Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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C’è chi da bambino sogna di fare l’astronauta, il dottore, il calciatore, chi di ricevere una bici nuova, di andare alle giostre, di avere un cucciolo. Anche Miles ha un sogno, ha espresso un desiderio ben preciso: vuole essere Batman. Se tuo figlio è malato di leucemia dall’età di 20 mesi e adesso, dopo lotte, cure e sacrifici, sta per cominciare una vita normale, la frase “ogni tuo desiderio è un ordine” diventa realtà.
A realizzare il sogno del piccolo Miles ci ha pensato la fondazione no-profit Make-A-Wish, che ha come scopo proprio la concretizzazione dei desideri di tanti altri bambini che si trovano in situazioni particolari. Solo che la vicenda di Miles ha avuto una risonanza incredibile sui social, ha fatto il giro del mondo, e si appresta ad essere un evento davvero indimenticabile non solo per il piccolo Miles.
Oggi, 15 novembre, San Francisco si trasformerà in Gotham City, il mitico scenario delle avventure del supereroe alato. Il valoroso Batkid verrà convocato durante un notiziario tv dal Capo della Polizia in persona; poco dopo Batman in carne ed ossa andrà a prelevarlo a casa e sulla sua batmobile lo porterà con sé per vivere strabilianti avventure. Batkid salverà un donzella in pericolo, sventerà rapine e altre malefatte, e sfiderà uno dei più temibili nemici di Batman, Pinguino. La città lo ringrazierà radunata nella City Hall dove il Sindaco e il Capo della Polizia in persona gli consegneranno le chiavi della città.
Migliaia di persone si sono mobilitate per aiutare Batkid. È nato anche un progetto fotografico per supportare le sue mirabolanti gesta: con un cartellone in mano con su scritto “We love Batkid”, in costume da supereroe o in abiti civili, chiunque può fotografarsi per dimostrare di essere fan del coraggioso Miles.
In moltissimi parteciperanno attivamente anche all’evento, radunandosi a Union Square per chiedere a Batkid di salvare la mascotte di San Francisco dalle grinfie di Pinguino, e poi nella City Hall dove festeggeranno il piccolo supereroe.
Oggi la giornata di un bambino sarà costellata di sorrisi ed emozioni. Tanti altri piccoli soffrono ancora, da soli, ma la felicità di uno di loro basta già a illuminare un po’ di più la vita di tutti.
Per condividere o seguire l’evento, tenetevi aggiornati con l’hastag Twitter #SFBatKid
Un tumore al seno può cambiare molto la percezione delle cose, ma può farlo anche una foto. È quanto è accaduto ad Angelo e Jennifer, una giovane coppia che ha dovuto affrontare il dolore della malattia. “The battle we didn’t choose”, si intitola così il progetto fotografico che Angelo Merendino ha portato avanti durante gli anni di sofferenza della moglie e che è diventato anche un libro.
4 anni di calvario registrati attraverso gli occhi di un fotografo professionista, di un marito. Sono scatti intimi, dolci e crudeli insieme. Crudeli perché registrano con precisione il disfacimento di un corpo, il progredire di un malanno incurabile, la sofferenza che cambia i connotati a un volto, che alla fine conserva intatto solo il sorriso. Dolci perché ricordano quanto bella sia in fondo la vita, insegnano come si possa trovare uno scopo e una direzione anche ai giorni peggiori, trasmettono quanto importante possa essere un sentimento. Non si tratta, infatti, solo e soprattutto del resoconto di una malattia, quanto piuttosto della storia di un amore, forte e indistruttibile.
Si erano sposati da appena 5 mesi Jennifer e Angelo, quando la prima ha scoperto di avere un cancro. Poi è stato un susseguirsi di dolori e paure, costellate da speranze e anche qualche gioia. La gioia di sentirsi voluti bene, di sapere vicini non solo amici e parenti, ma anche gente sconosciuta. La coppia ha deciso da subito di documentare quello che le stava accadendo, per dare una forza, una risposta e una speranza a chi, come loro, si trovava ad affrontare la stessa situazione.
