Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
Partita IVA 03068171200 | Codice Fiscale/Numero iscrizione registro imprese di Roma 03068171200
CCIAA R.E.A. RM - 1367791 | Capitale sociale: €10.000 i.v.
Fino ad un po’ di tempo fa si protestava contro il capitalismo e le multinazionali, possibilmente incatenandosi sotto la sede di un’azienda incriminata. Oggi lo si può fare iscrivendosi ad un social network: Sixth Continent. Il Sesto Continente è quello proposto da Fabrizio Politi, l’ideatore del sito, che si basa su un sistema diverso di commercio. In base ad un algoritmo, il Mo.Mo.Sy. (Moderate Monetary System), si dividono le aziende mondiali in verdi e in rosse, in virtuose e in dannose, in realizzatrici di ricchezza e in produttrici di impoverimento. Calcolando il rapporto tra l’utile netto e il numero dei dipendenti si scopre quali aziende producono un profitto che è in equilibrio con gli utili dei propri dipendenti e del resto della comunità. Le aziende che, invece, sono in rosso (ad esempio Google, Amazon o Ikea), producono un profitto troppo maggiore che genera una concorrenza sleale: in sostanza molta ricchezza nelle mani di pochi, contro ricchezza equamente distribuita.
Entrando a far parte del Sesto Continente si può interagire con il nuovo modello economico a vari livelli. Lo scopo, in ogni caso, è quello di consumare, agevolando, però, i produttori che rispettano un tipo di economia virtuosa.
Si può interagire con il social network a diversi livelli.
1) Semplice cittadino: al momento dell’iscrizione a Sixth Continent si diventa cittadini e si ha accesso all’app gratuita, in versione web e mobile, Mo.Mo.Sy., che permette di vedere quali imprese e quali prodotti sono verdi e quali rossi. Ogni cittadino riceve, inoltre, un Reddito di Cittadinanza assegnato in maniera progressiva e in base alla Nazione di residenza: si tratta di un reddito che deriva dagli acquisti fatti da tutti i cittadini. Il 3% dei proventi di imprese e negozi che aderiscono al Sesto Continente vengono ridistribuiti secondo una serie di regole spiegate a fondo nel sito. Tale reddito, se utilizzato, rientra nella categoria fiscale della Provvigione Indiretta e può essere speso nei negozi affiliati, coprendo fino al 50% dei costi. Inoltre, se si invitano altri amici si ha la possibilità di aumentare il proprio credito.
2) Manager: si può diventare Marketing Manager di Sixth Content promuovendo l’iniziativa e affiliando negozi e imprese, ottenendo un guadagno per provvigione. Si può anche ricoprire il ruolo di Store Manager che, rispetto al Marketing Manager, ha la possibilità di formulare proposte sulla piattaforma e-commerce.
3) Aziende e Imprese: imprenditori e commercianti (che devono rientrare in area “verde” secondo l’algoritmo Mo.Mo.Sy.) possono decidere di aderire al modello economico del Sesto Continente, pagando al momento dell’affiliazione, in cambio di vantaggi quali l’attrazione di nuovi clienti, la possibilità di rendere competitivi i propri prezzi e di avviare anche un vendita e-commerce tramite la piattaforma.
Se il modello economico di Sixth Continent, magari ulteriormente affinato e implementato, dovesse prendere piede a livello globale, si tratterebbe davvero di una bella risposta, competitiva, alla voracità della multinazionali. In ogni caso è un buono strumento per fare acquisti in maniera più consapevole.
I meccanismi di Sixth Continent non sono immediati. Il social è abbastanza complesso e per sfruttarlo e capirlo al meglio bisogna esplorarlo, studiarlo e navigarci molto su.
In poco più di un mese il social ha totalizzato circa 10.000 cittadini e più di 110.000 like sulla pagina Facebook.
Imprenditori, commercianti, aziende, consumatori, appassionati di finanza ed economia, promotori dello sviluppo sostenibile, detrattori delle multinazionali, idealisti, sognatori.
C’è chi da bambino sogna di fare l’astronauta, il dottore, il calciatore, chi di ricevere una bici nuova, di andare alle giostre, di avere un cucciolo. Anche Miles ha un sogno, ha espresso un desiderio ben preciso: vuole essere Batman. Se tuo figlio è malato di leucemia dall’età di 20 mesi e adesso, dopo lotte, cure e sacrifici, sta per cominciare una vita normale, la frase “ogni tuo desiderio è un ordine” diventa realtà.
A realizzare il sogno del piccolo Miles ci ha pensato la fondazione no-profit Make-A-Wish, che ha come scopo proprio la concretizzazione dei desideri di tanti altri bambini che si trovano in situazioni particolari. Solo che la vicenda di Miles ha avuto una risonanza incredibile sui social, ha fatto il giro del mondo, e si appresta ad essere un evento davvero indimenticabile non solo per il piccolo Miles.
Oggi, 15 novembre, San Francisco si trasformerà in Gotham City, il mitico scenario delle avventure del supereroe alato. Il valoroso Batkid verrà convocato durante un notiziario tv dal Capo della Polizia in persona; poco dopo Batman in carne ed ossa andrà a prelevarlo a casa e sulla sua batmobile lo porterà con sé per vivere strabilianti avventure. Batkid salverà un donzella in pericolo, sventerà rapine e altre malefatte, e sfiderà uno dei più temibili nemici di Batman, Pinguino. La città lo ringrazierà radunata nella City Hall dove il Sindaco e il Capo della Polizia in persona gli consegneranno le chiavi della città.
Migliaia di persone si sono mobilitate per aiutare Batkid. È nato anche un progetto fotografico per supportare le sue mirabolanti gesta: con un cartellone in mano con su scritto “We love Batkid”, in costume da supereroe o in abiti civili, chiunque può fotografarsi per dimostrare di essere fan del coraggioso Miles.
In moltissimi parteciperanno attivamente anche all’evento, radunandosi a Union Square per chiedere a Batkid di salvare la mascotte di San Francisco dalle grinfie di Pinguino, e poi nella City Hall dove festeggeranno il piccolo supereroe.
Oggi la giornata di un bambino sarà costellata di sorrisi ed emozioni. Tanti altri piccoli soffrono ancora, da soli, ma la felicità di uno di loro basta già a illuminare un po’ di più la vita di tutti.
Per condividere o seguire l’evento, tenetevi aggiornati con l’hastag Twitter #SFBatKid
Lucrezia Borgia, Artemisia Gentileschi, Galileo, la principessa Sissi, Claretta Petacci e Mussolini, si possono incontrare tutti in questo sito che permette di vedere documentari di tipo storico. È un marchio di “La storia in rete”, una società di produzione indipendente che si occupa di storia attraverso diversi canali, web e cartacei. Il portale dà accesso a documentari di storia, letteratura e arte, a pagamento, visibili in streaming, attraverso il supporto della piattaforma vimeo.com.
Usufruire del portale è molto semplice. I documentari sono divisi per epoche storiche dal “Mondo antico” al “Novecento”, più altre tre sezioni dedicate alle biografie, alle figure femminili e ai grandi enigmi della storia. È possibile vederne un trailer e leggerne un breve riassunto, in modo da avere un’anteprima del prodotto prima di acquistarlo. Una volta scelto il documentario è necessario comprarlo appoggiandosi alla piattaforma Vimeo. Questa richiede una breve registrazione e il pagamento nella valuta americana, in dollari. Il costo del video, che si può visualizzare per un periodo di 48 ore, è di 4.99 dollari, ovvero 3.65 euro. È poi possibile commentare il documentario e condividerlo attraverso i social.
