Monti&Taft è lieta di presentare in tre appuntamenti a Milano, Venezia e Roma, il libro “Italia. Brand e Destinazione” a cura di Stefano Monti, prefazione di Andrea Pugliese, testi di Marco Bernabè, Alfonso Casalini, Rossella Marchese, Ginevra Stuto (grauseditore 2014).

 

La presentazione verrà introdotta e moderata da Stefano Monti, Economista e partner di Monti&Taft e vedrà il coinvolgimento di ospiti e relatori diversi per ogni città.

A Milano saranno ospiti all’incontro Arturo Aletti, consulente e esperto di Shopping & Tourism e Alvise De Sanctis, responsabile comunicazione di Expo in Città.

L’incontro di Venezia prevede la partecipazione di Federica Preto, Direttore artistico di Arte Artigiana e di Filiberto Zovico, Editor di Venezie Post. Saranno presenti gli autori.

Roma l’appuntamento sarà venerdì 20 marzo alla manifestazione “Fare Turismo“. Parteciperanno Michele Trimarchi, Economista della Cultura,  Marco Bernabè, Responsabile dell’area Turismo della Monti&Taft, Ginevra Stuto, Ricercatrice in Gestione, Turismo e Territorio.

 

Italia. Brand e destinazione” è una guida italiana a guardare lontano, sollevando confronti. Il testo ha l’obiettivo di tracciare un quadro sintetico del contesto turistico nel nostro Paese, focalizzandosi sulle problematiche principali e sulle potenzialità più interessanti del sistema Italia.

 

Problemi infrastrutturali, arretratezza tecnologica, mentalità arretrata e spesso errata, incapacità di fare rete: il volume affronta con vari esempi, analisi ed interviste ad esperti ciascuna di queste criticità. Quasi ogni paragrafo è accompagnato dal punto di vista di un addetto ai lavori: si va dal responsabile commerciale di Lonely Planet ad un addetto commerciale del CitySightSeeing, passando per un professore di geografia ed esperto di bandistica europea come A.P.Russo, non mancano interviste delle figure chiave del BTO o di Future Brand, del TTG o di Booking Blog.

 

Tuttavia L’Italia rimane il Paese turistico per eccellenza e ha tutte le risorse per costruire una propria rinascita, grazie agli strumenti offerti dal web, grazie ad un nuovo brand, tutto “made in Italy”, frutto della presa di coscienza dello scenario turistico mondiale.

 

In volume è incentrato sul ruolo dell’e-commerce turistico e delle narrazioni on line, su un’analisi di marketing del brand Italia anche in relazione al più ampio “made in Italy”, tra EXPO2015 e Capitali della Cultura.

 

 

Date e Appuntamenti

Mercoledì 11 Febbraio ore 18.00 Open Care – Friforiferi Milanesi, Via Giovanni Battista Piranesi, 10, 20137 Milano Come arrivare

Mercoledì 4 Marzo ore 17.30 IED Venezia – Palazzo Franchetti, Campo Santo Stefano, S. Marco, 2842, 30124 Venezia  Mappa

Venerdì 20 Marzo ore 17.00 Fare Turismo Italia – Il Salone delle Fontane – EUR Via Ciro il Grande 10/12 – 00144 Roma Come arrivare

 

Contatti  +39 051225565 info@monti-taft.org   referente Gizela Lahi     Prenotazione gratuita qui 

Monti Taft, Open Care, Frigoriferi milanesi, ied venezia, fareturismo

 

paesaggioeccellenzaintervistaIn un momento difficile come questo per le imprese italiane, ci sono notizie che aiutano a sperare. L’Associazione “Il Paesaggio dell’Eccellenza” ha infatti ricevuto il prestigioso Premio Internazionale sullo Sviluppo Locale. La consegna del riconoscimento è avvenuta lo scorso 4 ottobre a Cluses, il più famoso distretto industriale francese.
Questa realtà marchigiana e italiana è stata premiata per la capacità di coinvolgere aziende diverse su temi di interesse generale, riservando grande attenzione per la preservazione del paesaggio, la tutela di prodotti di qualità e la valorizzazione del lavoro. Il Paesaggio dell’Eccellenza è inoltre da sempre impegnato a conservare quella memoria storica delle imprese e delle competenze professionali che hanno fatto del Made in Italy un valore riconosciuto in tutto il mondo.

Abbiamo voluto saperne di più dell’attività di questa associazione culturale, rivolgendo qualche domanda al direttore Alessandro Carlorosi.

 

Quando e come nasce l’Associazione “Il Paesaggio dell’Eccellenza”?
L’Associazione “Il Paesaggio dell’Eccellenza” nasce da un’ipotesi progettuale partita nel 2003 su proposta del gruppo FIMAG iniziative Guzzini, che ha istituito un comitato promotore cui hanno aderito il Comune di Recanati, l’Università di Camerino e lo Studio Conti.
Dal comitato promotore è stato elaborato un documento progettuale per la costituzioni di un Centro Studi e documentazione della realtà produttiva del distretto recanatese. Successivamente sono state coinvolte altre importanti imprese del territorio, delle vallate del Potenza e del Musone, distretto a cavallo tra le province di Macerata e Ancona a forte vocazione multisettoriale, che hanno deciso di aderire a questo progetto culturale.
Nel 2005 si è deciso di istituire questa associazione no profit. Aderirono circa 20 imprese ed alcuni enti locali, come appunto l’Università di Camerino, il Comune di Recanati, la Camera di Commercio di Macerata, formando un fronte comune estremamente eterogeneo, ma motivato nel raggiungere le finalità del Paesaggio dell’Eccellenza.

 

Quali le finalità che l’Associazione si è posta? Con quali risultati fino ad ora?
Le finalità sono quelle di perseguire scopi culturali, di promozione e valorizzazione del patrimonio industriale ed artigianale, inteso come complesso di tradizioni ed esperienze innovative, in riferimento a tecniche, tecnologie, attività della produzione, professioni, uomini e imprese. Più in generale ci impegniamo nella conservazione, valorizzazione e promozione della cultura di impresa e del paesaggio marchigiano quale elemento coesivo.
E’ stato fondamentale fare una prima consultazione con tutti gli imprenditori associati, ascoltandoli uno ad uno, cercando una via comune sulla quale abbiamo cominciato a lavorare.
La necessità primaria è stata quella di avviare rapporti con le scuole e i giovani, coinvolgendo gli istituti locali e gli stessi docenti su questi temi. Il risultato è stato quello di avvicinare, con attività concrete, l’impresa alla scuola.
Iniziative, eventi e attività hanno invece portato alla costituzione del museo del patrimonio industriale, uno tra i primi obiettivi posti nel progetto, creando in questo modo un luogo fisico per far conoscere questo patrimonio e queste storie.
Sul fronte iniziative è interessante ricordare le partecipazioni annuali alla Settimana della Cultura d’Impresa promossa da Confindustria e organizzata da Museimpresa. In queste occasioni abbiamo portato, spesso nelle Università del territorio, delle iniziative mirate a trasferire esperienze locali e nazionali, sui temi legati al lavoro e alla cultura d’impresa, invitando ad esempio importanti professionisti del settore.
Alla costituzione del museo ha contribuito anche tutto il lavoro di raccolta della documentazione che è avvenuto a seguito della realizzazione di eventi o iniziative mirate, come l’organizzazione del concorso fotografico “Paesaggi del Lavoro”. Il contest ha permesso a molti fotografi di entrare nelle imprese e raccontare i luoghi del lavoro e analizzare il rapporto tra architettura industriale e paesaggio, costituendo così un fondo di circa 500 immagini di grande valore documentativo.
Il Museo, denominato Centro Studi Il Paesaggio dell’Eccellenza, ha trovato sede stabile nel giugno del 2010 presso la Galleria Civica Guzzini a Recanati e ospita un’area permanente che racconta l’Associazione e uno spazio dove si alternano esposizioni e iniziative organizzate dall’Associazione o in alcuni casi dalle imprese associate.