Jennifer alla fine non ce l’ha fatta, eppure il suo segno la sua vicenda lo ha lasciato. Dai proventi ricavati dal libro fotografico pubblicato da Angelo Merendino è nata un’associazione no profit, “The love you share”, con lo scopo di fornire assistenza finanziaria ad altri malati di cancro.
D’altra parte il prodotto artistico di Angelo ha avuto subito un incredibile successo di critica e pubblico ed è stato ospitato in mostre allestite a New York, Washington, Roma. Il suo punto di forza sta nell’aver umanizzato un capitolo doloroso della storia di molti. Il suo messaggio finale invita a trovare una luce positiva anche nel buio più profondo.
L’iniziativa di Angelo potrebbe anche non trovare d’accordo tutti. Mettere a nudo così una malattia, una persona che si ama, l’intimità e la privacy di una situazione tanto dolorosa e alla fine pubblicare un libro a riguardo potrebbe risultare esagerato, eccessivo, urtante. Forse l’unica risposta plausibile sta nel fatto che ognuno vive il dolore a suo modo, e che l’arte e la creatività possono servire, in parte, ad affrontare ad alleviare una perdita.
Che cosa sono i MOOCs? L’acronimo sta ad indicare i Massive Open Online Courses, cioè dei corsi gratuiti disponibili online di alto livello formativo.
Dov’è la notizia? Che il grande colosso del web, Google ovviamente, sta mettendo mano alla formazione preparando una piattaforma, dal nome mooc.org, che dal 2014 diventerà una sorta di Youtube per la formazione.
Finora non sembrerebbe un’iniziativa molto innovativa, visto il successo dell’anno scorso di Course Builder, ma le cose cambierebbero radicalmente se vi dicessimo che i corsi caricati sul sito sono dei migliori docenti del MIT e delle università di Harvard? E vi diciamo anche di più: Big G sta predisponendo sulla stessa piattaforma la possibilità per i docenti di tenere le loro lezioni direttamente online, gratis e aperte a tutti in nome della condivisone e dell’associazionismo no-profit.
Per questo, partner dell’iniziativa è EdX, la no-profit creata dalle università di Harvard e dal MIT proprio in nome della condivisione del sapere (tra i soli esponenti universitari però).
L’amministratore delegato della EdX con queste parole plaude l’iniziativa: “Da sempre abbiamo apprezzato l’impegno di Google per il libero accesso al sapere e pensiamo che possa essere il partner perfetto per delineare un nuovo tipo di educazione libera da vincoli economici e spaziali”
Certo è che prima o poi anche i progetti no profit per andare avanti hanno bisogno di soldi: che verranno da donazioni e sottoscrizioni specificano da Google, ma continueranno ad essere totalmente gratuiti per gli utenti worldwide.
Che le strategie di marketing di Google si stiano piano piano dirigendo verso la filantropia? Così sembrerebbe, visto anche l’annuncio sempre da Mountain View della recente alleanza con Udacity per la creazione della Open Education Alliance volta a fornire strumenti formativi utili alla ricerca di un lavoro nelle industrie tecnologiche.
Siete pronti al vostro diploma di laurea targato Google?
Feel Memory
Feel Memory è un progetto volto a ricordare le persone che abbiamo amato tramite filmati o immagini. Storie personali ma anche memorie collettive: un’esaltazione dei ricordi che continuano a vivere non solo nella storia personale di ognuno ma anche in rete, condivise con altri utenti legati tra di loro. Ogni utente, una volta caricata la sua storia può poi decidere a chi renderla accessibile.
Il sito si divide in 4 sezioni: la spiegazione del progetto, il suo funzionamento, la presentazione dei fondatori e la sezione speciale “Un mondo migliore” dedicata alle Organizzazioni che ogni giorno lavorano per garantire una crescita sociale, responsabile ed etica. Le memory collettive, inoltre, permettono di ricordare eventi e perdite collettive, come quelle che hanno interessato il nostro paese durante il sisma de L’Aquila prima e dell’Emilia poi.
