tritonebiancoIn senso comune, non artistico, per restauro s’intende l’intervento che rimette in efficienza un prodotto dell’attività umana, e in questo caso i restauratori della fontana del Tritone hanno preso troppo a cuore tale principio. Infatti la possente divinità marina sembra uscita ora dallo scalpello dello scultore.

Questo assolutamente è inaccettabile in ambito artistico, una condizione simile farebbe rigirare nella tomba Cesare Brandi, luminare del ‘900 in materia di restauro.

Uno dei principi fondamentali della teoria brandiana recita: “Il restauro deve mirare al ristabilimento dell’opera senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo.
È l’opera d’arte che condiziona il restauro e non l’opposto.
L’opera infatti ha una valenza storica come prodotto umano realizzato in un certo tempo e luogo”.
In altre parole quando si restaura un’opera d’arte si deve rispettare l’artisticità, il messaggio che ci trasmette e soprattutto il passaggio del tempo su di essa.
Se sono passati quasi 400 anni dalla realizzazione è giusto che gli effetti si vedano perché essi stessi sono diventati parte integrante del monumento.

La patina, cioè quell’azione di invecchiamento naturale che si forma col passare del tempo su di un’opera che si trova in uno spazio aperto deve essere in parte mantenuta e in parte rimossa. Va rimosso solo ciò che impedisce la lettura e mai bisogna arrivare alla crudezza della materia. Esiste un punto oltre il quale il restauro non può andare perché significherebbe cancellare l’azione del tempo che è parte sostanziale e fattore tenuto in considerazione dall’autore nel momento della progettazione.

L’intervento prevedeva la disinfezione della superficie e la rimozione delle particelle biologiche e calcaree, ma qui si è andati ben oltre tale limite riportando in vista la crudezza e il candore del travertino.

Sono contrario ad interventi di restauro così radicali.

 

 

Samuel Marcuccio è curatore e critico d’arte

pisa_is_culture_cartIntervista a Dario Danti, assessore alla cultura del Comune di Pisa 

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
Abbiamo candidato Pisa come sbocco naturale dei progetti e del processo culturale in atto nella nostra città. Il tema è quello della “navigazione” intesa tra tradizione, poiché si tratta di una città nata sul fiume, sull’acqua, quale Repubblica marinara, e innovazione, come navigazione nel grande mondo delle reti informatiche e di relazioni, con il porto, l’aeroporto, il fiume e il nostro mare. Il tema è anche il contesto nel quale andiamo a collocare la nostra città.

 

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Abbiamo scelto il progetto della navigazione tra tradizione e innovazione come un percorso, con l’idea di un permanente divenire. Il valore del programma risiede nella volontà di confrontarsi, nel viaggiare nel tempo, tra passato e futuro, ma anche nel muoversi tra diversi settori e professionalità, senza ragionare però a compartimenti stagni. Abbiamo scelto tre filoni: la “cultura”, intesa come l’insieme delle tradizioni, dei costumi, come qualcosa di caratterizzante di una società e di un patrimonio da trasmettere; ci sono poi i “saperi”, motore di molteplici forme artistiche, ma anche come luogo di incontro e confronto di idee ed esperienze, senza costruire una netta demarcazione tra ciò che alto e ciò che è basso; infine l’”innovazione”, come processo di ricerca, continuo rinnovamento, che riguarda anche gli strumenti della comunicazione. Questi tre elementi sono attraversati da un asse trasversale che è quello generazionale, che vuol dire il coinvolgimento di una molteplicità di generazioni, da quelle più giovani a quelle più anziane.

 

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Sicuramente abbiamo necessità di vincere due sfide.
Innanzitutto dobbiamo arricchire la percezione della città, affiancando la notorietà della Torre, con la scienza, l’innovazione, la formazione, il cinema e la musica che ci caratterizzano. Abbiamo bisogno di uscire dalla vulgata che Pisa è uguale alla Torre pendente: è quello, ma ha anche moltissimo altro da offrire.
Dobbiamo poi accelerare la vocazione a laboratorio di sperimentazione: vogliamo sviluppare in modo integrato e sostenibile la nostra capacità di essere città che coniuga cultura ed innovazione. Da tale punto di vista abbiamo individuato molteplici obiettivi in tal senso.

 

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Certamente. Pensiamo che si debbano valorizzare tutte le categorie economiche da questo punto di vista. Stiamo coinvolgendo istituzioni, fondazioni, i nostri soggetti parte della candidatura, ma anche le diverse categorie economiche per programmare insieme uno sviluppo della città, anche ad esempio sul piano turistico, affinché cresca il turismo di qualità, culturale e che non sia solo mordi e fuggi.

 

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
La cosa importante che abbiamo messo al centro sono anche i progetti in corso. L’idea prevalente è che comunque vada sarà un successo, per le sinergie e le contaminazioni che abbiamo messo in campo rispetto ai soggetti istituzionali, alle fondazioni, ai comuni della provincia di Pisa, agli enti culturali, alle associazioni culturali e alle categorie economiche, da un lato, e poi perché abbiamo dei progetti in campo, molto importanti, che comunque realizzeremo in questi anni, anche prima del 2019.
Tra questi l’apertura del Museo delle antiche navi pisane e romane, un centro di formazione per il restauro del legno bagnato, la fabbrica del complesso monumentale del Duomo e del campo Santo, che attraverso l’applicazione di nuove tecnologie per la ricostruzioni virtuale creerà un percorso visivo che descriva le tappe evolutive della Piazza di Miracoli, servendosi di applicazioni 3D per un museo immersivo. Abbiamo previsto la fondazione di una cittadella Galileiana, un grande science center con una ludoteca scientifica ed un museo. Ci sono inoltre tutta una serie di progetti sui beni culturali, come il recupero di tutte le mura medievali, il completamento degli arsenali repubblicani, già finanziati dall’Europa con 20 milioni di euro.
Abbiamo l’intenzione di fondare una vera e proprio Casa del cinema e di alta formazione per le produzioni e per la professione cinematografica.
Pisa è protagonista di tutto ciò e molto altro ancora, progetti che la accompagneranno nel percorso di candidatura, rendendola una sfida contendibile. Tutto questo è già in corso, con impegni di spesa ottenuti dall’Europa, che vedranno una realizzazione concreta sia nel caso in cui proseguiremo per il titolo di Capitale europea della cultura, sia che non supereremo la fase istruttoria.

 

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019

 

mannequin-barcelona-mannequin-1927 copiaNuova tecnologia non invasiva per valutare le condizioni di salute delle opere d’arte. E’ proprio così, girando la tela e analizzandola dal retro ricercatori e conservatori del settore hanno messo a punto un metodo diagnostico in grado di capire il massimo grado di sopportazione meccanica che l’opera possa subire. Essa verrebbe quindi sottoposta a questo metodo non invasivo, costituito da luce infrarossa attraverso fibre ottiche, per scoprire la sua fragilità e capire, di conseguenza, qual è il migliore trattamento di conservazione da adottare.

L’idea nasce da un team di specialisti provenienti dalla University Collage London e dalla University of Barcelona ed è frutto della collaborazione tra ricerca, scienza e conservazione. “Come per la diagnostica medica, solo la stretta collaborazione interdisciplinare tra curatori, conservatori e restauratori può portare ad uno sviluppo realmente utile. Questo controllo non invasivo permette di migliorare il livello di gestione delle opere e curarle in ogni galleria o museo”, dice Matija Strlic, Senior Lecturer dal Centro per i Beni sostenibili dell’ UCL.

Esso si basa sulla determinazione del PH, sul grado di polimerizzazione (DP) della cellulosa e sull‘identificazione delle fibre che costituiscono la tela ottenuti tramite spettroscopia nel vicino infrarosso (NIR); ossia una metodica analitica di tipo fisico, basata sull’assorbimento di radiazioni elettromagnetiche caratterizzate nella zona del vicino infrarosso da numeri d’onda compresi tra 12800 e 4000cm-1 (780-2500 nm). Il segnale analitico che si ottiene dipende dalle proprietà chimico-fisiche del campione che durante l’analisi viene colpito da radiazioni incidenti, le quali posso essere assorbite, in parte trasmesse ed in parte riflesse. Lo spettro ottenuto, ponendo l’intensità dell’assorbimento in funzione dei numeri d’onda, è caratterizzato da picchi riferibili a gruppi funzionali specifici presenti nel campione.
Ne risulta che la spettroscopia NIR è una tecnica molto efficiente e vantaggiosa rispetto alle metodiche analitiche convenzionali: è infatti veloce, non è distruttiva, non è invasiva (nel senso che le radiazioni usate hanno contenuto energetico molto basso che non provoca un trasferimento di energia al campione sotto forma di calore). Il passo successivo dell’analisi, consiste nella statistica multivariata per permettere di costituire un modello tale da prevedere le proprietà della tela. Tutto ciò porta ad avere dei valori e delle categorie sullo stato di salute dell’opera. Le categorie sono quattro e vanno dalla prima, molto fragile, secondo la quale l’opera d’arte potrebbe non riuscire a sopportare le vibrazioni che un trasporto comporta, all’ultima, tela in buone condizioni per cui può essere tranquillamente traslata.

Per calibrare e validare questo metodo è stato usato inizialmente un campione di riferimento costituito da 199 tele appartenenti al XIX e XX secolo. Il campionario è stato ampiamente analizzato usando microscopi e metodi di analisi chimica. Una volta che il metodo ha raggiunto il giusto grado di validazione, 12 opere di Salvator Dalì sono state selezionate per essere analizzate. Ciò ha permesso di attestare il loro buono stato di conservazione scoprendo oltretutto l’uso di diversi tessuti di tela: in particolare, si è notato l’uso di un cotone di bassa qualità ed economico del giovane Dalì, quando ancora era studente, a fronte del lino di alta qualità iniziato ad usare in seguito al suo successo.

La vera innovazione viene ulteriormente sottolineata se si pensa ai metodi estremamente invasivi che finora vengono utilizzati, che prevedono il prelievo di campione, ossia l’asportazione di quantità minime di materia da sottoporre ai vari esami. Esempio sono la cromatografia, che permette di separare e dosare i componenti di un miscuglio, e le microanalisi che prevedono l’identificazione dei materiali attraverso l’osservazione al microscopio di formazioni di cristalli o di colorazioni caratteristiche a seguito di reazioni chimiche indotte.

 

 

panarelliIl 28 e 29 agosto si ripeterà a L’Aquila, come ogni anno, il rito della Perdonanza, indetto da Papa Clestino V per la remissione dei peccati: l’indulgenza verrà concessa a tutti coloro che attraverseranno la Porta Santa della Basilica di Santa Maria di Collemaggio.
Solo qualche giorno fa, tuttavia, il sindaco Massimo Cialente aveva annunciato ai cittadini che la splendida chiesa sarebbe rimasta chiusa fino al 2016 per motivi di sicurezza. In questi giorni di festa sarà straordinariamente possibile attraversare solamente la porta consacrata.

La città è costretta dunque a festeggiare la Perdonanza a metà, come del resto sta facendo ormai da quattro anni, dopo il drammatico sisma del 2009.

Il Ministero dei Beni e delle Attività culturali, lo scorso 6 agosto, ha diramato in un comunicato lo stato di avanzamento dei restauri che stanno interessando il centro storico della provincia.
Nella nota si legge: “A poco più di un anno dall’inizio dei primi lavori sono oggi più di sessanta gli aggregati che includono edifici vincolati, nei quali sono stati avviati i cantieri di restauro, su progetti autorizzati dalla Soprintendenza. Ai 37 cantieri già partiti, che procedono a ritmo spedito, si aggiungono quelli appena consegnati o avviati da poco – in particolare tra giugno e luglio, anche a seguito delle ultime approvazioni di contributi disposte dal Comune – per un totale di oltre sessanta cantieri già aperti, corrispondenti alla metà di tutti i progetti finora presentati. Lavori in corso da diversi mesi si incontrano lungo il Corso Vittorio Emanuele e Corso Federico II, dal Castello ai Quattro Cantoni e a S. Bernardino, nelle aree di via Garibaldi, S. Maria Paganica e S. Pietro Coppito, nella zona di piazza Prefettura e del Duomo, fino alla Villa Comunale e a Porta Napoli”.

