jazzitfesOggi, organizzare anche un piccolissimo evento diventa sempre più difficile da organizzare, eppure Luciano Vanni già un anno fa tra le pagine di facebook annunciava la sua grandiosa creazione: un “festivalone” in grande stile che, a livello di innovazione nulla ha da invidiare all’illustrissimo “Umbria Jazz”, anche se, l’impronta è completamente differente.
Parliamo di “Jazzit Fest”, evento che dal 5 all’8 settembre si terrà a Collescipoli, in provincia di Terni. Il periodo scelto, non solo contribuisce a destagionalizzare l’attrazione turistica, ma vive nell’interesse di non compromettere il percorso perugino promosso da oltre 40 anni dal più importante festival di jazz in Italia.
Proprio in provincia di Terni ebbe origine Umbria Jazz e sempre lì, lo stesso Luciano Vanni, più di un decennio fa, sfidò il suo destino fondando la casa editrice LVE con le sue rispettive riviste: “Jazzit” e “Il Turismo Culturale”. L’evoluzione di questo suo amore per la musica lo portò a confrontarsi con la regione Umbria (resa universale per il jazz) e con l’ambito dell’organizzazione degli eventi, dando origine prima a “Terniinjazz Fest” (2001-2007) e in seguito al “Gran Tour Fest” (2008-2009).
L’APPROCCIO
Agli occhi di tanti, l’organizzazione di un evento colossale da parte di un editore, lascerebbe un po’ a desiderare, ma a dirla tutta, quella degli imprenditori che navigano in prima linea nell’ambito della comunicazione e che di conseguenza ambiscono a sperimentare il panorama festivaliero, sembra diventare una considerevole realtà. Quasi certamente per uno che scrive di jazz e di turismo non sarà stato tanto difficile interagire con musicisti, critici, associazioni ed istituzioni di categoria, e proporre loro di intervenire in prima persona durante la propria manifestazione. L’abilità sta poi nell’essere imparziali, (anche se il tocco di criticità non deve mai mancare), spesso accondiscendenti e nel saper vedere oltre i personali interessi. Una buona dose di queste caratteristiche, assieme alla passione per il proprio lavoro e ai 3 anni di meditazione avranno complessivamente contribuito ad realizzare pienamente il progetto dell’editore e a renderlo così tanto innovativo. Innovativo per una lunga serie di motivi:

 

QUANTITÀ
Immensa varietà della stessa proposta ideativa: 104 concerti (26 al giorno) con 450 jazzisti, 60 stand di operatori del settore nel primo reale expò di jazz italiano, “il meeting del jazz in Italia” (tra etichette discografiche, circoli, collettivi, festival, produttori di strumenti musicali, negozi di musica, etc), proiezioni cinematografiche, esposizioni di fotografia, e opere d’arte. La scelta dei repertori e degli stessi musicisti non dipende da nessun direttore artistico, tanto è vero che la figura dell’ideatore Vanni si avvale solo delle sue qualità di moderatore – coordinatore e, se vogliamo, di “project manager”.

 

QUALITÀ
La parte più “seriosa”, probabilmente la più “studiata a tavolino” è dettata dalla scelta di far emergere del “nuovo” e dalla tipologia di workshop, conferenze, clinics, seminari musicali diretti da musicisti; corsi di musica, ear traning, laboratori in tema per i più piccoli; meeting ad incastro in versione no stop. Cosa che nessuno mai aveva pensato di fare dedicando in maniera esclusiva tutte le singole attività alla musica jazz.

 

GESTIONE INNOVATIVA tra CROWDFUNDING, CO-WORKING e DIREZIONE ARTISTICA “OPERN SOURCE”
Realizzare un cartellone di questa portata esigerebbe di grossi costi se non fosse per il contributo singolare di tutte quelle realtà che per loro personale scelta hanno deciso di sentirsi partecipi all’organizzazione del Jazzit Fest. C ‘è chi, come la Vanni Editore offre il backline con supporto alle scuole di musica, chi mette a disposizione il proprio personale specializzato come le agenzie di management e i proprietari di jazz club. Lo staff del Fest si occuperà tra le tante cose di comunicazione, di booking in qualità di agenzia turistica, dell’intera logistica, mentre gli artisti sono giunti di spontanea volontà per esibirsi assolutamente senza alcun fine di lucro.
Chiaramente, il bisogno di disporre di una forza lavoro così professionale, di servizi importanti, tali da non condizionare la qualità e quantità dell’offerta cartellonistica, generano conseguentemente, da parte dell’ideatore-commitente, un atteggiamento tanto “elastico” e comprensivo da non voler pretendere necessariamente la partecipazione di tutti quegli artisti che, normalmente, in fase di creazione festivaliera, si vorrebbe a tutti i costi inserire nel programma.
Ecco spiegata sicuramente una delle ragioni per le quali è stato scelto di non promuovere la funzione di un direttore artistico.

 

LA “CARTA DEI VALORI” E LA POSSIBILE FORMULA DI AUTOPROMOZIONE
La scelta di non chiedere neppure un euro di finanziamento pubblico, di non necessitare di un direttore artistico, di permettere agli artisti, operatori del settore e concittadini di partecipare in piena libertà ma senza cachet rientra nel codice etico della carta dei valori. Un codice programmatico – organizzativo e produttivo ben interpretabile da tutte la comunità di riferimento che a sua volta andrebbe condiviso anche con i futuri lettori ed ideatori.