Il progetto si inserisce, con tatto e sensibilità, all’interno delle storie di ogni utente. Permette a chiunque di dotarsi di uno spazio virtuale personale attraverso il quale raccontare il ricordo di una persona cara oppure di produrre materiali che, tra qualche anno, permetteranno alle nuove generazioni di ricordare qualcosa che non è stato e che non è più.
Gli utenti che fruiscono del sito dovranno comunque tenere a mente che i ricordi sono interpretazioni, spesso molto emotive e personali, di fatti e persone. Più che la Storia, abbiamo qui storie di uomini e avvenimenti che altri hanno interpretato in base ai propri sentimenti.
La registrazione, l’iscrizione e l’inserimento di materiale sono gratuiti, così come il suo utilizzo. Non si prevedono spazi pubblicitari ma solo donazioni volontarie ad enti che operano nel sociale senza alcun profitto.
Coloro che non hanno intenzione di dimenticare e che, per farlo, si rivolgono alla rete, amplificatore non solo del presente ma anche del passato.
Se provate a cercare su Google le parole Karibu Village saranno due i primi risultati che vi compariranno: un villaggio turistico a cinque stelle con tutti i confort necessari per passare una vacanza da sogno; un altro villaggio, quello originario dove vivono gli abitanti autoctoni.
Chakama è un paesino a cinquanta chilometri dai maggiori resort di lusso di Malindi nella costa del Kenya, stato al centro del continente africano. In questo piccolo appezzamento di terra vivono 2.500 persone ed è qui che è nato il progetto di volontariato Karibu Chakama, che si prefigge la realizzazione di tutte le strutture necessarie per rendere il villaggio autosufficiente dal punto di vista economico e sociale. Un piano vasto e complesso, partito nel 2008 in cui sono compresi la costruzione di diverse strutture ed edifici, come le scuole, il pronto soccorso, la fattoria, il centro di formazione ed istruzione, i dormitori, ma che prevede, inoltre, l’attivazione di percorsi di istruzione e didattica per far sì che la comunità al suo interno raggiunga l’autonomia alimentare ed economica. Costruire in loco ma soprattutto formare in loco, per non rendere i frutti del progetto sterili e dipendenti dall’intervento esterno. Far crescere un villaggio in modo tale che riesca a fare affidamento sulle proprie potenzialità.
I corsi che vengono impartiti infatti sono di natura sia teorica che pratica: materie necessarie come falegnameria, sartoria, cucina, orto botanica, musica, tutte attitudini e manualità artigianali che nel mondo occidentale vengono sottovalutate e che si stanno perdendo, ma che in realtà rappresentano le basi fondamentali per la sopravvivenza quotidiana, in una società rurale. Alcune strutture come la casa dei maestri sono state completate, ma la maggior parte sono in fase di costruzione: l’investimento totale per portare a termine l’intero progetto è di 300 mila euro, ma oltre ai fondi quello di cui necessitano nell’associazione Karibu onlus che ha dato i natali all’iniziativa, è l’arruolamento di volontari decisi a recarsi sul posto o sostenitori che decidano di contribuire anche i minima parte. Proprio nel mese di gennaio, infatti, è partite l’iniziativa “Chakama nel cuore” la onlus è alla ricerca di nuovi gruppi che collaborino attivamente ai progetti. Tutte le informazioni sulle modalità per prendere parte al programma sono presenti nel sito, dove troverete anche tutti gli aggiornamenti su come evolve la fabbricazione del villaggio, chi sono gli abitanti, i bambini da adottare nell’orfanotrofio e dove potrete leggere le testimonianze dei volontari.
