tanto sfoggio di colori nelle nubi, nell’acqua, e perché i fiori sono colorati così vagamente- quando ti regalo giocattoli variopinti, bimbo mio. ” (3)
Dimostrando come la consapevolezza e la sostenibilità di un progetto di questo tipo passi necessariamente anche attraverso risorse materiali, oltre l’istruzione, sono stati acquistati dei terreni, che vengono coltivati dalle famiglie dei bambini. Con i proventi di questo lavoro si contribuisce all’edificazione della scuola stessa, in perfetta ottica fair trade.
La sua costruzione è cominciata a settembre. Immersa nella natura, è una struttura architettonica ecocompatibile che, come tutto quello fatto dal Helping Hands, traghetta coscienziosamente la tradizione nel futuro, utilizzando cioè materiali del luogo, ripetendo le architetture tradizionali, cercando quindi di essere di minor impatto possibile con il sostrato ambientale. In una parola, ecosostenibilità. Non di minore importanza, l’acquisizione di una sorgente d’acqua, risorsa indispensabile e scarsa, specie in zone ad alto rischio di desertificazione, specie ora che il problema della crisi dell’acqua potabile c’è. E’ importante non dimenticare chi siamo e quello che possiamo dare, perché ci racconta ciò che abbiamo, e da dove veniamo. Sono passati 100 anni: è ora il nostro momento per specchiarci nella vita di chi c’è accanto, e, lasciando ancora a Tagore la chiusura:
“Quando me ne andrò di qui, la mia ultima parola sia, che ciò che ho visto è insuperabile.” (4)
Note:
1 R. Tagore, LX. Gitanjali, Carabba Editore, Lanciano, 1914.
2 che nel 1921 venne sviluppata e allargata agli studi universitari. Divenendo una delle più centrali
università indiane annovera nel corpo docenti Indira Gandhi e Amartya Sen.
3 R.Tagore, LXII. Gitanjali, Carabba Editore, Lanciano, 1914
4 ibidem. Canto XCVI
Inizia la scuola ma non cessano le polemiche, che da mesi si susseguono tra insegnanti e operatori scolastici in protesta contro i tagli abbattutisi sul settore. Dopo che oltre 300 mila insegnanti sono andati in pensione lo scorso anno scolastico, 250 mila sono i precari che, invece di trovare una cattedra, sono usciti dalle graduatorie dopo oltre 10 anni di attesa. Per loro, solo pochissimi posti a disposizione che si teme siano oggetto di assunzioni pilotate e quindi fuori dalla loro portata.
In quindici anni sono state ben cinque le riforme scolastiche che si sono susseguite a ritmi incessanti: dal ministro D’Onofrio alla Gelmini, molti studenti vantano addirittura il record di averle sperimentate tutte, con continui mutamenti di rotta che non solo hanno indebolito il sistema organizzativo, ma hanno diminuito notevolmente la qualità dell’insegnamento. Insegnanti poco motivati e preoccupati per il loro futuro professionale hanno infatti raramente ottenuto la serenità e la stabilità necessaria per dotare i propri alunni di stimoli e segnali positivi. Il tutto si è dunque andato a ripercuotere sugli studenti che hanno registrato cali di operosità e scarse competenze linguistiche che attestano gli studenti italiani agli ultimi posti delle classificazioni condotte dalla Commissione europea.
L’Italia, infatti, destina un modesto 4,73% del finanziamento pubblico all’istruzione (percentuale rimasta invariata dal 1995) contro una media europea che supera i cinque punti percentuali. Troppo poco rispetto al Pil nazionale e secondo le valutazioni dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che situa il Belpaese tra i fanalini di coda dei paesi industrializzati. Persino l’Estonia spende di più (5%) e solo la Repubblica Slovacca spende meno dell’Italia.
Dati che comunque non reggono il confronto con le riforme varate oltreoceano dal presidente Obama. Nonostante la scuola pubblica statunitense navigasse in acque migliori di quelle italiane già prima della riforma, Barack Obama ha deciso comunque di investire nella ricerca e nell’istruzione di coloro che rappresenteranno la classe dirigente del domani. Una riforma radicale che premia gli insegnanti meritevoli, a prescindere dalla loro età o dall’istituto presso il quale svolgono il loro lavoro. Più gli studenti incrementeranno le proprie capacità, tanto più l’insegnante verrà premiato e stimolato a fare sempre meglio.
Nulla a che vedere, dunque, con gli scatti di anzianità previsti dalla legge italiana che vede irreparabilmente scoraggiati gli insegnanti più giovani, sottostimati e sottopagati, e svigoriti quelli più anziani, che ormai aspettano nient’altro che la pensione.
“Non ricordo anno scolastico che non sia iniziato con delle polemiche”, ha tuonato il ministro Gelmini durante l’inaugurazione del nuovo anno scolastico. In effetti, le proteste continuano inesorabili da tanti anni, tanti quanti le riforme che hanno tentato di modificare la nostra scuola pubblica. Si procede dunque per tentativi, sperimentando i successi e i fallimenti sulla pelle degli studenti, più o meno fortunati a seconda dell’anno di nascita e del governo in carica.
