Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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#svegliamuseo! No, non è il claim di una nuova “notte al museo” ma un progetto giovane e ambizioso che guarda lontano e lo fa da vicino. Come si fa?
Prendete l’energia di tre fanciulle con studi e passione per l’arte, un’idea buona e generosa e il giusto mix di tecnologia… E’ quanto basta per comunicare al mondo la propria “chiamata alle “arti””.
Sì, sveglia museo è una vera e propria call to action nata da un forte spirito digitale e da una ricerca condotta nell’ambito dei musei sull’utilizzo degli strumenti di comunicazione più in voga: i social network!
Si potrebbe pensare ad un progetto estemporaneo che sfrutta la nuova onda di canali come Twitter quotati in borsa o acclamati da un quotidiano passaparola e, invece no, l’idea alla base potrebbe promuovere collaborazioni e sinergie naturali nel Bel Paese dei campanilismi: nuovi stimoli per musei troppo spesso inchiodati al passato.
Sveglia museo, infatti, non è solo uno spazio web di informazione, ma un vero e proprio esperimento che nasce dalla volontà di riunire attorno ad un cinguettio le migliori esperienze museali social provenienti da tutto il mondo. Scomoderei volentieri la tecnica internazionale del buzz marketing per riassumere in due parole #svegliamuseo ma lascio a Francesca De Gottardo, ideatrice del progetto, il racconto di un’esperienza tutta italiana.
Come nasce #svegliamuseo? Quali le basi e quali le prospettive future?
Il progetto è nato da un’osservazione: quest’estate ho svolto per lavoro una mappatura delle strutture culturali del Nord Est e mi sono accorta di come in Italia molti musei, anche importanti, fossero assenti dai social media e comunicassero online con siti antiquati e poco aggiornati. C’era, quindi, un problema e c’erano alcuni articoli che lo evidenziavano, ma non c’era nessun progetto specifico che provasse a dare una soluzione. Ho coinvolto due amiche – Aurora, che ha lavorato al Getty Museum, e Federica, appassionata di social media – e mi hanno aiutata a dare vita a #svegliamuseo. Speriamo serva a creare maggior consapevolezza e a spingere professionisti e appassionati del settore a confrontarsi in un dialogo costruttivo sull’argomento.
Qual è l’obiettivo primario e come pensate di raggiungerlo?
#svegliamuseo vorrebbe aiutare i musei italiani a migliorare la comunicazione online, da un lato chiedendo suggerimenti e best practice ai colleghi stranieri, dall’altro intervistando i musei che sono “già svegli” in Italia. Entrambi gli approcci servono ad accendere i riflettori sul problema e a fornire possibili idee su come affrontarlo. Stiamo inviando email ai community manager stranieri e Aurora ha già ottenuto l’ok di 4 grandi realtà. La piacevole sorpresa è stata che alcuni piccoli musei italiani si stanno offrendo volontari per essere consigliati ad hoc dai professionisti d’oltreoceano, a dimostrazione che la volontà di crescere c’è e che stiamo andando nella direzione giusta!
Come definiresti #svegliamuseo? Un’open call, un contest o un possibile format per il futuro dei musei?
In cuore mio, spero davvero che #svegliamuseo diventi un format da replicare in futuro! Il progetto è nato quasi per caso, spinto da una forte passione personale. Abbiamo invece scoperto che questa passione è condivisa e che le persone hanno sempre a cuore i musei e vorrebbero parlare più direttamente con loro, ma non vorremmo limitarci a chiedere consigli all’estero. Stiamo cercando anche noi di capire in che direzione muoverci. Ad esempio, ci sono ragazzi laureati in materie umanistiche come me che vorrebbero fare questo mestiere e musei che vorrebbero avere qualcuno che si occupi dei loro social: perché non mettere in contatto questi due mondi, magari fornendo la formazione adeguata tramite workshop?
Consulta il sito di #svegliamuseo
Oggi siamo sommersi da personaggi celebri che pubblicano le loro foto su Instagram e sui principali social network. Ma avete mai pensato a cosa avrebbero scritto personalità illustri del passato sui loro profili? E se avessero avuto Instagram quale momento di vita avrebbero deciso di immortalare?
Ce ne fa fare un’idea il divertentissimo tumblr “Histagrams“, praticamente un Instagram della storia, che ripercorre, tramite hashtag, foto e commenti le popolari vicissitudini delle star del passato.
Scoprite come Pollock ha avuto ispirazioni geniali dalle quali è poi nato il suo inconfondibile stile, leggete i commenti che Hilary Clinton ha postato al marito quando la sua nuova stagista è stata immortalata, e interpretate gli hashtag usati da Dio, Einstein e tanti altri per comunicare i loro successi.
Ci sarà da divertirsi…
Fino ad un po’ di tempo fa si protestava contro il capitalismo e le multinazionali, possibilmente incatenandosi sotto la sede di un’azienda incriminata. Oggi lo si può fare iscrivendosi ad un social network: Sixth Continent. Il Sesto Continente è quello proposto da Fabrizio Politi, l’ideatore del sito, che si basa su un sistema diverso di commercio. In base ad un algoritmo, il Mo.Mo.Sy. (Moderate Monetary System), si dividono le aziende mondiali in verdi e in rosse, in virtuose e in dannose, in realizzatrici di ricchezza e in produttrici di impoverimento. Calcolando il rapporto tra l’utile netto e il numero dei dipendenti si scopre quali aziende producono un profitto che è in equilibrio con gli utili dei propri dipendenti e del resto della comunità. Le aziende che, invece, sono in rosso (ad esempio Google, Amazon o Ikea), producono un profitto troppo maggiore che genera una concorrenza sleale: in sostanza molta ricchezza nelle mani di pochi, contro ricchezza equamente distribuita.
Entrando a far parte del Sesto Continente si può interagire con il nuovo modello economico a vari livelli. Lo scopo, in ogni caso, è quello di consumare, agevolando, però, i produttori che rispettano un tipo di economia virtuosa.
Si può interagire con il social network a diversi livelli.
1) Semplice cittadino: al momento dell’iscrizione a Sixth Continent si diventa cittadini e si ha accesso all’app gratuita, in versione web e mobile, Mo.Mo.Sy., che permette di vedere quali imprese e quali prodotti sono verdi e quali rossi. Ogni cittadino riceve, inoltre, un Reddito di Cittadinanza assegnato in maniera progressiva e in base alla Nazione di residenza: si tratta di un reddito che deriva dagli acquisti fatti da tutti i cittadini. Il 3% dei proventi di imprese e negozi che aderiscono al Sesto Continente vengono ridistribuiti secondo una serie di regole spiegate a fondo nel sito. Tale reddito, se utilizzato, rientra nella categoria fiscale della Provvigione Indiretta e può essere speso nei negozi affiliati, coprendo fino al 50% dei costi. Inoltre, se si invitano altri amici si ha la possibilità di aumentare il proprio credito.
2) Manager: si può diventare Marketing Manager di Sixth Content promuovendo l’iniziativa e affiliando negozi e imprese, ottenendo un guadagno per provvigione. Si può anche ricoprire il ruolo di Store Manager che, rispetto al Marketing Manager, ha la possibilità di formulare proposte sulla piattaforma e-commerce.
3) Aziende e Imprese: imprenditori e commercianti (che devono rientrare in area “verde” secondo l’algoritmo Mo.Mo.Sy.) possono decidere di aderire al modello economico del Sesto Continente, pagando al momento dell’affiliazione, in cambio di vantaggi quali l’attrazione di nuovi clienti, la possibilità di rendere competitivi i propri prezzi e di avviare anche un vendita e-commerce tramite la piattaforma.
Se il modello economico di Sixth Continent, magari ulteriormente affinato e implementato, dovesse prendere piede a livello globale, si tratterebbe davvero di una bella risposta, competitiva, alla voracità della multinazionali. In ogni caso è un buono strumento per fare acquisti in maniera più consapevole.