Per scoprire l’immensa ricchezza di questo continente, l’Africa, definito tra i più poveri del globo e che invece potrete scoprire tra i più ricchi, in particolar modo di sorrisi e positività, quei beni intangibili ed immateriali che in alcuni casi valgono più dei soldi.
Intervista al Dott. Horst Schädler, Segretario di Stato del Liechtenstein
Dr. Schädler, what are the differences between Liechtenstein grant-making foundations and Italian ones?
I can only speak for Liechtenstein foundations, as I am not entirely familiar with the structure of Italian foundations. However, I am aware of the fact that much is being done in the field of culture in Italy, and know that not-for-profit foundations make a tremendous contribution there. It is important for the benefactor to obtain the respective legal form that makes his “benefactor’s will” possible.
Because Liechtenstein is too small to maintain a legal form that adheres to our own particular needs, we have learned to structure our foundation law in a way that allows our foundations to fulfil and function with the conditions that are set in neighbouring states. This is one of the greatest strengths of our foundation legislation.
What are the international commitments that Liechtenstein grant-making foundations engaged in at present?
Our understanding of the purpose of a not-for-profit organisation or foundation is a very modern one. Our model of a not-for-profit foundation has moved away from a traditional, rigid notion of a foundation with the concept of a non-owner special purpose fund or grant-making foundation, and has been modified to include corporate elements. This makes it possible to meet the requirements and conditions of modern founders.
How many different types of grant-making foundation there are today in Liechtenstein?
Following far-reaching amendments, the dichotomy between not-for-profit and private foundations in Liechtenstein has been strengthened. The difference between both foundation types is explicit in the modalities of the foundation structure as well as in the governance structures which are set out in detail in the foundation legislation (Art 552 § 27 ff Persons and Companies Act). In view of the fact that we have broadly defined “not-for-profit” within the law, there is no need for any typology. Furthermore, the meaning of “not-for-profit” is more widely defined than in other European legal systems; this is one of the reasons why Liechtenstein represents a more attractive site for philanthropy.
How can you supervise the results of financed projects?
The effectiveness and supervision of projects has a great deal to do with the people involved. First and foremost with the individuals in management positions. Attitudes make all the difference. Admittedly, there will always be examples of inefficient management and supervision of financial projects. However, this rarely has much to do with the form of the not-for-profit foundation, but instead with persons and structures. For this reason, not-for-profit foundations in Liechtenstein are overseen by the Foundation Supervisory Authority and have accounting obligations. In addition, every not-for-profit foundation is required to have an auditor. In my personal view: it is not merely structures that effective philanthropy requires, but instead beneficiaries with greater powers who are able to do more than just act as recipients.
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Traduzione in italiano
Dott. Schädler, quali sono le principali differenze tra le fondazioni erogative del Liechtenstein e quelle italiane?
Non sono molto esperto della fondazioni erogative italiane ma, nonostante questo, posso dire che molto è stato fatto in questi anni in campo culturale in Italia e so che le fondazioni non-profit danno un importante contributo in questo settore. E’ importante per i benefattori ottenere una forma legale tale da permettere le azioni che intendono condurre a livello filantropico.
Siccome lo Stato del Liechtenstein è troppo piccolo per mantenere una propria forma legale che aderisca ai nostri specifici bisogni, abbiamo imparato a strutturare la nostra legislazione in materia di fondazioni in un modo tale da permettere a queste istituzioni di realizzare i propri progetti nelle stesse condizioni presenti negli Stati vicini. Questo credo sia una dei punti forza della nostra legislazione.
Quali sono gli impegni internazionali che le fondazioni erogative del Liechtenstein stanno portando avanti in questi anni?
I propositi che ci stiamo impegnando a mantenere per le organizzaizoni non-profit e per le fondazioni sono molto moderni. Il nostro modello di fondazione non-profit si è allontanato da quello tradizionale, rigido esempio di un’istituzione con il concetto del fondo occasionale senza alcuno specifico proprietario oppure della classica fondazione erogativa, ed è quindi stato modifcato includendo elementi corporativi. Questo ha reso possibile il raggiungimento di requisti e condizioni affinchè vi siano dei fondatori moderni.