Costituisce un modo piacevole e divertente per istruirsi, per conoscere, per appassionarsi di storia. Come specificato dai creatori stessi dell’idea, può anche essere un innovativo strumento da usare a scuola per supportare l’apprendimento di bambini e ragazzi.
È ancora ristretta la scelta di documentari visualizzabili, soprattutto nella sezione “Mondo Antico” e “Novecento”. Rappresenta un limite anche la fruibilità del prodotto solo per tempo limitato. Magari si potrebbe pensare a due fasce di prezzo, a seconda che si voglia acquistare il video, o solo “affittarlo”. Per far saggiare la qualità del prodotto, si potrebbe anche prevedere qualche articolo gratuito.
Il materiale che costituisce il sito proviene dal catalogo della società, che si basa su lavori documentari prodotti in maniera autonoma e mandati in onda dai programmi di reti come La7, Rai, History Channel e Mediolanum Channel.
Amanti di storia, appassionati di documentari, insegnanti, studenti, semplici curiosi.
A quanto pare la diceria che dai momenti di crisi si viene fuori più forti, nuovi e positivamente resettati, non è finzione ma realtà. Il collasso economico che ha interessato l’Europa negli ultimi anni sta rivelando sorprese impensabili riguardo alle direzioni che l’economia e la società contemporanee stanno prendendo.
Abbiamo passato una fase di capitalismo sfrenato, di predominanza dell’egoismo e dell’individualismo, di chiusura verso il prossimo. Ancora adesso subiamo gli strascichi di questo stadio, che potrebbero sembrare acuiti dalla crescente predominanza della realtà virtuale sulle vite di ciascuno di noi. In realtà è proprio dal mondo della tecnologia e del virtuale che stanno nascendo i primi germogli di quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione sociale. Un nuovo cambio di rotta nel modo di vivere i rapporti individuali e comunitari.
Uno startupper bolognese, di origini fiorentine, Federico Bastiani, un bel giorno si è reso conto di ignorare l’identità dei suoi vicini di casa. Se un tempo il quartiere era la comunità per eccellenza, luogo di pettegolezzi e piccoli sgarbi, ma anche di condivisione e comunione, oggi, chiusi nei nostri piccoli o grandi appartamenti, viviamo giornate isolate, costellate da cenni del capo e freddi convenevoli. Bastiani ha pensato di voler modificare questo status di cose, quantomeno nel suo quartiere e, quasi per caso, ha dato il via al primo esempio di social street.
A settembre ha creato un gruppo chiuso su Facebook – strumento tra i più semplici e democratici, anche perché gratuito – per chiamare a raccolta gli abitanti della via Fondazza di Bologna. Ha stampato dei volantini per dare notizia della sua iniziativa e li ha distribuiti nei condomini del quartiere. In più di 300 hanno risposto, creando la prima comunità cittadina che nasce con l’intento precipuo di “scollare” dagli schermi di un pc le stesse persone con le quali condividiamo un pianerottolo e che non abbiamo mai conosciuto, per avviare forme di collaborazione, di sostegno, di aiuto reciproco, di scambio di idee, socialità e quando serve, anche di merci.
Non si tratta solo di un esperimento sociale, infatti, ma anche dell’incarnazione di un sistema economico che sta prendendo sempre più piede in diverse forme. Teorizzata qualche anno fa dalla studiosa Loretta Napoleoni, la pop economy sta diventando la risposta più concreta alle magagne della crisi, che fa un baffo alle spesso finte riforme dei politici. È l’economia del popolo, quella basata sullo scambio, sul baratto, sul dare e sul ricevere, gratis o in cambio di qualcos’altro. È l’evoluzione di eBay, che evita lo spreco, incentiva il riciclo e assicura il risparmio. Lo spiegano bene sul sito che è nato dall’esperienza di Bastiani, www.socialstreet.it: “Dovete cambiare il frigorifero? Perché metterlo su ebay, creare un annuncio, pagare una commissione, pagare un trasporto quando magari il vostro vicino di casa ne sta cercando proprio uno come il vostro?”. Lo stesso vale se non si vogliono buttare le uova prima di partire per le vacanze, se serve l’aiuto di una baby sitter, se si cerca un appassionato di cinema con cui condividere il proprio hobby, se si vuole trovare una comitiva di amichetti al proprio bambino, e così via. Dalla rete, da internet, dai social, si passa di nuovo alla realtà, alla strada, al quartiere.
Di esempi di pop economy ce ne sono molti altri: dal bike e car sharing, al cohousing, dal couchsurfing al baratto turistico in cambio di cultura, dalle comunità ormai diffusissime in tutta Italia “Te lo regalo se vieni a prenderlo”, fino agli swap parties nel quale scambiarsi vestiti e altri oggetti.
Di necessità si fa virtù e l’unione fa la forza, l’uomo ha una grande capacità di adattamento e si è stancato di vivere da solo. Non semplici luoghi comuni, ma un ritorno vero e istintivo al branco.
Caso 1. Primo appuntamento. Stasera verrà a cena il presunto amore della vostra vita. Tutto è pronto, le candele sul tavolo, il servizio buono. Ma… avete dimenticato un piccolo particolare: sapete cucinare solo l’uovo sodo. Caso 2. Il vostro computer è impazzito, nonostante la vostra necessità impellente di inviare la più importante e-mail di lavoro della vostra carriera professionale. Caso 3. Il rubinetto del bagno si è rotto irrimediabilmente e voi non avete idea di come ripararlo prima che casa si allaghi.
Che si tratti di arte e musica, di informatica, di salute, di fitness, di didattica, lingue straniere o make-up, Google ha pensato ha un modo probabilmente innovativo per risolvere i vostri problemi. Helpouts è una piattaforma online che permette di mettervi in contatto video con una persona reale che, anche istantaneamente, vi spieghi come cucinare un manicaretto, come risolvere un problema informatico, come riparare un elettrodomestico e molto altro. È un’evoluzione del classico tutorial che vi assicura aiuto diretto e specifico in real time, con la formula del soddisfatti o rimborsati.
Helpouts è una creazione di Google e per accedervi è necessario avere un account Google +. Entrati sul sito, il motore di ricerca (ovviamente sempre collegato a Google) vi permette di indicare il problema che volete risolvere o il campo sul quale volete consulenza, assistenza, aiuto. Gli “Helpout providers” ai quali potete rivolgervi sono impiegati di grandi o piccole aziende, o privati, che sono stati selezionati appositamente da Google per offrire questo servizio. Possono essere contattati immediatamente, se disponibili, o per appuntamento. È possibile anche inserirsi in una lista d’attesa nel caso non si voglia perdere l’occasione di interagire con un determinato Helpout provider. Il servizio è a pagamento: le tariffe sono indicate dai providers stessi che possono decidere se farsi pagare al minuto, a “lezione”, o se far scegliere all’utente la modalità di pagamento che preferisce. Si può pagare solo tramite Google Wallet e il 20% del prezzo di vendita va a Google. L’incontro avviene via video e il cliente può stabilire se mostrarsi in telecamera o no. Alla fine dell’esperienza è richiesto un feedback perché è importantissimo garantire l’affidabilità del servizio ed evitare, in ogni caso, brutte sorprese. Helpouts garantisce, infatti, anche il servizio soddisfatti o rimborsati. Se non si è contenti della lezione video, si può richiedere un rimborso della quota versata. Il tutorial interattivo può anche essere registrato su Google Drive. Non manca ovviamente la parte social, dato che gli Helpout preferiti possono essere condivisi su Facebook, Twitter, Youtube e Google +.