 

Cosa ha significato vincere il Premio Internazionale di Sviluppo Locale?
Sicuramente è stata una grande soddisfazione per il lavoro svolto in questi anni, cominciato da zero, attraverso cui si è potuto creare un qualcosa che non esisteva nel nostro territorio. Grande soddisfazione anche per le imprese e gli enti associati, che hanno investito tempo e denaro in un progetto culturale che sta dando frutti soddisfacenti, iniziando ad essere considerato a livello nazionale ed internazionale per la sua capacità di aver messo insieme aziende eterogenee, sia in dimensioni che in produzione, con istituzioni pubbliche.
Nel contesto del Premio Internazionale di Sviluppo Locale abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con altre case history, a livello internazionale, provenienti ad esempio da Tunisia, Argentina, Marocco e altri progetti simili in altri Paesi.

 

In che modo l’Associazione si impegna nel sostenere le imprese del territorio, molte delle quali colpite dalla crisi?
Il ruolo dell’Associazione è quello di lavorare su un piano differente da quello del business e di profitto economico delle aziende. Vogliamo fornire un terreno comune, quello della cultura, in cui identificarsi e poter partire, creando una nuova occasione di dialogo tra le imprese, associate e non, e soprattutto tra le aziende e le istituzioni pubbliche per dare una solida base alla crescita futura delle comunità.

 

Quello dell’Associazione rappresenta un modo per far rete?
Attraverso il nostro progetto, negli incontri associativi, sono nate opportunità per le imprese, come commissioni di lavori sul territorio, che contribuiscono al miglioramento del paesaggio e dei centri storici, o addirittura il semplice incontro tra imprenditori durante un evento o una riunione, hanno avviato strategie comuni in campo economico. C’è un bilancio sociale, ma anche risultati in termini di possibilità di collaborazioni tra le imprese, che sono state poi proseguite sul piano commerciale autonomamente.
Ovviamente la rete è nata e prosegue con il principale intento di lavorare sul terreno della Cultura d’Impresa a favore del territorio con tante iniziative in cantiere o da avviare.

 

Quale collocazione ritiene avranno le imprese marchigiane e italiane nel prossimo futuro, anche in considerazione della concorrenza estera?
A mio avviso hanno tutti i numeri sul piano industriale e del lavoro per competere; hanno meno numeri sul piano burocratico, creditizio e in termini di politiche industriali del nostro Paese. Molto spesso, per tali motivazioni, ascoltiamo imprenditori con progetti interessanti che trovano però difficoltà a realizzarli nel contesto nazionale. Le nostre imprese possiedono però tutte le caratteristiche per vincere la crisi e la concorrenza estera.
Nello specifico, le aziende marchigiane puntano ad un ritorno sulla produzione, non dei grandi numeri, ma dall’elevata qualità. In questo caso l’associazionismo può essere utile per esportare l’idea di fronte unito.
In questo momento lo scenario economico vede venir meno l’esternalizzazione di alcune fasi produttive per gli elevati costi, soprattutto nel controllo, nella gestione e nel trasporto dei beni, che rischiano di far uscire i prodotti dal prezzo di mercato.
Le imprese del nostro distretto hanno la straordinaria capacità di ideare e realizzare i loro prodotti totalmente al loro interno, in una filiera estremamente corta che garantisce l’elevata qualità del prodotto e la capacità di creare ricchezza economica e sociale sul territorio.

 

Si tornerà dunque a produrre interamente in Italia?
Questo non so dirlo. Ma posso assicurare che esistono molte imprese nella Marche, è bene dirlo, che vantano 50, 100 anni di esperienza. Hanno dunque produzioni totalmente interne, poiché in questi anni si è creata una competenza molto alta e specializzata, e anche la tecnologia è all’avanguardia, grazie agli investimenti fatti nel tempo.
Ci sono dunque le possibilità per affermarci e farci ancora valere.

 

 

 

Associati de “Il Paesaggio dell’Eccellenza”

Acrilux – Banca di Credito Cooperativo di Recanati e Colmurano – Brandoni – Campetella Robotic Center – Castagnari Organetti – Clementoni – Fbt elettronica – Garofoli Vini – Pigini Fisarmoniche – Rainbow – Soema – Studio Conti – Valenti&Co.

Gruppo Guzzini: Fratelli Guzzini – Gitronica – iGuzzini illuminazione – Teuco

Gruppo Garofoli: Garofoli Porte – Gidea

Gruppo Pigini: Eko Music Group – Eli edizioni – Rotopress International – Tecnostampa

Gruppo Somi: Somidesign – Somipress

 

Soci onorari

Comune di Recanati – Fondazione ITS Recanati – ITIS “E. Mattei” Recanati – Università di Camerino

 

 

colquaIl 18 luglio scorso è stato annunciato l’accordo che sancisce la concessione d’uso del Palazzo della Civiltà Italiana, per 15 anni, a Fendi, società che oggi fa capo al gruppo francese LVMH. A promuoverlo è stata EUR S.p.a., l’azienda pubblico-privata che rappresenta l’evoluzione di quello che era l’Ente EUR, fondato nel 1936 in qualità di Ente Autonomo per l’Esposizione Universale di Roma del 1942.

La storia ha poi voluto che quell’anno l’Italia, l’Europa e il mondo si trovassero a combattere la Seconda Guerra Mondiale. L’esposizione non si è mai tenuta e con lei le celebrazioni del ventennio fascista; ma l’EUR, il quartiere sorto a sud di Roma, deve molto ad entrambe.
Oggi ribattezzato quartiere Europa, è stato progettato negli anni Trenta in vista del grande evento, voluto da Benito Mussolini in persona, per celebrare i vent’anni della marcia su Roma. Da sempre ha voluto rappresentare l’espansione della Capitale verso il mare.
Costruito sul modello dell’urbanistica classica romana, reinterpretata secondo l’ideologia fascista e il Razionalismo Italiano, quello che viene oggi considerato il business district della città di Roma è costellato di edifici monumentali, massicci e squadrati, in marmo bianco e travertino, dal forte valore simbolico. L’EUR è un complesso architettonico ed urbanistico denso di significato, di storia, di cultura, pensato sin dagli esordi per essere più di semplice materia, per costituire viva testimonianza di una parte del nostro passato.

L’edificio che più di ogni altro simboleggia l’operazione condotta e il modello architettonico e culturale secondo cui questa è stata sviluppata è proprio il Palazzo della Civiltà, noto anche come Colosseo Quadrato per la presenza degli archi sulle sue quattro facciate. Progettato da Giovanni Guerrini, Ernesto Lapadula e Mario Romano è una struttura dal grande eco storico e politico, densa di simbologia e significati allegorici: dall’incisione che vuole raccontare l’italianità, alle statue narranti le virtù del popolo italiano, alla scelta del travertino che, oltre a ripristinare il legame con le tradizioni dell’Impero romano, voleva sottolineare i moti autarchici del regime, fiero di esibire la propria autosufficienza economica.