Quante sono le tipologie di Fondazione erogative ad oggi presenti nel Liechtenstein?
Seguendo le revisioni finora realizzate, la dicotomia tra non-profit e fondazione privata in Liechtenstein si è rafforzata. La differenza tra questi due tipi di fondazione sta nelle modalità con cui vengono strutturate così come nella governance che intendono seguire sulla base di quanto stabilito dalla legislazione (Art 552 § 27 ff Persons and Companies Act). Inoltre, il significato del “no-profit” è stato ampliamente definito, molto più che negli altri stati Europei. Per questo motivo il Liechtenstein rappresenta uno degli stati preferiti dai filantropi.
Come monitorate i risultati raggiunti dai progetti finanziati?
L’efficacia e la supervisione dei progetti è un grande lavoro per tutte le persone coinvolte. Prima di tutto per le persone che ricoprono ruoli manageriali. L’approccio fa la differenza in questo caso.
In effetti, ci sono sempre stati esempi di gestione inefficiente in campo di progetti finanziari. Posso dire però che questo atteggiamento raramente si è riscontrato per quanto riguarda le fondazioni non-profit mentre risulta più frequente quando si parla di persone o stretture. per questo motivo, le fondazione non-profit in Liechtenstein sono supervisionate da un’autorità, la Foundation Supervisory Authority ed hanno degli obblighi a livello contabile. Inoltre, ogni fondazione ha un revisore dei conti interno. Secondo il mio personale punto di vista non sono meramente le strutture il reale bisogno della filantropia quanto piuttosto beneficiari con molto potere che siano in grado di utilizzarle al meglio e non come semplici contenitori.
Approfondimenti:
Vereinigung liechtensteinischer gemeinnütziger Stiftungen (e. V.)
www.vgls.li
Annunciata come la grande novità nelle dichiarazioni dei redditi del 2012, adesso rischia di rivelarsi un fallimento. Si tratta della possibilità di destinare il proprio 5 per mille, la quota che viene detratta annualmente dalla dichiarazione di imposta sulla persone fisiche (Irpef), agli enti no profit che sostengono le attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici. Un passo in favore di uno dei settori cardine della nostra economia, la cui finalità è quella di promuovere e soccorrere questo comparto dove spesso i finanziamenti sono carenti e mancano aiuti diretti da investire nel patrimonio.
Questa possibilità è prevista dalla scorsa estate grazie all’articolo 23 del DL 98/11, tuttavia, mentre in tutti gli altri riquadri dove compaiono organizzazioni di volontariato, ricerca scientifica e universitaria e associazioni sportive dilettantistiche è presente lo spazio per indicare il codice fiscale dell’organizzazione, nella sezione appena inaugurata sarà possibile solo mettere la propria firma senza specificarne il beneficiario. Ad accorgersi dell’impasse e a sollevare la polemica è stato per primo il Fai, associazione principale nel settore della tutela e valorizzazione del patrimonio italiano. In assenza infatti della casella per inserire il codice fiscale dell’ente preposto, il contribuente non può decidere a chi inviare la propria quota d’imposta e, pertanto, tutto il ricavato andrà direttamente nelle casse del Ministero dei Beni Culturali. La scelta dei cittadini di scegliere a chi assegnare il 5 per mille rappresenta lo spirito fondamentale della norma con cui è stato istituito nella manovra finanziaria del 2006. Principio che è stato riconfermato con la sentenza della corte costituzionale n. 202/2007 in cui viene ribadita questa finalità.