È molto probabile che nel futuro sarà introdotta una connessione con alcuni dei tutorial reperibili su Youtube, rimandando direttamente da una piattaforma ad un’altra nel caso in cui si volesse un appuntamento privato e personalizzato col tutore prescelto.
I tutorial costituiscono una categoria video seguitissima e la possibilità di entrare in contatto diretto con una persona in carne e ossa con la quale interagire costituisce un evidente vantaggio. Un altro beneficio è anche la possibilità di avere disponibilità immediata di tutoraggio. Il nome Google, poi, aleggia a garante dell’affidabilità dei contenuti.
È quasi tutto a pagamento e i prezzi proposti non sono neanche dei più modici. Il fattore economico potrebbe far pendere l’ago della bilancia a favore dei tradizionali video tutorial, a volte incomprensibili, sì, ma gratuiti.
Helpouts è appena nato ed è al momento rivolto principalmente ad un pubblico anglofono.
Se l’Helpout provider richiesto ritarda più di 5 minuti sull’orario d’appuntamento, o dà la sua disponibilità per una certa ora in un certa data ma non si presenta, la sessione è gratuita. Efficienza è, infatti, la parola d’ordine alla base del servizio offerto. È quanto traspare chiaramente dalle parole del vicepresidente Google, Manber: “credo che la ragione per la quale internet è un mezzo così potente e di successo risiede nel garantire un livello completamente nuovo di efficienza e convenienza”.
I curiosi e coloro che vogliono apprendere sempre qualcosa di nuovo. A chi perde facilmente la pazienza e agli ansiosi. A chi crede che internet abbia la risposta a qualsiasi interrogativo. Ai socievoli e a coloro che preferiscono l’interazione, specialmente durante il processo di apprendimento.
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Fino a qualche decennio fa fare la spesa online sembrava una follia. Oggi, invece, e-Bay potrebbe essere considerato un sito sorpassato. G21 offre una piattaforma commerciale innovativa che addirittura permette di guadagnare acquistando. Si tratta, in gergo tecnico, di una social commerce, di un misto tra un social network e un sito di shopping online. È una community vera e propria tramite la quale fare acquisti, condividere le proprie azioni commerciali o le offerte del sito e risparmiare.
La pagina di presentazione di G21 è molto esaustiva riguardo al modo di usufruire della piattaforma. Il primo passo è iscriversi, gratuitamente. Il secondo passo è cominciare ad acquistare. Ogni acquisto prevede un risparmio del 20% sul prezzo della merce. La quota risparmiata verrà registrata in GPoint. Ogni GPoint equivale a un euro e, arrivati a quota 50, potrà essere richiesta la conversione in cash. In ogni caso i GPoint possono essere sfruttati per altri acquisti all’interno del sito. Una volta effettuati i primi acquisti, questi si possono condividere con la community, invitando nuovi amici a entrare a far parte del progetto. Ogni spesa effettuata da amici vale il 10% del prezzo della merce da loro acquistata. Questo processo può espandersi fino alla creazione di una propria rete commerciale che permette di iniziare un’attività di vero e proprio social franchising.
L’accesso alla piattaforma è sempre gratuito, anche quando il proprio status all’interno della community è avanzato. Le offerte proposte provengono da collaborazioni con grandi partner nazionali e internazionali.
Si tratta di una piattaforma di recente creazione che necessita di essere implementata.
La propria avventura commerciale all’interno di G21 è una vera e propria scalata verso il successo, che porta l’acquirente dallo status di Guest a quello di Social Executive. Un meccanismo strategico e divertente che stimola la partecipazione al processo di acquisto, risparmio e guadagno.
Gli aspiranti imprenditori, gli shopaholic, gli amanti dei social network e degli acquisti online.
TAFTER aspira a diventare sempre più come voi lo volete, per questo non ha paura di cambiare, crescere ed evolversi.
Tra le sue prerogative c’è l’attualità, l’attenzione rivolta alle nuove tendenze e alle forme culturali emergenti, per questo non poteva tradire la sua natura restando immutabile.
I cambiamenti che interesseranno oggi TAFTER coinvolgono soprattutto l’aspetto della sua homepage.
Poiché si tratta di piccole grandi rivoluzioni, che potrebbero passare inosservate agli occhi dei meno attenti, vogliamo illustrarvele una ad una in modo da poterne giovare tutti, lettori affezionati e nuovi adepti.
Vi dimostreremo che accorgimenti in apparenza minimi, possono rivelarsi importanti novità.
Il menu di TAFTER è il primo ad essere rinnovato e si farà in due per offrirvi sempre maggiori possibilità di navigazione. Alla consueta barra con l’elenco delle sezioni di TAFTER, direttamente cliccabili, se ne aggiunge una seconda che vi consentirà di filtrare i contenuti per temi.
Arte, lavoro, nuove tecnologie, musica, cinema, moda, beni culturali: potrete scegliere di trasformare TAFTER come meglio vi si addice, scegliendo di vedere per ciascuna sezione i contenuti legati ad uno specifico tema.
Per rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità di TAFTER potete ricorrere all’utilissima newsletter, che giungerà comodamente sulla vostra casella di posta elettronica una volta a settimana. Come fare per iscriversi? Semplice! Trovate il form nella nuova homepage, proprio come indicato dalla freccia.
La principale novità che vogliamo presentarvi è però la Settimana di TAFTER: un divertente mosaico di immagini che vi fornirà con un unico colpo d’occhio, tutte le notizie, gli articoli, le opportunità e gli appuntamenti di maggior rilievo pubblicati nell’arco degli ultimi sette giorni.
Passando il cursore su ciascuna delle cornici, vedrete la foto in chiaro e apparirà il titolo del contenuto selezionato.
Ultima trasformazione, sotto la nuvola dei temi tramite cui navigare su TAFTER, troverete il plug-in per la fan page Facebook di TAFTER: la community di “tafteriani” è già folta ma vogliamo ampliarla ancora di più per commentare insieme l’attualità culturale, scambiarci punti di vista, idee o semplicemente per darci il buongiorno la mattina! TAFTER vuole infatti essere per i suoi lettori un punto di riferimento in ambito culturale, ma anche un piacevole interlocutore con cui interagire.
In questo new look di TAFTER noterete l’assenza della nostra cara Miss Marple: vogliamo però rassicurare i suoi fan! La nostra investigatrice non ci ha abbandonati! Tornerà prossimamente più attenta e curiosa che mai per continuare a svelare le malefatte nel campo culturale. Lo farà però sotto nuove spoglie…perché “Niente è duraturo come il cambiamento”.