Dal punto di vista amministrativo il quartiere rappresenta, a tutti gli effetti, un’anomalia. A governare il patrimonio di palazzi, musei, strade e parchi naturali, lasciati in eredità dall’ente originariamente fondato per l’esposizione del 1942, è dal 2000 EUR S.p.a., una società controllata al 90% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e per il restante 10% dal Comune di Roma.
Tale soggetto è stato creato per gestire e valorizzare il patrimonio mobiliare e immobiliare di sua proprietà, ma negli ultimi anni si è rivelato particolarmente interessato alla sua messa a reddito, perseguita tanto con l’affitto di spazi ed intere strutture, quanto con attività inerenti lo sviluppo immobiliare, l’energia e i servizi in genere.

EUR S.p.a. rappresenta a tutti gli effetti la privatizzazione di una porzione di territorio, un soggetto giuridico fuori dagli schemi che, sfruttando la forza patrimoniale dei beni che dovrebbe gestire e valorizzare e la protezione politica ed istituzionale che deriva dalla sua natura ibrida, s’impegna in forti indebitamenti e porta avanti operazioni d’investimento secondo logiche d’interesse non sempre trasparenti.
Non estranea alle critiche, la società è stata di recente portata all’attenzione dei media per l’accusa di corruzione rivolta a Riccardo Mancini, ex AD, per le assunzioni e i favoritismi in pieno stile Parentopoli e per la magistrale bravura nell’innescare giochi di scatole cinesi fra società connesse e controllate.

L’ultima operazione controversa riguarda proprio il Colosseo Quadrato, il cui uso è stato dato in concessione a Fendi per 15 anni, alla cifra apparentemente esorbitante di 2.800.000 euro annui. La griffe vuole fare della struttura il proprio headquarter, adibendo il piano terra a contenitore per un’esposizione dedicata al Made in Italy e alla creatività italiana. La società ha dichiarato di aver scelto l’edificio per valorizzare il suo legame con l’italianità e la città di Roma.
Peccato però che dal 1999 il marchio sia stato sapientemente acquisito da Patrizio Bertelli e Bernard Arnault, quest’ultimo – particolarmente interessato ai brand del Made in Italy – è proprietario del colosso francese LVMH, che controlla circa una sessantina di marchi nei settori moda e lusso, e che nel 2012 ha registrato un fatturato di 28 miliardi di euro.

Le multinazionali straniere iniziano così a farsi strada verso la nostra più grande ricchezza, il patrimonio culturale, nella cui gestione continuiamo a mostrare debolezza e mancanza di prospettive. Non c’era un modo migliore di intervenire sul Palazzo della Civiltà Italiana se non quello di darlo in concessione ad un colosso internazionale della moda? Siamo sicuri che procedendo in questo modo EUR S.p.a. possa dire di perseguire l’obbiettivo per cui è stata creata, ovvero la gestione e la valorizzazione del patrimonio affidatole?

Non la pensa così Umberto Croppi, che sulla questione ha molto da dire. Direttore generale della Fondazione Valore Italiana, in un recente intervento su Repubblica ha chiamato in causa la legge 24 dicembre 2003 n. 350, con la quale è stata istituita l’Esposizione Permanente del Design Italiano e del Made in Italy, la cui gestione è stata affidata proprio alla Fondazione Valore Italia in seguito ad una convenzione sottoscritta in data 28.05.2009 dal Ministero dello Sviluppo Economico, dal Ministero dei Beni Culturali e da EUR S.p.a.
Ebbene sì, l’esposizione avrebbe dovuto avere sede proprio nel quartiere sud ovest della Capitale, all’interno del Colosseo Quadrato.

La struttura, infatti, più volte era stata destinataria di investimenti pubblici, sia da parte del Mibac, che spese 16 milioni di euro per interventi di consolidamento e restauro quando si pensava di farne il Museo dell’Audiovisivo, che da parte della società partecipata. L’obbiettivo era farne una struttura espositiva sicura e attrezzata per ospitare attività culturali, oltre alla Discoteca di Stato.
Nel luglio 2012 anche il governo tecnico ha intuito la necessità strategica di un’iniziativa per la promozione del Made in Italy, differendo di fatto al 2014 la decisione di sopprimere la Fondazione Valore Italia, avanzata nel decreto “spending review”.

Secondo Croppi l’operazione condotta da EUR S.p.a. è di una gravità assoluta per diverse motivazioni. Innanzitutto, la convenzione sottoscritta nel 2009 è da considerarsi, di fatto, ancora in vigore e, inoltre, l’intesa è stata sottoscritta quando nella società pubblica non era ancora stato nominato uno degli organi – l’amministratore delegato. In aggiunta a tutto ciò, se anche le autorità competenti dovessero autorizzare tale procedura, si dovrebbe comunque procedere con un’evidenza pubblica e, oltretutto, procedendo in questi termini, l’investimento di 16 milioni di euro effettuato dal Mibac in passato costituirebbe, di fatto, un’indebita elargizione di denaro pubblico a beneficio di un privato.

C’è ancora un aspetto, però, assai difficile da capire. Croppi parla di una valutazione effettuata in data 26 ottobre 2007 dall’Agenzia del Territorio su istanza dell’Eur Spa che, a fronte dei 2.800.000 euro anni chiesti a Fendi, attribuisce alla porzione del palazzo un valore locativo di 4.680.000 euro annui. Se questi dati sono corretti, perché mai il canone richiesto alla griffe dovrebbe essere più basso? Saremo mica innanzi alla svalutazione di una delle nostre più eloquenti testimonianze di civiltà a favore di una multinazionale straniera?

Quel che è certo è che ancora una volta il management italiano della cultura ha dimostrato di vivere dell’espediente e mancare di prospettive. Che sia semplicemente un limite delle figure preposte alla gestione e alla valorizzazione del patrimonio o piuttosto la spia di una vulnerabilità che ci rende particolarmente appetibili agli occhi dei colossi internazionali?

poveraitaliaPerché si scappa dall’Italia?
Perché il nostro è un Paese che continua a non dare aspettative, perché la meritocrazia non riesce a farsi strada fra i favoritismi, perché non si riesce ad individuare gli assi strategici sui quali investire e mancano interlocutori credibili.

Il nostro Paese non realizza che è giunto il momento di mutare prospettiva e cambiare modo di pensare. Solo modificando l’angolazione da cui si guarda all’economia, la visione che si ha del mondo produttivo, saremo in grado di concentrarci sull’elaborazione di nuovi e vincenti modelli di business, con i quali rilanciare la produttività, l’occupazione e il benessere. Si continua invece a lottare per le solite gare, i soliti bandi, i soliti privilegi legati al regime dell’economia assistita, che ancora s’invoca per uscire da una crisi e un immobilismo che la stessa ha contribuito a creare.

Non si riesce ad invertire la tendenza, manca la capacità di decidere dove e quanto tagliare, dove e quanto investire. Si assiste ad un progressivo abbassamento di caratura delle personalità chiamate ad occupare i ruoli chiave del sistema Paese e lo stesso tessuto imprenditoriale rischia di cadere in errore e adottare prospettive fuorvianti, mentre è iniziata la svalutazione del nostro patrimonio culturale, economico e produttivo.