I meccanismi di Sixth Continent non sono immediati. Il social è abbastanza complesso e per sfruttarlo e capirlo al meglio bisogna esplorarlo, studiarlo e navigarci molto su.
In poco più di un mese il social ha totalizzato circa 10.000 cittadini e più di 110.000 like sulla pagina Facebook.
Imprenditori, commercianti, aziende, consumatori, appassionati di finanza ed economia, promotori dello sviluppo sostenibile, detrattori delle multinazionali, idealisti, sognatori.
C’è chi da bambino sogna di fare l’astronauta, il dottore, il calciatore, chi di ricevere una bici nuova, di andare alle giostre, di avere un cucciolo. Anche Miles ha un sogno, ha espresso un desiderio ben preciso: vuole essere Batman. Se tuo figlio è malato di leucemia dall’età di 20 mesi e adesso, dopo lotte, cure e sacrifici, sta per cominciare una vita normale, la frase “ogni tuo desiderio è un ordine” diventa realtà.
A realizzare il sogno del piccolo Miles ci ha pensato la fondazione no-profit Make-A-Wish, che ha come scopo proprio la concretizzazione dei desideri di tanti altri bambini che si trovano in situazioni particolari. Solo che la vicenda di Miles ha avuto una risonanza incredibile sui social, ha fatto il giro del mondo, e si appresta ad essere un evento davvero indimenticabile non solo per il piccolo Miles.
Oggi, 15 novembre, San Francisco si trasformerà in Gotham City, il mitico scenario delle avventure del supereroe alato. Il valoroso Batkid verrà convocato durante un notiziario tv dal Capo della Polizia in persona; poco dopo Batman in carne ed ossa andrà a prelevarlo a casa e sulla sua batmobile lo porterà con sé per vivere strabilianti avventure. Batkid salverà un donzella in pericolo, sventerà rapine e altre malefatte, e sfiderà uno dei più temibili nemici di Batman, Pinguino. La città lo ringrazierà radunata nella City Hall dove il Sindaco e il Capo della Polizia in persona gli consegneranno le chiavi della città.
Migliaia di persone si sono mobilitate per aiutare Batkid. È nato anche un progetto fotografico per supportare le sue mirabolanti gesta: con un cartellone in mano con su scritto “We love Batkid”, in costume da supereroe o in abiti civili, chiunque può fotografarsi per dimostrare di essere fan del coraggioso Miles.
In moltissimi parteciperanno attivamente anche all’evento, radunandosi a Union Square per chiedere a Batkid di salvare la mascotte di San Francisco dalle grinfie di Pinguino, e poi nella City Hall dove festeggeranno il piccolo supereroe.
Oggi la giornata di un bambino sarà costellata di sorrisi ed emozioni. Tanti altri piccoli soffrono ancora, da soli, ma la felicità di uno di loro basta già a illuminare un po’ di più la vita di tutti.
Per condividere o seguire l’evento, tenetevi aggiornati con l’hastag Twitter #SFBatKid
A quanto pare la diceria che dai momenti di crisi si viene fuori più forti, nuovi e positivamente resettati, non è finzione ma realtà. Il collasso economico che ha interessato l’Europa negli ultimi anni sta rivelando sorprese impensabili riguardo alle direzioni che l’economia e la società contemporanee stanno prendendo.
Abbiamo passato una fase di capitalismo sfrenato, di predominanza dell’egoismo e dell’individualismo, di chiusura verso il prossimo. Ancora adesso subiamo gli strascichi di questo stadio, che potrebbero sembrare acuiti dalla crescente predominanza della realtà virtuale sulle vite di ciascuno di noi. In realtà è proprio dal mondo della tecnologia e del virtuale che stanno nascendo i primi germogli di quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione sociale. Un nuovo cambio di rotta nel modo di vivere i rapporti individuali e comunitari.
Uno startupper bolognese, di origini fiorentine, Federico Bastiani, un bel giorno si è reso conto di ignorare l’identità dei suoi vicini di casa. Se un tempo il quartiere era la comunità per eccellenza, luogo di pettegolezzi e piccoli sgarbi, ma anche di condivisione e comunione, oggi, chiusi nei nostri piccoli o grandi appartamenti, viviamo giornate isolate, costellate da cenni del capo e freddi convenevoli. Bastiani ha pensato di voler modificare questo status di cose, quantomeno nel suo quartiere e, quasi per caso, ha dato il via al primo esempio di social street.
A settembre ha creato un gruppo chiuso su Facebook – strumento tra i più semplici e democratici, anche perché gratuito – per chiamare a raccolta gli abitanti della via Fondazza di Bologna. Ha stampato dei volantini per dare notizia della sua iniziativa e li ha distribuiti nei condomini del quartiere. In più di 300 hanno risposto, creando la prima comunità cittadina che nasce con l’intento precipuo di “scollare” dagli schermi di un pc le stesse persone con le quali condividiamo un pianerottolo e che non abbiamo mai conosciuto, per avviare forme di collaborazione, di sostegno, di aiuto reciproco, di scambio di idee, socialità e quando serve, anche di merci.
Non si tratta solo di un esperimento sociale, infatti, ma anche dell’incarnazione di un sistema economico che sta prendendo sempre più piede in diverse forme. Teorizzata qualche anno fa dalla studiosa Loretta Napoleoni, la pop economy sta diventando la risposta più concreta alle magagne della crisi, che fa un baffo alle spesso finte riforme dei politici. È l’economia del popolo, quella basata sullo scambio, sul baratto, sul dare e sul ricevere, gratis o in cambio di qualcos’altro. È l’evoluzione di eBay, che evita lo spreco, incentiva il riciclo e assicura il risparmio. Lo spiegano bene sul sito che è nato dall’esperienza di Bastiani, www.socialstreet.it: “Dovete cambiare il frigorifero? Perché metterlo su ebay, creare un annuncio, pagare una commissione, pagare un trasporto quando magari il vostro vicino di casa ne sta cercando proprio uno come il vostro?”. Lo stesso vale se non si vogliono buttare le uova prima di partire per le vacanze, se serve l’aiuto di una baby sitter, se si cerca un appassionato di cinema con cui condividere il proprio hobby, se si vuole trovare una comitiva di amichetti al proprio bambino, e così via. Dalla rete, da internet, dai social, si passa di nuovo alla realtà, alla strada, al quartiere.
Di esempi di pop economy ce ne sono molti altri: dal bike e car sharing, al cohousing, dal couchsurfing al baratto turistico in cambio di cultura, dalle comunità ormai diffusissime in tutta Italia “Te lo regalo se vieni a prenderlo”, fino agli swap parties nel quale scambiarsi vestiti e altri oggetti.
Di necessità si fa virtù e l’unione fa la forza, l’uomo ha una grande capacità di adattamento e si è stancato di vivere da solo. Non semplici luoghi comuni, ma un ritorno vero e istintivo al branco.
Fino a qualche decennio fa fare la spesa online sembrava una follia. Oggi, invece, e-Bay potrebbe essere considerato un sito sorpassato. G21 offre una piattaforma commerciale innovativa che addirittura permette di guadagnare acquistando. Si tratta, in gergo tecnico, di una social commerce, di un misto tra un social network e un sito di shopping online. È una community vera e propria tramite la quale fare acquisti, condividere le proprie azioni commerciali o le offerte del sito e risparmiare.
La pagina di presentazione di G21 è molto esaustiva riguardo al modo di usufruire della piattaforma. Il primo passo è iscriversi, gratuitamente. Il secondo passo è cominciare ad acquistare. Ogni acquisto prevede un risparmio del 20% sul prezzo della merce. La quota risparmiata verrà registrata in GPoint. Ogni GPoint equivale a un euro e, arrivati a quota 50, potrà essere richiesta la conversione in cash. In ogni caso i GPoint possono essere sfruttati per altri acquisti all’interno del sito. Una volta effettuati i primi acquisti, questi si possono condividere con la community, invitando nuovi amici a entrare a far parte del progetto. Ogni spesa effettuata da amici vale il 10% del prezzo della merce da loro acquistata. Questo processo può espandersi fino alla creazione di una propria rete commerciale che permette di iniziare un’attività di vero e proprio social franchising.