Non si può per l’appunto negare l’interesse da parte di una casa editrice che si presta a questa nuova forma di comunicazione diretta (il festival-festa) di promuovere le proprie creazioni, di incontrare personalmente i propri abbonati, di generarne dei nuovi e allo stesso tempo di ottimizzare i costi e soprattutto i tempi avendo una miriade di artisti e operatori a propria disposizione ai quali poter dedicare interi articoli, di proporre loro nuove incisioni, di stipulare con essi particolari convenzioni, di stabilire accordi di sponsorship, di vendita delle pagine pubblicitarie all’interno dei propri volumi-numeri, e via di seguito. Eppure, c’è da riconoscere che l’obiettivo primordiale del JAZZIT FEST non sembra essere affatto quello di fare i propri interessi di stampa, poiché nessuno tra coloro che avrà contribuito all’iniziativa, artisti compresi, godrà di un trattamento privilegiato.

Piuttosto, i personali accordi finora stipulati dalla casa editrice verranno messi a disposizione di altri come “effetto fiera”, così da rendere insaziabile l’impegno di fare rete tra simili. Esattamente così: un’industria che opera all’interno di una fiera che non cerca solo buyers, ma fa in modo che questi interagiscano anche fra di loro! Un pensiero del resto ben condiviso e da sempre fedele alla linea editoriale.

 

IL TARGET, IL VOLONTARIATO E LA FESTA-MEETING GRATUITA
Diciamo allora che non si potrebbe in realtà parlare di un festival vero e proprio, quanto di una festa impareggiabile. Un evento rivolto principalmente ai propri appassionati, operatori del settore e a chi vorrà conoscere dal vivo lo spirito e il metodo di lavoro adottato dalla LVE. Gli stessi volontari, una squadra composta da oltre 100 elementi, possibilmente aventi una media di 28 anni, saranno i primi che in cambio del contributo reso e degli sforzi economici affrontati tra viaggio e alloggio (seppur con convenzioni), avranno la possibilità di apprenderne attraverso continue riunioni il criterio operativo.
Una manifestazione studiata anche per far ampliare le proprie conoscenze e che, per le condizioni indicate, si esprime nella massima gratuità o nella facoltà di rendere un’offerta libera in base alle proprie disponibilità.

 

IL “PAESE FESTIVAL-SMART CITIES” COME “ESPERIMENTO SOCIALE”
Ciò che più colpisce del pensiero di Luciano Vanni è la volontà di rendere totalmente attiva la partecipazione del territorio.
“Sei amante del jazz o no, ma sei comunque un cittadino di Collescipoli? Ebbene, sei invitato a dare una mano!”. Non è un rimprovero, né tantomeno un obbligo, piuttosto uno stimolo a fare in modo che ciascuno faccia la propria parte per il crescere della cultura, dell’economia e del turismo locale. In fondo è un grande onore quello di vedere un antico borgo medievale come Collescipoli di soli 300 abitanti mostrarsi tutt’altro che impreparato tanto da accogliere l’enorme staff organizzativo e a prestare, tra le tante cose, perfino le sedie per la platea. È un segno di fiducia ma anche di speranza che si cela dietro quell’emozionante detto: “l’unione fa la forza”.

Chi infatti diventa il primo interlocutore, oltre agli stakeholders già citati e tutto il territorio ternano, è la Pro Loco assieme alla serie di istituzioni, compresa la Circoscrizione, che si sono impegnati nell’assicurare la resa gratuita degli spazi pubblici (5 palchi tra chiese, piazze, chiostri, viuzze e altri spazi all’aperto e al chiuso), a rendere efficiente la macchina organizzativa per l’ospitalità (servizi, sicurezza, ordine pubblico, alloggi, il ristoro e trasporti), con la scusa anche di promuovere la regione con gli stand enogastronomici.
Molte realtà che sono state sostenute nella veste di startup hanno finito negli anni nel dipendere soprattutto dai fondi statali, difendendosi dietro quella volontà di fare cultura ormai troppo ripetitiva e non più unica a molti.

Che Luciano Vanni sia risuscito negli anni, magari grazie alle sue ambizioni, alla sua crescita professionale e ai suoi rapporti editoriali – istituzionali, ad affascinare tutto il paese di Collescipoli, bisogna crederci, anche perché è una persona che lavora con ingegno e senso critico. Si può anche credere all’idea che quasi tutti gli abitanti del posto ora possano amare il jazz o essersi resi conto dell’importanza dell’attrazione turistica che il suo festival possa innescare, tanto da convincere anche i più anziani compaesani a dedicare del proprio tempo per la realizzazione dello stesso e a resistere fino a notte fonda ai più striduli suoni di tromba …. ma, non è bene imitarlo senza disporre di azzeccati strumenti per lavorarci sopra, pretendendo carta bianca con il solito scopo di realizzare i più svariati sogni artistici musicali che poco hanno a che vedere con il territorio se non nel prendere per la gola la comunità più focosa con le arti più appetitose: musica commerciale e gastronomia generalizzata.

Sicuramente, Vanni, nel suo disegno progettuale intende far credere che i successi migliori si ottengono col passare degli anni, dopo aver meticolosamente studiato ed educato il proprio territorio alla vera cultura (a quella che andrebbe fatta imboccare per essere compresa), ed essersi conseguentemente reso effettivamente conto di cosa il territorio nel suo complesso desidera. Una volta aver intuito lo spirito della manifestazione e aver fatto in modo che ciascun cittadino ne comprendesse i fini e a sua volta li condividesse, allora, solo dopo, sarebbe doveroso far subentrare la necessità di generare un criterio fattibile di smart- city.