Se rimanderemo ancora il cambiamento finiremo infatti col lasciare il Paese e le sue eccellenze nelle mani dei migliori offerenti. Non è un segreto, infatti, che gli investimenti e le acquisizioni estere nel mercato italiano abbiano registrato una rapida crescita, sono ormai due anni che la colonizzazione del Made in Italy è iniziata e in pochi riescono a prevedere cosa realmente seguirà alle recenti iniezioni di capitale estero. Da Valentino a Bulgari, da Fendi a Bottega Veneta, le operazioni si sono concentrate inizialmente sul settore fashion, per estendersi poi a tutto il comparto del lusso, con gli yatch di Ferretti, acquistati dal gruppo industriale cinese Weichai, e il passaggio di Ducati ad Audi, fino a raggiungere la finanza e l’agroalimentare.

Si pensi ad Unicredit, uno dei principali gruppi bancari attivi in Italia, i cui primi tre investitori sono stranieri e la maggioranza, con il 6,5%, è detenuta dal Fondo Aabar di Abu Dhabi; si pensi a tutte quelle imprese del comparto food, da sempre fiore all’occhiello e cuore pulsante dell’italianità, che da tempo hanno iniziato la migrazione: Buitoni, Carapelli, Invernizzi, Parmalat, Perugina, Galbani, Locatelli, Cademartori sono solo alcune.

Le azioni incisive dei grandi gruppi industriali provenienti da Francia, Cina, Medio Oriente e States non stanno passando inosservate ed è forte il timore che molte di queste strategie acquisitive di patrimoni industriali, tecnologici e scientifici nazionali si risolvano unicamente in operazioni di sottrazione di know-how e svuotamento tecnologico. A pagarne le conseguenze, sul lungo periodo, sarà la competitività della nostra economia, che perderà il controllo di imprese strategiche per lo sviluppo di interi comparti. Se una volta sotto tiro vi erano i marchi storici del Made in Italy, oggi la crisi espone al rischio anche il tessuto delle PMI.

Ma a chi giova un’Italia debole?
Il patrimonio culturale ed industriale italiano, il saper fare artigianale che da sempre contraddistingue la nostra storia produttiva, le eccellenze del Made in Italy e le capacità di molti dei nostri cervelli in fuga possono costituire dei bersagli interessanti agli occhi dei grandi attori internazionali che, guardando all’incapacità della nostra classe politica e allo stallo della nostra situazione produttiva, penetrano nel mercato nazionale con rapidità e senza troppi ostacoli, a volte con intenzioni costruttive, altre meno. Le PMI italiane possono dirsi pronte ad affrontare i colossi dell’economia globalizzata?

Nel mondo contemporaneo politica ed economia sono sempre più strette in una matassa inestricabile e la globalizzazione ha scombinato ruoli, pesi ed equilibri. Il tema della sovranità è oggi per noi un tema caldo, cosa vuol dire per uno Stato essere sovrano? Può la politica contare ancora qualcosa in un mondo in cui le grandi corporation hanno utili che superano i PIL di intere nazioni? C’è chi la chiama crisi della democrazia, ma forse stiamo solo assistendo ad un’altra delle grandi epopee della storia, che vede nel capitalismo e nella finanza globale i suoi nuovi protagonisti.

In ogni economia è fisiologico che vi siano momenti di difficoltà e che le curve di crescita e decrescita si alternino. La crisi economica degli ultimi anni è un fenomeno globale, ma a distinguere il caso italiano è lo stato di perenne immobilismo che avvolge le istituzioni e gli attori, una fase di stallo che si protrae da un tempo che sembra interminabile e in relazione alla quale pare non vi siano strumenti efficaci d’intervento. Chi muove realmente le fila in questo spettacolo? Interrogarsi sulla situazione che regna oggi nel nostro Paese e sulle motivazioni che l’hanno causata presuppone di volgere lo sguardo tanto alla politica quanto all’economia, ma siamo sicuri di avere chiaro quale politica ed economia sono realmente in ballo?

 

 

In tutta Italia sono circa duemila i possedimenti di pregio, non strumentali, gestiti dal demanio storico artistico: castelli, antiche dimore gentilizie, strutture storiche dismesse, conventi inutilizzati, fari e residenze marine che, insieme, contribuiscono a creare lo straordinario patrimonio culturale del nostro Paese.
Sono strutture affascinanti e suggestive, inserite in tessuti storici e paesaggistici particolari, spesso costrette a versare in condizioni di abbandono. E’ a loro che si rivolge il progetto Valore Paese – dimore d’Italia, presentato lo scorso 10 aprile a Roma. L’agenzia del demanio e Invitalia – agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa – si uniscono per promuovere un approccio che guardi al patrimonio culturale come ad un volano per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
L’idea è quella di coinvolgere le imprese nella riqualificazione e nella valorizzazione di immobili pubblici di pregio, con l’obbiettivo di costruire un network di strutture turistico-ricettive e culturali di prima qualità, un sistema alberghiero diffuso a scala nazionale, chiaramente identificabile grazie ad un brand unico e riconoscibile, che sia capace di intercettare e accogliere i flussi di domanda più sensibili alla fruizione del patrimonio culturale.
Inutile dirlo, il modello cui si guarda è quello dei Paradores spagnoli, che non dovrà, però, essere semplicemente replicato quanto piuttosto reinterpretato e plasmato sulla ricchezza culturale dei nostri territori e le capacità del nostro sistema d’offerta. L’obbiettivo è quello di costruire un sistema che possa rappresentare una vetrina del Made in Italy, uno strumento attraverso cui promuovere e valorizzare la cultura e la tradizione italiana, dall’arte alla storia, dal paesaggio all’artigianato, dalla moda all’enogastronomia. L’offerta turistica che si vuole sviluppare all’interno di questa rete di dimore, infatti, coniugherà i servizi alberghieri con una serie di servizi culturali, costruiti con la volontà di rilanciare e comunicare l’identità del territorio.
Secondo Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, un progetto di questa portata dimostrerà la capacità dei beni pubblici di andare sul mercato e servire la valorizzazione di aree importanti del nostro Paese. Uno degli elementi caratterizzanti l’iniziativa, infatti, è la collaborazione pubblico–pubblico e pubblico-privato, in vista della quale è fondamentale mettere a sistema le competenze tecnico progettuali, economico finanziarie e giuridico amministrative, nonché l’expertise consolidata dei diversi soggetti, istituzionali e non.
In questa prima fase sono state avanzate 115 proposte di immobili, di cui 63 sono state selezionate, 28 in fase di start up e 7 già avviate. Entro la fine dell’anno verranno messi in moto i primi bandi per la concessione in uso per cinquant’anni ai privati. Gli enti pubblici locali hanno tempo fino al 31 di maggio per manifestare il proprio interesse all’iniziativa e richiedere l’inserimento dei propri immobili di pregio storico, artistico e paesaggistico nel portfolio.
Il progetto mira a promuovere tanto il recupero del patrimonio, quanto una sua conservazione attiva, e vuole avviare un percorso che integri la salvaguardia delle peculiarità storico architettoniche del bene, la valorizzazione del suo valore funzionale, la promozione dei territori e del made in Italy e lo sviluppo del sistema turistico nazionale, comparto che sarà destinato ad avere un ruolo sempre più importante nell’economia del futuro.

Per ulteriori informazioni consulta il sito

La settimana che stiamo attraversando è dedicata ad uno dei settori peculiari del made in Italy: si è aperto infatti ieri, martedì 9 aprile, per proseguire sino a domenica 14 il Salone del Mobile di Milano, evento dedicato all’arredamento e al design, giunto alla sua 52° edizione.