L’accesso alla piattaforma è sempre gratuito, anche quando il proprio status all’interno della community è avanzato. Le offerte proposte provengono da collaborazioni con grandi partner nazionali e internazionali.
Si tratta di una piattaforma di recente creazione che necessita di essere implementata.
La propria avventura commerciale all’interno di G21 è una vera e propria scalata verso il successo, che porta l’acquirente dallo status di Guest a quello di Social Executive. Un meccanismo strategico e divertente che stimola la partecipazione al processo di acquisto, risparmio e guadagno.
Gli aspiranti imprenditori, gli shopaholic, gli amanti dei social network e degli acquisti online.
TAFTER aspira a diventare sempre più come voi lo volete, per questo non ha paura di cambiare, crescere ed evolversi.
Tra le sue prerogative c’è l’attualità, l’attenzione rivolta alle nuove tendenze e alle forme culturali emergenti, per questo non poteva tradire la sua natura restando immutabile.
I cambiamenti che interesseranno oggi TAFTER coinvolgono soprattutto l’aspetto della sua homepage.
Poiché si tratta di piccole grandi rivoluzioni, che potrebbero passare inosservate agli occhi dei meno attenti, vogliamo illustrarvele una ad una in modo da poterne giovare tutti, lettori affezionati e nuovi adepti.
Vi dimostreremo che accorgimenti in apparenza minimi, possono rivelarsi importanti novità.
Il menu di TAFTER è il primo ad essere rinnovato e si farà in due per offrirvi sempre maggiori possibilità di navigazione. Alla consueta barra con l’elenco delle sezioni di TAFTER, direttamente cliccabili, se ne aggiunge una seconda che vi consentirà di filtrare i contenuti per temi.
Arte, lavoro, nuove tecnologie, musica, cinema, moda, beni culturali: potrete scegliere di trasformare TAFTER come meglio vi si addice, scegliendo di vedere per ciascuna sezione i contenuti legati ad uno specifico tema.
Per rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità di TAFTER potete ricorrere all’utilissima newsletter, che giungerà comodamente sulla vostra casella di posta elettronica una volta a settimana. Come fare per iscriversi? Semplice! Trovate il form nella nuova homepage, proprio come indicato dalla freccia.
La principale novità che vogliamo presentarvi è però la Settimana di TAFTER: un divertente mosaico di immagini che vi fornirà con un unico colpo d’occhio, tutte le notizie, gli articoli, le opportunità e gli appuntamenti di maggior rilievo pubblicati nell’arco degli ultimi sette giorni.
Passando il cursore su ciascuna delle cornici, vedrete la foto in chiaro e apparirà il titolo del contenuto selezionato.
Ultima trasformazione, sotto la nuvola dei temi tramite cui navigare su TAFTER, troverete il plug-in per la fan page Facebook di TAFTER: la community di “tafteriani” è già folta ma vogliamo ampliarla ancora di più per commentare insieme l’attualità culturale, scambiarci punti di vista, idee o semplicemente per darci il buongiorno la mattina! TAFTER vuole infatti essere per i suoi lettori un punto di riferimento in ambito culturale, ma anche un piacevole interlocutore con cui interagire.
In questo new look di TAFTER noterete l’assenza della nostra cara Miss Marple: vogliamo però rassicurare i suoi fan! La nostra investigatrice non ci ha abbandonati! Tornerà prossimamente più attenta e curiosa che mai per continuare a svelare le malefatte nel campo culturale. Lo farà però sotto nuove spoglie…perché “Niente è duraturo come il cambiamento”.
L’idea primigenia di Zuckeberg quando ha ideato Facebook era di creare un portale tramite il quale socializzare e fare rete. Oggi Facebook è diventato una realtà molto più articolata e complessa, e gli usi che se ne fanno si sono a dir poco moltiplicati. Facebook è diventato anche uno strumento per promuovere l’arte e la cultura, per curare la brand image di un’istituzione culturale o di un museo.
L’ha ben capito l’Essl Museum di Vienna, il museo a venti minuti dal centro della città, che raccoglie la collezione di arte contemporanea dell’austriaco Karlheinz Essl. Si tratta di un museo all’avanguardia, che basa la sua policy sul coinvolgimento diretto dei visitatori. Questi non sono semplici fruitori passivi delle opere esposte, ma sono protagonisti, soggetti direttamente coinvolti nelle attività del museo. Persino nelle sue scelte curatoriali.
La mostra LIKE IT!, inaugurata il 23 ottobre, nasce proprio seguendo i gusti degli utenti dell’Essl Museum che hanno scelto le opere da esporre tramite Facebook. L’esperienza social di LIKE IT! si è sviluppata in due fasi. Dal 30 settembre all’8 ottobre, i fan della pagina ufficiale dell’Essl Museum hanno avuto la possibilità di votare, attraverso un like, tra circa 120 opere, di varie tipologie – pitture, fotografie, video – tutte appartenenti ad artisti della collezione, nati a partire dal 1973. Le più votate sono andate a costituire la mostra allestita nella Great Hall del museo. Una volta scelte le opere era necessario dare inizio alla seconda fase del processo: a tutti gli “Amici” Facebook del Museo è stata data la possibilità di candidarsi come curatori della mostra. 5 elementi sono stati scelti per collaborare con Andreas Hoffer, critico professionista del museo. E così, dopo un workshop intensivo di due giorni, l’allestimento ha avuto inizio e i curatori in erba hanno potuto occuparsi anche dei testi di commento a corredo delle opere.
Un’opera fra tutte è stata scelta ad emblema della mostra, sia perché la più votata, sia perché effettivamente rappresentativa della natura della mostra: Estrella di Patrìcia Jagicza. Si tratta di un dipinto raffigurante una donna che si specchia in un bagno per uomini mentre si sta mascherando. È stata individuata come un simbolo del problema della privacy, del dilemma tra pubblico e privato di cui sono appunto espressione i nuovi mezzi di comunicazione digitale.
L’esperimento con la mostra LIKE IT! è continuato anche durante la Vienna Fair, tenutasi dal 10 al 13 ottobre. I visitatori della fiera sono stati chiamati a votare, stavolta, le 5 opere che costituiscono la parte speciale della mostra “Vienna Fair – The New Contemporary Special Selection”. Il parere degli utenti di Facebook, inoltre, è richiesto per tutto il corso della mostra – che si terrà fino al 6 gennaio – attraverso commenti e like che possono determinare cambiamenti nell’allestimento.
Andreas Hoffer stesso ha spiegato la necessità di portare avanti questo esperimento di curatela social partecipata: è inutile per un museo avere una pagina Facebook, un’identità sui social network, se questi devono essere usati passivamente. I social vanno considerati uno strumento professionale vero e proprio, indispensabile se sfruttato in tutte le sue potenzialità.
Ed effettivamente un prima esperienza del genere l’Essl Museum l’aveva già sperimentata con il progetto “Festival of Animals”. In quel caso erano quattro gruppi a scegliere le opere, a contribuire al catalogo della mostra e a interagire direttamente con gli artisti: i bambini di due scuole, un gruppo di donne della Caritas e i fan Facebook del museo.