Passeggiando tra le poche vie percorribili del centro storico si ha infatti l’impressione di trovarsi ancora in un grande cantiere, con gli splendidi palazzi puntellati da un fitto reticolo di impalcature.

Dei 129 progetti presentati, sono 101 quelli autorizzati dalla Soprintendenza, per un contributo pari a 500 milioni di euro. I cantieri avviati sono però 63, di cui 56 nel centro storico. In considerazione di tali dati si comprende come sia per ora in atto solo la metà di quanto promesso e atteso. Resta la speranza che l’attività di restauro non incontri intoppi e che proceda secondo quanto predisposto.

In questi giorni così particolari per L’Aquila, la città sembra vivere sentimenti contrastanti: da un lato c’è la ferita ancora aperta e indelebile di quanto accaduto il 6 aprile del 2009, dall’altro canto si sente forte un desiderio di rinascita e di ritorno alla spensieratezza di un tempo.

Va in questo senso la presentazione della candidatura a patrimonio immateriale UNESCO proprio della  Perdonanza Celestiniana, i cui dossier sono stati inoltrati alla Conferenza internazionale lo scorso anno. Per la sua unicità, la consapevolezza del suo valore e l’identificazione della comunità in questa tradizione, ha spiegato Giovanni Puglisi, presidente della Commissione italiana dell’UNESCO, la Perdonanza entrerà a pieno titolo nell’ambita lista nel 2015.

Questo importante traguardo è di certo un segnale importante per gli aquilani, che dimostrano grande voglia di riscatto anche con la candidatura della città a Capitale europea della cultura 2019. Non sappiamo se riusciranno a centrare anche questo secondo ambizioso obiettivo, ma senza dubbio hanno colto l’importanza della cultura per riemergere.

L’Aquila sta tentando del resto di metabolizzare il dramma che ha vissuto, come dimostra anche il progetto “Il Mercato degli Spiriti”, parte del più ampio programma “I Cantieri dell’Immaginario” del MiBac. Le vetrine abbandonate del centro storico, dove purtroppo ancora dominano le crepe e le macerie, sono state utilizzate per mostrare opere d’arte contemporanea realizzate da creativi di provenienze diverse, tutte volte ad indurre gli spettatori a riflettere sul concetto di città, sulla sua importanza ed evoluzione, tanto architettonica, quanto sociale.
L’Associazione Fuoriscala, organizzatrice della rassegna, e il curatore Carlo Mangiolini, invitano perciò ad interrogarsi, a guardare il contesto circostante come un luogo di nuove possibilità, partendo dall’esorcizzare il dolore.

La devastazione di tanti luoghi cari e preziosi ha indotto a riscoprire l’importanza di un patrimonio identitario, attorno a cui ora ci si stringe con dignità per risorgere e tornare a sperare nel futuro.

 

pavimentosiena

Per poche settimane, dal 18 Agosto al 27 Ottobre 2013, il meraviglioso pavimento del Duomo di Siena tornerà a vivere tra le sue colonne.
In questa occasione i milletrecento metri quadrati di tarsie marmoree saranno liberati dalle assi di legno che solitamente li tengono nascosti per motivi di conservazione, e sarà svelato un impianto iconografico ricco e complesso.

L’iniziativa è già stata portata avanti con successo lo scorso anno, quando, in poco più di due mesi, la Cattedrale è stata visitata da oltre trecentocinquantamila persone.
Frutto di un lavoro durato secoli, dal Trecento all’Ottocento, il pavimento del Duomo è formato da cinquantasei pannelli, che rivestono completamente il piano di calpestio dell’edificio.

Le prime tarsie furono realizzate con la tecnica del graffito, solcando lastre di marmo bianco con scalpello e trapano, e riempiendole poi di stucco nero. In seguito fu introdotta la tecnica del commesso marmoreo, che consiste nell’accostamento di tessere di diversi colori, in modo da ottenere un effetto quasi pittorico.
I cartoni preparatori, esposti presso la Pinacoteca Nazionale di Siena, sono opera di importanti artisti, quali il Sassetta, Matteo di Giovanni, Domenico di Bartolo, Bernardino Pinturicchio e Domenico Beccafumi.

divinabellezza

Lo spettatore sarà accompagnato all’interno della Chiesa da un’iscrizione latina, che invita ad «entrare castamente nel sacro tempio della Vergine».
Nel percorso lungo le tre navate vedrà dispiegarsi una fitta griglia geometrica, abitata da figure dell’antichità classica: Ermete Trismegisto, depositario della sapienza umana; dieci Sibille, simboli della rivelazione della Parola in ogni angolo del mondo; la Lupa che allatta i gemelli, emblema di Siena già in epoca medievale; la Ruota della Fortuna con i filosofi Socrate, Cratete, Aristotele e Seneca.
Nel transetto, invece, incontrerà scene molto più affollate e dinamiche, tratte dalla tradizione biblica, tra cui la cacciata di Erode, la strage degli Innocenti e la morte di Assalonne; Cristo non è mai rappresentato, ma l’allusione alla salvezza da lui garantita è costantemente presente.
La sezione ad esagono sotto la cupola, infine, fu decorata dal Beccafumi con le storie di Elia ed Acab, raggiungendo mirabili risultati di chiaro-scuro.

Sarà inoltre possibile girare attorno all’abside, dove si trovano le tarsie lignee di Fra Giovanni da Verona.
Ma non è tutto: rimarrà infatti aperta anche la Porta del Cielo, passaggio privilegiato che conduce ad un itinerario nel sottotetto, dal quale si può godere di viste panoramiche dell’interno del Duomo e del paesaggio circostante.
Eccezionalmente l’orario di apertura sarà esteso dalle 20 alle 24 di ogni sabato, permettendo una ancor più suggestiva visita notturna del pavimento «più bello, più grande e magnifico mai realizzato» (G.Vasari).

pompeipanoLo scorso 27 giugno si è conclusa a Phnom Penh, in Cambogia, la 37sima riunione UNESCO. In tal sede l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha aggiornato la lista del patrimonio mondiale dell’Umanità prendendo in esame le candidature di beni ambientali e culturali di ogni Paese.
L’Italia ha messo a segno altri tre riconoscimenti: si tratta del vulcano Etna, in Sicilia, delle Ville e Giardini medicei in Toscana, mentre l’Archivio LUCE è entrato nel Registro della Memoria del Mondo.
Per il Bel Paese tuttavia non sono giunti solo onori, ma anche un legittimo richiamo al senso di responsabilità che gli deriva dal fatto di vantare il più grande numero di siti UNESCO, 49 in tutto.

A preoccupare è in particolare la condizione dell’area archeologica di Pompei tanto che dai vertici dell’Organizzazione è stato lanciato un ultimatum volto a ripristinare le ottimali condizioni del sito entro il prossimo 31 dicembre.

La sfida è ardua ma dal Ministero giungono voci ottimiste: Bray rassicura che due dei cinque cantieri previsti sono già stati avviati, il terzo partirà nei prossimi giorni, ma i rimanenti sono bloccati in attesa di verifiche supplementari relative alla trasparenza (considerazione non certo edificante). Secondo il neo ministro entro il 2015 saranno attivi a Pompei 39 cantieri in tutto, ma nel frattempo, gli scioperi dei dipendenti MiBAC avvenuti nei giorni scorsi non consentono previsioni rosee.
Nel sito campano i principali problemi, purtroppo comuni a molti altri luoghi della cultura italiani, sono: carenze strutturali, danneggiamenti, costruzioni abusive, carenza di fondi e mancanza di personale.

 

Il Progetto Grande Pompei prevede l’impiego di ben 105 milioni di euro, in parte messi a disposizione dall’Unione europea, e alcuni privati, come l’imprenditore Pietro Salini, hanno avanzato l’intenzione di donare denaro per il restauro del sito.
E’ necessario ora non disperdere tali risorse, come purtroppo è accaduto in passato, al fine di avviare quel processo di recupero che già da tempo doveva essere partito. Il piano di manutenzione programmata di Pompei è stato infatti approvato già nel marzo 2012 e, sebbene la sovrintendente Cinquantaquattro assicuri che tra il 2011 e il 2012 sono stati messi in sicurezza “oltre cento punti della città antica”, è bene dare ulteriori segnali.

L’ultimatum dell’UNESCO è in realtà la richiesta, entro la fine dell’anno, di un rapporto sulle attività svolte per la conservazione del sito; il presidente della commissione italiana Giovanni Puglisi chiarisce inoltre che il governo e il ministero sono a conoscenza di tale documento e dunque perfettamente pronti a collaborare.

Il 31 dicembre è tuttavia molto più vicino di quel che sembra e per recuperare la credibilità perduta, anche a livello internazionale, c’è davvero molto da fare e non ci si può certo rilassare sugli allori.
Il successo della mostra in corso al British Museum di Londra, dedicata proprio ai reperti pompeiani, ci ricorda del resto quanta stima verso il nostro patrimonio abbiano all’estero, ma anche la grande responsabilità che l’Italia deve assumersi.

 

L’incendio che ha distrutto la Città della Scienza di Napoli ha lasciato tutti di sasso. Dopo ormai più di tre mesi, si parla di un piano per ricostruire questo importante spazio culturale, ma i punti interrogativi sono molti per una vicenda che appare davvero complessa. Ci spiega il suo punto di vista Daniele Pitteri, giornalista e docente napoletano, che di tale questione parla da cittadino ed esperto culturale.

 

La Città della Scienza è caduta tra le fiamme di un rogo doloso. Che idea si è fatto riguardo il movente di tale azione?
Questo sinceramente proprio non lo so. Mi pare appurato il fatto che l’incendio sia stato doloso, anche a quanto si apprende dalle cronache. Quella di Bagnoli è una zona particolare dove sono accaduti già in passato episodi strani, ma mai a questo livello. Non saprei dire se si tratta di malavita organizzata, di qualche piccolo gruppo locale con interessi particolari, come lo sfruttamento della spiaggia. Ma non mi posso sbilanciare.

Quale valore ha per Napoli la Città della Scienza?
Non c’è dubbio che la Città della Scienza abbia rappresentato sin dagli inizi, quando nacque l’evento Futuro Remoto, da cui poi è scaturita l’idea di una Città della Scienza come luogo permanente, l’intrusione positiva della tecnologia e delle scienze nel contesto napoletano, aperto ad un pubblico vasto. I cittadini si sono poco alla volta abituati, attraverso Futuro Remoto prima e la Città della Scienza poi, ad avere un rapporto con queste tematiche sicuramente diverso rispetto al passato. Testimoni di ciò sono soprattutto le scolaresche e i bambini, essendosi formati attraverso la Città della Scienza, divenuto elemento fondamentale della loro crescita e sviluppo.
Questo spazio ha dunque un grande valore simbolico, poiché ha contribuito ad educare le generazioni future che tra qualche anno entreranno nel mondo del lavoro e si assumeranno determinate responsabilità.
C’è da dire che Napoli vanta in realtà una presenza cospicua di scienza, ma non è mai stata percepita: abbiamo il MARS, la stazione zoologica Anton Dohrn, c’è una forte tradizione di ricerca, ma trattandosi di laboratori specialistici e avanzati, sono sempre risultati poco noti. Con la Città della Scienza c’è stata invece una volontà di comunicare e far incontrare tale tematiche alla cittadinanza.