 

Il jazz, nato come canto identitario degli schiavi nelle piantagioni, caratterizzato dall’improvvisazione, dalla fantasia creativa, dalle poliritmie, è decisamente sinonimo di libertà. Non a caso l’UNESCO ha deciso di proclamare il 30 aprile Giornata Internazionale del Jazz. Questa data, istituita in nome dell’unione tra culture e dell’emancipazione, di cui il jazz è espressione, sarà celebrata in Turchia, ad Istanbul. Il concerto serale vedrà come protagonisti artisti del calibro di John Beasley, George Duke, Al Jarreau, Milton Nascimento, Hugh Masekela, James Genus, Wayne Shorter, Jean-Luc Ponty. Le stelle del jazz contemporaneo si esibiranno nella splendida cornice della chiesa Hagia Irene, oggi museo, parte dello spettacolare palazzo sultanale del Topkapi. Le celebrazioni avranno il loro fulcro a Istanbul, ma coinvolgeranno ogni parte del mondo, interessando i Paesi aderenti all’UNESCO con l’organizzazione di concerti, esibizioni, tributi, workshop, conferenze, tavole rotonde, ma soprattutto momenti didattici per le scuole, le università e i giovani in generale, che consacreranno così l’impegno dell’UNESCO nel farsi veicolo per la promozione della cultura e dell’educazione.

Era il 2001 quando lo Smithsonian National Museum of American History scelse aprile come “Jazz Appriciation Month”, il mese della celebrazione del Jazz. È ad aprile, infatti, che sono nati i maggiori protagonisti del jazz, icone eterne della musica e della creatività: Duke Ellington, Ella Fitzgerald, Gerry Mulligan, Tito Puente, John Levy, Lionel Hampton, Andy Weston. Il 30 aprile rappresenta, quindi, il giorno di chiusura, il culmine di un intero mese nel nome del jazz. “Il jazz è l’espressione dell’armonia e allo stesso tempo della speranza e della libertà”, ha dichiarato Herbie Hancock. Il mitico pianista e compositore jazz, ambasciatore UNESCO per il dialogo interculturale, è a capo dell’organizzazione dell’evento, insieme alla direttrice generale dell’UNESCO, Irina Bokova, in collaborazione con il Thelonius Monk Insititute of Jazz. Lo scopo dell’International Jazz Day è di incoraggiare lo scambio e il dialogo tra culture differenti, educare alla tolleranza, alla comprensione e alla democrazia, lottare contro le discriminazioni razziali e di genere, proporre i giovani come portavoci di un cambiamento sociale in nome dell’uguaglianza. Tutto questo tramite lo strumento portentoso della musica jazz.

Il jazz è stato definito il genere principe dell’improvvisazione e dell’interpretazione, che nasce già come frutto di un melting pot di culture: la tradizione africana e quella americana sono state contaminate dalla caraibica, si sono mescolate a quella latino-americana, hanno subito l’influsso della cultura italiana, francese, spagnola. Le sue origini sono state ricondotte all’affascinante New Orleans, cuore della Lousiana, nella cui ormai celebre Congo Square, ogni domenica, gli schiavi si riunivano per dare spazio alla loro interiorità con i canti, le danze, le musiche della loro cultura. La stessa New Orleans nella quale, nei primi del Novecento, si esibivano musicisti del calibro di Buddy Bolden, definito il padre del jazz. E, infatti, nel 2012, anno della prima edizione della giornata internazionale del jazz, è stata scelta proprio New Orleans per aprire le danze, con un concerto indimenticabile condotto da Herbie Hancock all’alba.
La scelta, quest’anno, di Istanbul, è dovuta alla natura poliedrica della città, ponte tra Oriente e Occidente che rappresenta un altro crogiuolo emblematico di razze, culture, religioni, storie. Il programma che interessa la capitale turca, oltre al concerto serale, prevede numerose attività, soprattutto nell’ambito della formazione, che ben introducono a quello che è stato organizzato nel resto del mondo.

In Italia, da Milano a Catania, sono moltissime le manifestazioni preparate per l’occasione: a Bologna sarà l’estro coinvolgente di Matteo Brancaleoni a rendere “swing” l’atmosfera del Bravo Caffè. A Capurso, in Puglia, Carmela Formicola presenterà il suo libro, Quando suonavo il jazz, accompagnata dalle note del basso di Pierluigi Balducci e Vincenzo Maurogiovanni. A Foggia, il Moody Jazz Café ha pensato l’esplorazione del jazz attraverso diversi canali: l’educazione, la letteratura, la storia e la filosofia, la musica, il cinema e la cucina. Diversi gli eventi previsti a Roma: al Teatro Argentina è stato organizzato un imperdibile concerto dello Stefano Di Battista Jazz Quartet, con la partecipazione straordinaria di Enrico Rava e Rita Marcotulli. Sempre a Roma, uno degli storici locali del jazz nostrano e internazionale, l’Alexander Platz Jazz Club, presenterà il nuovo disco del Dario Germani Trio in collaborazione con Max Ionata.
Tiene testa all’Italia la Francia, con una ricca scaletta di eventi musicali da scoprire. Particolarissimo è quello previsto a Les 3 Arts a Parigi: la sezione giovanile dell’associazione mondiale dell’esperanto ha organizzato insieme al Duo KAJ un concerto multiculturale durante il quale i classici del jazz saranno riadattati in lingua esperanto e in altre lingue, con tanto di sottotitoli, a testimoniare il messaggio di fratellanza e comunione che viene dall’esperanto e dal jazz.

Frattanto, dall’altra parte del mondo, in Australia, a Brisbane, per celebrare il jazz si può prendere parte ad una parata per le vie principali della città, ispirata alla New Orleans degli anni d’oro del jazz, seguita da un intero pomeriggio dedicato all’esibizione dei musicisti locali. In Sudafrica, se si è tra i fortunati allievi della Secondary School di Boksburg, è possibile tenere una lezione di musica con alcuni tra i più famosi jazzisti sudafricani. Anche in Giappone, India, Sud America, Russia, Islanda sono in programma proiezioni cinematografiche, workshop, incontri con i bambini, concerti dal vivo.
Insomma, l’International Jazz Day è la prova reale che la potenza della musica distrugge le barriere di ogni tipo, tra qualunque cultura.