Sempre Andreas Hoffer ci ha tenuto a precisare, però, che quello di LIKE IT! sarà un evento “one shot”: è assolutamente vietato ripetersi nel mondo dei social e le domande da porre al pubblico devono variare di continuo. Il caso di questo museo di Vienna va sicuramente tenuto in conto come esempio intelligente di uso dei social media, un modo interattivo e dinamico per coinvolgere pubblici sempre più vasti, soprattutto giovani, all’interno di strutture e processi che spesso sono percepiti troppo settoriali o elitari. Uno sguardo fresco e nuovo sulle cose, specialmente nel mondo dell’arte e della creatività, non fa mai male.
Grazie al web, moltissime sono le iniziative che permettono a lettori, scrittori, appassionati di arte cultura e letteratura di tutto il mondo di incontrarsi e conoscersi; ora anche i Comuni fanno Reti per dare vita a idee e percorsi creativi volti a valorizzare il loro territorio e i loro illustri antenati.
A Certaldo, piccolo ameno paesino della provincia di Firenze in Toscana, lunedì 21 ottobre è stata presentata in maniera solenne l’iniziativa del “Progetto Europeo Città dei Grandi Letterati”.
Alle ore 9.30, nel Palazzo Pretori a Certaldo Alto, si è illustrato il progetto che coinvolge diverse città gemellate, accomunate dalla prestigiosa peculiarità di aver dato i natali a grandi insigni letterati: Certaldo stesso patria di Giovanni Boccaccio; Canterbury (UK) di Geoffrey Chaucer, autore dello storico ‘Canterbury Tales’; Chinon, piccola cittadella sulla Loira, culla dell’umanista Francois Rabelais, celebre per Pantagruel e Gargantua; Neuruppin, in Germania, casa natale di Theodore Fontane, di cui tutti conosciamo la raccolta di favole.
Situato al centro della Valdelsa, Certaldo con i suoi 15.791 abitanti si è sbizzarrito per valorizzare il proprio territorio stringendo ormai da 50 anni forti legami di amicizia e di scambio con diversi comuni gemellati, dall’Europa al Giappone. Quest’anno, per festeggiare in modo speciale i 700 anni dalla nascita di Giovanni Boccaccio, il calendario di iniziative si è presentato assai ricco e ben organizzato.
Tantissimi eventi si sono susseguiti fin dall’inizio di quest’estate, come istallazioni, mostre itineranti, letture spettacolo, convegni e concerti che hanno coinvolto molte personalità ed artisti di rilievo; oltre a festival, seminari, iniziative, premi e concorsi che hanno contribuito ad avvicinare il giovane pubblico.
Numerosi turisti locali e stranieri hanno avuto occasione di partecipare agli ‘Itinerari culturali’ ideati per valorizzare il paesaggio storico, letterario e artistico di circa trenta Comuni toscani di tutte le province, attraverso i luoghi del Decameron: quattro percorsi nella Toscana del Trecento, passando per piccoli paesi, città importanti, colline, fiumi, boschi e montagne, guidati dalle novelle di Boccaccio.
Proprio in questi ultimi giorni, da venerdì 18 ottobre a martedì 22, nel centro storico si sono festeggiati i tradizionali gemellaggi con degustazioni di prodotti tipici tedeschi e menù cucinati dall’Accademia dei Cuochi di Neuruppin (Germania), l’apertura della mostra omaggio degli artisti stranieri a Giovanni Boccaccio con opere di pittura, grafica, scultura e si è concluso martedì con l’inaugurazione degli alberi dedicati a Kanramachi, paese gemellato del Giappone.
Con il “Progetto europeo Città dei grandi letterati”, questa rete di entusiasti Comuni propositivi si vuole impegnare ad unire forze ed idee creative per studiare possibili itinerari turistici al fine di valorizzare le opere dei loro illustri letterati attraverso percorsi, mostre, spettacoli e altre iniziative da pensare insieme.
Ed è il Web lo strumento fondamentale per la gestione e realizzazione di queste reti, grazie al quale è possibile stringere contatti e creare iniziative che coinvolgono diversi angoli del globo; rimane il problema della modalità di utilizzo dei network, in modo che siano capaci di garantire sempre qualità ed efficienza anche e soprattutto dal punto di vista culturale.
Nel grande mare magnum del web infatti sono centinaia le riviste culturali on-line, community e blog ma è di certo ben più raro incontrare piattaforme qualificate, dove celebri scrittori si aprono al grande pubblico per consigliare, invitare alla lettura e a un confronto critico, come è il caso di ClubDante, primo social network italiano dedicato alla cultura narrativa, strutturato in diverse sezioni tra cui l’Agorà, ossia l’area del forum, e l’angolo delle recensioni che ospitano nomi di scrittori importanti dall’Italia, la Spagna e paesi dell’America Latina quali Marcello Fois, Domenico Starnone, Roberto Saviano, Carlo Lucarelli, Paolo Giordano, Luis Sepùlveda, Paco Ignacio Taibo II e molti altri. O anche HALMA, rete letteraria pan-europea fondata nel 2006 dall’associazione Literary Colloquium Berlin che coinvolge una fitta rete di scrittori, traduttori ed editori perlopiù provenienti dall’est Europa, ma da poco conosciuta anche in Italia.
Nonostante la cosiddetta crisi, a livello locale sono per fortuna ancora tante le iniziative organizzate per conoscere e scambiarsi idee e progetti per valorizzare il proprio patrimonio storico-artistico-culturale, oltre che incentivare la scoperta e la creatività delle nuove generazioni.
È importante però che non solo dal mondo di privati e associazioni ma anche da parte dei Comuni si stiano investendo molte risorse per organizzare tanti piccoli eventi culturali, di cui le “Notti della letteratura europea” e il “Festival dei blog letterari” sono esempi importanti di scelte che appaiono controcorrente rispetto al patetico adagio che si ostina a sostiene che con la cultura non si mangia.
Mettendosi insieme si può mangiare, e bene, come sembrano dimostrarci le numerose iniziative promosse dall’Associazioni e Reti di Comuni in Italia, dove Comuni uniti da identità culturali, sapori tipici, bellezze naturali, arte, storia, tradizioni o ideali, anche attraverso il web, fanno Rete per valorizzare e incentivare le proprie bellezze e potenzialità.
La storia dell’arte rischia di essere ridotta o addirittura eliminata dai programmi di formazione scolastica. La petizione per contrastare la decisione presa dal Governo con la Riforma Gelmini del 2010 raccoglie, specialmente negli ultimi giorni, sempre più firme, sempre più adesioni.
Anche Stefano Guerrera, giovane informatico pugliese di 25 anni, si è interessato al problema e ha pensato di risolverlo a modo suo. È nata così la pagina Facebook “Se i quadri potessero parlare” che, messa online solo il 18 ottobre, oggi conta già circa 180mila like. L’idea balenata in mente a Stefano è stata molto semplice, ma decisamente vincente: le opere d’arte più famose di artisti come Leonardo, Botticelli, Caravaggio, vengono corredate da una frase comica che ne stravolge totalmente il senso agli occhi dello spettatore. Il linguaggio usato è il dialetto romano che inevitabilmente fa ridere, come spiega lo stesso Stefano che da sei anni vive a Roma.
Il risultato ottenuto con questo esperimento è davvero esilarante e, effettivamente, conferma un’esigenza che si è venuta palesando altre volte negli ultimi anni: quella di rendere l’arte una materia comprensibile a tutti, un campo che deve vantare i suoi specialistici e i suoi studiosi, i suoi critici e i suoi esperti, ma che può anche rivolgersi ad un pubblico vasto e variegato.
Il blog “L’arte spiegata ai truzzi” di Paola Guagliumi, ad esempio, ha iniziato già un anno fa ad affrontare la questione, presentando spiegazioni in romanaccio dei più grandi capolavori dell’arte moderna e contemporanea. Anche in questo caso il risultato è divertentissimo, e al contempo anche abbastanza istruttivo. La Guagliumi è una studiosa di storia dell’arte e una guida turistica e le opere che presenta sono trattate attraverso un lato didattico serio, che si nasconde dietro alla forma faceta.