Come giudica le iniziative volte a raccogliere fondi per la ricostruzione?
Sicuramente c’è stata una corsa alla solidarietà. Sono state molte le iniziative e tante sono ancora in corso, attivate da molte parti. Devo dire che, essendo stata una ferita per il cuore di Napoli, i cittadini hanno per primi organizzato manifestazioni sul luogo del rogo, da cui hanno preso via diverse raccolte fondi. C’è stato un grande impegno da parte di tanti soggetti anche diversi tra loro. Sinceramente però ritengo che un luogo come la Città della Scienza non debba essere ricostruito attraverso finanziamenti volontari, ma deve essere una priorità dell’ente di governo, e non tanto di quelli locali, ma di quello nazionale.
Va bene che cominci a diffondersi nel nostro Paese l’idea che si possa sostenere dal basso, attraverso il proprio contributo, anche economico, la costruzione e il mantenimento di luoghi di cultura, ma non è questo il caso. Qui è evidente che la raccolta fondi è tutto basata sulla spinta solidaristica ed emozionale, e non può essere l’unica soluzione.

La commissione interistituzionale preposta ha avanzato l’ipotesi di una ricostruzione mista per questo spazio, edificando in parte su aree già presenti e in parte su nuove mai edificate, al fianco del Museo Corporea. Ritiene che sia effettivamente la soluzione da preferire? Che ne sarà dello spazio delle ex acciaierie?
La questione è molto complessa perché la Città della Scienza è indubbiamente legata a quel luogo di Napoli, e dunque ha una forte localizzazione: è l’unica testimonianza di trasformazione da 25 anni, avendo visto la conversione di quella che era un’area industriale di Bagnoli, dove risiedevano le fabbriche dell’Italsider, in una realtà culturale.
In realtà la Città della Scienza non doveva trovarsi lì perché non previsto dal Piano Regolatore, tanto che inizialmente si parlava di una collocazione provvisoria.
Nella zona di Bagnoli persiste poi un problema di bonifica, sul lato mare, andando verso nord. C’è inoltre una società di gestione che è Bagnoli Futura, ora in dismissione, con buchi di bilancio gravi, la quale ha seguito attività di recupero sulle ex-aree industriali, che tuttavia non sono andate in porto. C’è un grande auditorium mai entrato in funzione, come del resto la spa; si è conclusa la ristrutturazione di grandi settori che dovrebbero essere adibiti ad acquario per specie marine, ma è rimasto tutto fermo: la gara è andata deserta perché è folle la cifra richiesta per dare in concessione gli spazi, per di più per un tempo brevissimo.
C’è un sistema complessivo della zona che va ripensato, prendendosi responsabilità serie: basti pensare che alcune bonifiche sono state interrotte perché gli operatori locali dovevano aprire gli stabilimenti balneari, lì dove non era possibile a causa delle sabbie inquinate.
E’ fuor di dubbio che un pensiero strategico su quell’area comprenda anche decisioni inerenti la Città della Scienza: è bene dunque seguire vie coordinate. Non ha senso scindere il destino del museo con quello dell’area. Alcuni errori fatti nel passato dovrebbero essere ora, in queste circostanze sfortunate, corretti.

La ricostruzione sarà un grande banco di prova per Napoli, per gli enti locali e le istituzioni preposte. Pensa che saranno in grado di cogliere la sfida?
La ricostruzione della Città della Scienza, anche per come è stata distrutta, deve essere una priorità nazionale dello Stato italiano, sebbene sicuramente in collaborazione con gli enti locali.
Purtroppo però così non sarà, perché sappiamo che l’attenzione degli ultimi governi, e questo nuovo non mi sembra distanziarsene troppo, è bassa nei confronti della cultura: continueremo ad avere quello 0,2% del PIL rivolto al settore. Questo mi lascia poco speranzoso che una ricostruzione della Città della Scienza avverrà presto e in modo corretto.
Gli enti locali poi non hanno un’idea di politica culturale: il Comune di Napoli e la Regione Campania seguono indirizzi anche conflittuali tra loro. Il sindaco De Magistris ha dimostrato di non avere una visione al riguardo perché di fatto ci troviamo con un’amministrazione comunale schizzofrenica che punta tutto in maniera non programmatica, su eventi singoli come l’America’s Cup, il Giro d’Italia, facendo investimenti che non rimangono a livello infrastrutturale sul territorio. Dall’altra parte c’è un assessore alla cultura, con ben poca voce in capitolo, che invece pensa ad un’azione di coinvolgimento della cittadinanza dal basso, interpellando direttamente gli operatori, ma che si scontra con il sindaco.
Temo dunque che le istituzioni non saranno in grado di ricostruire la Città della Scienza, la quale si rivelerà l’ennesimo fallimento. Le estreme difficoltà economiche inducono inoltre a non prospettarsi nulla di buono.

Non c’è il pericolo che avvenga un’intromissione della malavita organizzata nella ricostruzione della Città della Scienza?
Questo è un rischio costante. La camorra bada soprattutto a fare business, piuttosto che a controllare il territorio, perciò un’operazione del genere, se mai ci fossero soldi, farà gola.
Il motivo del rogo non lo conosco, ma molti sono i punti interrogativi, alcuni davvero assurdi: c’è chi persino parla che possa essere stato qualcuno dall’interno, visto che il personale non percepiva da tempo gli stipendi e c’erano malcontenti. La situazione è davvero ingarbugliata. Non sto manifestando alcun sospetto, ma sto dicendo che sul nostro territorio si sono verificate strane connivenze tra diverse componenti, di tipo sociale, politico, ecc, teoricamente lontanissime dalla matrice malavitosa, in cui però si sono manifestate intrusioni e collaborazioni. Purtroppo siamo dinnanzi ad una serie di scenari molto aperti e variegati.
Dal punto di vista civico è dilaniante, perché non ci si può affidare alle iniziative dei singoli.
La Città della Scienza ha avuto come promotore principale un uomo, lo scienziato Silvestrini, da molti ritenuto ingombrante, che però, grazie alla sua capacità di relazione, ha saputo mettere a tavolino diverse parti istituzionali, contribuendo alla nascita di questo spazio. Le capacità di dialogo che questa organizzazione, con il tempo, è riuscita a creare, sono l’unica speranza che possa rinascere qualcosa di buono con un minimo di senso. Da un punto di vista istituzionale sarebbe però un altro fallimento, perché vorrebbe dire che gli organismi di governo sono incapaci di agire da sé.

 

In tutta Italia sono circa duemila i possedimenti di pregio, non strumentali, gestiti dal demanio storico artistico: castelli, antiche dimore gentilizie, strutture storiche dismesse, conventi inutilizzati, fari e residenze marine che, insieme, contribuiscono a creare lo straordinario patrimonio culturale del nostro Paese.
Sono strutture affascinanti e suggestive, inserite in tessuti storici e paesaggistici particolari, spesso costrette a versare in condizioni di abbandono. E’ a loro che si rivolge il progetto Valore Paese – dimore d’Italia, presentato lo scorso 10 aprile a Roma. L’agenzia del demanio e Invitalia – agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa – si uniscono per promuovere un approccio che guardi al patrimonio culturale come ad un volano per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
L’idea è quella di coinvolgere le imprese nella riqualificazione e nella valorizzazione di immobili pubblici di pregio, con l’obbiettivo di costruire un network di strutture turistico-ricettive e culturali di prima qualità, un sistema alberghiero diffuso a scala nazionale, chiaramente identificabile grazie ad un brand unico e riconoscibile, che sia capace di intercettare e accogliere i flussi di domanda più sensibili alla fruizione del patrimonio culturale.
Inutile dirlo, il modello cui si guarda è quello dei Paradores spagnoli, che non dovrà, però, essere semplicemente replicato quanto piuttosto reinterpretato e plasmato sulla ricchezza culturale dei nostri territori e le capacità del nostro sistema d’offerta. L’obbiettivo è quello di costruire un sistema che possa rappresentare una vetrina del Made in Italy, uno strumento attraverso cui promuovere e valorizzare la cultura e la tradizione italiana, dall’arte alla storia, dal paesaggio all’artigianato, dalla moda all’enogastronomia. L’offerta turistica che si vuole sviluppare all’interno di questa rete di dimore, infatti, coniugherà i servizi alberghieri con una serie di servizi culturali, costruiti con la volontà di rilanciare e comunicare l’identità del territorio.
Secondo Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, un progetto di questa portata dimostrerà la capacità dei beni pubblici di andare sul mercato e servire la valorizzazione di aree importanti del nostro Paese. Uno degli elementi caratterizzanti l’iniziativa, infatti, è la collaborazione pubblico–pubblico e pubblico-privato, in vista della quale è fondamentale mettere a sistema le competenze tecnico progettuali, economico finanziarie e giuridico amministrative, nonché l’expertise consolidata dei diversi soggetti, istituzionali e non.
In questa prima fase sono state avanzate 115 proposte di immobili, di cui 63 sono state selezionate, 28 in fase di start up e 7 già avviate. Entro la fine dell’anno verranno messi in moto i primi bandi per la concessione in uso per cinquant’anni ai privati. Gli enti pubblici locali hanno tempo fino al 31 di maggio per manifestare il proprio interesse all’iniziativa e richiedere l’inserimento dei propri immobili di pregio storico, artistico e paesaggistico nel portfolio.
Il progetto mira a promuovere tanto il recupero del patrimonio, quanto una sua conservazione attiva, e vuole avviare un percorso che integri la salvaguardia delle peculiarità storico architettoniche del bene, la valorizzazione del suo valore funzionale, la promozione dei territori e del made in Italy e lo sviluppo del sistema turistico nazionale, comparto che sarà destinato ad avere un ruolo sempre più importante nell’economia del futuro.

Per ulteriori informazioni consulta il sito

Roberta Verteramo è una ricercatrice e restauratrice d’arte contemporanea specializzata nel settore dei materiali sintetici. Scopriamo con lei l’importanza di questo tipo particolare di restauro, sino a pochi anni fa poco conosciuto.

Al Salone del Restauro di Ferrara presenterai il tuo libro, uno dei primi in lingua italiana, intitolato “The age of Plastic. Beni artistici e industriali”, in cui approfondisci la composizione delle materie plastiche semisintetiche e sintetiche e la loro applicazione nel contesto artistico e del design. Qual è la loro diffusione in ambito artistico?
Più ampia di quanto si possa immaginare. Uno dei motivi che mi ha dato la pulsione a scrivere questo libro è stato proprio la volontà di far conoscere alle persone cosa si intende esattamente per ciò che genericamente definiamo plastiche, e dove e in quali forme le troviamo. La prima parte del libro è infatti proprio dedicata alla storia dell’introduzione delle materie plastiche nell’arte e nel design.
Ad esempio, quando si parla di pittura acrilica, molte persone non la associano ad una materia plastica. Ma in realtà stiamo proprio parlando di un’emulsione a base polimerica acrilica.

Dopo quanto tempo, solitamente, un’opera realizzata con questi materiali necessita di un restauro?
Non vi è un tempo limite di riferimento in quanto sono molti i fattori che entrano in gioco: prima di tutto bisogna capire di quale materia plastica stiamo parlando e in che modo è stata applicata. Poi incidono i fattori termoigrometrici, quali la temperatura, l’umidità, la luce a cui è sottoposta la materia e, non in ultimo, il “vissuto” dell’opera o l’oggetto realizzato con quel materiale.

Ci sono delle differenze nel comparto del restauro di opere d’arte contemporanee in Italia rispetto al resto del mondo?
Devo dire che dagli anni ‘90 in poi sono state sviluppate delle ricerche in tutto il mondo, quasi in modo parallelo. Stiamo parlando di un nuovo settore di ricerca molto ampio e quindi i temi da affrontare a livello conservativo sono molti. Proprio i convegni che si realizzano ogni anno su questo tema , sono dei veri propri aggiornamenti sugli avanzamenti di ricerca provenenti da tutto il mondo.
E’ straordinario vedere come anche la conservazione dell’arte contemporanea abbia permesso il dialogo tra colleghi internazionali, ma anche il confronto con altre figure professionali che rientrano nella filiera dell’arte. A differenza dell’arte antica qui possiamo ancora avere la fortuna di interfacciarci direttamente con l’artista, l’autore dell’opera.