L’idea primigenia di Zuckeberg quando ha ideato Facebook era di creare un portale tramite il quale socializzare e fare rete. Oggi Facebook è diventato una realtà molto più articolata e complessa, e gli usi che se ne fanno si sono a dir poco moltiplicati. Facebook è diventato anche uno strumento per promuovere l’arte e la cultura, per curare la brand image di un’istituzione culturale o di un museo.
L’ha ben capito l’Essl Museum di Vienna, il museo a venti minuti dal centro della città, che raccoglie la collezione di arte contemporanea dell’austriaco Karlheinz Essl. Si tratta di un museo all’avanguardia, che basa la sua policy sul coinvolgimento diretto dei visitatori. Questi non sono semplici fruitori passivi delle opere esposte, ma sono protagonisti, soggetti direttamente coinvolti nelle attività del museo. Persino nelle sue scelte curatoriali.
La mostra LIKE IT!, inaugurata il 23 ottobre, nasce proprio seguendo i gusti degli utenti dell’Essl Museum che hanno scelto le opere da esporre tramite Facebook. L’esperienza social di LIKE IT! si è sviluppata in due fasi. Dal 30 settembre all’8 ottobre, i fan della pagina ufficiale dell’Essl Museum hanno avuto la possibilità di votare, attraverso un like, tra circa 120 opere, di varie tipologie – pitture, fotografie, video – tutte appartenenti ad artisti della collezione, nati a partire dal 1973. Le più votate sono andate a costituire la mostra allestita nella Great Hall del museo. Una volta scelte le opere era necessario dare inizio alla seconda fase del processo: a tutti gli “Amici” Facebook del Museo è stata data la possibilità di candidarsi come curatori della mostra. 5 elementi sono stati scelti per collaborare con Andreas Hoffer, critico professionista del museo. E così, dopo un workshop intensivo di due giorni, l’allestimento ha avuto inizio e i curatori in erba hanno potuto occuparsi anche dei testi di commento a corredo delle opere.
Un’opera fra tutte è stata scelta ad emblema della mostra, sia perché la più votata, sia perché effettivamente rappresentativa della natura della mostra: Estrella di Patrìcia Jagicza. Si tratta di un dipinto raffigurante una donna che si specchia in un bagno per uomini mentre si sta mascherando. È stata individuata come un simbolo del problema della privacy, del dilemma tra pubblico e privato di cui sono appunto espressione i nuovi mezzi di comunicazione digitale.
L’esperimento con la mostra LIKE IT! è continuato anche durante la Vienna Fair, tenutasi dal 10 al 13 ottobre. I visitatori della fiera sono stati chiamati a votare, stavolta, le 5 opere che costituiscono la parte speciale della mostra “Vienna Fair – The New Contemporary Special Selection”. Il parere degli utenti di Facebook, inoltre, è richiesto per tutto il corso della mostra – che si terrà fino al 6 gennaio – attraverso commenti e like che possono determinare cambiamenti nell’allestimento.
Andreas Hoffer stesso ha spiegato la necessità di portare avanti questo esperimento di curatela social partecipata: è inutile per un museo avere una pagina Facebook, un’identità sui social network, se questi devono essere usati passivamente. I social vanno considerati uno strumento professionale vero e proprio, indispensabile se sfruttato in tutte le sue potenzialità.
Ed effettivamente un prima esperienza del genere l’Essl Museum l’aveva già sperimentata con il progetto “Festival of Animals”. In quel caso erano quattro gruppi a scegliere le opere, a contribuire al catalogo della mostra e a interagire direttamente con gli artisti: i bambini di due scuole, un gruppo di donne della Caritas e i fan Facebook del museo.
Sempre Andreas Hoffer ci ha tenuto a precisare, però, che quello di LIKE IT! sarà un evento “one shot”: è assolutamente vietato ripetersi nel mondo dei social e le domande da porre al pubblico devono variare di continuo. Il caso di questo museo di Vienna va sicuramente tenuto in conto come esempio intelligente di uso dei social media, un modo interattivo e dinamico per coinvolgere pubblici sempre più vasti, soprattutto giovani, all’interno di strutture e processi che spesso sono percepiti troppo settoriali o elitari. Uno sguardo fresco e nuovo sulle cose, specialmente nel mondo dell’arte e della creatività, non fa mai male.
La storia dell’arte rischia di essere ridotta o addirittura eliminata dai programmi di formazione scolastica. La petizione per contrastare la decisione presa dal Governo con la Riforma Gelmini del 2010 raccoglie, specialmente negli ultimi giorni, sempre più firme, sempre più adesioni.
Anche Stefano Guerrera, giovane informatico pugliese di 25 anni, si è interessato al problema e ha pensato di risolverlo a modo suo. È nata così la pagina Facebook “Se i quadri potessero parlare” che, messa online solo il 18 ottobre, oggi conta già circa 180mila like. L’idea balenata in mente a Stefano è stata molto semplice, ma decisamente vincente: le opere d’arte più famose di artisti come Leonardo, Botticelli, Caravaggio, vengono corredate da una frase comica che ne stravolge totalmente il senso agli occhi dello spettatore. Il linguaggio usato è il dialetto romano che inevitabilmente fa ridere, come spiega lo stesso Stefano che da sei anni vive a Roma.
Il risultato ottenuto con questo esperimento è davvero esilarante e, effettivamente, conferma un’esigenza che si è venuta palesando altre volte negli ultimi anni: quella di rendere l’arte una materia comprensibile a tutti, un campo che deve vantare i suoi specialistici e i suoi studiosi, i suoi critici e i suoi esperti, ma che può anche rivolgersi ad un pubblico vasto e variegato.
Il blog “L’arte spiegata ai truzzi” di Paola Guagliumi, ad esempio, ha iniziato già un anno fa ad affrontare la questione, presentando spiegazioni in romanaccio dei più grandi capolavori dell’arte moderna e contemporanea. Anche in questo caso il risultato è divertentissimo, e al contempo anche abbastanza istruttivo. La Guagliumi è una studiosa di storia dell’arte e una guida turistica e le opere che presenta sono trattate attraverso un lato didattico serio, che si nasconde dietro alla forma faceta.
È del 2008 un altro tentativo di desacralizzare la storia dell’arte e di renderla familiare agli occhi dei più: “Understanding art for geeks”, un blog in cui ancora una volta quadri famosi vengono parodiati in versione “geek”, modificati appositamente per gli amanti di internet e della tecnologia.
Un esempio cartaceo che sperimenta un modo non convenzionale di spiegare la storia dell’arte è rappresentato, poi, dal volume di Mauro Covacich del 2011, “L’arte contemporanea spiegata a tuo marito”, un testo ironico, ma molto completo per approcciarsi all’arte contemporanea senza i pregiudizi che portano a non considerarla espressione artistica vera e propria, o comunque non al livello dei grandi maestri del passato, per perizia tecnica e comunicazione estetica.
Tornando al fenomeno degli ultimi giorni, “Se i quadri potessero parlare”, si tratta ovviamente di un gioco. Eppure, potrebbe rivelarsi non fine a stesso. Di sicuro serve ad avvicinare tutti, soprattutto i più giovani, ad un mondo dal quale spesso si sentono distanti, anche solo reintroducendo nella loro iconosfera rappresentazioni che al giorno d’oggi sono sempre più escluse dall’immaginario collettivo, perché sostituite da cartelloni pubblicitari, divi del cinema, o appunto, espressioni visive appartenenti al mondo web.