Tuttavia, in assenza di criteri chiari e trasparenti su come verranno portate avanti le procedure di assegnazione di questi fondi, in molti hanno manifestato perplessità e dubbi in merito. Perché, sebbene uno dei principi fondamentali sia quello di sapere esattamente quale sarà la destinazione dei proventi, ad oggi non è ancora stata stilata la lista degli enti preposti. Il Ministero infatti sta lavorando alla compilazione dell’elenco in questi giorni e non ha ancora comunicato quali saranno i criteri utilizzati per selezionarne i componenti. Si tratta di un argomento delicato riguardo il quale lo stesso ufficio legislativo ministeriale, contattato dalla redazione di Tafter, preferisce non rilasciare dichiarazioni. L’unico elemento certo in data odierna è che il CUD e il 730 delle dichiarazioni di quest’anno sono stati stampati senza la casella dei codici fiscali. Chi deciderà dunque di destinare la propria quota a questo settore lo farà con la consapevolezza che tali fondi andranno direttamente nelle casse ministeriali e che poi sarà di competenza dei tecnici ripartirli. Non è dato sapere però secondo quali parametri, come non è sicuro che tali criteri di valutazione verranno resi noti e non è chiaro in che modo questi fondi verranno ripartiti.
Forse, non a caso, il Fai ha consigliato a tutti coloro che vorranno donare questi soldi alla loro associazione, di firmare nella sezione volontariato dove la casella per scrivere il codice è presente sin dal 2006, anno in cui è stato istituito il 5 per mille. Per avere così la certezza che arriveranno a destinazione. Il segretario generale del Mibac Antonia Pasqua Recchia in un’intervista ha confermato che dal prossimo anno le regole al riguardo cambieranno e saranno rese più trasparenti le procedure, al fine di eliminare i dubbi attuali dei contribuenti e per incentivare il mecenatismo privato. Si rinvia dunque tutto al prossimo anno, ma lo scetticismo che è nato in questi giorni a causa della scarsa chiarezza in merito ha la responsabilità di aver minato lo scopo propositivo dell’iniziativa: quello di portare una boccata d’ossigeno a questo settore.
Fund for culture è un sistema di raccolta fondi on line per la cultura che si propone di sostenere quanti intendano realizzare un progetto culturale che riguardi i settori dell’arte, dell’archeologia, della letteratura, del teatro, della musica o del cinema. Nata nel 2010 da un’idea di Adriana Scuotto, Antonio Scarpati, Fund for culture è un’iniziativa no-profit che favorisce l’incontro tra chi vuole fare cultura in Italia, ma non dispone di tutti i fondi per realizzarla e chi è disposto a finanziarla anche attraverso piccoli contributi.
Il sito web della community presenta sulla home, in maniera diretta e immediata, sotto la voce “Proponi la tua iniziativa”, un indice che elenca tutti gli step necessari alla realizzazione dei singoli progetti e, sotto il titolo “Iscriviti come donatore”, la possibilità di sostenere attivamente le diverse proposte culturali. Sulla destra vengono invece riportati gli “amici” che supportano e sostengono l’iniziativa, i “social network” sui quali le diverse proposte possono essere veicolate e diffuse capillarmente sul web e “per saperne di più”, un sommario che spiega nel dettaglio la mission, il concept e gli strumenti di lavoro di cui si avvale Fund for culture.
Gli utenti potranno inoltre trovare la newsletter alla quale potersi iscrivere per essere sempre aggiornati sulle iniziative portate avanti.
Il sito spiega chiaramente come, la sentita esigenza di promuovere e finanziare la cultura nel nostro Paese, necessiti oggi di forme e risorse monetarie alternative come il “crowdfunding”, una modalità di raccolta fondi che parte dal basso e che consiste nell’elargire tante piccole donazioni che, insieme, sono in grado di spingere e favorire grandi idee.
Il gruppo di ricerca di Fund for culture, composto da Adriana Scuotto, Antonio Scarpati, Mariavittoria Cicellin, che si avvale della collaborazione del Prof. Stefano Consiglio e dell’associazione Aporema Onlus e del sostegno della community di Kublai, ha per questo ideato un sistema di crowdfunding capace di abbattere del 50% i costi della raccolta fondi, grazie alla realizzazione di una piattaforma web che consente una grande visibilità e una larga diffusione sul web grazie agli strumenti di sharing su di essa implementati. Fund for culture, dunque, “intende realizzare una vera e propria innovazione sociale nel settore culturale, una forma di finanziamento nuova , alternativa e collaborativa in cui tutti possono partecipare”.