Qual è stato il tuo percorso di studi e quali sono i consigli che vorresti dare a chi si avvicina a questo campo di ricerca?
Ti dirò ciò che io penso sia importante cioè amare ciò che si fa. Questo porta inevitabilmente ad indagare e a voler conoscere. Quindi se qualcuno vuole seguire questa specializzazione, deve capire cosa lo appassiona, studiare e fare ricerca, individuando i centri dove sviluppano il tema del proprio interesse.
“Studiare per passione,  non per arrivare ma per conoscere.”

Approfondimenti:
www.verteramo.it

Immagini dei territori emiliani e abruzzesi nelle quali chiese e campanili sono ricostruiti come se le terribili scosse di terremoto non ci fossero mai state; dibattiti sulle metodologie di restauro del patrimonio artistico e dati relativi allo status quo dei lavori portati avanti da operatori, restauratori e architetti in questi mesi: mancano poco più di due settimane all’inaugurazione del Salone dell’Arte del Restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, che aprirà i battenti nella consueta cornice della fiera di Ferrara, il prossimo 20 marzo e già c’è molto da dire riguardo questo importante appuntamento. Tre giorni dedicati al nostro patrimonio artistico, alla sua valorizzazione e salvaguardia, grazie al denso programma di convegni ed esposizioni di operatori del settore. La XX edizione del salone sarà celebrata ricordando i gravi danni causati dai terribili terremoti che hanno scosso Emilia ed Abruzzo. Essendo da sempre Ferrara la cornice di questa manifestazione, dedicare ampio spazio ai lavori post sima e alla riqualificazione dei territori maggiormente martoriati era doveroso. Uno dei dibattiti centrali si terrà durante il convegno principale “Dov’era ma non com’era : il ruolo centrale del restauro nella ricostruzione post-sismica”, articolato in due sessioni che si terranno il 20 e il 21 marzo. Le tematiche che verranno affrontate saranno le emergenze architettoniche e l’edilizia storico aggregata, grazie al contributo del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara, TeknuHub e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici.

Sotto il nome di “Dov’era ma non com’era” nel Salone sarà allestito, inoltre, uno spazio espositivo in cui saranno visibili le ricostruzioni iconografiche dei territori maggiormente colpiti dal sisma con accanto i dati relativi alle cifre e alle stime dei danni; le immagini simboliche dei campanili originari saranno riprodotte in grafiche verticali.

In questa occasione il Ministero dei Beni Culturali divulgherà anche i numeri relativi alla situazione attuale dei lavori di recupero, sia in Emilia che in Abruzzo, all’interno del convegno intitolato “Emilia- Lombardia e Abruzzo: a che punto siamo”.

Ospite illustre del Salone sarà dunque il Mibac che illustrerà i progetti portati a termine e quelli in essere, nonché le sue attività di formazione condotte dai tecnici e specialisti del settore. Rilevante è l’attenzione riservata alle nuove tecnologie, sempre più determinanti per affiancare e coadiuvare il lavoro del restauratore, saranno molti gli espositori che durante la fiera presenteranno, infatti, strumenti innovativi in questo campo.

Grande spazio viene riservato anche all’architettura del Novecento, sia nel convegno tematico “Conservazione, gestione e valorizzazione dell’architettura del Novecento e il rapporto con i grandi maestri: Oscar Niemer e Le Corbusier”, in programma il 22 marzo, che in una mostra dedicata ai due protagonisti. Il filo conduttore sarà la valorizzazione della città grazie all’architettura, e Niemer e Le Corbusier saranno presi a modello di sostenibilità urbana, in particolar modo per le loro opere realizzate in Brasile e in India.

Nel panorama internazionale degna di nota è la presenza del Museo Hermitage di San Pietroburgo che terrà un convegno sul recente restauro della tela di Tiziano “Fuga dall’Egitto”.

Quelli citati sono solo alcuni degli appuntamenti previsti nel ricco programma dell’importante manifestazione durante la quale Ferrara concentra su di sé l’attenzione e la presenza dei professionisti del settore.

Per accogliere turisti e visitatori la città, come ogni anno, aprirà gratuitamente le porte dei suoi tesori architettonici. Per tutta la durata del Salone, infatti, i musei statali, tra cui la Pinacoteca e il Museo Archeologico Nazionale, saranno visitabili liberamente. Anche i musei non chiusi per restauro post sisma saranno fruibili a costo zero. Al Castello Estense sono invece organizzate delle visite guidate straordinarie a pagamento.

Qui troverete l’elenco di tutti i musei visitabili. Per visualizzare invece il programma completo e dettagliato della manifestazione cliccate a questo link. Entrambi i documenti vi forniranno tutte le informazioni necessarie per organizzare al meglio la vostra visita a Ferrara e al Salone.

 

 

Giovedì 13 dicembre 2012, quando il Comune di Venezia ha indetto la gara per accapararsi lo sponsor di ristrutturazione del ponte di Rialto, Renzo Rosso con il suo gruppo finanziario (OTB) non ha avuto rivali e ha vinto il contratto mettendo sul piatto 5 milioni di euro.

L’accordo prevede che i lavori inizieranno a fine gennaio e si concluderanno non prima del 2015; l’intera opera di recupero da 5 milioni di euro offrirà al marchio Diesel la possibilità di essere associato per molto tempo all’immagine di uno dei ponti più famosi del patrimonio culturale italiano.
Su vaporetti e mezzi di comunicazione del capoluogo lagunare, per quattordici giorni l’anno, lo sponsor potrà affiggere messaggi pubblicitari legati a particolari campagne di marketing.
Inoltre l’accordo prevede l’organizzazione di eventi culturali di grande visibilità e prestigio, uno in Piazza San Marco, uno al Teatro la Fenice, due a Palazzo Ducale e in altre sedi importanti della città. Il buon senso è inteso qui come vincolo tra pubblicità, decoro e qualità in quanto ogni forma pubblicitaria sarà vigilata in osservanza dell’importanza del ponte in questione e dell’interà città.
Una nuova forma di mecenatismo si sta sviluppando in Italia per salvaguardare il patrimonio; anche se in maniera contenuta, si sta assistendo ai primi segni di partecipazione del ceto imprenditoriale per la tutela delle ricchezze artistiche. Si sta tracciando l’importanza di creare un modello di partecipazione fra poteri pubblici e privati modernizzando il mecenatismo tradizionale.

Laura Biagiotti nel 1998 contribuì al restauro della Cordonata del Campidoglio in collaborazione con il Comune di Roma e l’Associazione Caput Mundi, mentre recentemente l’esempio più emblematico è stato quello che ha visto Diego Della Valle mecenate per il Colosseo. Dopo mesi di polemiche e critiche da parte di Codacons e Antitrust l’accordo è comunque partito e Mister Tod’s finanzierà il restauro dell’anfiteatro Flavio per 25 milioni di euro.

Le polemiche innescate dal Codacons  si rivolgevano a cartelloni abusivi e appalti truccati ma dure sono state le risposte dell’opinione pubblica italiana. Se le casse dello Stato piangono, infatti, i soldi per la salvaguardia del patrimonio devono essere cercati altrove.

Per quanto riguarda l’appalto di restauro al Ponte di Rialto, fino ad ora non sembrano essersi scatenate numerose critiche o polemiche. Forse l’opinione pubblica italiana si è arresa di fronte al fatto che il nuovo mecenatismo dei grandi ricchi in questo momento sia l’unica soluzione possibile.
Nessun turista o cittadino appassionato vorrebbe vedere in Piazza San Marco grandi cartelloni pubblicitari, ma se non avere questo significasse perdere uno dei ponti più prestigiosi d’Italia, varrebbe ancora la pena perseguitare il mecenatismo?
Il compromesso giusto è quello della continua sorveglianza e del continuo controllo sulle campagne pubblicitarie che verranno messe in piedi da questi grandi sponsor, la qualità e il prestigio dello spazio non dovranno soffrire soffocati dalla pubblicità.

CAPIRE L’ARTE CONTEMPORANEA. LA GUIDA PIÙ IMITATA ALL’ARTE DEL NOSTRO TEMPO
Angela Vettese
pp. 480
Allemandi, € 35,00
ISBN: 978-8842221135

Che differenza c’è tra Astrattismo geometrico e Neo-geo? Come si distingue l’Informale dall’Action painting? E l’arte cinetica dall’arte elettronica? Ebbene sì, l’arte contemporanea è «difficile»: lo è perché si sviluppa in gran parte lontano da esigenze narrative figurative, ma anche perché questo secolo detiene il record assoluto di nascite e altrettanto repentine eclissi di avanguardie, tendenze e movimenti, con una decisa impennata nell’ultimo cinquantennio. In questa sua guida all’arte del dopoguerra Angela Vettese, critico militante (scrive regolarmente su «Il Sole-24 Ore») mette ordine in quasi mezzo secolo di ricerche, realizzando un chiaro vademecum finora assente e invocato dagli appassionati dell’arte del nostro tempo. È un’agile mappa dell’arte contemporanea il cui punto di riferimento è la ricostruzione dei diversi movimenti e delle teorie messi in relazione con l’effervescente attività di un circuito di gallerie, critici, musei e artisti: il famoso «sistema dell’arte».

 

 

MUSEI NELL’OTTOCENTO. ALLE ORIGINI DELLE COLLEZIONI PUBBLICHE LOMBARDE
Maria Fratelli
pp. 496
Allemandi, € 35,00
ISBN: 978-8842219163

Dal momento della sua recente istituzione l’impegno forse più importante assunto dalla Rete Museale dell’Ottocento Lombardo è stata la verifica delle ragioni stesse della sua fondazione, che ha dato il via a una riflessione sulla natura dei musei che vi hanno aderito, cioè sugli antefatti decisivi della loro formazione. È durante l’Ottocento che si venne a creare un moderno sistema in grado di muovere l’arte fra scuola, museo, collezioni e mercato, entro una nuova mappa di luoghi deputati a orientarne la crescita. Oggi la Rete Museale vorrebbe essere il dispositivo maieutico appropriato per accogliere e svelare la sostanza stessa di quel sistema.

 

 

 

 

BERNARDO STROZZI
Camillo Manzitti
pp. 3189
Allemandi, € 200,00
ISBN: 978-8842221005

Bernardo Strozzi fu senza dubbio uno dei più grandi pittori del suo tempo Fu riconosciuto come tale durante gli anni in cui esercitò la sua arte nella città natale; ma anche quando, fuggiasco, si stabilì a Venezia, non tardò a venire riconosciuto come il maggiore artista operoso allora in territorio lagunare. Tuttavia, il gran numero di collaboratori di cui si circondò e che istruì per essere impiegati in un’intensa produzione di bottega che assecondasse il suo spirito imprenditoriale, ha sortito l’effetto di generare un catalogo incredibilmente inflazionato da opere spurie indegne di lui, con il risultato di ridimensionare inevitabilmente la valutazione dei suoi meriti e della sua pittura, così unica e inconfondibile sotto l’aspetto stilistico, da spiegare facilmente i tanti entusiasmi che suscitò presso gli amatori del tempo. Questo libro, più che insistere sulla ricostruzione del profilo di un pittore, a cui già molti scritti sono stati dedicati, e la cui fama è tale che si può affermare non vi sia Museo o collezione pubblica che non ne possegga qualche opera, si propone di condurre una rigorosa revisione del suo catalogo.