È tutto un susseguirsi di “pare che” e “sembrerebbe”. La notizia della nascita di un nuovo portale di informazione basato sul giornalismo investigativo è ancora fumosa e avvolta nel mistero.
È solo di ieri, d’altra parte, la conferma ufficiale che due personaggi molto in vista del mondo del business e dell’informazione statunitense hanno deciso di unirsi per dare vita ad uno strumento potenzialmente pericoloso, di sicuro molto intrigante, che potrebbe costituire una svolta epocale nel modo di fare giornalismo. Eppure, qualche “soffiata” di approfondimento in materia è possibile riuscire a reperirla per saziare i primi morsi della curiosità, o alimentarli con interrogativi che si spera abbiano presto risposta. Vediamo insieme chi sono i protagonisti di questa avventura giornalistica e cosa hanno in mente di fare:
PIERRE OMIDYAR: imprenditore e filantropo americano di origini iraniano-francesi, è meglio conosciuto come il fondatore di eBay, grazie al quale è diventato milionario all’età di trent’anni. Di recente, si è dedicato al giornalismo investigativo e alla comunicazione fondando il giornale hawaiano, Honolulu Civil Beat. Quest’estate ha provato ad acquistare il Washington Post, ma poi ha lasciato l’onore e l’onere a Jeff Bezos, il creatore di Amazon. L’esperienza lo ha, però, stimolato e un’idea è balenata alla sua mente di benefattore milionario: investire in un canale di informazione totalmente nuovo, rivoluzionario, famoso prima ancora di nascere.
GLENN GREENWALD: giornalista, blogger, avvocato è – anzi era – una delle penne più chiacchierate del The Guardian. Il suo nome è stato illuminato dalle luci della ribalta nel momento in cui è scoppiato lo scottante Datagate. Si tratta di uno degli scandali più spinosi che hanno riguardato la NSA statunitense, opera di Edward Snowden. Questo giovane informatico, impiegato della CIA, nel maggio del 2013 ha rilasciato alla stampa britannica materiale top secret riguardante i programmi di sorveglianza di massa dei governi europei e americani. Snowden ha dichiarato di aver compiuto questo gesto perché non vuole vivere in un mondo in cui la privacy e la libertà dei cittadini sono seriamente compromesse e violate da quegli stessi governi che dovrebbero proteggerle. Le rivelazioni di Snowden sono passate attraverso gli articoli di Greenwald, che possiede ancora materiale inedito a riguardo.
Greenwald ha dichiarato ufficialmente di lasciare The Guardian per abbracciare il progetto di Omidyar. D’altra parte egli stesso, insieme alla collega documentarista Laura Poitras e all’esperto di sicurezza nazionale del The Nation, Jeremy Scahill, aveva maturato l’intenzione di creare uno spazio online dedicato al giornalismo indipendente.
IL NUOVO CANALE DI INFORMAZIONE: da quanto trapelato dalle prime informazioni, si tratterà di un canale interamente online che unirà i più dotati giornalisti indipendenti. Non avrà una linea politica, ma il suo scopo sarà far trapelare la verità. Una parola difficile e spesso spaventosa che, però, Gleenwald e Omidyar non hanno paura di associare al loro progetto. Il fondatore di eBay investirà inizialmente un budget di 250 milioni di dollari (l’offerta che aveva avanzato per acquistare il Washington Post). Per scrivere per il nuovo potente colosso investigativo è necessario essere giornalisti indipendenti, dalle forti opinioni, esperti nel proprio campo e con un buon seguito di lettori. Il punto di forza che sbaraglierà la concorrenza starà nel combinare il giornalismo tradizionale con le nuove frontiere del blogging e con le potenzialità infinite del mondo digitale. Tre ingredienti ne faranno uno strumento potente: validi editori e “investigatori”, il supporto tecnologico, un ottimo ufficio legale. Sebbene, infatti, il nuovo portale si occuperà di tutto – sport, economia, intrattenimento, nuove tecnologie – il suo “core business” sarà il giornalismo investigativo e non si esclude che il resto delle informazioni concesse da Snowden non possa costituire il primo tassello di questo nuovo canale di informazione. Tutto ciò non lo renderà uno strumento di nicchia, anzi, il proposito dei suoi ideatori è proprio quello di iniziare un tipo di giornalismo personalizzato, ispirato alle aziende della Silicon Valley che puntano e investono sullo studio dei gusti e delle esigenze dei consumatori e soprattutto sul loro engagement.
I dettagli sul progetto si interrompono più o meno qui, nello stesso punto in cui comincia la sfilza di interrogativi sul suo senso ultimo. I contorni per definire i “buoni” e i “cattivi” sono ancora troppo sfumati e non ci resta che stare a vedere.
Se fino a poco tempo fa il mercato dell’arte era una prerogativa esclusiva degli intenditori più raffinati, delle famiglie facoltose, dei collezionisti di generazione in generazione, ultimamente sembra che si stia aprendo sempre di più ad un pubblico maggiormente diversificato. Dopo le fiere d’arte che propongono creazioni accessibili, o le aste per tutti i portafogli, è arrivato anche Artuner, il portale dov’è possibile comprare opere d’arte online, a prezzi speciali, in una sorta di asta web rivolta anche ai meno esperti. Lo scopo è quello di incrementare la conoscenza e l’apprezzamento dell’arte contemporanea internazionale, e allo stesso tempo, di stimolare la nascita di una nuova generazione di collezionisti, giovani e appassionati.
Artuner è una vera e propria galleria online che, per periodi limitati, espone le opere d’arte che mette in vendita ad un prezzo conveniente, ridotto. L’esposizione è tematica e scelta dai curatori e dagli esperti stessi del sito ed è chiamata “curation”. Come specificato dal creatore del sito, Eugenio Re Rebaudengo, in un primo momento i lotti proposti saranno principalmente di fotografia. I prezzi partono dalle 2,000 sterline. Per acquistare bisogna registrarsi online, ma prima di compiere il passo decisivo del pagamento, si può usufruire del consiglio degli advisors messi a disposizione dal portale, contattabili tramite email o Skype. Il sito offre, poi, per ogni artista e opera messa in vendita, informazioni bibliografiche di approfondimento, come in ogni catalogo d’asta che si rispetti. Una volta terminato il periodo della “curation”, è possibile trovare le precedenti esposizioni allestite su Artuner cliccando su “All Art”. Delle sezioni specifiche, contenenti articoli e testimonianze, aiutano infine l’utente a muoversi nel mondo del mercato dell’arte e della tutela delle opere.
La grafica è elegante e curata, il sito è di facile navigazione e comprensione. Al di là della possibilità di acquistare realmente un’opera d’arte, la piattaforma potrebbe rivelarsi un mezzo utile per affacciarsi sul mondo del collezionismo, uno strumento didattico per aggiornarsi sulle tendenze dell’arte contemporanea.
Artuner è stato messo online di recente, quindi al momento contiene esposizioni di un solo artista, il fotografo Luigi Ghirri. Nonostante ci sia la possibilità di vedere il quadro posizionato all’interno di una stanza, o dotato di cornice, il fatto di non poter analizzare l’opera da acquistare dal vivo sicuramente costituisce un limite.