 

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Dopo una settimana di emozioni intense, si chiude il Time in Jazz 2012. Un festival che non è solo buona musica, ma che racchiude in sé una pluralità di argomenti e tematiche, che lo trasformano in un incontro ricco di interesse per un pubblico non solo amante del Jazz e di altre forme artistiche, ma anche attento alle problematiche della sostenibilità ambientale e delle energie alternative. Tema questo che insegue la manifestazione da quattro anni, in modo sempre più definito ed organizzato con il progetto Green Jazz, che quest’anno ha portato anche l’energia elettrica nei luoghi dei concerti attraverso un carrello fotovoltaico.

Quindi non solo musica, ma anche cinema, arti visive che si sono fuse nell’argomento del Fuoco, che ha chiuso il ciclo quadriennale dei quattro elementi primari, ciclo che ha visto l’ambiente grande protagonista in una zona della Sardegna, come quella dei comuni che fanno da corollario alla centrale Berchidda, che si mantiene incontaminata, e che così è restata, nonostante l’incursione delle numerose persone che hanno voluto godere delle sonorità avvolgenti del buon Jazz.

Paolo Fresu e l’organizzazione del Time in Jazz sono riusciti in questo intento, riuscendo a portare grandi nomi del panorama Jazz in luoghi dalla bellezza mozzafiato, dove il silenzio della fissità dei luoghi si è fuso con le note danzanti delle chitarre, dei pianoforti e della sua tromba stessa. Sono questi elementi a dare a questo Festival una marcia in più: l’intenso legame fra i luoghi ed il Jazz, il loro modo di unirsi e trasmettere una sentita appartenenza con la natura. E’ in quei suoni, che si fondono con gli odori della terra, con il cinguettio degli uccelli, col fruscio del vento, con gli spiragli di sole che penetrano fra le fronde degli alberi, che sta il suo punto di forza, la caratteristica unica di una manifestazione che ogni anno sembra crescere e migliorarsi, pur non tralasciando i suoi rapporti con le tradizioni della terra che la ospita.

E così abbiamo assistito al posarsi leggero del pianoforte di Wasilewski sulla spiaggia del paese di Budoni, al furioso urlo delle note impazzite del piano prima e della fisarmonica poi di Antonello Salis alla centrale eolica di Tula, al disseminarsi delle note leggere dell’estroso Omar Sosa e dell’eclettico Paolo Fresu nella chiesetta campestre di San Michele, al propagarsi dolce della chitarra multiforme di Paolo Angeli ad accompagnare i suoi canti antichi nel Santuario della Madonna di Castro, allo spuntare dell’alba sul Monte Limbara in compagnia del pianista Enrico Zanisi.

Il palco del paese ha ospitato anch’esso nomi di grande rilievo come Antonello Salis, Paolo Angeli, Gavino Murgia e il batterista americano Hamid Drake col loro progetto “Giornale di Bordo”, Bill Frisell col suo tributo a John Lennon, il giovane pianista armeno Tigran col suo trio, il quartetto di Arild Andersen accompagnato da Paolo Fresu alla tromba, Maria Pia De Vito col suo progetto sperimentale “Roden Crater Project”.

Solo per citare alcuni dei tanti nomi che ci hanno deliziato con le loro sonorità.

Ma il Time in Jazz non è stato solo musica. Il Centro Laber, l’ex caseificio berchiddese posto all’entrata del paese, oltre ad ospitare alcuni concerti importanti, fra cui quello di Ettore Fioravanti ed il suo quintetto, ed i dopo-concerto con musica dal vivo e dj set, è anche stato riconvertito in un centro per le arti, che è stato invaso dal progetto “PAV – Progetto Arti Visive”, una serie di installazioni, video proiezioni, dipinti, progetti fotografici. Anche il cinema ha fatto da protagonista con le selezioni di Gianfranco Cabiddu che hanno accompagnato il Festival con la tematica del Fuoco.

Insomma, questo Festival non si è fatto mancare nulla, ma soprattutto non l’ha fatto mancare alle numerose persone che hanno avuto la fortuna di parteciparvi, creando energie positive e sinergie altrettanto propizie per un impatto costruttivo fra la magia del Jazz, l’arte, il cinema e l’ambiente. Giudizio assolutamente positivo quindi. Non ci resta che aspettare l’anno prossimo, con la curiosità di scoprire quale sarà il tema dominante, ad iniziare un nuovo ciclo di questa manifestazione, che, come gli ultimi quattro elementi che lo hanno animato, diventa sempre più vibrante e piena di vita.

 

Per gli altri articoli del Time in Jazz, che Tafter ha seguito in esclusiva con le inviate Barbara Picci e Marilena Riello consulta anche:

Se hai un problema…aggiungi olio. Ecco la “gastrofilosofia” di Don Pasta

Live tweeting: non potete andare a Berchidda? Seguite il Festival “Time in Jazz” su TAFTER!

E Fuoco sia…per i venticinque anni del Time In Jazz

Sardegna: l’isola dove il tempo è a ritmo di jazz

 

 

Come ogni matrimonio che si rispetti, lo scoccare del venticinquesimo anno di unione segna un traguardo importante che va festeggiato adeguatamente. E’ così che quest’anno Berchidda sancisce la sua unione col Jazz ed il suo festival con un grande simbolo di passione: il Fuoco. Emblema e portafortuna di queste nozze d’argento, questo motivo conduttore è posto a chiusura di un ciclo quadriennale che ha visto tutti gli altri elementi fare da padrini della manifestazione.

Ma è nella sua forza e nella sua carica di forte emotività che si scorge il vero legame con questa fase della vita del Festival, un incoraggiamento a continuare, a migliorarsi, a rinnovare il sodalizio che lega indissolubilmente questa terra con le sonorità conturbanti del jazz.