 

 

IN DISPARTE. APPUNTI PER UNA SOCIOLOGIA DEL MARGINE
Emanuele Rossi
pp. 112
Armando Editore, € 12.00
ISBN: 978-8866770947

“La città è uniforme soltanto in apparenza” (W. Benjamin). Accanto a quelle realtà consolidate all’interno delle quali abbiamo imparato a muoverci con naturalezza, vi sono realtà inedite, vere e proprie “creazioni del caso”, sorte in maniera spontanea. Si tratta dei luoghi della povertà e cioè di quelle numerose “aree sconosciute” della vita sociale che normalmente abbiamo cura di evitare o di cui non immaginiamo neppure l’esistenza, perché in questi luoghi tutto appare “misterioso ed oscuro”, così come quell’umanità perduta e dimenticata che, in qualche modo, vi ha trovato rifugio.

 

 

 

 

SCRITTI SUL PENSIERO MEDIEVALE
Umberto Eco
pp. 1332
Bompiani, € 35,00
ISBN: 978-8845271564

Questo volume presenta scritti tutti già pubblicati ma che l’autore ha riunito per testimoniare della sua continua attenzione alla filosofia, all’estetica, alla semiotica medievale, sin dall’inizio dei suoi interessi storiografici degli anni universitari. Raccoglie così le ricerche sull’estetica medievale e in particolare quella di Tommaso d’Aquino, gli studi di semantica sull’arbor porphyriana e sulla fortuna medievale della nozione aristotelica di metafora, esplorazioni varie sul linguaggio animale, sulla falsificazione, sulle tecniche di riciclo nell’Età Media, sui testi di Beato di Liebana e della letteratura apocalittica, di Dante, di Lullo e del lullismo, su interpretazioni moderne dell’estetica tomista, compresi i testi giovanili di Joyce. Una seconda sezione raccoglie scritti meno accademicamente impegnativi ma che tuttavia possono fornire anche al lettore non specialista idee sul pensiero medievale e sui suoi vari ritorni in tempi moderni, con riflessioni sugli embrioni secondo Tommaso, l’estetica della luce nel paradiso dantesco, il Milione di Marco Polo, la miniatura irlandese e quella del tardo Medioevo, documentate visivamente in una succinta raccolta di immagini.

 

 

LONGLIFE-LONGWIDE LEARNING. PER UN TRATTATO EUROPEO DELLA FORMAZIONE
Massimo Baldacci, Franco Frabboni, Umberto Margiotta
pp. 164
Bruno Mondadori, € 16,00
ISBN: 978-8861597068

Il contesto internazionale sta mutando profondamente, e con esso il modo in cui la formazione può contribuire allo sviluppo economico e sociale dei Paesi europei. Per le istituzioni, le università, gli insegnanti, i cittadini, emerge sempre più forte la necessità di ripensare il paradigma educativo, in modo da armonizzarlo con la natura dinamica e complessa dell’attuale società della conoscenza. Il volume presenta la prospettiva sistematica di alcuni dei maggiori pedagogisti italiani sui cambiamenti, in atto e all’orizzonte, del sistema formativo europeo: dalle nuove realtà sorte in seguito alla crisi del welfare state – segnate dal lifelong learning e dall’interazione tra la formazione formale e quella informale – ai percorsi diretti verso un learnfare efficace ed equo, che renda universale, oltreché centrale e permanente, l’accesso alle conoscenze e il loro apprendimento.

 

 

 

LA COMPETENZA SEMIOTICA. BASI DI TEORIA DELLA SIGNIFICAZIONE

P. Fabbri, D. Mangano (a cura di)
pp. 494
Carocci, € 39,00
ISBN: 978-8843063536

La semiotica, teoria dei linguaggi e della comunicazione, non è speculazione fine a se stessa, ma pratica analitica e metodo. È stata applicata ad ambiti diversi, dai media alla letteratura, dall’immagine agli audiovisivi, dall’arte al design, dalla scienza alla politica e alla tecnologia, ottenendo esiti di rilievo nel dialogo costante con altre discipline del significato: linguistica, filosofìa, ermeneutica, etnologia, teoria della comunicazione, critica letteraria. Questa antologia si focalizza sul momento che precede le pratiche analitiche della scienza della significazione, ovvero su quella competenza che costituisce l’ossatura dell’attività semiotica come critica della cultura e della società. Partendo dalle riflessioni della linguistica, dalle suggestioni dell’antropologia, dagli studi sulla cultura, si giunge alla svolta semiotica che ha orientato questa disciplina verso le sue ricerche più attuali e le ipotesi future. Niente più collezioni di segni, ma esplorazioni e sperimentazioni con testi e discorsi, passioni e corpi, per dar senso e valore alla contemporaneità.

 

 

PICCOLO MANUALE DI ETICA CONTEMPORANEA
Francesca Brezzi
pp. 317
Donzelli, € 20,00
ISBN: 978-8860368263

Etica inquieta, etica problematica: nell’epoca della crisi delle ideologie anche l’universo dei valori è in profonda trasformazione, in cerca di nuove fondazioni o di fondamenti “altri”. La condizione di “guado”, caratteristica della fine del secolo e degli inizi del terzo millennio, non rende tuttavia meno urgente la ricerca di risposte. Sempre di più nei nostri tempi turbati si avverte un vero e proprio bisogno di etica. L’obiettivo di questa agile introduzione, limpida ma al tempo stesso critica, è tracciare una mappa della riflessione contemporanea: dalla crisi dell’etica alle risposte del pensiero nomade di Lévinas e Ricoeur, dall’indagine sulla giustizia alla filosofia politica come fattore di intercultura, dall’etica femminista alle sfide della globalizzazione. Le pagine del libro rappresentano dunque una bussola per chi intenda sviluppare la capacità di cogliere e analizzare criticamente i principali temi e problemi etici in vista della riflessione sui possibili principi e codici di comportamento più validi.

 

 

 

LO SPECCHIO TURCO. IMMAGINI DELL’ALTRO E RIFLESSI DEL SÉ NELLA CULTURA ITALIANA D’ETÀ MODERNA
Marina Formica
pp. 232
Donzelli, € 25,00
ISBN: 978-8860368287

Avversario ammirevole, anche se temibile; abietto infedele; violento e crudele; rozzo, ignorante, barbaro; nemico dei propri nemici e perciò utile alleato; sodale inaffidabile e scaltro; modello di suddito devoto e obbediente. Viste allo specchio, le immagini del Turco in età moderna, lungi dall’essere univoche o statiche, riflettono i timori e le aspirazioni dell’Occidente, le sue preoccupazioni e i suoi conflitti. In un’Europa disorientata dagli imprevedibili orizzonti delle nuove scoperte geografiche e dilaniata da innumerevoli lacerazioni interne, l’esigenza di difendere un’identità vacillante si pone all’origine di una rappresentazione dell’alterità giocata sul contrasto e sull’opposizione. E così che il Turco diventa l’Altro, per antonomasia, anche se né gli scontri né le rivalità con la Mezzaluna riusciranno a bloccare, di fatto, le persistenti trame dei rapporti commerciali e diplomatici tra gruppi di differente fisionomia etnica e religiosa.

 

 

 

IL FILM DELLA CRISI. LA MUTAZIONE DEL CAPITALISMO
Ruffolo Giorgio e Sylos Labini Stefano
pp. 118
Einaudi, € 14,50
ISBN: 978-8806214265

Questo libro aspira a costituire un contributo critico a quella che un giorno potrà essere la nuova etica del capitalismo contemporaneo. Esso quindi intende riportare al centro della riflessione gli ideali politici e morali per costruire una società con maggiore eguaglianza. E un racconto che mostra con chiarezza, attraverso le tappe che hanno condotto alla crisi, una vera e propria mutazione del capitalismo. La crisi in cui sono immersi i Paesi occidentali nasce infatti dalla rottura di un compromesso storico tra capitalismo e democrazia. La fase successiva a questa rottura può essere definita come l’Età del Capitalismo Finanziario. La mutazione del capitalismo è dunque di natura essenzialmente finanziaria. Essa attribuisce alla grande impresa privata e al capitale un potere assolutamente sproporzionato rispetto agli altri fattori della produzione, soprattutto al lavoro. Per questi motivi è necessaria un’inversione della politica economica per ridimensionare il potere del capitalismo finanziario e per restituire allo Stato e alla democrazia le leve del finanziamento dello sviluppo, specialmente durante una fase di crisi.

 

 

STORIA DELL’ARCHITETTURA ITALIANA. ARCHITETTURA ROMANA. LE CITTÀ IN ITALIA
P. Zanker, H. Von Hesberg (a cura di)
pp. 360
Electa, € 120,00
ISBN: 978-8837084110

Il volume prosegue gli studi raccolti nella precedente pubblicazione curata dai noti archeologi tedeschi Paul Zanker e Henner von Hesberg dedicata ai grandi monumenti dell’architettura romana. Il nuovo titolo documenta sviluppo, storia e trasformazione delle antiche città romane in Italia. La città di Roma e le colonie da essa fondate si distinguono notevolmente. A partire dal VII sec. a.C. un lungo processo aveva portato alla crescita di Roma, divenuta poi capitale di un Impero che si estendeva su tutto il Mediterraneo. Resti di strutture arcaiche restavano affiancati a strade pianificate con case a più piani, templi antichi più volte restaurati a impianti templari ellenistici e magnifici fori imperiali. Le città coloniali fondate da Roma avevano invece un aspetto totalmente diverso. Spesso si trovavano lungo o su importanti assi stradali che portavano direttamente al tempio principale, il Capitolium, e al Foro. Un sistema viario ortogonale strutturava l’intera area urbana.

 

 

 

CODICE P. ATLANTE ILLUSTRATO DEL REALE PAESAGGIO DELLA GIOCONDA
Olivia Nesci, Rosetta Borchia
pp. 143
Electa, € 29,00
ISBN: 978-8837092771

Da oltre cinquecento anni gli storici dell’arte hanno cercato di collocare geograficamente i paesaggi che ispirarono pittori rinascimentali come Piero della Francesca, Raffaello e Leonardo da Vinci. Mentre la gran parte è arrivata alla conclusione che si trattasse di paesaggi immaginari, due cacciatrici di paesaggi, Rosetta Borchia e Olivia Nesci, pittrice e fotografa del paesaggio la prima, geomorfologa e docente all’Università degli Studi di Urbino la seconda, li hanno ritrovati in spazi reali e tangibili nascosti tra le colline del Montefeltro, a cavallo tra Marche, Toscana ed Emilia Romagna. Quelle rupi, quelle colline, quei fiumi erano sotto gli occhi di tutti ma nessuno li vedeva. L’Atlante vuole dimostrare la scoperta delle cacciatrici di paesaggi attraverso illustrazioni che mostrano ingrandimenti del dipinto più noto del mondo e foto del paesaggio. Le due cacciatrici ci mostrano con metodologia come Leonardo abbia utilizzato un codice complesso attraverso il quale a volte comprimeva e altre espandeva la morfologia del paesaggio reale.

 

 

DICIOTTESIMO RAPPORTO SULLE MIGRAZIONI 2012
a cura di Ismu
pp. 368
Franco Angeli, € 22,00
ISBN: 978-8820414405

L’analisi del fenomeno migratorio in Italia nel 2011 mostra per la prima volta in tanti anni una flessione nell’incremento del numero di stranieri, stimati all’inizio del 2012 in quasi cinque milioni e mezzo di presenze. La pesante crisi economico-finanziaria internazionale ha fatto diminuire l’attrattività dell’Italia per coloro che qui vi cercano un lavoro e una vita migliore. Sono stati invece ancora rilevanti gli ingressi per ricongiungimento familiare, segno di una immigrazione sempre più consolidata e della volontà di stabilizzazione, nonché quelli dei richiedenti asilo, soprattutto in seguito ai fatti della cosiddetta “Primavera araba”. La crescente articolazione della realtà migratoria italiana mette sempre più in evidenza la necessità di un approccio di carattere globale in un’ottica sovranazionale. Il volume si compone come di consueto di quattro sezioni: “Il quadro generale”, le “Aree di attenzione”, gli “Approfondimenti” e “Lo scenario internazionale”.