Il portale è stato creato da Eugenio Re Rebaudengo, giovane collezionista, esperto d’arte anche grazie all’esperienza nella Fondazione di famiglia, la Sandretto Re Rebaudengo. Gli altri membri del team, Nicolas Epstein e Muna Rabieh, anche loro giovanissimi, hanno una formazione internazionale.
I collezionisti in erba, gli appassionati di storia dell’arte, mercato dell’arte, economia della cultura.
Se vi capita spesso di girare per negozi e di essere stufi delle solite marche e dei soliti prodotti, se cominciate a sudare freddo ogni volta che è il compleanno di qualcuno a voi caro perché incapaci di trovare un regalo originale, bene, allora dovreste dare un’occhiata a Buru Buru. Si tratta di uno store online dedicato esclusivamente all’artigianato contemporaneo. Si possono vendere o acquistare prodotti fatti a mano, di alta qualità, ma con un brand moderno, fresco e divertente… Persino a costi abbastanza contenuti!
È anche una community di crafter che ricerca e seleziona artigiani e creativi che necessitano di assistenza e supporto per far decollare la propria produzione, il proprio “piccolo brand”. Le parole chiave di Buru Buru sono sostenibilità, creatività, valore.
Buru Buru funziona un po’ come Ebay, nel senso che è possibile sia vendere dei prodotti, sia comprarli. Solo che il mercato di Ebay prevede merci di tutti i tipi e qualità. Per vendere su Buru Buru, invece, bisogna “candidarsi”, cioè sottoporre le proprie creazioni al giudizio dello store che valuta la compatibilità con la linea e il gusto adottati dal resto degli articoli.
Per acquistare basta solo registrarsi, scegliere tra abbigliamento, accessori, gioielli, cartolerie, prodotti per bambini, green, poster, ovviamente pagare e aspettare l’arrivo dell’agognato pacco a casa. È possibile anche personalizzare i propri acquisti, scegliendo l’illustrazione da abbinare all’accessorio o alla t-shirt preferiti. C’è anche una sezione “Offerte” per scoprire i prodotti scontati del momento. Per le fashion blogger sulla cresta dell’onda è, poi, possibile diventare “Ambasciatrici” Buru Buru e portare alto il vessillo della cultura artigianale indipendente.
Infine, è possibile navigare sulla sezione “Magazine” dello store, il blog di Buru Buru che contiene news, articoli, interviste sul mondo del design, della grafica, della moda.
Il sito ha una grafica adorabile, semplice e divertente. Muoversi all’interno della pagina web, alla ricerca del prodotto giusto, è facile e veloce.
Il tipo di merce messa in vendita potrebbe essere gradito maggiormente da chi ha un determinato tipo di stile, “alternativo”.
Il nome, “Buru Buru”, si ispira al linguaggio dei bambini che, pur farfugliando, riescono a fare capire cosa vogliono, soprattutto quando qualcosa li cattura, li attrae, li stupisce. Buru Buru quindi è volontà, entusiasmo, stupore.
I/le fashion victim, i/le fashion blogger, i designer, i creativi, gli artigiani 2.0, gli imprenditori fantasiosi, tutti coloro che hanno letto e amato “I love shopping”.
È un canale Youtube, una app su Spotify e anche un blog. Official Comedy è il nome giusto da digitare se si vuole ridere, sorridere, ritrovare il buonumore gustandosi gli sketch dei migliori attori comici del panorama americano e internazionale. Dietro Official Comedy si “nasconde” Bedrocket, l’azienda americana di media e comunicazione che si occupa di intrattenimento e video story telling.
Iscrivendosi al canale Youtube o scaricando l’app su Spotify – gratuitamente – si ha accesso al database della Bedrocket che offre a disposizione un ricco programma di interpretazioni comiche, da quelle storiche risalenti a Bill Cosby e ai Monty Python, alle più recenti tratte da sit-com di ultima tendenza, o a debuttanti nel panorama comico internazionale. Le sezioni messe a disposizione degli utenti sono, infatti, Funny Now, Comedians, One-Liners e Playlists.
Avere un canale a tema comicità, i cui contenuti sono stati selezionati da un referente autorevole in materia, come Bedrocket, è sicuramente un bel punto di forza.
Gli utenti italiani potrebbero essere indispettiti dalla esclusività della lingua inglese all’interno del canale. Ma si potrebbe anche trattare di un buon pretesto per fare un po’ di listening di lingua inglese divertendosi, nell’attesa che sia disponibile un canale simile in versione italiana.
Lo slogan di Official Comedy volendo si può riadattare alla vita di tutti i giorni: “Watch. Laugh. Repeat”.
Chi è appassionato di cinema, serie televisive, comicità; a chi ama ridere e concedersi qualche minuto al giorno di buonumore.
http://open.spotify.com/app/officialcomedy
http://www.youtube.com/user/OfficialComedy
http://officialcomedy.tumblr.com/
È possibile racchiudere 50 anni di storia della musica in un sito internet semplice e accessibile? Se si spulcia per bene il sito Musicologia, la risposta diventa magicamente sì. Non si tratta di certo di un’operazione facile, ma l’intento della pagina web è proprio quello di creare un’enciclopedia della musica popolare dal 1962 al 2012, che presenti al navigatore i brani e gli artisti che hanno fatto la storia della musica, che hanno segnato un’epoca, che generazioni canticchiano da decenni, o che i teenager contemporanei ascoltano oggi.
Entrando su Musicologia appare subito visibile che è possibile esplorare il sito attraverso tre modalità:
1) Seguire la Timeline, cioè seguire una divisione cronologica degli eventi. Cliccando su ogni anno, appare una parte testuale che spiega i principali avvenimenti in ambito musicale di quell’anno, un elenco dei principali artisti che lo hanno caratterizzato, e la possibilità di ascoltare i brani più significativi, o di vedere un video Youtube. L’elenco, poi, viene proposto tramite una suddivisione in Easy, Medium, Hard, a seconda della difficoltà di ascolto e fruibilità dei brani proposti.
2) Procedere con la ricerca per Artista: per ogni artista è disponibile una scheda informativa e uno o più brani da ascoltare.
3) Scegliere la ricerca per Genere musicale: in questo caso, i generi, oltre settanta, sono catalogati in ordine alfabetico, dalla A di Alternative Dance alla W di World Music.
Per ogni contenuto è possibile lasciare un commento.
Si tratta di un sito molto ben articolato, di facile fruizione, dalla grafica piacevole e divertente. Ha la peculiarità di evitare gli snobismi e di fare una cernita dei brani in base alla loro popolarità e non solo alla loro qualità musicale, presentando un quadro veritiero delle tendenze musicali di un determinato periodo.
Non tutti gli anni o gli artisti sono ancora trattati e sviscerati. Ma, come specificato dal creatore del sito, Stefano Masnaghetti (caporedattore della rivista Outune), si tratta di un work in progress che potrebbe essere praticamente infinito, vista l’immensità del panorama musicale popolare e la sua continua evoluzione.