Ad invadere gli edifici fieristici di Rho non è una singola manifestazione bensì quattro eventi congiunti: accanto al Salone Internazionale del Mobile sono stati allestiti il Salone Internazionale del Complemento d’Arredo, le biennali Euroluce, il Salone Ufficio e il Salone Satellite.

Una settimana dedicata ad espositori, esperti del settore e pubblico, durante la quale la speranza è quella di veder ripartire i numeri del settore, oggi gravemente indeboliti dalla crisi economica. Un comparto, quello del mobile e del design italiano, che copre il 5% della produzione europea secondo i dati della Camera di Commercio di Milano Monza e Brianza: data questa eccellenza sono previsti oltre trecento mila persone che verranno da 160 paesi a visitare le 2.500 aziende in esposizione.

Un evento di importanza strategica per l’industria italiana che ha visto stamane sopraggiungere la visita del Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, il quale ha dichiarato ai microfoni dei giornalisti che la ripresa del settore passa dalla una crescita della nostra economia. Dopo essere calate del 5,6% le imprese attive nel settore tra il 2011 e il 2012, Squinzi ha parlato di una situazione drammatica che non può essere superata solo basandosi sulle esportazioni estere, le quali coprono anche il 90% del rapporti economici. Secondo il Presidente di Confindustria è necessario far ripartire al più presto anche il mercato e i consumi interni.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=XZyWEVzrHrU?rel=0]

All’interno delle aree destinate al Salone Internazionale del Mobile e al Salone del Complemento d’Arredo sono 1.440 gli espositori, divisi tra le tipologie classico, moderno e design. Protagonista della biennale Euroluce invece è l’illuminazione, elemento sempre più essenziale per l’arredamento. Non è casuale neanche la posizione in cui è stato allestito il Salone dedicato all’Illuminazione, proprio davanti agli ambienti dedicati al Salone Ufficio, per sottolineare così la sinergia tra i due settori. La luce è stata protagonista anche ieri sera all’interno del quadrilatero della moda milanese: il sindaco Giuliano Pisapia ha infatti inaugurato il primo sistema di smart city in via della Spiga che prevede un sistema di illuminazione intelligente dell’illuminazione urbana con la tecnologia led per ottenere un risparmio sino al 70% dell’energia consumata. In questi giorni, inoltre, il Comune di Milano ha deciso di rendere gratuita l’entrata nei principali musei civici cittadini e di liberalizzare il servizio taxi.

Tornando infine agli spazi espositivi di Rho, il Salone Satellite invece ospita 700 giovani designer che espongono i propri lavori ispirandosi alla tematica “Design e artigianato: insieme per l’industria”.

Attenzione dedicata perciò alla tradizione ma anche alle nuove idee che avanzano e spazio alle nuove generazioni. Implementati anche i canali social della manifestazione: quest’anno, infatti, oltre ai già collaudati profili Facebook e Twitter è stata aperta una pagina Pinterest in cui far confluire tutte le foto di questa settimana.

Diversi anche gli Hashtag ufficiali attraverso i quali seguire la manifestazione in rete: #iSaloni, #Euroluce, #SaloneUfficio, #SaloneSatellite.

L’apertura al pubblico è prevista per la giornata di sabato e domenica. Grandi sono le speranze riposte in questa edizione per rimettere in moto il settore ma anche il turismo: secondo il Cosmit, l’ente organizzatore del Salone, solo di indotto quest’anno Milano trarrà 200 milioni di euro. Un’occasione quindi per la creatività e il made in Italy, di cui beneficerà non solo l’industria del settore.

 

 

La cucina italiana è conosciuta in tutto il Mondo e da tempo possiamo trovare, grazie ad una vasta esportazione, prodotti nostrani sulle tavole più recondite del pianeta.
Proprio in uno dei periodi più difficili per l’economia si è inoltre rilevato, secondo quanto considerato dalla Coldiretti e sulla base degli andamenti registrati dall’Istat, il record storico dell’export alimentare. Nel 2011 la vendita all’estero ha visto infatti una crescita di nove punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un deciso segno positivo soprattutto per formaggi e vini italiani. I mercati che sembrano divenire sempre più golosi di cibo tricolore sono quello statunitense e, a sorpresa, quello concorrente francese.
In questa rosea analisi non manca però una nota ‘amara’: permane infatti nei Paesi stranieri il dato allarmante secondo cui i falsi prodotti Made in Italy sono i due terzi di quelli in commercio con un fatturato che si aggira attorno ai 60 miliardi di euro annui.  Viaggiando per il Mondo è facile infatti imbattersi in confezioni che inneggiano ai cliché dell’italianità, il cosiddetto “Italian sounding”, con improbabili nomi che mal celano vere e proprie frodi alimentari, anche se non mancano contraffazioni più fini che spacciano per prodotti originali cibi di tutt’altra provenienza.
Tra gli scaffali cinesi troverete così il Parmeson, il Cambozola troneggia invece in Germania, mentre il sugo Da Vinci è una specialità in Sudamerica. Non parliamo poi delle fantasiose rivisitazioni di ricette cardini della nostra cultura alimentare, come i classici spaghetti al pomodoro, solitamente scotti e conditi con ketchup, ma non và meglio con la variante al ragù, detti alla bolognese, per cui all’improbabile sugo si aggiungono polpette di carne e verdure di ogni tipo.
Il danno di immagine è insomma garantito con il rischio che gli sfortunati che non hanno avuto mai modo di vistare l’Italia e assaggiare la nostra cucina, si siano fatti ormai un’idea sbagliata del vero prosciutto di Parma o del pesto alla genovese. Il danno per l’esportazione si conta invece in termini economici, con perdite di denaro ma anche chiusura di aziende e conseguente venuta meno di numerosi posti di lavoro.
Per combattere questo fenomeno, da tempo si cerca di correre ai ripari con accordi ad hoc da stabilire in sede europea e al tavolo dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), mentre a livello nazionale, dall’attuale ministro per le Politiche Alimentari, Mario Catania, giunge la proposta di formulare un ddl contro la contraffazione: anche alla luce di quanto emerso dalla prima relazione dell’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giovanni Fava, contro tale fenomeno si vorrebbero introdurre gli stessi metodi di indagine utilizzati per contrastare i crimini di mafia, inserendo nel codice penale la voce dell’associazione a delinquere finalizzata alla commissione del reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
In attesa che gli iter legislativi e istituzionali facciano i loro sperati effetti, associazioni territoriali portano invece all’estero la genuinità della nostra tradizione culinaria a modo loro: per tutti riportiamo l’esempio delle otto Cesarine di “Home Food” che, volate a Los Angeles, da marzo insegneranno ai cervelloni di Google qual è la vera cucina italiana, per un tour mondiale che riscatterà il buon nome del Made in Italy gastronomico.

Ricetta per il “Cake Designer”:
– una buona base di passione;
– tecnica in abbondanza;
– utensili da cucina q.b.;
– creatività a non finire.