È del 2008 un altro tentativo di desacralizzare la storia dell’arte e di renderla familiare agli occhi dei più: “Understanding art for geeks”, un blog in cui ancora una volta quadri famosi vengono parodiati in versione “geek”, modificati appositamente per gli amanti di internet e della tecnologia.
Un esempio cartaceo che sperimenta un modo non convenzionale di spiegare la storia dell’arte è rappresentato, poi, dal volume di Mauro Covacich del 2011, “L’arte contemporanea spiegata a tuo marito”, un testo ironico, ma molto completo per approcciarsi all’arte contemporanea senza i pregiudizi che portano a non considerarla espressione artistica vera e propria, o comunque non al livello dei grandi maestri del passato, per perizia tecnica e comunicazione estetica.
Tornando al fenomeno degli ultimi giorni, “Se i quadri potessero parlare”, si tratta ovviamente di un gioco. Eppure, potrebbe rivelarsi non fine a stesso. Di sicuro serve ad avvicinare tutti, soprattutto i più giovani, ad un mondo dal quale spesso si sentono distanti, anche solo reintroducendo nella loro iconosfera rappresentazioni che al giorno d’oggi sono sempre più escluse dall’immaginario collettivo, perché sostituite da cartelloni pubblicitari, divi del cinema, o appunto, espressioni visive appartenenti al mondo web.
Amanti dei libri e della lettura, segnate questa data sul calendario perché non potete perdervela!
Il 17 ottobre è il Social Book Day, iniziativa lanciata da Libreriamo, che vuole coinvolgere tutti gli appassionati attraverso ogni canale social disponibile.
Crescono infatti forum, gruppi di discussione, fan page, profili, blog e quant’altro dedicati a libri e lettura: la rete si sta dunque rivelando un catalizzatore per lo scambio di testi e consigli, suggerimenti e lancio di iniziative che ruotano attorno al tema.
Giovedì prossimo siamo perciò tutti invitati a esprimere la nostra personale dichiarazione d’amore verso la cultura utilizzando tutti gli strumenti virali di cui disponiamo.
“Basta twittare o pubblicare su Facebook e su tutte le altre piattaforme una frase personale, un pensiero, una citazione del proprio autore preferito, un claim a sostegno della lettura e dei libri e in cui sia sempre presente l’hashtag #socialbookday”: queste le semplici istruzioni lanciate da Libreriamo per partecipare a questo primo Social Book Day. Le testimonianze più significative verranno poi raccolte per redigere un vero e proprio manifesto che verrà diffuso con ogni mezzo, anche attraverso l’aiuto della carta stampata.
C’è chi poi ha deciso di promuovere la lettura alla vecchia maniera, affidandosi alla più tradizionale biblioteca; “tradizionale” si fa per dire, ma pur sempre social. Si tratta infatti di spazi adibiti a raccogliere libri, cd e dvd da mettere a disposizione della comunità… condominiale.
Accade ad esempio a Roma, nel cuore di Trastevere, in Via Giovanni da Castelbognese 30, alla Scala C. I condomini si sono uniti per tramutare la stanza utilizzata per le assemblee in un vero e proprio luogo di incontro e aggregazione: le pareti sono infatti coperte di scaffali colmi di libri, fumetti, riviste, cd e tutto ciò che fa cultura. A gestire questo spazio idilliaco, chiamato la Biblioteca Al Cortile, due signore volontarie e il portiere, che garantiscono la fruizione del materiale due giorni a settimana per due ore.
Anche a Milano c’è un condominio in Via Rembrandt 12 che, nei suoi spazi al pian terreno, ospita la sua biblioteca. Libri donati dagli abitanti del palazzo anni ’50 sono stati resi disponibili alla comunità insieme a volumi salvati dal macero, i primi entrati a far parte della collezione.
Il prestito è anche qui gratuito e può avvenire per un tempo massimo di un mese. Non manca una sezione dedicata appositamente ai più piccoli e possono consultare i testi condomini e non.
Miracoli dei libri che, oltre a rappresentare un grande patrimonio culturale, rappresentano evidentemente veri e propri strumenti di condivisione e comunicazione, oggetti di riflessione e discussione, motivi di incontro tra utenti virtuali e vicini reali.
Laddove nemmeno la modernità del 2.0 riesce a far conoscere dirimpettai di appartamento, la passione e la curiosità che un testo può generare è capace di abbattere ogni barriera che i tempi moderni hanno imposto.
In principio era “Life in a day”. Un progetto monumentale, portato avanti da Youtube, prodotto da Ridley Scott e girato da Kevin Macdonald, premio Oscar per il miglior documentario nel 2010. Nell’arco di 24 ore, dalle 00:11 alle 23.59 del 24 luglio 2010, tutto il mondo è stato chiamato a filmare una porzione della propria vita. Le indicazioni date agli utenti dal regista erano semplici. Chiedeva di dare una sorta di uniformità al progetto cercando di filmare dei momenti che rispondessero principalmente a tre domande: qual è la vostra paura più grande di oggi? Che cosa amate? Che cosa vi fa ridere?
Il risultato sono stati 4500 ore di riprese, provenienti da 180 nazioni, che la bravura del regista è riuscito a condensare in un lungometraggio di circa 95 minuti, tuttora visibile sul canale Youtube del progetto, e la vittoria di alcuni premi cinematografici internazionali quali il Sundance Film Festival, il Krakow Film Festival e il Cinematic Vision Award di Discovery Channel, oltre che la presentazione al Festival Internazionale del Cinema di Berlino.
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Facebook si sta preparando a una nuova battaglia per la gestione dei dati personali dei suoi utenti con le sei principali organizzazioni americane che difendono la privacy. I legali delle associazioni hanno infatti inviato una lettera alla Federal Trade Commission (Ftc), l’ente governativo per la protezione dei consumatori, e ai politici degli Stati Uniti sostenendo che i recenti cambiamenti fatti dal colosso dei social network violano i termini di un accordo del 2012 siglato da Facebook con la stessa Ftc.
In pratica Facebook, nel nuovo accordo che fa firmare ai suoi utenti, sostiene di avere il diritto di usare le informazioni dei profili e le immagini dei suoi iscritti per fare campagne pubblicitarie agli amici senza chiedere alcun consenso e senza dare alcun compenso agli interessati. Secondo le associazioni invece l’accordo stipulato con la Ftc un anno fa prevede che Facebook non possa condividere informazioni dei suoi utenti senza chiedere ogni volta il permesso in modo esplicito e senza pagare per l’uso dei dati. Presupposti che, nelle nuove regole che entreranno in vigore nei prossimi giorni, sono del tutto assenti.
Le associazioni hanno espresso indignazione anche per un cambiamento apportato alle politiche sulla privacy per i minori di 18 anni. Dando il loro consenso alle nuove regole, infatti, i giovani user dichiarano che anche i loro genitori sono concordi con quanto firmato.
La nuova polemica che si è innescata sull’utilizzo dei dati personali e sulle privacy policies di Facebook (soggette a cambiamenti e integrazioni con cadenza ormai frequentissima) costituiscono l’occasione per una riflessione – che possiamo definire “filosofica” – riassunta dalla domanda: quale è oggi il senso ultimo delle rivendicazioni circa la tutela della privacy nel mondo digitale iperconesso, globalizzato e tecnologizzato?
Ha in parte affrontato la questione – partendo dal caso Snowden e dal ruolo della NSA americana – Evgeny Morozov nel suo interessante articolo “Addio privacy” (pubblicato su “Internazionale” del 6 settembre 2013). In questa sede appare significativo – della vicenda Facebook – che le sei associazioni USA a tutela della privacy abbiano contestato il mancato pagamento degli utenti per l’uso dei dati che il social network intende fare inviando alla rete di loro amici messaggi promozionali e commerciali. Emerge cioè nel dibattito un aspetto spesso sottaciuto nelle “crociate” a tutela della riservatezza: quello del valore commerciale dei dati personali come merce primaria nel mercato globalizzato.