Navigando sul sito, emerge chiaramente che si tratta di un progetto nato per passione. Stefano Masnaghetti precisa che si tratta di una visione soggettiva del panorama musicale e che “non è un lavoro enciclopedico, non è l’ennesimo Vangelo di un critico onnisciente, non è un tentativo di racchiudere in un unico luogo i dischi più “belli” di sempre. È molto di più. È il primo viaggio, interno a quella che è la colonna sonora delle nostre vite…” E soprattutto, non si tratta di un progetto chiuso, ma di un progetto in continuo divenire che cerca e stimola il confronto con altri appassionati di musica.
I “musicadipendenti” che vogliono condividere idee e passioni, i fruitori “ingenui” della musica che sono desiderosi di apprendere e saperne di più.
Il panorama lavorativo attuale è sempre più eterogeneo, cangiante, molteplice. I contratti di lavoro e le tipologie di assunzione sono differenti rispetto al passato. Sicuramente il web, internet, i social network rispecchiano le mutate condizioni di assunzione e cercano di andarvi incontro. Freelance.com risponde alle nuove richieste del settore professionale e offre opportunità e convenienza sia per chi offre lavoro, sia per chi lo cerca. Si tratta, infatti, di una piattaforma per chi cerca attività da freelancer, o per chi gestisce una piccola impresa, non ha le risorse sufficienti per assumere una figura a tempo pieno, e preferisce appoggiarsi su una figura esterna che svolga un lavoro temporaneo. Freelancer.com si definisce, infatti, “il più grande mercato al mondo di freelancing, esternalizzazione e crowdsourcing per le piccole imprese”.
Freelancer.com funziona un po’ come un social. Ci si iscrive, agganciandosi all’email o al profilo Facebook, e si comincia scegliendo il proprio “ruolo” all’interno del meccanismo: freelancer o datore di lavoro? Se si cerca impiego è necessario indicare le proprie abilità (più o meno come su LinkedIn) e si può caricare il proprio curriculum. Una volta completato il profilo, si può cercare l’attività per la quale si è più adatti e fare un’offerta al datore di lavoro, inviando le proprie referenze e indicando il costo del proprio incarico all’ora. Se si riesce a convincere il futuro “capo”, si è assunti e una percentuale del guadagno ricevuto va al sito. Un processo più o meno speculare avviene se, invece, si cerca “personale” da assumere. E’ possibile caricare il proprio progetto oppure si può ricercare la figura adatta indicando tutte le caratteristiche necessarie ad una determinata mansione. Anche in questo caso, parte del guadagno dell’intero progetto (un 3%) va al sito.
E’ un modo intelligente per trovare lavori part-time, da svolgere da casa, o svariate opportunità in tutto il mondo.
Per capire bene come funziona il tutto bisogna avere un po’ di pazienza e “studiarci un po’ su”. Lo stesso vale al momento della ricerca del lavoro o dei lavoratori: bisogna capire la strategia giusta per essere assunti o per assumere la persona più adatta.
Per i freelancer, è possibile svolgere anche degli esami per dare prova delle proprie abilità. Si tratta di veri e propri test, in genere rapidi, che servono per primeggiare agli occhi dei possibili futuri datori di lavoro.
Chi è in cerca di un lavoro, ai fantasiosi del mercato delle assunzioni, a chi non ama spostarsi per lavorare, a chi ha un’impresa, una start up, un lavoro da voler o dover assegnare a terzi.
Avete mai sentito parlare di diritto all’oblio, tutela della privacy sul web et similia? Quante volte vi siete registrati su un sito e dopo alcuni giorni, mesi, anni avete provato il desiderio di cancellarvi e scomparire dalla faccia di quella piattaforma online? justdelete.me è proprio un sito che agevola la cancellazione da social network, applicazioni, siti che richiedono un’iscrizione e che spesso non chiarificano come potersi cancellare.
Si tratta di una pagina web in cui, in ordine alfabetico, sono indicati i principali servizi web che richiedono una registrazione. I rettangoli che ospitano i servizi sono colorati in base alla difficoltà che l’utente incontra nell’eliminare il proprio account: si va dal verde di Facebook, che indica una cancellazione rapida, all’arancio di Whatsapp, di difficoltà media, al rosso di Skype, dal quale è molto difficile eliminare i propri dati, fino al nero di Pinterest, che non permette una ripulitura definitiva dei propri dati dalla piattaforma. Cliccando sul sito “incriminato” si viene rimandati direttamente alla pagina con il “bottone” di cancellazione relativo. Molti servizi web, infatti, nascondono volontariamente l’opzione di cancellazione, oppure come skype, richiedono dopo diversi passaggi, di contattare il customer service. Per i siti più ostici, Just Delete Me offre una spiegazione della procedura, cliccando su “show info”.
Un motore di ricerca, poi, permette di arrivare rapidamente al sito di interesse.
È possibile contribuire allo sviluppo del sito suggerendo le procedure di cancellazione per nuovi siti, o richiedendo di inserirli, tramite l’invio di un’email ai creatori del sito.
justdelete.me rappresenta un passo avanti nella procedura di eliminazione dei propri dati dall’oceano di informazioni, personali e non, che è il world wide web. Ma la strada verso la tutela della privacy è ancora lunga e contorta, anche perché, spesso, non basta un semplice bottone di cancellazione per scomparire del tutto da un sito.
Gli ideatori di justdelete.me, due giovani studenti britannici, sono rimasti stupiti dal successo del loro servizio che, nato il 20 di agosto, in solo una settimana ha totalizzato più di 30.000 visitatori e ha conquistato persino una recensione da parte della nota rivista tecnologica Wired.
Tutti i naviganti della rete, con particolare attenzione a chi si annoia presto di qualcosa, a chi ha istinti da agente segreto, a chi ha qualche piccola mania di persecuzione.
(im)possible living – rethink the abandoned world
Si tratta della prima community virtuale e globale nata per individuare e portare a nuova vita edifici abbandonati. In questo modo si evita il perpetuarsi della cementificazione e si opta per un recupero intelligente, economico ed ecologico del preesistente, evitando che si trasformi nell’ennesimo esempio di degrado.
Per far ciò (im)possible living procede seguendo precisi step: creare un database mondiale degli edifici in stato di abbandono; mettere a disposizione conoscenze e strumenti per avviarne il recupero; favorire il contatto tra diversi professionisti coinvolti nell’attività di ristrutturazione; trovare il denaro necessario per realizzare il progetto.
Per entrare a far parte della community di (im)possible living basta registrarsi gratuitamente, fornendo un’e-mail e scegliendo un’immagine per il profilo. Sarà così consentito segnalare l’indirizzo dell’edificio abbandonato che si intende inserire nel database, corredandolo anche con foto e video e indicando la tipologia del fabbricato (religioso, agricolo, abitazione, ecc). Queste segnalazioni potranno poi essere condivise anche sui propri profili Facebook, oltre che andare ad arricchire la mappa del cosiddetto (im)possible world.
Ciascun sito ha poi una propria scheda in cui, insieme alla localizzazione in mappa, viene fornita una descrizione dell’area in cui si trova, foto e video, le idee proposte per il recupero e le informazioni relative alla realizzazione.
Il tutto è sempre condivisibile tramite i principali social network come Facebook, Twitter, Youtube e Flick.
L’idea è davvero interessante e utile, perché si propone come strumento per il recupero urbano che ormai ogni città si trova a dover affrontare.