L’apertura del festival è stata assolutamente in linea con questi propositi, coinvolgendo degli artisti che col fuoco e la passione fondono la loro essenza musicale, come Paolo Angeli che, munito della sua chitarra tuttofare, ha ravvivato le tiepide campagne oschiresi, portando le sue note imbizzarrite ad innalzarsi nel cielo terso di un’afosa mattinata d’agosto.

I grandi nomi si rincorrono con Ettore Fioravanti ed il suo quintetto, ad accompagnare il cadere imperturbabile dei corpi celesti nella notte dell’11 agosto. O la prima volta a Berchidda di Bill Frisell, che l’organizzazione rincorreva da dieci anni, con la sua rivisitazione jazzistica di alcuni fra i brani più famosi dei Beatles.

Sembra quasi che la magia del festival cresca di anno in anno. Questo connubio segue dei binari privilegiati che difficilmente vengono percorsi dai membri del classico duo sentimentale. Che sia davvero il Fuoco raro della coppia perfetta? Che Berchidda abbia trovato nel jazz la sua metá ideale o che il jazz abbia trovato in Berchidda il giusto modo per incalanare la sua più pura essenza? Non ci resta che stare a vedere e assistere festanti a questo banchetto di nozze rinnovate, augurando, come da tradizione e non senza una buona dose di mero interesse utilitaristico, salute, felicità e tanto buon sound a questa unione. “A chent’annos!”

 

Le foto pubblicate in questo articolo e nell’album Facebook della pagina ufficiale di Tafter sono protette dal copyright ed appartengono alle nostre inviate Barbara Picci e Marilena Riello

 

Intervista a Paolo Fresu realizzata dagli utenti di TAFTER

Ti hanno sempre menzionato vicino a Miles Davis e a Chet Baker, a quale dei 2 ti senti di assomigliare maggiormente?
(Sant’Ezio Stimato)
Miles. Perché è il primo che ho ascoltato e poi per la filosofia del suono e del silenzio oltre che per la sua complessità e contemporaneità di artista poliedrico, coraggioso e visionario.
Chet Baker l’ho conosciuto subito dopo e mi ha colpito per la poesia. Non solo quella della sua tromba ma anche della sua voce. Ho scoperto così un uomo tumultuoso e ho capito ancora di più quella sua poesia tangibile ed epidermica.

Ci sono delle cose che vorresti ancora realizzare in campo musicale?
(
Giacomo Di Nicola)
Sì, molte. Cose che ho già nella testa e cose (spero) che arriveranno da sole. Non sono il tipo che progetta troppo, né tantomeno sono uno che decide con chi suonare. La maggior parte degli incontri importanti sono sempre frutto di una casualità, forse prevista, e mi piace credere che debba essere ancora così. Sia sulla scelta dei compagni di viaggio che sui progetti.
Per molto tempo ho detto che avevo in testa un progetto sulla musica barocca ma, per una serie di motivi, non riuscivo mai a realizzarlo. Ora “Barocco in Pispisi”, incentrato sulla musica della compositrice veneziana Barbara Strozzi, si è finalmente realizzato. I sogni nel cassetto restano comunque molti e non mi forzo più di tanto…

Il jazz è tradizione e creazione. In quale proporzione per Paolo Fresu?
(
September Moon)
50/50. Credo che il jazz sia tutte e due le cose. Rispetto per la tradizione, senza la quale non ci sarebbe la conoscenza e la coscienza, e creazione e innovazione che, nel jazz, sono fondamentali per dare un senso a questa musica.
Sempre di più infatti si tenta di individuare una nuova parola che possa sostituire il jazz. Per me questa è l’improvvisazione e la capacità di mettersi in gioco, ogni giorno. Questo è il jazz e questo gli garantisce un futuro: “creare” significa suonarlo concretamente.

Conoscendo il grande talento e amore per la musica Jazz nonché la sensibilità come persona, come rappresenteresti in un’altra forma d’arte questa tua dote?
(
Giovanni Carboni)
La fotografia. Ha lo stesso mood e lo stesso colore del jazz, ma senza suono… Soprattutto quella in bianco e nero degli anni cinquanta. Un po’ come il cinema, racconta il jazz con un cromatismo forte e ricco. Potrebbe sembrare una contraddizione se pensiamo all’assenza di colore ma, i grandi fotografi del passato, erano quelli che raccontavano al meglio la ricchezza dei volti e dei luoghi. Anche quella del jazz con i suoni immaginati…

Cosa è cambiato, in te e nella tua musica, dopo l’esperienza dei 50 anni “suonati”?
(
Patrizia Meloni)
Il numero. Da 50 a 51! A parte gli scherzi ho sempre detto che a cinquant’anni non cambia niente ma si modifica la percezione della realtà in relazione a ciò che si fa.
La mattina del 10 febbraio del 2011, giorno del mio cinquantesimo compleanno, fu pubblicato un mio pezzo sulla Nuova Sardegna e che io avevo pensato di intitolare “50 anni di non bilanci”.
In quell’articolo scrivo che non me li sento addosso e che niente cambia. Solo che il nuovo compito sarà molto più difficile e complesso: sarà quello di mettere la musica al servizio della vita per provare nel mio piccolo a migliorarla, utilizzando lo strumento che meglio conosco, il suono.
In realtà dopo la folle esperienza di “50” dello scorso anno mi sono reso conto che qualcosa è cambiato. In questo 2012 sono stato male due volte e tutti mi dicevano “guarda che hai cinquant’anni…”.
Chissà che non siano gli altri a vedere (e decidere) a che punto siamo e quanti anni abbiamo…

 

Una location all’aperto, l’aria frizzante che di sera ti accarezza le spalle, una birra ghiacciata o un cocktail dai sapori tropicali ed è già estate: e se in questa ricostruzione virtuale delle vostre serate più calde manca qualcosa, non può che essere la musica, rigorosamente live.
La bella stagione porta infatti con sé decine e decine di eventi rock, jazz, classica, pop che, gustati sotto le stelle, acquistano tutto un altro sapore.
Tafter ve ne propone 5, dislocati in tutta Italia.