Torta è sinonimo di festa, evento, occasione speciale da condividere, come compleanni, matrimoni, anniversari, lauree, nascite e inaugurazioni; il momento del dolce rappresenta sempre l’apice del ricevimento, con foto di rito e degustazioni golose.
La torta è perciò protagonista indiscussa di queste piacevoli occasioni e, oltre a dover soddisfare il palato degli ospiti, richiede di essere di bell’aspetto, ‘vestita a festa’.
E’ così diventata centrale la figura del Cake Designer, una via di mezzo tra pasticcere e decoratore, che cura l’aspetto di torte, biscotti e cupcake, in modo fantasioso e creativo, con risultati grafici, scultorei e artistici sorprendenti.
Questa moda gastronomica è partita dai paesi anglosassoni ma si è diffusa rapidamente anche in Italia, poiché le decorazioni sono applicabili pressoché ad ogni tipo di ricetta, purché ci sia una base su cui stendere la pasta di zucchero: questa è infatti la “materia prima” del Cake Designer, facilmente plasmabile, e colorabile in ogni tonalità con pigmenti commestibili. Molte sono le tecniche e gli utensili impiegati, per ora in vendita per lo più on line, su alcuni siti specializzati; molte sono anche le aziende alimentari nazionali che si stanno inserendo in questo settore, avviando partnership per corsi ed eventi, con l’obiettivo di promuovere il Made in Italy gastronomico.
Si è perciò sviluppata una domanda di questa pasticceria artistica tale da lanciare la professione del Cake Designer, con corsi di formazione, master specializzati, concorsi ed eventi dedicati.
Da segnalare a tal proposito “The Cake Show”, la fiera italiana dedicata allo sugar decorating, che ha debuttato a Bologna lo scorso 15 e 16 ottobre. Il portico della Piazza S.Stefano è stato teatro di sfide culinarie e artistiche di alto livello, cui hanno partecipato anche nomi noti del settore come l’inglese Mich Turner, l’australiana Toni Brancatisano, ma anche Fiorella Balzamo, Antonella Di Maria, Francesca Manciati, Susanna Righetto e molti emergenti italiani.
Il Cake Design Italian Festival è invece giunto già alla seconda edizione, che si terrà il 26 e 27 maggio 2012. L’evento sarà ospitato nei 1000 mq dello Sheraton Hotel a Milano Malpensa per accogliere al meglio i numerosi visitatori attesi, considerato che nel 2010 le presenze registrate nella due giorni di kermesse sono state circa 2800. A questo goloso appuntamento saranno presenti pasticceri di fama internazionale, creazioni da ammirare e tanti corsi e workshop tematici.
Il successo del Cake Design è tale da aver indotto molti giovani ad approcciarsi a questa disciplina, creativa e remunerativa, per inserirsi nel mondo del lavoro: le produzioni, a fronte di un impegno più lungo e certosino, hanno infatti i prezzi dell’alta pasticceria e consentono di aprire un’attività in proprio. La giovanissima Camilla Rossi, dopo una laurea, due scuole di specializzazione all’estero e un master, ha ad esempio abbandonato il sentiero intrapreso egregiamente con gli studi per lanciarsi nell’avventura dell’alta pasticceria, seguendo un corso presso le scuole londinesi “Little Venice Cake Company” e “The Hummingbird Bakery”. Tornata in Italia, Camilla ha così avviato una sua impresa di successo, creando delizie per palato e vista, che le consentono di esprimere il suo talento e la sua passione.
Come lei ha cominciato la pugliese Giusy Verni che, dopo gli studi in veterinaria, ha deciso di seguire la sua vera aspirazione: un lungo periodo di formazione negli Stati Uniti e tanta tenacia l’hanno portata ad avviare il suo laboratorio di pasticceria prima a Sannicandro e poi nel centro di Bari.
Se all’estero esistono già le star del Cake Design, che si contendono le ordinazioni per feste vip ed eventi mondani, c’è da scommettere che presto anche nomi italiani entreranno nel firmamento delle creazioni di pasticceria, puntando sulle materie prime nostrane e sul gusto artistico e creativo che ci contraddistingue.