Segnalazioni e iniziative vengono inoltre dal basso, da quegli stessi cittadini che vivono i luoghi e i disagi provocati dal degrado. Sfruttando il lato social del web, l’immediatezza e la catalizzazione di idee provenienti da più voci, peculiarità dell’on line, (im)possible living media tra coinvolgimento creativo ed emotivo e ordine progettuale.
Come ogni bel progetto, il dubbio si insinua sempre sulla concreta fattibilità: una volta che gli edifici sono stati mappati, schedati e hanno raccolto buone idee per il loro recupero, si giunge poi all’effettiva ristrutturazione? Chi si occupa del disbrigo burocratico di tutte le pratiche edilizie? Ma, soprattutto, chi finanzia il tutto?
(im)possible living è un progetto tutto Made in Italy: il suo team è composto principalmente da giovani professionisti italiani, come architetti, urbanisti e progettisti web.
(im)possible living è consigliato a chi vuole città in cui ogni centimetro di cemento abbia una sua utilità e dove nessun edificio vada perso nel degrado. E’ raccomandabile a chi ha una buona idea ma non dispone di alcuno spazio per realizzarla, ma anche a coloro i quali non sanno come impiegare un edificio altrimenti destinato a divenire macerie.
Trovate (im)possible living al seguente link. C’è anche un blog dedicato e un app scaricabile gratuitamente.
“Che faccio, lo faccio?”
“Ma sì dai, che vuoi che ti succeda?”
“Ma no…nulla però…boh…non mi va di sapere questa cosa, per quanto approssimativa possa essere”
“Dai, prova”
“…”
“…”
“Ok, provo”
E così l’ho fatto. Sono andata su questo sito http://pbump.net/death/ e ho risposto alle tre domande che mi poneva.
Oggi ho scoperto che morirò il 25 novembre del 2068. Sarà una domenica.
Pensavo peggio in fondo.
Premessa: questo sito non ha alcuna validità scientifica, non tiene conto del fatto che siate o meno malati, se fumate, se siete degli sportivi, obesi, sedentari, spericolati, pigri o alcolizzati.
Tiene conto di tre cose: la vostra data di nascita, il paese in cui abitate (tra questi ci sono solo Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti) e se siete uomini o donne. Stop.
Tanto basta però a far scattare quel meccanismo insito dentro ognuno di noi che ci fa rabbrividire al pensiero di sapere il giorno esatto della nostra morte.
Ad inventare questo diabolico test, che sta macinando milioni di utenti ogni giorno in tutte le parti del mondo è stato Mr. Philip Bump, scrittore e web designer che ha inserito sul suo sito “l’orologio della vita”.
Non ha inventato nulla di nuovo, è vero, però il sito è graficamente minimal e molto scuro, nulla a che vedere con quei test da quattro soldi tutti colorati che fino ad oggi trovavamo tra i quiz estivi da fare sotto l’ombrellone.
E quindi dopo sesso, droga e rock’n roll a fare utenti è proprio la morte. La propria si intende.
Allora mi sono documentata un po’ meglio: ho scoperto diversi giochetti che calcolano la morte (ovviamente non ho ripetuto il test. Mi va bene il 2068, grazie) ma anche molte ricerche dall’aria davvero scientifica. Avete presente quelle scoperte che fanno nell’Università dell’Illinois o del Massachusetts il 20 di agosto quando non c’è proprio nulla di cui parlare ( e quando qualcuno come me si cimenta in questi passatempo funesti?).
Ecco, ne ho scovata una dell’Università di Toronto, in collaborazione (pensate un po’) con Harvard, la quale afferma che l’ora della nostra morte è contenuta nel nostro DNA. Siete dei tipi che si svegliano all’alba? Morirete certamente entro le 11 del mattino, altrimenti nel pomeriggio. Rivoluzionario no?
Combinate le due cose, se volete, e riuscirete a organizzarvi il funerale per bene.
A questo punto non mi resta che darvi appuntamento il 25 novembre 2068. Ora che lo sapete, non potrete mancare al mio funerale. Sarà d’inverno, di domenica e, stando ai calcoli di Harvard. di pomeriggio. Sarà una bella festa, vedrete. In fondo ho ancora 20.186 giorni per organizzare il tutto. Si accettano consigli e location (se sarete ancora vivi, ovviamente) e, nel caso vi uscisse la mia stessa data di morte, sono disponibile a funerali di gruppo. Dividiamo le spese e raddoppiamo il divertimento!
P.S. Affinché comprendiate appieno la scientificità del metodo volevo comunicarvi che oggi la mia collega ha provato questo avveniristico esperimento insieme a me. Questo è stato il risultato.
Ora potete davvero riposare in pace!
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Attori e personaggi famosi travestiti da figure del passato, stavolta non su un set fotografico o cinematografico, ma in foto, come se fossero dentro un quadro.
Modern Renaissance. Modern Celebrities in Old Art è il tema di un contest indetto dalla piattaforma online Worth1000. Worth1000 è un sito che propone giornalmente competizioni creative di tutti i tipi, dai photoshop contest, alla scrittura, dalla fotografia all’illustrazione.
Il concorso in questione chiedeva ai partecipanti di modificare i quadri più celebri della storia dell’arte, inserendovi i volti delle celebrità del cinema e della televisione. Ecco comparire un Johnny Depp “con l’orecchino di perla”, un Leonardo Di Caprio vangoghiano, e c’è persino un Dottor House alla David.
“Quando la baciai la prima volta, era notte e suonavano sulla spiaggia quella canzone, il tormentone dell’estate 2000, quella che, proprio quell’anno, aveva scalato tutte le classifiche. Ma… Non ricordo il titolo!”. Se questo è un discorso che fate spesso con voi stessi, o con gli amici, tormentandoli, sappiate che c’è un sito che vi può aiutare: Who was number one in history è una web application che, usando come fonti la Billboard Chart USA, officialcharts.com e le classifiche di HitParadeItalia, riesce a scovare quale canzone occupava la prima posizione in classifica in un determinato momento storico.
Who was number one in history si presenta come una pagina web facilissima da usare: sulla home basta indicare anno, mese e giorno oggetto di interesse, cliccare su “Trova il tuo numero uno” e il gioco è fatto. Si può scegliere la canzone prima in classifica negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Italia, e il periodo di ricerca possibile va dagli anni ’60 ad oggi. Una volta scovata la hit del cuore, è possibile ascoltarla gratuitamente tramite il servizio di musica digitale, Spotify, e poi condividere la scoperta musicale attraverso i social.
È un’applicazione divertente e davvero di semplice utilizzo, resa interattiva e completa dalla connessione con Spotify.
Una volta esauriti i giorni memorabili della propria vita a cui associare una canzone, potrebbe stancare. Ma si tratta di un progetto in espansione che prevede l’inserimento delle classifiche musicali anche di altri Paesi.
Il creatore di è il giovanissimo Oscar Chinellato, responsabile di un’azienda di creazione e gestione di siti web, Sickdevelopers, che opera in Veneto. Il progetto, Who was number one in history, come il suo stesso creatore afferma, è nato per caso, una notte dell’aprile di quest’anno.
Gli appassionati di musica, i curiosi, i romantici.