Fare il punto sulla situazione della filantropia italiana promuovendo buone pratiche sociali affinché si sviluppi un percorso comune d’azione: è questo l’obiettivo del dossier filantropia 2011 curato da “Vita”, gruppo editoriale attento alle tematiche del terzo settore.
Prendendo in considerazione i dati pubblicati all’interno del quindicesimo rapporto sulla ricchezza mondiale (dati al 2010, quelli del 2011 arriveranno a fine giugno), si evince come in Italia vi siano circa 180 mila “High Net Woth Individuals” cioè individui il cui patrimonio sia uguale o superiore al milione di dollari (proprietà immobiliari escluse): un presupposto importante per l’evoluzione gestionale della filantropia che, nel nostro paese, è rappresentata in primo luogo da forme istituzionali, vale a dire da fondazioni di origine bancaria.
Generalmente le fondazioni svolgono delle attività sociali complementari al pubblico e si collocano laddove lo Stato non riesce ad arrivare: questa modalità di esercizio si è più volte detta insufficiente o comunque non debitamente sostenuta da un settore che dovrebbe intendere il privato come risorsa da sostenere e non come risorsa sostitutiva all’attività statale.
Un credito d’imposta che sostenga le azioni filantropiche potrebbe ad esempio essere uno strumento utile ad incentivare l’investimento dei privati nel terzo settore coadiuvato magari da una pianificazione strutturata da parte delle fondazioni rispetto ai progetti da seguire.
In Italia, nel 2009, sono state censite dall’Istat circa 4.720 fondazioni di varia origine, di cui 2.338 operative, 943 erogative, 1439 miste.
Quelle di origine bancaria, raccolte nell’associazione Acri, si stanno per dotare di una Carta delle Fondazioni, proposta dal dg Acri, Giorgio Righetti, e attraverso la quale le fondazioni potranno adottare strategie comuni nel perseguimento di un obiettivo, rispondendo così sia ai bisogni della popolazione, sia alla necessità di informare ad ampio raggio sui progetti avviati e sulle loro fasi di realizzazione.
Altro passo importante nel comparto sta avvenendo nel campo delle operazioni internazionali. Fino a qualche anno fa, infatti, una fondazione intenzionata ad investire o ad erogare capitali all’estero era costretta ad aprire una sede nel paese di competenza del progetto. Oggi, grazie alla proposta di uno Statuto europeo per le fondazioni, le operazioni transnazionali potrebbero essere più agili e meno cavillose, favorendo inoltre rapporti e scambi tra Stati.
Nell’ambito dei progetti culturali, però, la strada appare ancora ricca di ostacoli dovuti principalmente ad una scarsa predisposizione alla donazione e ad un sistema che non favorisce economicamente gli investimenti nel campo. Il panorama nazionale appare frammentato e costituito da fondazioni create ad hoc per determinate istituzioni museali (Fondazione Maxxi, Fondazione Musica per Roma, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ecc..) che si uniscono ad altre, come il Fai o Città Italia ad esempio, che invece operano nel fundraising destinato alla tutela del patrimonio in toto, o alle piccole associazioni culturali che nascono ( e muoiono subito dopo aver raggiunto il loro obiettivo) con lo scopo di tutelare, restaurare o valorizzare un determinato bene.
Se dunque il ruolo delle fondazioni e della filantropia in generale è oggi cruciale per il sostentamento di progetti altrimenti non finanziabili, ben venga un riordino della disciplina in materia che doti le istituzioni di regolamentazioni omogenee e condivise che operino nella direzione della de-statalizzazione per creare una grande infrastruttura sociale.