Heineken Jammin’ Festival: dopo essere partito da Imola nel 1998 ed essere sbarcato poi a Mestre dal 2007 al 2011, quest’anno la più importante 3 giorni rock si terrà a Milano, presso la Fiera di Rho.
L’edizione 2012, che si terrà dal 5 al 7 luglio vedrà come protagonisti:
5 Luglio: red hot chilli peppers, Noel Gallagher’s high flying birds, Pitbull ed Enter Shiraki
6 luglio: The Prodigy, Chase and Status, Evanescence, Lost Prophets, Seether, Gorillaz Sound System
7 luglio: The Cure, New Order, Crystal Castels, The Parlotones, Il Cile, Audrey Napoleon.
Il biglietto per una giornata costa circa 63 euro, mentre l’abbonamento alle 3 serate 172 euro.
Questo il sito ufficiale della manifestazione

Postepay Rock in Roma: storica rassegna della capitale che si tiene all’Ippodromo delle Capannelle, Rock in Roma conferma la sua vena internazionale con ospiti di tutto riguardo che dal 7 giugno fino al 2 agosto cavalcheranno il palco all’aperto di Via Appia Nuova.
25 giugno 2012: Incubus
26 giugno 2012: Cypress Hill & Everlast
27 giugno 2012: Portishead
30 giugno 2012: Radiohead
02 luglio 2012: Deadmau5
03 luglio 2012: Snoop Dogg
05 luglio 2012: Negrita
07 luglio 2012: Boys Noize
08 luglio 2012: Justice
09 luglio 2012: The Cure
10 luglio 2012: Ray Manzarek and Robby Krieger
11 luglio 2012: J Ax – Rock in Roma 2012
12 luglio 2012: Garbage
13 luglio 2012: Armin Van Buuren
16 luglio 2012: Nina Zilli
17 luglio 2012: Lenny Kravitz
18 luglio 2012: Kasabian
19 luglio 2012: Elio e Le Storie Tese
20 luglio 2012: Caparezza
22 luglio 2012: Goran Bregovic
23 luglio 2012: Ben Harper
26 luglio 2012: Beach Boys
27 luglio 2012: Simple Minds
28 luglio 2012: Litfiba
30 luglio 2012: Sonata Arctica
02 agosto 2012: Placebo

Il sito ufficiale dell’evento è www.rockinroma.com

Musica sotto la Torre: torna dal 22 giugno all’11 luglio 2012 nel chiostro del Museo dell’Opera del Duomo di Pisa, l’atteso appuntamento con Musica sotto la torre, per sei serate di musica classica e jazz.
La rassegna si apre venerdì 22 giugno con l’Italian Melodies in Jazz, quartetto Jazz di recente formazione. La serata di lunedì 25 giugno, invece, è dedicata alla classica, con musiche di G. Fauré e J. Brahms eseguite dal pianista pisano Maurizio Baglini, salutato dalla critica di tutto il mondo come uno dei più sorprendenti talenti pianistici della sua generazione. Baglini sarà accompagnato dal violino Amanda Favier, dalla viola Lorenzo Corti e dal violoncello Silvia Chiesa.
Giovedì 28 giugno i solisti dell’Orchestra da camera “Luigi Boccherini” eseguiranno musiche di W.A Mozart. Lunedì 2 luglio spazio al jazz con “Moderne Stravaganze – Progetto Bach”, Antonino Puliafito al violoncello e Rudy Fantin al Pianoforte e Fender Rhodes reinterpretano in chiave jazz le prime tre suite per violoncello solo di J. Sebastian Bach.
Si torna alla musica classica il 5 luglio con musiche di W. A. Mozart eseguite dall’Ensemble L’Etoile. La serata fa parte del Progetto Divertimenti di Mozart, intrapreso già nell’edizione 2010. Un genere quello dei Divertimenti che racconta di una convivialità, di un comune sentire tra chi fa e chi ascolta musica. Il Divertimento conosce una diffusione europea come un genere di composizione privo di una precisa forma prestabilita, caratterizzato da una piacevolezza melodica, adatta a feste, occasioni d’incontro e di svago, nei giardini, nei primi caffè settecenteschi, nelle piazze.
Ultima serata in programma, l’11 luglio, con la Waves Orchestra, l’ensemble di ben undici elementi diretta dal fiorentino Franco Santarnecchi, noto ai più per le sue collaborazioni pop a fianco di Jovanotti ed Elisa.
I biglietti costano 12 euro, al sito ufficiale le prevendite

Pescara Jazz 2012: Nata nel 1969, Pescara Jazz festival è stato il primo festival estivo italiano dedicato al jazz, diventando, al tempo, la capofila di una serie di iniziative in tutto il territorio nazionale ed è una delle manifestazioni jazz più importanti in Europa.
Quest’anno il festival si terrà dal 5 luglio al 3 agosto e vedrà alternarsi grandi ospiti come:

giovedì  5 luglio 2012 – TEATRO D`ANNUNZIO  ORE 21.30
CHICK COREA & STEFANO BOLLANI

lunedì 9 luglio 2012 – AURUM  ORE 21.30
GIANLUCA ESPOSITO QUINTET FEAT. MAURIZIO GIAMMARCO

martedì 10 luglio 2012 – AURUM  ORE 21.30
MARIO ROMANO QUARTET feat. PAT LA BARBERA