Lo scorso 29 luglio il Senato ha approvato la riforma dell’università progettata del Ministro dell’Istruzione Gelmini che si prospetta come un provvedimento ad ampio spettro e ricco di novità. I 22 articoli sono destinati a riformulare l’attuale configurazione del sistema universitario italiano, dalla struttura di governance alla definizione dell’età pensionabile. La riforma stabilisce che: ogni ateneo dovrà ridurre il numero di facoltà affinché non si sfori il tetto massimo di 12, dovrà dimezzare gli attuali 370 settori scientifico-disciplinari, se in regola con i conti potrà contare su forme di governance modellate ad hoc in collaborazione col Ministero, rischierà il commissariamento in caso di squilibri finanziari e in questo senso dovrà adattarsi a nuovi criteri di maggiore trasparenza validi a livello nazionale. Le università potranno inoltre ricevere risorse sulla base della qualità della didattica e della ricerca, avere la possibilità di collaborare con altre università vicine (anche a livello interregionale) per diminuire i costi e potenziare la didattica, e dovranno adottare un codice etico. I rettori invece non potranno mantenere il loro incarico per più di 8 anni e i professori ordinari e a tempo determinato dovranno certificare rispettivamente un minimo di 1500 e 750 ore di attività formative delle quali almeno 350 e 250 dedicate alla didattica.
Il tema che finora ha provocato più scalpore rimane la determinazione dell’età pensionabile: nonostante il parere favorevole del Ministro Gelmini ad un abbassamento a 65 anni e l’emendamento proposto dal Pd, si è preferito mantenere la soglia a 70 anni. La decisione è stata motivata da un lato dal timore del Ministro Tremonti della revisione delle operazioni finanziarie nel settore pensioni e dall’altro dal giudizio negativo espresso dal Consiglio universitario nazionale che valuta la manovra troppo dispendiosa prevedendo oltre 500 milioni annui per cinque anni.
Vi sono due ulteriori trasformazioni che rivoluzioneranno in modo significante il sistema universitario attuale: la nuova modalità di selezione dei professori ordinari e associati e il nuovo sistema dei contratti dei ricercatori. Nel primo caso è prevista la creazione di bandi pubblici indetti dalle università che selezioneranno i loro docenti con l’aiuto di una commissione comprendente anche membri stranieri, nel secondo caso viene introdotto un sistema di contratti a tempo determinato, dopo i quali sarà previsto un contratto triennale al cui scadere si potrà essere confermati a tempo indeterminato.
Sergio Luzzatto, in un articolo sul Sole 24 Ore, fornisce alcuni spunti di riflessione rispetto a queste ultime novità facendo notare come la procedura per il reclutamento dei docenti su scala nazionale possa in realtà essere influenzata dalle scelte dei singoli atenei i quali concorrono direttamente alla determinazione della lista dei docenti che possono partecipare alla selezione nazionale. Inoltre, viene sottolineato come il sistema dei contratti disegnato per i ricercatori non possa essere assimilato al “tenure track” anglosassone, in quanto non vi è alcuna garanzia da parte dell’ateneo dell’effettiva creazione di un bando per la copertura del ruolo.
La riforma ha già provocato molte reazioni sia all’interno del mondo politico, sia all’interno di quello universitario. Mentre il Ministro Gelmini considera il provvedimento “epocale” e destinato a migliorare la qualità delle università italiane, il senatore del Pd Luigi Zanda afferma che “non è una riforma, è un provvedimento debole e le risorse sono insufficienti”. Enrico Decleva, presidente dell’assemblea dei rettori degli atenei italiani, sostiene che la riforma “nella situazione in cui ci troviamo considerati i problemi e le criticità è sicuramente un provvedimento importante”, ma non tralascia alcuni difetti e dichiara che “non ci sono più alibi, le risorse devono venire”.
Considerati i pareri contrastanti che il provvedimento ha provocato anche all’interno degli stessi schieramenti politici, si può facilmente comprendere la complessità delle sfaccettature che caratterizzano la riforma. Il ridisegno di alcune strutture di governance, la ridefinizione delle funzioni di alcuni organi (senato universitario e consiglio di amministrazione), la determinazione di criteri di maggiore trasparenza sembrano essere provvedimenti apprezzati da più parti. Tuttavia, argomenti più delicati quali le fonti di finanziamento per la riforma rimangono ancora in fase di definizione.
Nonostante i fondi rimangano frequentemente un punto interrogativo che caratterizza molti processi di innovazione, la presenza di un chiaro quadro d’azione e la definizione di procedure e strutture specifiche rimangono comunque l’essenza del sistema.
L’auspicio è che una volta sfumate le polemiche la riforma possa essere efficacemente implementata nel rispetto dell’istruzione e delle carriere di coloro che gravitano all’interno del mondo universitario utilizzando strategie e procedure che comprendano le reali dinamiche ed esigenze del settore. Per ora, non resta che attendere il prossimo settembre quando la riforma verrà vagliata dal Parlamento.