Non si è contestato a Facebook (solamente) l’utilizzo senza consenso dei dati: si è contestata la violazione (commerciale) di un uso gratuito delle informazioni. Non si è contestata la violazione della riservatezza come indebita invasione in una sfera privata e intima (concetto novecentesco e ante Terza Rivoluzione Industriale di Internet), ma si è contestato il fatto che gli utenti di Facebook (e i loro amici) perdono il potere di libera e autonoma auto-determinazione (anche di tipo economico-commerciale) sui propri dati. E’ esattamente questo il senso ultimo – diremmo quasi la ontologia – della privacy nell’attuale Società della Informazione Globale: il senso del diritto alla riservatezza non è più quello – come qualcuno ha detto – di “farsi Robinson Crusoe nel mondo iperconesso”, ma è il potere di controllo (mediante corrette e preventive informative) che ciascuno deve avere sulle informazioni che lo riguardano. E solo da questo potere di controllo – che sia però effettivo e concreto – può nascere la libera e consapevole autodeterminazione circa l’autorizzazione a terzi (mediante i meccanismi di consenso) a fare uso dei nostri dati personali. E’ solo con la certezza di poter controllare i nostri dati (decidendo anche di farne oggetto di transazioni commerciali, di vera e propria vendita) che ci rendiamo disponibili a diffondere, condividere, trasmettere, comunicare nel mare magnum della Rete una massa enorme di informazioni, nell’ambito di un fenomeno (quello dei social network) che appare caratterizzato dalla volontà degli stessi utenti di cancellare la propria privacy, rendendo partecipi i terzi (sia pure “amici”) di ogni minuto della nostra vita (digitale e reale).
Ogni privacy policy che ci sottragga il controllo (anche economico) sulle nostre informazioni, non potrà che scatenare polemiche: ma non perché viene violato “the right to bel et alone” di ottocentesca memoria (prima teorizzazione del right to privacy nel 1896), ma perché ci viene tolta appunto la condivisione su scelte primarie e su beni economici primari quali sono i dati nella società del XXI secolo.
Alessandro del Ninno è avvocato presso la Tonucci &Partners e professore universitario
Curiosa e accattivante la sfida lanciata dalla Società Dante Alighieri, tramite la redazione di madrelingua, di “riscrivere” il Decameron in una modalità da terzo millennio. Un omaggio certo particolare a Boccaccio che devoto alla tradizionale retorica dei classici latini e affascinato dalla letteratura cortese dei versi d’amore e dei romanzi cavallereschi, scrisse la famosa raccolta di novelle (Decameron in greco significa di dieci giorni) in cui si cela una profonda riflessione sulla realtà terrena, attraverso cui l’autore celebra l’intelligenza umana che per mezzo della parola è capace di plasmare e dominare la realtà e superare gli ostacoli della natura e della vita, il tutto sempre condito dal motivo amoroso, spesso ironico e licenzioso.
Così come 700 anni fa si rivolgeva alle donne, tradizionalmente escluse dagli studi e dall’alta cultura, così oggi attraverso la rete è ancora la parola la chiave per la sopravvivenza della passione per la letteratura intesa come piacevole intrattenimento per un pubblico non composto solo da eruditi o professori.
Dal 1° agosto 2013 infatti gli utenti della rete sono chiamati a contribuire liberamente attraverso tweet di 140 caratteri precisi (twoosh), uno in rima e uno in prosa, al commento di ogni novella.
100 giorni dunque per leggere e lanciarsi in questo simpatico gioco 2.0. su Twitter indirizzato a @la_dante: hashtag del progetto #14000DB.
Numerosi sono ormai gli esempi di letteratura, lettura condivisa e raccolta di commenti e critiche online, dove l’uso dei social network è pane quotidiano.
Twitter, considerato come una nuova pratica letteraria, ospita da un paio d’anni diversi esperimenti “cinguettanti” come il racconto “Black Box” del premio Pulitzer Jennifer Egan, raccontato in spezzoni da 140 caratteri tramite l’account del “The New Yorker”; il progetto #Leucò della Fondazione Cesare Pavese che invitava a commentare riscrivendo e reinventando in 140 caratteri i romanzi classici, o ancora l’esempio di Serial TW che ha coinvolto lo scrittore Marco Belpoliti nella riscrittura di 100 fiabe italiane in 100 giorni.
Slogan comune: less is more, ovvero scrivere testi chiari, concisi, comprensibili ed essenziali, inserire immagini ben definite e originali e video brevi. Le potenzialità della comunicazione consentono di creare relazioni e interazioni su una scala mai vista, sviluppare promozione, coinvolgere direttamente gli utenti e creare partecipazione; la finalità è quella di informare, promuovere, vendere e consolidare il proprio brand reputation, la reputazione, la notorietà, l’immagine che si dà, il consenso che si ottiene.
Facebook, Twitter, Youtube sono diventati oggi social network importanti anche per la cultura, all’interno di un sistema globalizzato dove spesso la terminologia e le modalità discendono dal marketing.
È interessante considerare come questo approccio discenda dalla mentalità anglosassone, abituata a leggere ed insegnare la letteratura puntando al significato e all’utilità del messaggio contenuto nel testo rispetto alla realtà attuale, diversamente dall’impostazione storica basata sulla contestualizzazione spazio-temporale di autore e opera.
Oggi internet è lo strumento che permette a chiunque di avere un contatto diretto e immediato con la conoscenza e l’informazione e può dunque aiutare a trasmettere ai giovani la passione e il piacere della letteratura e della cultura. Di certo però non può considerarsi un tweet esaustivo della profondità e complessità di un libro, si voglia in formato cartaceo o e-book, ma certamente questo può essere un ottimo mezzo per raggiungere la società più multiforme, incuriosire e spingere poi alla ricerca, alla lettura e alla riflessione.
Bell’idea quindi la proposta lanciata dalla Dante, dove sfida il pubblico di appassionati e non a rileggere le novelle di Boccaccio ripensandole nella nostra realtà e riscrivendole con il linguaggio breve e puntuale del tweet. Un simpatico esercizio per mettersi in gioco, liberare la creatività e sguinzagliare la curiosità che ieri come oggi ci rende esseri umani, liberi e pensanti.
Ricordiamo che nel mese di novembre, durante un evento speciale su Boccaccio le versioni più efficaci, divertenti o insolite saranno premiate con un dizionario Devoto-Oli e con la tessera della Società Dante Alighieri per il 2014.
Il panorama lavorativo attuale è sempre più eterogeneo, cangiante, molteplice. I contratti di lavoro e le tipologie di assunzione sono differenti rispetto al passato. Sicuramente il web, internet, i social network rispecchiano le mutate condizioni di assunzione e cercano di andarvi incontro. Freelance.com risponde alle nuove richieste del settore professionale e offre opportunità e convenienza sia per chi offre lavoro, sia per chi lo cerca. Si tratta, infatti, di una piattaforma per chi cerca attività da freelancer, o per chi gestisce una piccola impresa, non ha le risorse sufficienti per assumere una figura a tempo pieno, e preferisce appoggiarsi su una figura esterna che svolga un lavoro temporaneo. Freelancer.com si definisce, infatti, “il più grande mercato al mondo di freelancing, esternalizzazione e crowdsourcing per le piccole imprese”.