Sembra strano dirlo in tempi di tagli e ridimensionamenti, ma qualche segnale positivo arriva finalmente dal sistema della cultura in Italia. Con un po’ di amarezza e di perplessità bisogna però constatare che non si tratta di un innovativo programma del Ministero, un piano di interventi, e soprattutto investimenti, triennale o quinquennale, che vada oltre alla continua emergenza quotidiana, ma dell’iniziativa di imprese private.
Stiamo parlando di operazioni come il Progetto Cultura del Gruppo Intesa San Paolo – 1.000 opere d’arte restituite al pubblico entro il 2012 -, ma soprattutto degli ultimi progetti del Gruppo Tod’s. Se ne è discusso a lungo – tra sostenitori e puristi – e finalmente siamo arrivati alla ratifica ufficiale del 22 giugno, con la presentazione del piano di interventi del Colosseo.
25 milioni di euro
per i restauri e la conservazione messi sul piatto della bilancia da parte di Della Valle a fronte dell’esclusiva sullo sfruttamento dei diritti di immagine per 15 anni e la possibilità di utilizzare uno dei monumenti più famosi al mondo per iniziative ed eventi. Ad esso si affiancano l’ingresso del Gruppo all’interno della Fondazione La Scala di Milano – 5.2 milioni di euro – e la promessa di promuovere quello che è stato chiamato Progetto Italia,  ovvero la creazione di un sistema di iniziative analoghe realizzate dagli imprenditori italiani sui beni del proprio territorio.
Il centro della diatriba tra pro e contro è sempre lo stesso di quando si parla di cultura e sponsorizzazione: da un parte chi sostiene che lo Stato non abbia soldi da investire e quindi bisogni adattarsi allo sfruttamento da parte dei privati a fronte del denaro per mantenere il nostro patrimonio, dall’altra chi pensa che la cultura vada finanziata sempre e comunque per il valore assoluto che possiede e che essendo cosa pubblica non deve essere lasciata alla mercè delle imprese.
Questi approcci al problema risentono però della cultura e del percorso storico della gestione in Italia, e in altri paesi nemmeno ci si porrebbe il problema.
Per inquadrare correttamente la situazione bisogna quindi guardare semplicemente ai fatti. Fermo restando che fa male vedere – come spesso succede – monumenti e beni culturali tappezzati di pubblicità e marchi fino a trasformarli in una sorta di beni cartellone, se pensiamo ai paesi dell’area anglosassone vediamo come l’alleanza tra imprese e cultura abbia una lunga e florida storia. E per riprendere quello che gli economisti della cultura vanno predicando da tempo, si tratta di una storia basata su un reciproco beneficio. Ma anche su un reciproco rispetto, che nasce da una comprensione del reale potenziale economico che l’arte e la cultura possiedono, soprattutto se non vengono maltrattate, sfruttate e svilite. Perché, per quanto sia pensiero comune, la cultura non è un surplus da sacrificare in tempi di ristrettezze, ma la base su cui costruire il nostro futuro, sia sociale che economico.
E il caso del Colosseo sembra – almeno per ora, ma bisogna vedere nei fatti come verrà gestito –l’esempio di un approccio virtuoso e della capacità di lettura di meccanismi e processi di un imprenditore che ha basato il suo successo proprio sul saper cogliere lo spirito dei tempi.
Il gruppo Tod’s, uno dei marchi leader al mondo nell’industria del made in Italy, finanzia il restauro del Colosseo, simbolo della storia e della cultura del nostro paese e monumento caro a tutti gli italiani. Si tratta di un progetto di mecenatismo che non avrà nessun ritorno economico o pubblicitario/commerciale.
Questo l’inizio del comunicato stampa sulla presentazione del piano di interventi. Ma per dare il giusto valore all’iniziativa bisogna essere un po’ smaliziati. Non per sminuire o attaccare l’impegno del Gruppo, ma anzi per apprezzarne ancora di più le motivazioni.
Senza nulla togliere allo spirito di mecenatismo dell’impegno, appare infatti chiaro come difficilmente un Gruppo da oltre 787.5 milioni di euro di fatturato all’anno, che deve rispondere ad investitori ed azionisti e la cui finalità è fare business e creare profitto, possa decidere di regalare 25 milioni di euro alla comunità. L’iniziativa non è infatti una donazione di Della Valle, ma una sponsorizzazione vera e propria.
Altre due elementi ci dovrebbero far riflettere. Da una parte che con 25 milioni di euro a disposizione le “iniziative benefiche” realizzabili sono innumerevoli – la creazione di una fondazione d’impresa, la sponsorizzazione di eventi, il finanziamento di progetti etc. – dall’altra che per un’azienda che nel solo 2009 ha speso in comunicazione 3.5 milioni di euro non si tratta poi di una cifra così enorme. A questo punto dovremmo domandarci perché sia stato scelto proprio il Colosseo e dovrebbe sorgerci il dubbio che l’impegno di Tod’s possa essere in realtà un investimento pianificato e meditato.
Capiamoci, un investimento si per sè non è una cosa negativa. Vuol dire che gli esperti di comunicazione e marketing di uno dei marchi leader nel mondo nel settore del made in Italy, insieme agli analisti e ai dirigenti, hanno riconosciuto che spendere soldi in cultura rende. E fermandoci a fare due conti ci si accorge che rende parecchio.
L’investimento è infatti di 25 milioni spalmati in 5 anni, ed essendo una sponsorizzazione in ambito culturale gode di benefici che fanno risparmiare il 34% dell’intera somma, arrivando a 3.3 milioni all’anno, ovvero 200.000 euro meno della spesa del Gruppo nel 2009.
Ma che cosa ottiene Tod’s in cambio? Ad una prima analisi “solo” che il nome dell’azienda venga associato a livello mondiale ad uno dei più importanti interventi di restauro su un monumento che non solo è simbolo dell’Italia a livello internazionale, ma anche uno dei beni universalmente riconosciuti come patrimonio dell’umanità. Non c’è paese nel mondo in cui non si parlerà dell’iniziativa e i 5 milioni di visitatori annui del Colosseo avranno ben chiaro grazie a chi possono godere di una delle più importanti meraviglie del mondo.
Non male, ma non è finita. Diversamente da altri interventi analoghi, Tod’s agisce con eleganza e – anche in questo caso – capacità di lettura dei meccanismi della comunicazione. Il Colosseo infatti non verrà ricoperto da cartelloni pubblicitari inneggianti al Gruppo, slogan e spot, teloni di dimensioni titaniche. L’unica forma di pubblicità prevista è la presenza di pannelli alla base alti circa due metri. Ci si potrebbe domandare come mai dopo aver speso una cifra così impegnativa si scelga una presenza tanto discreta. Ma se si riflette una attimo appare chiaro che l’importanza dell’investimento è anche nel valore positivo associato ad esso dall’opinione pubblica. Il fatto di poter godere del Colosseo senza che ne venga stravolta o deturpata la natura e l’immagine, ma anzi facendone il punto di partenza, l’esempio virtuoso, per sollecitare un intervento di livello nazionale realizzato dai privati sul nostro patrimonio.
E il ritorno sull’investimento non finisce qui. I diritti di 15 anni sul Colosseo danno la possibilità a Tod’s di organizzare eventi, manifestazioni ed altre attività e il caso vuole che contestualmente al piano di lavori venga data comunicazione che il Gruppo si impegna a costituire un’associazione che si chiamerà Amici del Colosseo, che si occuperà di promuovere la conoscenza del progetto di restauro e altre iniziative. Mettendo insieme le due cose non stupirebbe se nei prossimi 15 anni l’azienda andasse a investire molti altri soldi nell’organizzazione di manifestazioni, eventi, progetti sempre con un approccio discreto e sensibile, ma che ricordino periodicamente a tutto il mondo il valore del proprio impegno.
Comprendere i meccanismi e l’essenza del progetto, al di là degli schieramenti preconcetti tra contrari e favorevoli, non vuol dire sminuirne il valore sociale e prendendo per buona l’affermazione che questo coinvolgimento nasce da una convinzione di partecipazione civile, la sua importanza è di gran lunga maggiore perché rende evidente anche la certezza che investire nel made in italy, nelle capacità, nelle tradizioni, nella cultura del paese, sia il modo migliore per renderlo più competitivo, e quindi per dare opportunità migliori a tutte le persone che in questo paese vivono e lavorano, e che amano la sua storia e le sue tradizioni.
Rende chiaro a istituzioni e aziende che la cultura e l’arte non costituiscono un surplus da tagliare, ma la chiave, forse l’unica, per mantenere davvero la competitività a livello internazionale. E non si può far altro che sperare che l’esempio del Colosseo fornisca la chiave di lettura al maggior numero di imprese possibile, non solo per il nostro patrimonio, ma anche per la nostra economia. Certo bisognerà vedere se le modalità indicate nella presentazione verranno rispettate e non si trasformerà l’operazione in un gigantesco cartellone pubblicitario, ma intanto Tod’s ha fatto il suo investimento e ha già cominciato a coglierne i frutti.
Va  a vedere che alla fine investire in cultura conviene.

Volendola mappare, l’Italia, in ogni sua regione, ha una peculiarità territoriale in grado di trainare gran parte dell’economia locale: dal mobile della Brianza all’occhialeria di Belluno, dai motori emiliani alle piastrelle di Sassuolo, dal marmo di Carrara all’industria tessile di Prato fino alle calzature delle Marche e all’alta sartoria napoletana. Per non contare le miriadi di proposte culinarie che in ogni luogo offrono la propria tipicità da esportare entro i confini nazionali e internazionali: una geografia di industrie artigianali o industriali, di design, creative, culturali. Comparti che dialogano tra loro affinché tradizioni lontane mantengano il passo con i tempi diventando sempre più competitive.
Nell’anno in cui la nostra nazione celebra i 150 anni di Unità, la ricerca condotta dalla Fondazione Symbola e Unioncamere dimostra come le industrie creative e culturali in Italia possono rappresentare, se coadiuvate da opportune strategie di sviluppo, una leva importante sia dal punto di vista del Made in Italy e del brand “Italia” all’estero, sia da quello strettamente performativo con risultati, analizzati nel triennio 2007-2010, che mettono in luce le potenzialità di crescita dell’intero segmento produttivo.
Con una produzione di valore aggiunto che, nel solo 2010, ha superato i 68 miliardi di euro, le industrie culturali sono state in grado di mettere a disposizione oltre 1,4 milioni di posti di lavoro (circa 5,7% dell’occupazione nazionale) con una crescita economica (in termini di valore aggiunto nominale) del 3% a fronte dello 0.3% registrato per altri settori produttivi.
Design e produzione di stile il segmento delle industrie creative che ha visto una maggiore crescita (+8,2% di valore aggiunto), seguito dalle attività di progettazione architettonica (4%) e, per le industrie culturali, il comparto media e comunicazione(+12%) a cui si affianca la produzione musicale(+8.9%) e il settore editoria (+1.9%).
In difficoltà, invece, soprattutto a causa della galoppante globalizzazione ancora difficile da domare, l’artigianato legato alla cultura (-3.6%): la mancanza di reti tra le piccole imprese e le fallacie riscontrate nella formazione e nell’aggiornamento professionale delle risorse umane ha infatti ostacolato l’apertura del settore verso i mercati internazionali.
Dal punto di vista territoriale è il Nord-Ovest a contribuire maggiormente alla creazione di valore economico culturale: un terzo della ricchezza culturale italiana proviene infatti proprio da quest’area, seguita dal Nord-Est e poi dal Centro, in cui si concentrano gran parte delle attività legate alla produzione di contenuti espressivi come cinematografia, musica, editoria e televisione.
Fanalino di coda è il sud Italia, che incide per appena il 15,9% della produzione di ricchezza nazionale nel settore.
Partendo dalla classificazione delle attività economiche Ateco 2007, la ricerca distingue quattro tipologie di attività culturali sintetizzabili in: industrie creative (architettura, comunicazione, artigianato, design, agroalimentare e ristorazione di qualità), industrie culturali (cinema, televisione, editoria, industria musicale), patrimonio storico-artistico e architettonico (musei, siti archeologici), performing arts e arti visive (festival, attività artistiche in senso stretto)
Da questa classificazione si evince come siano l’industria culturale e quella creativa a fornire ossigeno ai dati occupazionali sopra citati: i comparti legati al patrimonio storico-artistico, alle performing arts e alle arti visive, infatti, dimostrano ancora la loro scarsa propensione all’organizzazione imprenditoriale, la cui ricchezza culturale rimane quantificabile solo in rapporto ad altri comparti, anche apparentemente distanti dalla cultura, ma che con essa dialogano per un interscambio di saperi.
Vi è dunque una indubbia difficoltà di valutazione per un settore i cui benefici sono solo in parte rappresentati dai dati del fatturato e a cui andrebbero aggiunti anche parametri sociologici che tengano conto di criteri come “qualità della vita”, “benessere diffuso” o  “formazione di un’identità culturale nazionale”.