 

 

 

EHI, MADDALENA! DIALOGO SUL RESTAURO
Giovanna Martellotti
pp. 80
Gangemi, € 15,00
ISBN: 978-88-492-2551-8

Un dialogo nato per caso in un giorno di sole si dipana tra Maddalena e Giovanni, due restauratori di una certa età. Interrogandosi sulla loro comune professione toccano temi importanti, dalla filologia dei materiali alle leggi della percezione visiva, dal fondamento dell’autenticità alla conservazione programmata. Maddalena costella la riflessione di esempi illuminanti, battute paradossali, aneddoti e detti proverbiali, nascondendo sotto un finto cinismo la consapevolezza che il restauro è una cosa seria.

 

 

 

 

 

LA SCUOLA DI ARCHITETTURA DI PALERMO NELLA CASA MARTORANA
Giovanni Cardamone
pp. 448
Sellerio, € 24,00
ISBN: 978-8838926549

Nel cuore di Palermo, all’estremità orientale dell’antico “Cassaro” e accanto alle chiese normanne di S. Cataldo e dell’Ammiraglio, è “acquattato” un vasto complesso di edifici originati a partire dalla fine del 1110. È il monastero della Martorana, che nell’ultimo secolo e mezzo di vita ha cambiato più destinazioni d’uso. Infatti è diventato, nel 1867, prima “Scuola di applicazione per ingegneri e architetti”, poi facoltà di ingegneria e negli ultimi quarant’anni sede della facoltà di architettura. La Martorana è contemporaneamente il prezioso contenitore di secoli e secoli di simboli cittadini, conservati nella costruzione e velati da strati successivi di nuovi simboli. Questo libro ne presenta la storia quasi millenaria.

 

 

 

MILANO ANCORA IERI. LUOGHI, PERSONE, RICORDI DI UNA CITTÀ CHE È DIVENTATA METROPOLI
Alberto Vigevani
pp. 238
Sellerio, € 13,00
ISBN: 978-8838927713

“È difficile pensare ai giardini della propria città come a un insieme unitario: una sola, cinematografica e in fin dei conti anonima fuga di aiuole, sentieri, piante, viali. Ogni giardino sta a sé, vive di vita autonoma, non è soltanto una macchia verde sulla mappa mattone della città, ma un denso grumo di memorie, un album d’immagini da sfogliare adagio: quell’albero, quella piazzuola, un’ombra più rada, una luce più fredda. E la voce, la figura di chi mi accompagnava. Persino ogni viale, ogni parterre sta a sé, anche se a prima vista parrebbero confondersi con altri”.

 

 

 

 

LO SPAZIO INTERNO MODERNO COME OGGETTO DI SALVAGUARDIA. EDIZ. MULTILINGUE
R. Grignolo, B. Reichlin (a cura di)
pp. 293
Silvana, € 35,00
ISBN: 978-8836624171

Il volume raccoglie i contributi di alcuni tra i maggiori studiosi e progettisti sul tema della salvaguardia dello spazio interno, che negli interventi sul patrimonio edilizio del XX secolo passa spesso in secondo piano rispetto all’involucro esterno. Le diverse questioni sollecitate dal tema sono analizzate da un punto di vista teorico e tematico – la necessità di attingere a più “storie” per una reale conoscenza dell’oggetto architettonico, il problema della “musealizzazione” – ma anche immediatamente operativo, attraverso la discussione sugli interventi già realizzati. I testi toccano alcuni argomenti strettamente legati alla natura fragile degli interni, dal restauro di alcune “icone” del XX secolo – tra cui Fallingwater e la Sonneveld Huis a Rotterdam -; al difficile adeguamento alle attuali normative di “monumenti” quali gli allestimenti museali di Albini e Scarpa o le scuole di Schumacher e Scharoun; alla salvaguardia e riuso di interni che per loro natura tendono a una rapida obsolescenza, quali aeroporti e bagni pubblici, per esempio il Terminal parigino di Orly Sud o le Piscine des Amiraux di Henri Sauvage.

 

 

RIFLESSI D’ORIENTE. 2500 ANNI DI SPECCHI IN CINA
Marco Guglielminotti Trivel
pp. 240
Silvana, € 29,00
ISBN: 978-8836625277

Lo specchio è un oggetto da toeletta comunemente adoperato dalle più diverse culture del pianeta, ognuna delle quali lo ha caricato – nel corso del tempo e in misura diversa l’una dall’altra – di significati e implicazioni simboliche che finiscono per esulare dall’uso pratico e sconfinano spesso nel campo delle superstizioni, della magia, della psicologia, della spiritualità. Il volume intende così presentare una panoramica ragionata sui significati dello specchio in Asia orientale e sul valore culturale e artistico delle ricche raffigurazioni che ne ornano il verso, in cui sono condensate visioni cosmologiche, simbologie e concezioni estetiche che incarnano le aspirazioni e gli auspici della società che li ha prodotti. Il nucleo centrale dello studio è costituito dagli specchi prodotti in Cina tra il periodo degli Stati Combattenti e le Cinque Dinastie (V secolo a.C. – X secolo d.C.); sono anche documentati esempi di produzioni più antiche (VI secolo a.C.) e più recenti (fino al XIX secolo d.C.), per sfiorare da un lato la questione dell’origine dello specchio in Cina e per mostrare dall’altro i suoi mutamenti nella società cinese tarda.

 

 

Il primo mattone per il suo restauro è stato posato il giorno in cui è stato pubblicato il Decreto Sviluppo: l’articolo 8 infatti è stato completamente dedicato alla crescita culturale della città di Milano, in vista dell’atteso evento dell’EXPO 2015. Così, mentre partivano i cantieri contemporaneamente veniva approvata la metamorfosi della Pinacoteca di Brera in Fondazione denominata “La Grande Brera, finalizzata al miglioramento della valorizzazione dell’Istituto nonché alla gestione secondo criteri di efficienza economica”. Al nuovo ente sono stati affidati dunque, sia il patrimonio immobile che la collezione di opere d’arte ospitata al suo interno.
Tuttavia si tratta solo del primo passo che presuppone un ideale disegno più ampio. I tratti di come evolverà questo progetto, sono stati delineati ieri dal Segretario Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, arch. Antonia Pasqua Recchia, dal Direttore Generale della Lombardia, dott.ssa Caterina Bon Valsassina, dal Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici, arch. Alberto Artioli e dalla Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici, dott.ssa Sandrina Bandera. Il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha confermato lo sblocco di 23 milioni di euro (un terzo dei fondi complessivi di quei 70 milioni che il Comitato ha destinato “a favore di interventi prioritari nel settore dei beni e delle attività culturali- sedi museali di rilievo nazionale”) per l’avvio dei lavori, che come primo obiettivo si concentreranno su Palazzo Citterio, reduce da un’occupazione la scorsa primavera. Il piano di riqualificazione del palazzo, che attualmente si sta fortemente deteriorando, prevede il restauro e rifunzionalizzazione dell’ala monumentale, riproponendo un progetto del soprintendente Franco Ruspoli che nel 1976 aveva auspicato un ampliamento della Pinacoteca di Brera, sfruttando gli spazi contigui di Palazzo Citterio. L’obiettivo è quello di predisporre questi spazi per le esposizioni temporanee e per le collezioni di Jesi, Vitali, Zavattini e il fondo delle opere fotografiche. Questo primo lotto di lavori dovrebbe terminare entro giugno 2015, in tempo per l’Expo, e comprende il finanziamento più consistente di 17 milioni di euro. Entro il 2014 invece dovrebbe essere terminato il rifacimento del tetto di Brera (costo 4,5 milioni di euro), mentre per la fine dell’anno prossimo verrà completata la predisposizione degli edifici destinati alla realizzazione del Campus didattico dell’Accademia delle Belle Arti di Brera. La caserma Caroccio di via Mascheroni e la caserma Magenta, infatti, verranno svuotate delle loro attuali funzioni militari che verranno riallocate e saranno trasformate in nuovi spazi accademici, in 18 mesi e con un impiego complessivo di 1,5 milioni di euro. Investimenti sostanziosi e tempi strettissimi per non perdere la grande occasione che rappresenterà il prossimo Expo. Fervono i preparativi e le attenzioni delle istituzioni, pronte a far ricorso a soggetti privati, come previsto dalle regole statutarie delle fondazioni, per coprire i costi aggiuntivi. Per adesso i progetti sono su carta ma le intenzioni sembrano ferree. E intanto però i lavori all’interno dei cantieri dell’Expo procedono a ritmi serrati. Chissà come si sveglierà Milano nel 2015.

Il Natale si avvicina e come ogni anno è partita la corsa ai regali. Per chi fosse alla ricerca di idee culturali TAFTER ha raccolto per voi qualche proposta sfiziosa con cui farete sicuramente bella figura.

Il libro è il classico dono culturale, sempre azzeccato, ma la difficoltà sta nello scegliere il titolo giusto.
Per gli amanti dei fumetti sarà di certo un presente gradito ricevere il volume “Dylan Dog, 25 anni nell’incubo” pubblicato in occasione dell’omonima mostra al WOW Spazio Fumetto di Milano. Il libro celebra il successo del personaggio ideato da Tiziano Sclavi, ripercorrendo la sua storia e analizzandone la personalità, il suo rapporto con la musica, con numerose illustrazioni, anche inedite.
Per i bambini della generazione 2.0, è invece più adatto l’e-book, ancor meglio se solidale. Vi segnaliamo allora “Lino e Tina”, edito da Siska Editore, che raccoglie le favole scritte da mamme che hanno inviato i loro fantasiosi contributi a fin di bene: il ricavato delle vendite andrà infatti a sostegno della Casina dei Bimbi onlus di Bologna.

Per gli amanti del nostro patrimonio culturale sarà una grande sorpresa leggere il proprio nome tra coloro che avranno contribuito al restauro del Duomo. Attraverso il progetto “Adotta una Guglia”, versando una quota si potrà infatti dare il proprio nome, o di colui che riceverà questo dono originale, ad una delle 129 guglie individuate con anonimi numeri.

Se il regalo è destinato ad appassionati di cinema, allora l’idea giusta potrebbe essere la tessera “Cine Fans Natale” di UCI Cinemas. Al costo di 5 euro è possibile infatti acquistare un pacchetto di cinque ingressi spendibili nei 40 multiplex presenti in Italia.

Se volete regalare l’arte, personalizzandola, c’è invece Crearti. Un gruppo di disegnatori realizzerà per voi quadri pop, di arredo, in stile Mondrian, cartoon o graffiti, dove i soggetti ritratti li decidete voi. Per Natale poi è prevista la consegna veloce in cinque giorni. 

Il miglior regalo per chi ama la cultura rimane comunque la cultura stessa: perché allora non donare una visita speciale a qualche monumento, sito archeologico o museo?
Potrete trovare tantissimi musei e tour nella nostra sezione TAFTER SHOP. Qualche esempio?
La Campania Arte Card offre una selezione di tappe in questa splendida regione ricca di cultura e tradizione, mentre per gli amanti dell’archeologia sarà i certo graditissima una visita privata al Parco Valle dei Templi e Museo di Agrigento; per i più romantici, Venezia è la meta giusta, con l’itinerario dell’arte e degli antiquari.
Consultando l’apposita sezione troverete comunque tante altre idee e promozioni… e se volete approfondire la conoscenza dei luoghi, ci sono sempre a disposizione i nostri splendidi hotel.

 

 

 

 

Il 27 settembre l’associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli ha tenuto un incontro dal titolo “L’Italia dei Beni Culturali: formazione senza lavoro e lavoro senza formazione” per sensibilizzare l’opinione pubblica sul precariato e sull’inadeguatezza della formazione cui sono soggetti i tanti professionisti in campo culturale che da anni lottano per il riconoscimento e la regolarizzazione delle proprie attività.
A questo proposito abbiamo chiesto alcune delucidazioni alla dott.ssa Carla Tomasi, presidentessa dell’ARI (Associazione Restauratori d’Italia) la quale, pur avendo aderito al manifesto presentato in occasione del convegno non è stata invitata a partecipare.