Freelancer.com funziona un po’ come un social. Ci si iscrive, agganciandosi all’email o al profilo Facebook, e si comincia scegliendo il proprio “ruolo” all’interno del meccanismo: freelancer o datore di lavoro? Se si cerca impiego è necessario indicare le proprie abilità (più o meno come su LinkedIn) e si può caricare il proprio curriculum. Una volta completato il profilo, si può cercare l’attività per la quale si è più adatti e fare un’offerta al datore di lavoro, inviando le proprie referenze e indicando il costo del proprio incarico all’ora. Se si riesce a convincere il futuro “capo”, si è assunti e una percentuale del guadagno ricevuto va al sito. Un processo più o meno speculare avviene se, invece, si cerca “personale” da assumere. E’ possibile caricare il proprio progetto oppure si può ricercare la figura adatta indicando tutte le caratteristiche necessarie ad una determinata mansione. Anche in questo caso, parte del guadagno dell’intero progetto (un 3%) va al sito.
E’ un modo intelligente per trovare lavori part-time, da svolgere da casa, o svariate opportunità in tutto il mondo.
Per capire bene come funziona il tutto bisogna avere un po’ di pazienza e “studiarci un po’ su”. Lo stesso vale al momento della ricerca del lavoro o dei lavoratori: bisogna capire la strategia giusta per essere assunti o per assumere la persona più adatta.
Per i freelancer, è possibile svolgere anche degli esami per dare prova delle proprie abilità. Si tratta di veri e propri test, in genere rapidi, che servono per primeggiare agli occhi dei possibili futuri datori di lavoro.
Chi è in cerca di un lavoro, ai fantasiosi del mercato delle assunzioni, a chi non ama spostarsi per lavorare, a chi ha un’impresa, una start up, un lavoro da voler o dover assegnare a terzi.
Avete mai sentito parlare di diritto all’oblio, tutela della privacy sul web et similia? Quante volte vi siete registrati su un sito e dopo alcuni giorni, mesi, anni avete provato il desiderio di cancellarvi e scomparire dalla faccia di quella piattaforma online? justdelete.me è proprio un sito che agevola la cancellazione da social network, applicazioni, siti che richiedono un’iscrizione e che spesso non chiarificano come potersi cancellare.
Si tratta di una pagina web in cui, in ordine alfabetico, sono indicati i principali servizi web che richiedono una registrazione. I rettangoli che ospitano i servizi sono colorati in base alla difficoltà che l’utente incontra nell’eliminare il proprio account: si va dal verde di Facebook, che indica una cancellazione rapida, all’arancio di Whatsapp, di difficoltà media, al rosso di Skype, dal quale è molto difficile eliminare i propri dati, fino al nero di Pinterest, che non permette una ripulitura definitiva dei propri dati dalla piattaforma. Cliccando sul sito “incriminato” si viene rimandati direttamente alla pagina con il “bottone” di cancellazione relativo. Molti servizi web, infatti, nascondono volontariamente l’opzione di cancellazione, oppure come skype, richiedono dopo diversi passaggi, di contattare il customer service. Per i siti più ostici, Just Delete Me offre una spiegazione della procedura, cliccando su “show info”.
Un motore di ricerca, poi, permette di arrivare rapidamente al sito di interesse.
È possibile contribuire allo sviluppo del sito suggerendo le procedure di cancellazione per nuovi siti, o richiedendo di inserirli, tramite l’invio di un’email ai creatori del sito.
justdelete.me rappresenta un passo avanti nella procedura di eliminazione dei propri dati dall’oceano di informazioni, personali e non, che è il world wide web. Ma la strada verso la tutela della privacy è ancora lunga e contorta, anche perché, spesso, non basta un semplice bottone di cancellazione per scomparire del tutto da un sito.
Gli ideatori di justdelete.me, due giovani studenti britannici, sono rimasti stupiti dal successo del loro servizio che, nato il 20 di agosto, in solo una settimana ha totalizzato più di 30.000 visitatori e ha conquistato persino una recensione da parte della nota rivista tecnologica Wired.
Tutti i naviganti della rete, con particolare attenzione a chi si annoia presto di qualcosa, a chi ha istinti da agente segreto, a chi ha qualche piccola mania di persecuzione.
La prossima sfida del web si chiama Internet.org ed ha un obiettivo a dir poco ambizioso: tutto il mondo connesso.
E’ questa la grande rivoluzione che stanno preparando per l’intera umanità i 6 colossi del web Facebook, Ericcson, MediaTek, Nokia, Opera, Qualcomm e Samsung che puntano a rendere la rete accessibile a 5 miliardi di persone.
Ad oggi, infatti, solo un terzo della popolazione mondiale è connesso ad internet e di questi, circa la metà utilizza Facebook.
Una semplice trovata di marketing? Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, assicura che non lo è: “Non si tratta di soldi. Se si trattasse solo di questo, ci potremmo ritenere già soddisfatti perché quel milione di utenti ad oggi attivo su internet rappresenta la fascia più ricca della popolazione mondiale. Ciò a cui puntiamo – tiene a specificare – è l’economia della conoscenza che è l’unico volano di sviluppo possibile nel futuro.”
Il progetto, che si chiama appunto Internet.org, si presenta con un video di poco più di 1 minuto dai colori caldi e dal sonoro che richiama l’ “I have a dream” di Martin Luther King: ad essere protagonisti soprattutto le popolazioni africane, i paesi in via di sviluppo dove a malapena l’1% degli abitanti conosce internet e riesce a connettersi.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=NdWaZkvAJfM]
Un mondo in cui tutti sono connessi riuscirebbe sicuramente ad eliminare le distanze fisiche, una bella sensazione che abbiamo in parte già provato e sperimentato e di cui di certo non riusciremo più a fare meno.
Tutti sanno, di contro, che internet è tanto prezioso quanto potente e che il suo utilizzo può anche essere indirizzato a limitare la privacy e la libertà degli individui.
Ma è pur sempre una risorsa che, come tale, ha suoi pro e i suoi contro. Sarebbe come non vivere per paura di morire e questa filosofia non è quella vincente alla soglia del terzo millennio.
3 i punti chiave dell’operazione: riduzione del costo degli smartphone e quindi dei trasferimenti dati, miglioramento della larghezza di banda per abbattere il digital divide, modelli aziendali innovativi che consentano la riduzione dei costi.
Ovvio che l’intento di business c’è ed è anche palese: in un mercato ormai saturo, le aziende produttrici di tecnologia devono espandersi altrove, conquistando fette di mercato molto appetibili ma ahimè ostacolate da limiti infrastrutturali troppo grandi. E allora, come la montagna che va da Maometto, Zuckerberg &Co. se ne vanno a bussare alle porte delle aziende proprietarie delle infrastrutture web, per fare mercato assieme. Tu mi dai la rete, io ti connetto il mondo. Perché se è vero che oggi questa manciata di aziende vendono a 100 un servizio a costo 10, domani potranno vendere a 300 la stessa cosa a costo 5 vedendo così quasi raddoppiati i loro guadagni.
Manca qualcuno? Google, che sta tentando un’operazione simile, ma in solitaria, con Project Loon una serie di palloni aerostatici muniti di antenne in grado di espandere la connettività, e Microsoft, che per il momento rimane a guardare e anzi, sminuisce il tutto condensando nelle poche parole di Bill Gates tutto l’affaire: “Se un bambino in Africa muore di fame o di dissenteria, non sarà certo una connessione internet a salvarlo”.
Verissimo. Ma se nella vita non ci fosse sempre bisogno di un aut-aut? Se quella connessione ad internet servisse anche a far capire che ci sono altri modi per curare una dissenteria?
La risposta a questi interrogativi è quella che diamo alla domanda: “grazie ad internet ho imparato qualcosa in più? Posso dire che internet ha aumentato il mio grado di conoscenza?”. Se ce l’abbiamo fatta noi forse ce la possono fare tutti. Vale la pena tentare.
Questa domanda ve la sarete posta milioni di volte: “E’ possibile l’amicizia tra uomo e donna?”.
E, insieme a voi, anche due giovani ragazzi di New York, entrambi professionisti della comunicazione, Jessica Walsh e Timothy Goodman che, per tentare di rispondervi hanno deciso di condurre un esperimento, che in poche settimane è diventato uno dei progetti più virali e social degli Stati Uniti. Non sono da soli: assieme a loro un creativo, un video maker, un tecnico del suono.