mercoledì 11 luglio 2012 – AURUM  ORE 21.30
TONY PANCELLA QUINTET

giovedì 12 luglio 2012 – AURUM  ORE 21.30
ALAIN CARON QUARTET

venerdì 13 luglio 2012 – TEATRO D`ANNUNZIO  ORE 21.30
– AL DI MEOLA WORLD SINFONIA feat. GONZALO RUBALCABA
– ROBERTA GAMBARINI QUARTET

sabato 14 luglio 2012 – TEATRO D`ANNUNZIO  ORE 21.30
– MOSTLY MONK. AN EVENING WITH 4 PIANOS. Kenny Barron, Mulgrew Miller, Benny Green, Eric Reed.
– JOE LOVANO AND DAVE DOUGLAS QUINTET SOUND PRINTS Featuring Lawrence Fields, Jame Genus and Joey Baron

domenica 15 luglio 2012 – TEATRO D`ANNUNZIO  ORE 21.30
– ENRICO RAVA WE WANT MICHAEL
– WAYNE SHORTER QUARTET

venerdì 3 agosto 2012 – TEATRO D`ANNUNZIO  ORE 21.30
PAOLO CONTE
Il sito ufficiale è www.pescarajazz.com

Neapolis Festival: trasferitosi quest’anno a Giffoni in provincia di Salerno per unire le sue forze con quelle del rinomato Giffoni Film Festival il Neapolis conferma, anche per il 2012 la sua volontà di mixare ospiti internazionali e celebri in tutto il mondo con personalità indipendenti da scoprire.
Si comincia il 14 luglio, questo il programma

14 Luglio
BRADIPOS IV + dj set cinematico
ingresso gratuito – inizio ore 21.30
15 Luglio
PINO DANIELE
ingresso € 15 + d.p. – inizio ore 22.00
16 LUGLIO
GIARDINI DI MIRO’ + TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI
ingresso gratuito – inizio ore 21.30
17 LUGLIO
CAPAREZZA + CAPONE & BUNGTBANGT
ingresso € 15 + d.p. – inizio ore 21.30
18 LUGLIO
DINOSAUR JR. + IL TEATRO DEGLI ORRORI + AZARI&III
+ 2 gruppi selezionati dal contest Destinazione Neapolis
ingresso € 25 +d.p. – inizio ore 18.00
19 LUGLIO
PATTI SMITH + JOAN AS POLICE WOMAN + IS TROPICAL + I USED TO BE A SPARROW
+ 2 gruppi selezionati dal contest Destinazione Neapolis
ingresso € 25 +d.p. – inizio ore 18.00
20 LUGLIO
CLUB DOGO +
…A TOYS ORCHESTRA + EPO + YES DADDY YES
ingresso gratuito – inizio ore 21.30

Prevendite al sito ufficiale www.neapolis.it

 

Vista da fuori, l’iniziativa può dare l’idea di un colpo di reni in un momento così difficile, sia economicamente che culturalmente, di una città che negli ultimi anni ha fatto della cultura una chiave di lettura alternativa a quella della città-fabbrica. Tuttavia il progetto, fortemente voluto sia dal Sindaco Fassino che dall’Assessore Braccialarghe, ha da subito generato un certo malcontento nell’ambiente culturale torinese che, messo a dura prova dai tagli, non ha mancato di mettere in luci i molti punti deboli della nuova operazione: dalla scelta della direzione artistica, affidata all’eccentrico Dario Salvatori, alle date, lontane da quelle di altri festival coi quali sarebbe stato possibile creare delle sinergie; dal cast, ritenuto poco coerente, alle tempistiche della comunicazione; dalla definizione delle location, che a differenza delle premesse elettorali sono state scelte tutte in centro, al budget complessivo, vicino a 900 mila euro.

Queste osservazioni, che talvolta hanno preso la forma di un’aperta contrapposizione, fanno emergere almeno due questioni metodologiche: il ruolo e gli obiettivi degli assessorati alla cultura; i limiti e i metodi di valutazione dei loro interventi.

Proveremo ad argomentare questi due temi usando il TJF come “casus”, ma bisogna fare una premessa. Le deleghe degli assessorati comunali sono molto spesso composte in base alle competenze degli assessori e alle necessità emerse in fase elettorale. Quindi si possono trovare assessorati alla cultura e turismo, cultura e gioventù o cultura e sport. è facile intuire che tali fluttuazioni delle deleghe spostano notevolmente il senso delle scelte, ovvero della spesa corrente e degli investimenti.

Nella Giunta precedente, guidata da Sergio Chiamparino, l’Assessore alla Cultura della Città aveva deleghe sui giovani, ma non sul turismo, che invece era in capo al commercio. Oggi cultura e turismo sono gestite da Maurizio Braccialarghe, che subito dopo la nomina ad assessore ha iniziato a parlare di palinsesto culturale, mutuando l’espressione dal settore televisivo dal quale proviene, come dirigente RAI. In questa logica il TJF riempie una casella altrimenti vuota del calendario eventi di Torino; un calendario (o palinsesto) che punta ad aumentare i flussi turistici. L’obiettivo è condivisibile, ma ci porta al primo punto in analisi: il ruolo e gli obiettivi di un assessorato alla cultura.

Pur ammettendo che la cultura possa essere una leva per il turismo, bisogna definire il tipo di lavoro che s’intende organizzare per attrarre i turisti: la valorizzazione dei beni? I grandi eventi? Una rete di piccole attività dal basso? La risposta è facile: tutte queste cose e altre ancora, ma con quali risorse?

In una Città come Torino, in cui operano decine di organizzatori, se l’Assessorato alla Cultura invece di attuare delle policy in grado di attivare le risorse umane e materiali di agenzie private e partecipate, di associazioni e collettivi, inizia a porsi come player, determina almeno due effetti “negativi”: l’aumento dei costi per l’amministrazione e una forma di concorrenza sleale.