Dott.ssa, il 27 settembre è stato organizzato questo importante incontro relativo alle professioni e alla formazione dei lavoratori dei beni culturali. Come mai la sua associazione non è intervenuta?
Come ARI abbiamo dato pieno appoggio alla causa eppure non siamo stati invitati ad intervenire. Credo che questo rappresenti nel suo piccolo la difficoltà a dialogare che esiste all’interno del settore dei beni culturali, la mancanza di un coordinamento tra le professioni che non riescono a presentare una linea di comportamento univoca, coerente e anche professionalmente eccellente per affrontare e risolvere le problematiche della professione.

Mi vuole dire che in tutti questi anni non avete mai studiato una strategia comune per vedere riconosciute le vostre attività formulando congiuntamente delle richieste?
Diciamo che ci sono stati dei contatti informali e trasversali ma mai un coordinamento effettivo di tutto il settore.  Che poi è anche il succo del problema: ovvero come possiamo definire il perimetro delle competenze nel settore dei beni culturali?
Per riconoscere le nostre competenze servirebbe infatti un ragionamento sul comparto con le associazioni ed i professionisti interessati e con le istituzioni coinvolte quali il MiBAC nel suo complesso, il Miur, il Ministero del Lavoro, gli enti locali.
Dal nostro punto di vista il convegno del 27 settembre è stato un incontro utile a lanciare un allarme ma non abbastanza approfondito per poter focalizzare in maniera analitica il cuore del problema, quello relativo al lavoro, alle figure coinvolte nei cantieri e nelle aziende, ai contratti pubblici.

Cosa vi aspettate si faccia per i lavoratori e, nel vostro caso specifico, per i restauratori?
Certamente noi auspichiamo che si superi velocemente questa stasi che ormai da tanti anni ci vede protagonisti ma non credo che sia questo il momento di analizzare i motivi che hanno determinato questa fase di stagnamento.
Il tema lanciato dalla Bianchi Bandinelli, è collegato al riconoscimento professionale, che è una piaga da superare quanto prima, soprattutto per i restauratori italiani che corrono il rischio di non essere riconosciuti né in Italia e neanche all’estero con il risultato di assistere ad una regressione totale anche a livello europeo.
Ciò che ci aspettiamo è che venga riconosciuta effettivamente ed in tutti i contesti la figura del restauratore come responsabile diretto nell’esecuzione dell’intervento, in grado di eseguire tutte le operazioni descritte nel mansionario del decreto ministeriale 86/2009.
Ma non solo il restauratore deve essere riconosciuto: bisogna sostenere con ancora più forza i tecnici del restauro, che sono la maggioranza, l’utenza più ampia, perché in un cantiere può bastare un solo restauratore che coordina i lavori e che poi si affiderà ai tecnici, che rappresentano la vera massa critica lavoratrice.
Esistono poi i tecnici del restauro con competenze settoriali, come gli artigiani artistici che operano in autonomia, sotto la direzione del restauratore, in quanto possiedono un’esperienza tale da poter operare in maniera indipendente. I Comuni, le Regioni, e tutti gli enti locali dovrebbero recuperare e valorizzare queste figure, utilizzando le loro competenze per i propri beni culturali. L’errore commesso è stato quello di confondere i tecnici del restauro con competenze settoriali con i restauratori.
Si tratta in realtà di una rete di professioni che possono intervenire in coordinazione ma che non possono essere racchiuse in un unico riconoscimento, perché le mansioni sono diverse e si rischia in questo modo di sminuire le competenze di ognuno.

Certo che se poi mancano o vengono tagliati i fondi per il restauro si tagliano anche le professionalità…
Dobbiamo entrare nell’ottica che non ci sono finanziamenti statali: possiamo richiederli a gran voce ma non possiamo basare il nostro futuro su qualcosa che dobbiamo elemosinare.
Bisogna allora immaginare un sistema economico che, collegato ad altre strutture territoriali private o pubbliche, sia diversificato. Gli sponsor, ad esempio, dovrebbero essere invogliati ad investire, ma come fanno ad esserlo se non valorizziamo i nostri beni, se non creiamo degli itinerari turistici d’eccellenza e non rivitalizziamo i piccoli centri? Sappiamo per esempio che il mercato immobiliare attorno a beni storici ed artistici aumenta di valore.
Una soluzione potrebbe essere quella di condividere i poteri degli enti locali con il tessuto produttivo locale, programmando gli interventi nell’ottica di ottenere tangibili ricadute sul territorio e sul turismo, onde attivare un volano fruttuoso che ripartisca i benefici. I soggetti coinvolti dovrebbero essere, oltre a quelli istituzionali, associazioni, fondazioni, professionisti, musei locali, mostre locali, imprese locali.
Non credo ci sia una ricetta pronta e sicura, ma siccome il sistema statale sta mostrando i suoi limiti, bisogna trovare delle alternative democratiche ed inclusive: un nuovo patto lavorativo che non sia arcaico come quello che ci stanno proponendo, un’ impresa nuova dinamica ed elastica e in cui ci sia, come in Germania, compartecipazione di azioni tra proprietari e lavoratori, perché solo partecipando si può credere nel proprio lavoro e nella propria azienda.
L’Italia sta distruggendo se stessa per incapacità manageriale a tutti i livelli. Si tratta di cambiare un’economia e il rapporto politico tra chi fa e chi gestisce. Una forma mentis, insomma, e di certo non sarà una cosa facile.

È stata una delle notizie più lette della settimana su Tafter e molti sono stati i commenti sulla vicenda che ha visto come protagonista la ormai celebre restauratrice spagnola fai-da-te Cecilia Gimenez, un’anziana signora che, preoccupata per le sorti del dipinto raffigurante il Cristo di Elias Garcia Martinez nel 1910 e conservato in una chiesa a Borja, vicino Saragoza, ha deciso, in accordo con il parroco, di restaurarlo, con risultati di certo non professionali.

Eppure la sua intraprendenza e la sua “buona fede” le sono valsi l’apprezzamento (ma anche l’irrisione) della Rete che l’ha incoronata a web-celebrity dedicandole siti e notizie che stanno facendo il giro del mondo in poche ore.

Questo è il risultato del suo restauro:

 

 

 

Queste le parodie a lei riservate:

 via Beast Jesus tumblelog

via Stoch Machek’s Facebook wall

 

da Hyperallergic

E ancora, rivisitazioni come:

 

e, dal Brasile:

 

 

Se avete riso di più per la prima immagine, sappiate che è tutto vero e che ora una squadra di restauratori professionisti dovrà trovare rimedio a quella che, dallo stesso Comune di Borja, viene definita una “calamidad”, una disgrazia.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=x4hqVpVLQ6w&w=560&h=315]

Per il momento, almeno, la città fa incetta di turisti: curiosi da tutte le località vicine e lontane della Spagna che non vogliono perdersi questo ingenuo capolavoro.

 

 

Si è tenuta martedì scorso, alla presenza della stampa nazionale ed estera, la presentazione dell’atteso “Progetto Colosseo”, piano di restauro dell’Anfiteatro Flavio, promosso e finanziato dal patròn del gruppo Tod’s, Diego Della Valle. Per toglierci alcuni dubbi riguardo le fasi dei lavori e la dibattuta assegnazione attraverso una procedura di bando, abbiamo rivolto alcune domande all’architetto presso il Ministero dei Beni Culturali, Pia Petrangeli, che ha curato, sin dai primordi, il piano degli interventi.

Lo spostamento dei servizi aggiuntivi, durante la seconda fase di espletamento dei lavori, in un’area situata all’esterno del monumento è compatibile con la morfologia del terreno e le eventuali presenze archeologiche?
Il dato di partenza da cui è scaturita la decisione di spostare all’esterno i servizi aggiuntivi è che all’interno del Colosseo non possono convivere le visite con i servizi integrati. Non possono essere garantiti infatti all’interno dell’edificio degli ambienti di alto livello che siano sufficienti ad accogliere un numero così elevato di visitatori. Per ovviare a questa problematica si è cercata un’ubicazione più adeguata, che pur trovandosi nelle vicinanze, fosse meno vincolata rispetto al monumento stesso. È stato individuato il terrapieno che si trova tra via Vibenna e la piazza del Colosseo, in quanto terreno già indagato in precedenza per la linea della metropolitana: a detta della soprintendenza ai beni archeologici non dovrebbe, dunque, presentare evidenze archeologiche particolari. Questo terrapieno, alto sino a 5 metri, può essere scavato e riempito con un volume di un edificato, per poi essere ricoperto e ripresento al pubblico esattamente come è adesso, in modo tale che non ci sia alterazione dal punto di vista dell’immagine e alcun impatto con il paesaggio. La gestione dello spazio, che ospiterà anche il bookshop e la caffetteria, sarà poi affidata con un bando da parte del Ministero.

L’ingaggio di Della Valle in qualità di sponsor privato, secondo il nuovo articolo 199 bis del Codice dei Contratti, è da considerarsi come una sponsorizzazione “pura” o di tipo “tecnico”?
La sponsorizzazione da parte di un privato è possibile innanzitutto ai sensi dell’articolo 120 del codice culturali. Le procedure invece sono definite dagli artt. 26 e 27 del codice degli appalti. Tuttavia alcuni aspetti trattati nel codice dei contratti dovevano essere chiariti: la precisazione è contenuta nel nuovo articolo 199 bis in cui vengono differenziate la sponsorizzazione pura, ovvero di solo finanziamento, da quella tecnica, che prevede non solo il finanziamento ma anche la realizzazione dei lavori da parte dello sponsor stesso. Nel caso di Della Valle siamo davanti ad una forma di sponsorizzazione pura, in quanto gli appalti saranno gestiti dal Ministero secondo il codice dei contratti.

Il gruppo Tod’s riceverà in cambio una promozione della propria attività oppure siamo davvero in presenza di un’azione di mecenatismo fine a sé stesso?
Secondo quanto previsto dall’art.20 del codice dei beni culturali, lo sponsor in cambio dei fondi può ricevere una pubblicizzazione, legando i propri marchi distintivi all’operazione che va finanziando. In questo caso, per evitare una pubblicità troppo invasiva nei ponteggi del cantiere, si è pensato di creare la Fondazione Onlus Amici del Colosseo, attraverso la quale lo sponsor possa portare avanti attività di informazione e manifestazioni di tipo culturale legate al finanziamento: ad esempio divulgazione sull’evoluzione dei lavori, prodotti editoriali sull’argomento o rappresentazioni tridimensionali. Si tratta di attività che verranno sovvenzionate dallo stesso sponsor con fondi aggiuntivi rispetto ai 25 milioni di euro finalizzati esclusivamente al restauro del monumento. Il gruppo Tod’s ci guadagna, perciò, attraverso un ritorno di immagine.

E per quanto riguarda lo sfruttamento e l’esclusiva sull’immagine concessa al gruppo Tos’s per i prossimi 15 anni?
Non si è mai parlato di uno “sfruttamento di immagine” vero e proprio, perché non esiste un logo Colosseo detenuto da parte del Ministero. Quello che autorizza l’amministrazione è legare in maniera esclusiva il nome Della Valle all’attività, in quanto unico finanziatore. Qualora lo sponsor sia intenzionato, sul recinto del cantiere alto 2 metri e mezzo, potrà essere messo il marchio di Tod’s. Un’altra delle possibilità è mettere il logo del gruppo sul retro dei biglietti d’ingresso. Quando venne fatto il bando per lo sponsor, questa attività era già predefinita. Su un’altezza complessiva di 40 metri del Colosseo, riteniamo che il marchio visibile su due metri di ponteggio non sia troppo invasivo. Una delle società tra quelle che hanno partecipato al bando insieme al gruppo Tod’s, la Ryanair, è stata scartata proprio perché aveva richiesto di poter mettere la pubblicità su tutti i 40 metri d’altezza per tutta l’estensione dei ponteggi. Un’offerta che l’amministrazione non ha reputato accettabile.