Si chiama “Forthy days of dating” ed è il progetto attraverso il quale proveranno a rispondere a questo sempiterno quesito.
Se siete degli appassionati di web serie, dei romantici, dei single, dei creativi, dei grafici, dei sociologi, degli psicologi o degli esperti di comunicazione, prendetevi almeno un pomeriggio off perché rimarrete incollati allo schermo del pc per seguire le loro vicende e rifarvi gli occhi con la bella grafica e l’originalità dei loro video. Se poi siete tutte quelle cose elencate sopra e non avete ancora pianificato le ferie, ecco come trascorrerete almeno i primi 3 giorni di vacanza.
Il progetto consiste infatti in un blog e in una serie di video che documentano lo stato d’avanzamento dei loro incontri.
Ma facciamo un passo alla volta: Jessica e Tim sono due amici storici alla soglia dei trent’anni che, per motivi diversi, hanno vissuto storie complicate e fallimentari con i rispettivi partner. Ritrovatisi single nello stesso periodo hanno deciso che fosse giunta l’ora di auto analizzarsi per capire come mai le loro storie non andavano a buon fine. Diversissimi da tutti i punti di vista, l’unica cosa che li accomuna è l’affetto che nutrono nei confronti l’uno dell’altra e gli stessi identici problemi di coppia. Tim è spaventato dalle relazioni durature, frequenta spesso più di una donna alla volta e sta perdendo di vista il significato della parola “amore”. Jessica è un’inguaribile romantica, salta da una relazione all’altra perché mai abbastanza soddisfatta ed è alla continua ricerca del suo Lui perfetto.
40 giorni possono cambiare il loro atteggiamento nei confronti dell’altro sesso e, insieme possono prendere l’uno ciò che manca all’altro.
Riusciranno alla fine di questo periodo a cambiare le loro prospettive? Cominceranno una vera relazione? Lo faranno tra di loro o con altre persone? Rimarranno ancora amici o si innamoreranno?
Sei le regole fondamentali che dovranno seguire:
1 – Si incontreranno una volta al giorno per 40 giorno
2 – Usciranno almeno tre volte a settimana
3 – Vedranno un terapista di coppia una volta la settimana
4 – Partiranno per un weekend
5 – Compileranno il questionario giornaliero su come vanno i loro incontri e filmeranno il tutto
6 – In questi 40 giorni non usciranno né avranno rapporti sessuali con altre persone
[vimeo 69904652 w=400 h=225]
Un modo creativo e originale, quindi per documentare, come fosse una web serie, uno dei problemi che maggiormente attanaglia la società dei single: “sono io il problema o sono le persone che frequento?”
Per il momento i due sono in pausa. Sono al 36esimo giorno e riprenderanno ad aggiornarci sullo stato della loro relazione il 3 settembre.
E visto che non sanno a quale risposta li porterà il loro esperimento, potete anche contattarli privatamente sui loro profili social. Chissà che l’anima gemella di uno dei due non siate proprio voi.
(im)possible living – rethink the abandoned world
Si tratta della prima community virtuale e globale nata per individuare e portare a nuova vita edifici abbandonati. In questo modo si evita il perpetuarsi della cementificazione e si opta per un recupero intelligente, economico ed ecologico del preesistente, evitando che si trasformi nell’ennesimo esempio di degrado.
Per far ciò (im)possible living procede seguendo precisi step: creare un database mondiale degli edifici in stato di abbandono; mettere a disposizione conoscenze e strumenti per avviarne il recupero; favorire il contatto tra diversi professionisti coinvolti nell’attività di ristrutturazione; trovare il denaro necessario per realizzare il progetto.
Per entrare a far parte della community di (im)possible living basta registrarsi gratuitamente, fornendo un’e-mail e scegliendo un’immagine per il profilo. Sarà così consentito segnalare l’indirizzo dell’edificio abbandonato che si intende inserire nel database, corredandolo anche con foto e video e indicando la tipologia del fabbricato (religioso, agricolo, abitazione, ecc). Queste segnalazioni potranno poi essere condivise anche sui propri profili Facebook, oltre che andare ad arricchire la mappa del cosiddetto (im)possible world.
Ciascun sito ha poi una propria scheda in cui, insieme alla localizzazione in mappa, viene fornita una descrizione dell’area in cui si trova, foto e video, le idee proposte per il recupero e le informazioni relative alla realizzazione.
Il tutto è sempre condivisibile tramite i principali social network come Facebook, Twitter, Youtube e Flick.
L’idea è davvero interessante e utile, perché si propone come strumento per il recupero urbano che ormai ogni città si trova a dover affrontare.
Segnalazioni e iniziative vengono inoltre dal basso, da quegli stessi cittadini che vivono i luoghi e i disagi provocati dal degrado. Sfruttando il lato social del web, l’immediatezza e la catalizzazione di idee provenienti da più voci, peculiarità dell’on line, (im)possible living media tra coinvolgimento creativo ed emotivo e ordine progettuale.
Come ogni bel progetto, il dubbio si insinua sempre sulla concreta fattibilità: una volta che gli edifici sono stati mappati, schedati e hanno raccolto buone idee per il loro recupero, si giunge poi all’effettiva ristrutturazione? Chi si occupa del disbrigo burocratico di tutte le pratiche edilizie? Ma, soprattutto, chi finanzia il tutto?
(im)possible living è un progetto tutto Made in Italy: il suo team è composto principalmente da giovani professionisti italiani, come architetti, urbanisti e progettisti web.
(im)possible living è consigliato a chi vuole città in cui ogni centimetro di cemento abbia una sua utilità e dove nessun edificio vada perso nel degrado. E’ raccomandabile a chi ha una buona idea ma non dispone di alcuno spazio per realizzarla, ma anche a coloro i quali non sanno come impiegare un edificio altrimenti destinato a divenire macerie.
Trovate (im)possible living al seguente link. C’è anche un blog dedicato e un app scaricabile gratuitamente.
Happier è il social network che permette di condividere i propri momenti felici. Sì, avete letto bene. Solo i momenti, anche piccoli e apparentemente insignificanti, che però hanno senso nella nostra vita quotidiana: fanno parte di questa lista i sorrisi degli amici e quelli inaspettati del vicino di casa, leggere un libro ed emozionarsi, osservare un tramonto, scoprire lo scorcio di un paesaggio, incrociare lo sguardo con una persona nuova, mangiare una fetta di torta, ricevere un regalo.
Il sito, prende spunto da una ricerca secondo la quale condividere pensieri positivi rende più produttivi ed ottimisti. Ovviamente la cosa vale sia per i momenti belli che viviamo personalmente ma ha un effetto positivo anche per i pensieri che riceviamo dagli altri. Inoltre, la ricerca dimostra che chi è felice ha meno possibilità di avere attacchi di cuore (e di prendere il raffreddore!)
Un po’ troppo sdolcinato? A volte, in effetti, quando proprio l’umore è giù e ci si vuole trastullare nella propria depressione (anche per farsi compatire un po’), la condivisione di tutta questa positività risulta urtante e stucchevole.
L’uso dei colori: arancio, fuxia, viola, verde e giallo. Con queste tonalità l’allegria si trasmette già alla sola vista della homepage. Se volete diffondere buonumore, è possibile inoltre scaricare un kit completo di stickers e cartoline dispensatrici di positività!
Tutti. Chi non ha bisogno di una sferzata di positività? Si consiglia di apririlo soprattutto la mattina e prima di andare a dormire. Rimarrete sorpresi dalla quantità di cosebelle che succedono ogni giorno.
Realizzato da una coppia di Boston che ha smesso di ricercare la felicità e ha iniziato a trovarla nelle cose di ogni giorno. Il sito è raggiungibile dall’indirizzo https://www.happier.com/