La collocazione del turismo nell’organizzazione della macchina burocratica, come è noto ai più, ha vissuto nel tempo diverse reincarnazioni. Prima con lo sport e con lo spettacolo, poi alle attività produttive, o allo sviluppo economico che dir si voglia, e ancora presso la Presidenza del Consiglio con contaminazioni culturali in alcune brevi epifanie. Giunge ora questa proposta della Fiavet, cioè degli agenti di viaggio, di dar luogo a un dicastero tricefalo con turismo, beni culturali e made in Italy. L’idea pare niente male. Ma è proprio da scartare la suggestione di accorparlo invece al di recente resuscitato ministero della Salute? Magari si potrà trovare più facilmente una cura miracolosa per riportare il settore nell’agenda delle priorità del nostro Paese. Oppure, in subordine, potremmo farne un dipartimento  all’interno delle Politiche Agricole, dopotutto cibo e vino sono tra i driver più forti a supporto dell’incoming. Certo il rischio è che al ministero dell’Ambiente, del Territorio e del Mare vista la grande crescita del turismo verde rimarrebbero con l’amaro in bocca vedendosi esclusi; senza trascurare che, alla fine, la spiaggia è sempre una tentazione irresistibile per i vacanzieri agostani (“con le pinne, fucile e occhiali” diceva la canzone).
Insomma un rebus inestricabile questo turismo, tirato dal centro alla periferia e sballottato da un ministro all’altro, un pezzo di puzzle che non trova collocazione stabile da nessuna parte.  Ma tutto sommato non è un gran problema, andremo avanti lo stesso con la inveterata arte di arrangiarci aspettando che passi la nottata. Come sempre, in attesa della prossima idea.

Massimiliano Vavassori è Direttore del Centro Studi Touring Club Italiano

Fino a pochi mesi fa si prospettava la possibilità per Roma di ospitare un Gran Premio di Formula 1, e qualcuno già vedeva questi bolidi pronti a sfrecciare per i viali dell’EUR. Ormai, però, è certo che Roma non avrà il suo Gran Premio, ma il quartiere dell’EUR sarà comunque coinvolto in un intenso processo di riqualificazione.
Punto focale attorno a cui si svolgerà questa riqualificazione sarà il Colosseo Quadrato, il simbolo del quartiere. L’opera degli architetti Guerrini, La Padula e Romano, emblema del razionalismo architettonico fascista, nel 2012 diventerà infatti sede dell’Esposizione Permanente del Design e del Museo dell’Audiovisivo.
Un nuovo museo per la città, ma non nel cuore di Roma, bensì in una delle sue periferie.
L’intervento è costato quasi 50 milioni di euro e ha comportato quattro anni di lavori di riqualificazione. Il 15 febbraio 2011 le operazioni di restauro si sono finalmente concluse, e per il 2012 è prevista l’apertura ufficiale del nuovo spazio.
Il Museo metterà in mostra l’eccellenza produttiva italiana, il made in Italy, ma non rappresenterà solo questo. L’obiettivo, ambizioso come si conviene ad una città come Roma, è quello di trasformare il Colosseo Quadrato in un Centre Pompidou capitolino, far sì che il Palazzo della Civiltà del Lavoro diventi anche e soprattutto un centro di aggregazione sociale, un luogo di produzione di cultura e di ricerca scientifica, dando nuova linfa ad un intero quartiere, come è stato per Beaubourg a Parigi, rivitalizzato dalla moderna struttura di Renzo Piano e Richard Rogers.
È un progetto importante quello in cui si è lanciata la Città, ma Roma non vuole e non può più puntare solo sul suo glorioso passato e sull’eredità della sua secolare cultura; questo edificio di pietra, imponente e solenne come tutte le architetture fasciste, si proietta quindi verso il futuro, costruendo un ponte tra la Roma millenaria e la città contemporanea, aperta e multiculturale.
La creazione del nuovo museo avrà importanti ricadute economiche e sociali: innanzitutto verrà restituito alla città un monumento simbolo, o meglio, le verrà donato per la prima volta, dal momento che il Colosseo Quadrato non è mai stato aperto al pubblico; la città – e una sua periferia – avranno uno spazio di aggregazione sociale, non un luogo costruito ex-novo come il Centre Pompidou nel ventre di Parigi, ma un edificio storico riadattato per ospitare un centro di moderna concezione. Sarà dato alla città e ai suoi abitanti un luogo di produzione e fruizione di cultura, di confronto, di dialogo, dove la società, i residenti e i turisti potranno rapportarsi con la Storia, con il made in Italy e, al tempo stesso, con il futuro che avanza. Si creeranno nuovi posti di lavoro e, perché no, nuovi stimoli creativi e produttivi, derivanti dal confronto con la produzione artistica italiana e la storia dell’audiovisivo.
Per mostrare che l’Italia non è solo un Paese di poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori e trasmigratori, come ricorda un’iscrizione in cima al maestoso blocco di pietra, ma è anche un Paese che produce: produce cultura, arte, poesia, ma anche materiali audiovisivi, beni di lusso e prodotti di design il cui valore è universalmente riconosciuto nel mondo intero.
Perché questo è Roma, una città che da sempre unisce tradizione e innovazione, passato e futuro, identità storica e apertura al nuovo; c’è in essa una forza centrifuga che la proietta verso l’esterno, verso la periferia, dell’impero o della città, pur non dimenticando mai il suo punto di partenza, la sua storia.
E il Colosseo Quadrato avrà il compito di custodire e valorizzare il “moderno passato” della Nazione, l’architettura di epoca fascista, il suo presente, costituito dal made in Italy, e il suo futuro, rappresentato dalle persone che lo frequenteranno, lo vivranno al quotidiano o solo di passaggio, e che sono il futuro di Roma. E dell’Italia intera.