Gli assessorati alla cultura hanno oggi il compito di individuare gli obiettivi e di strutturare delle strategie capaci di raggiungerli, nel rispetto di una lunga e variegata lista di vincoli – economici, sociali, ambientali ovvero politici nel senso lato del termine – ma non spetta a loro raggiungerli, bensì agli attori del territorio.

Venendo alla seconda questione, possiamo dire che la valutazione dell’operato di un assessorato può passare solo dalla qualità dell’azione intrapresa, in altre parole dalla domanda: la strategia ha portato al raggiungimento degli obiettivi? Questi possono essere strettamente numerici, se per esempio si tratta quantificarne la ricaduta sul turismo, o “morali” se consideriamo la partecipazioni delle fasce più deboli della popolazione o la qualità della vita della comunità nel suo insieme.

Va detto però che nessuna strategia culturale, messa in campo oggi dagli Enti pubblici, può esimersi dall’essere “d’uscita”: è chiaro infatti che sarà sempre più a carico dei privati la sostenibilità di beni e attività culturali. Per questa ragione la credibilità dei progetti – tanto più quelli nuovi – è vincolata al “tetto” sia economico che temporale che l’organizzatore fissa. Ma se organizzatore e finanziatore coincidono, come nel caso del TJF, non sussiste la possibilità dell’uscita.

In chiusura si può azzardare il parallelo tra il ruolo rivestito dall’allenatore di una squadra sportiva e quello di un assessore alla cultura. Entrambi sono tenuti a coordinare le azioni senza scendere in campo, facendosi carico del risultato finale delle singole partite e dell’intero campionato. E se anche nessuno vieta che l’allenato sia anche giocatore, quando ciò accade significa che la strategia è venuta meno.

Se l’Italia è internazionalmente riconosciuta per la moda e lo stile, la cucina e i tesori d’arte arrivati fino a noi, lo è assai meno per la sua produzione contemporanea, per ragioni che vanno dalla ridotta diffusione della lingua, alla mancanza di importanti distributori italiani sul mercato mondiale. Questo non significa che i nostri libri, dischi o opere d’arte non trovino spazio nelle biblioteche, nei negozi e nelle gallerie straniere, ma quando accade è il risultato di logiche di volta in volta diverse e non di un “grande progetto” commerciale o culturale.
E allora può succedere che ad una bancarella alla periferia di Mosca l’occhio vi cada su una fila di musicassette di Toto Cutugno, di venire a sapere che migliaia di persone hanno assistito al djset dei Crookers a Sydney, di scorrere il sito del festival Bonnaroo in Tennessee e leggere del live di Jovanotti; e ancora del Concerto Grosso dei New Trolls in Corea e delle edizioni giapponesi dei dischi piano solo di Bollani. Si potrebbe andare avanti con altre decine di esempi, senza distinzione di genere musicale, prestigio dell’artista o destinazione.
Da cosa dipendono questi “incroci musical-geografici”? Principalmente da due dinamiche: da una parte, la tensione esterofila dell’artista, dal’altra, l’attenzione di alcuni operatori stranieri.
Al primo caso appartengono buona parte dei musicisti della scena elettronica, come Bloody Beetroots, le cui produzioni entrano nelle colonne sonore di CSI Miami, o Benny Benassi, che nel 2008 apre il concerto di Madonna all’Olimpico di Roma; ma anche band come i Lacuna Coil, che con l’album Comalies entrano nella Top 200 di Billboard, o i My cat is an alien, duo torinese adottato artisticamente dai Sonic Youth fin dal 1998. Se poi si vira al femminile gli esempi sono Chiara Civello e Roberta Gambarini: rispettivamente da Roma e Torino, approdate a New York per formarsi, prima, e affermarsi, poi, in ambito jazz. E sempre a questo modus appartengono i musicisti classici, ovvero i professori d’orchestra impegnati in filarmoniche, teatri e accademie di tutto il mondo.
Al secondo caso appartengono le “voci” nostrane: da Eros Ramazzotti, che tra il 2009 e il 2010 ha totalizzato oltre cinquanta date nei cinque continenti, a Tiziano Ferro e Laura Pausini, che grazie alle edizioni spagnole dei loro album, sono diventati delle star “di casa” in Sud America. Caso a sé l’Orchestra Italiana di Arbore, capace di chiudere, a suon di musica napoletana, quarantotto soldout nel tour in Cina del 2007.
A spingere le due dinamiche interviene anche un fattore stilistico. È facile intuire che quanti trovano la propria dimensione artistica in generi come il rock più estremo, il jazz, la classica o l’elettronica, entri immediatamente in contatto con forme e tradizioni che hanno casa oltre le Alpi. Quindi, per migliorare la tecnica e trovare spazio sul mercato o nei programmi dei festival, gli artisti sanno di doversi spendere presto all’estero. Al contrario chi tiene il filo della tradizione, fatta di melodia e lingua italiana e tuttalpiù di alcune forme dialettali, verrà chiamato all’estero dai compatrioti emigrati, le cui comunità possono raggiungere migliaia di persone, o appassionati dello stile e della lingua di Dante e dintorni.
Naturalmente questa panoramica conferma alcune tendenze nazionali, ma certo rivela anche delle sorprese. Così artisti capaci di riempire stadi e palazzetti, solo di rado fanno capolino al di là dell’Italia e quasi sempre per operazioni promozionali: Vasco Rossi, su tutti.
La dimensione globalizzata contemporanea e lo strapotere delle major discografiche fa sì che alcuni prodotti musicali si trovino a qualunque latitudine, ma anche in questo l’Italia è, nel bene e nel male, un’outsider. E allora se passando da Bruxelles, il centro fisico e politico dell’Europa Unita, notate un manifesto di Nino D’Angelo, saprete che c’è ancora spazio per la nostra musica.