I lavori di risanamento della facciata su via dei Fori Imperiali andranno ad interferire con i cantiere per la realizzazione della metro C?
Nel momento in cui inizieranno i lavori di restauro i cantieri della metro C si istalleranno successivamente, ma il tutto è stato studiato in modo tale che non siano contestuali nelle zone specifiche per non avere sovrapposizione nelle singole parti.

Legambiente ha attivato una raccolta firme per procedere alla pedonalizzazione della zona prima del 2015. Secondo lei, questa anticipazione dei tempi è utile ai fini di una conservazione più adeguata del monumento?
Anche senza un progetto specifico di pedonalizzazione nell’immediato, nel momento in cui si apriranno i cantieri, non si potrà mantenere lo stesso tipo di estensione della carreggiata. Il sistema della pedonalizzazione è una ragionamento che è stato già affrontato da parte dell’amministrazione: sono già stati studiati gli spazi e flussi del traffico. Se consideriamo che, da quando l’anfiteatro è stato costruito tra il 70 e l’80 d.c., l’unico intervento di restauro cui è stato sottoposto risale agli anni’90, molto probabilmente l’impatto dello smog nei due anni che intercorreranno tra la fine del primo cantiere e l’effettiva pedonalizzazione della zona nel 2015, non sarà significativo al punto da rovinare l’esecuzione del restauro.

Qual è stato a suo parere il motivo di tante polemiche intorno alla vicenda Colosseo?
L’esperienza di questa procedura nel panorama generale è abbastanza unica e quindi è comprensibile che l’opinione pubblica abbia avuto dei dubbi: le sponsorizzazioni per i beni culturali sino ad ora non sono mai state fatte con procedura di evidenza pubblica. Si spera che questo possa essere un riferimento, ovviamente perfettibile, per le future sinergie di azione tra pubblico e privato.

 

Ci siamo, il giorno che riassume anni ed anni di oblio e reticenze, occhi chiusi e levate di spalle, è giunto. Parliamo dell’ultima asta riguardante un “bene”, una proprietà davvero grossa ed imponente: la reggia di caccia di Carditello, in provincia di Caserta. Una reggia borbonica che fu vanto di caccia prima, ma poi fu una scommessa o meglio una visione che potremmo definire pre-razionalista: un sito in cui poter far coincidere il piacere paesaggistico dei regnanti con le ultime tendenze pre-industriali di distretto europee.
Questa Reggia, di campagna, fu nient’altro che la nostra “Venaria” sabauda del Regno di Napoli. Ma ha avuto sicuramente vita e destinazione diversa. Correggo: destinazione nulla. Proprietà di un ente di diritto pubblico ormai destinato a scomparire sommerso dai debiti con banche, si ritrova oggetto da monetizzare attraverso vendite. Nel frattempo, l’oblio e la desolazione di non servire a nulla se non per depredazioni e furti. Si erge ormai come un fantasma nelle campagne di quella che fu la Terra Felix, la più fertile d’Europa, tra cumuli di rifiuti legali ed illegali. Lì dove i Borbone vollero marcare il più possibile l’azione umana eseguita per rendere produttivo ed a regime ciò che difficilmente poteva essere: da paludi e regi lagni, pianura fertile e di lavoro. Quale sfida oggi, quale futuro per questo territorio una volta produttivo?
In Piemonte negli anni si è creata l’idea politica di dare un grande progetto, seppur oneroso per le casse statali italiane, ad una reggia e al suo territorio: Venaria nel giro di anni, oltre alla ristrutturazione e restauro, è diventata un polo museale ed espositivo di primo piano e una istituzione di alta formazione per la conservazione ed il restauro. Un esempio di come una grande idea politica sia diventata realtà in un territorio. Che fare per Carditello? Tanti gridano al restauro, al tirar fuori la reggia dalle grinfie di possibili privati. Molti hanno gridato a possibili confluenze malavitose in un territorio saturo di mafia. Molti politici promettono le loro attenzioni, ma ad oggi poco si è fatto se non passerelle, di più: la Regione Campania prima ha indicato uno stanziamento di soldi, poi nulla. Non si è sentito forte un discorso, che noi auspichiamo: un progetto politico non per la reggia, ma per tutto il territorio che rappresenta. Un’idea politica di cosa fare lì. Ma un’idea politica talmente forte da essere portata avanti anche col passare degli anni. I partiti e i politici loro espressioni vorranno cimentarsi? Ci saranno le qualità per esprimere questo?
Sono interrogativi a cui non sappiamo rispondere, ma sappiamo che per valorizzare e rendere futuribile qualcosa su un territorio bisogna partire dal genius loci. La chiave sta in quello che è stata questa terra: felice, dove l’economia è stata legata alla ruralità ed al paesaggio. La “maremma napoletana” potrebbe avere una sua Reggia. Ma bisogna che un’intera comunità ci creda e remi insieme, perché il tempo dei soldi a pioggia per restaurare senza senso e senza che sia unicamente per avviare una leva, un processo virtuoso e di autonomia, ma tanto per dare contentini fini a se stessi, è finito.

 

Nabil Pulita è Membro Segreteria Legambiente Campania

 

Finanziato dalla Fondazione non profit Friends of Florence ed eseguito sotto la responsabilità della Direzione della Galleria degli Uffizi e della Soprintendenza Speciale per il patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, si è concluso (dopo 32 mesi di lavori) il tanto agognato restauro della Tribuna degli Uffizi, presentato oggi a Firenze.

Iniziato nel 2009, il restauro ha coinvolto un team di restauratori, ricercatori e storici dell’arte di fama internazionale e si attesta ad oggi come uno dei più importanti interventi di restauro e riordino museale eseguito negli ultimi decenni, sia per la complessità dell’opera che per l’entità della somma stanziata (circa 1 milione di dollari donati dalla Fondazione Friend of Florence).

Progettata da Bernardo Buontalenti nel 1584 su ordine di Francesco I de’ Medici, la Tribuna era stata pensata per essere il santuario nel quale custodire i dipinti e le opere più importanti delle collezioni Medicee: un vero e proprio scrigno aperto nell’ala di Levante della Galleria degli Uffizi, eletto luogo delle meraviglie per eccellenza nel quale conservare rarità e oggetti preziosi. L’opera sorprende per la straordinaria eterogeneità con la quale sono state realizzate le decorazioni murarie. Tecniche pittoriche raffinatissime, ricche di particolari, fuse con materiali molto pregiati e pigmenti rari, hanno donato a questo spazio una preziosa bellezza. Nulla fu lasciato al caso e ogni più piccolo dettaglio, creato e sopravvissuto a questi cinque secoli di vita, da oggi si racconta attraverso un perfetto equilibrio fra passato, presente e futuro, fra recupero filologico del luogo, volontà di proporre una lettura dell’opera omogenea ed equilibrata, rispetto dell’eterogeneità dei materiali e del loro diverso grado di conservazione.

Le quasi 6mila conchiglie provenienti dalle calde acque dell’Oceano Indiano, scelte una ad una per essere incastonate nella cupola, tornano così a brillare nella loro singolare iridescenza, grazie a una meticolosa pulitura delle valve, proprio come le altre 2500 collocate nel tamburo e riportate al loro splendore originario insieme all’azzurrite dell’intonaco dipinto. I 130 metri quadrati di foglia d’oro impiegati in tutta la decorazione muraria, luccicano non soltanto nella cupola, ripristinati da un lavoro che ha interessato anche la preziosissima lacca rosso vermiglio, ma anche nel tamburo dove si sposano perfettamente alla profondità dell’azzurro, nelle finestre e nei relativi imbotti.
È proprio dalla foglia d’oro (dipinta e ombreggiata con bitume, terre naturali e gomma lacca, applicata su lamina di stagno e fatta aderire alla pietra con una preparazione di biacca), che nascono le meravigliose figure di cariatidi e telamoni delle finestre e le bizzarre immagini di arpie e grottesche presenti negli imbotti.
Un velluto rosso cremisi fra i più ricercati al mondo, realizzato con le tecniche artigianali dell’Antico Setificio Fiorentino, riveste le pareti della Tribuna, unendosi perfettamente all’armonia degli altri elementi decorativi, alle tarsie marmoree del pavimento, alla bellezza equilibrata delle sculture antiche e al fascino delle opere pittoriche, per donare all’intera stanza un’aura di inconsueta magnificenza. Questo ambiente delle meraviglie, recuperato nel nuovo assetto museografico, si offrirà a una vista d’insieme, con affacci dalla porta sul corridoio e dalle due aperture sulle sale adiacenti: trasferite nella sala 35 le opere esposte fino alla chiusura per lavori, la Tribuna esibirà da ora dipinti che già in passato furono ospitati proprio qui.

Tutte le immagini sono state realizzate da Antonio Quattrone

 

 

 

La notizia che il Museo del Louvre abbia deciso di intraprendere lavori di restauro della Nike di Samotracia, uno dei capolavori plastici della Grecia ellenistica, nonché una delle più famose opere conservate nel Museo e attrazione universale, può portare a riflettere su un duplice livello di interesse, quello più squisitamente tecnico della necessità della conservazione programmata dei beni culturali e uno di contesto generale, ovvero sull’opportunità, in tempo di crisi, di investire risorse su questo tipo di interventi.

Sul primo livello non si può che ricordare la necessità di programmare e realizzare nel tempo le attività di conservazione dei beni culturali, prima che, per le più varie cause, si generino effetti distruttivi e devastanti che ne possono causare la perdita parziale o totale. Chiunque di noi abbia a che fare con qualsiasi mezzo meccanico o struttura immobile sa che i cosiddetti “tagliandi” e/o verifiche-attività periodiche di manutenzione portano l’innegabile beneficio della sua efficienza e durata nel tempo, con una spesa a volte anche cospicua, ma sostanzialmente inferiore a quella che andrebbe sostenuta tutta insieme qualora si dovesse intervenire su danni o malfunzionamenti maggiori.
Le Soprintendenze di settore e gli organi centrali del MiBAC, ogni anno provvedono a stilare un elenco delle opere che necessitano di interventi, ma i tagli indiscriminati di fondi del bilancio ministeriale, riducono drasticamente le possibilità di realizzare tali interventi.

La seconda linea di riflessione porta invece a ragionare su di un altro tipo di priorità, di carattere nazionale e trasversale, ovvero, nel caso dell’Italia, sulla mancanza di visione politica in merito all’importanza della conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, anche (e soprattutto) in tempo di crisi. Da parte degli addetti ai lavori, così come dalle pagine di questa rubrica si è più volte e assai vivacemente sostenuta la necessità che il Parlamento nostrano si impegni finalmente a discutere e deliberare in merito alle priorità di politica culturale e sulla relazione di queste ultime con quelle di altri ambiti di intervento della mano pubblica.
E’ stato sovente sostenuto, anche in modo apodittico e veemente, sull’opportunità strategica per il Paese di investire in tale ambito, ma sino ad oggi nulla è accaduto in concreto su tale fronte, anche se qualche segnale positivo può essere ravvisato nel passaggio del PNR (Programma Nazionale di Riforma, parte integrante del DEF – Documento di Economia e Finanza, per la parte in questione cfr. Cap.IV.6. Creare nuove competenze e generare innovazione: istruzione universitaria, ricerca e cultura, § Promuovere la cultura per lo sviluppo, pp.106-107 del documento 123-124 del PDF) recentemente licenziato dal Governo Monti  in cui si fa esplicito riferimento alla ricerca e alla cultura come fattori di sviluppo.
La scelta del Louvre avviene, ovviamente in ben altro contesto, nazionale e istituzionale, ma ci fa riflettere sul giusto approccio che ogni nazione avveduta dovrebbe avere nei confronti del patrimonio culturale ad ogni titolo posseduto.

Emilio Cabasino è ricercatore su temi di politica ed economia della cultura